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I santi di oggi 18 febbraio:
nome Santa Geltrude Comensoli- titolo Fondatrice- nome di battesimo- Caterina Comensoli- nascita 18 gennaio 1847, Bienno, Brescia- morte 18 febbraio 1903, Bergamo- ricorrenza 18 febbraio- Geltrude nacque a Bienno in Val Camonica (Brescia) il 18 gennaio 1847. Lo stesso giorno della nascita i genitori la portano al fonte battesimale della chiesa parrocchiale e le diedero il nome di Caterina. Nell'infanzia, Caterina conobbe le gioie dell'innocenza e la spensieratezza dell'età. Il Signore, però, le fece sentire il desiderio di unirsi a Lui intimamente: la piccola era sovente trasportata da un forte bisogno di raccogliersi nella preghiera e nella meditazione. A chi le chiedeva che cosa facesse, rispondeva: "Penso". Da piccola, non resistendo più al pressante invito di Gesù, una mattina molto presto, avvolta nell'ampio scialle nero della mamma, andò nella vicina chiesa di Santa Maria e ricevette furtivamente la Prima Comunione. Caterina pregustò attimi di Cielo e giurò eterno amore con Gesù. Giovinetta si fece apostola dell'Eucaristia: voleva portare Gesù Sacramentato su un'alta montagna, perché tutti lo potessero vedere e adorare. Il suo motto: "Gesù amarti e farti amare" diventa il programma della sua vita. Attratta ad una vita più perfetta, nel 1862 lasciò la famiglia ed entrò nell'Istituto delle Figlie di Carità, fondato da S. Bartolomea Capitanio, a Lovere (Brescia). La Postulante si ammalò e venne dimessa dall'Istituto. Dopo la guarigione, a causa delle mutate condizioni finanziarie della famiglia, lasciò il paese e entrò, in qualità di domestica, dapprima nella casa del Prevosto di Chiari, Don G. B. Rota, il quale, qualche anno dopo, venne elevato alla sede episcopale di Lodi, e poi, nella casa paterna della Contessa Fè-Vitali. Nella Festa del Corpus Domini 1878, con il permesso del suo confessore, rese perpetuo il suo voto di verginità, emesso la mattina della Comunione furtiva. Senza trascurare i suoi doveri di domestica, Caterina si fece educatrice dei bambini di S. Gervasio (Bergamo) e li guidò sulla via dell'onestà e delle virtù cristiane e sociali. Con la preghiera assidua, la mortificazione, un'intensa vita interiore e l'esercizio delle opere di misericordia, Caterina si preparò ad accogliere la volontà del Signore. Scioltasi dai legami familiari in seguito alla morte dei genitori, la giovane cercò il modo di concretizzare il suo ideale eucaristico aprendo il suo cuore a Mons. Speranza, allora Vescovo di Bergamo, il quale si trova a Bienno, ospite dei conti Fé-Vitali. Sorretta dal nuovo Vescovo di Bergamo, Mons. Guindani, e dal suo "Padre e Superiore", Don F. Spinelli, il 15 dicembre 1882, Caterina, insieme a due altre compagne, diede origine alla Congregazione delle Suore Sacramentine di Bergamo, con la prima ora di adorazione al SS. Sacramento. Il 15 dicembre 1884, vestì l'abito religioso e prese il nome di Suor Geltrude del SS.mo Sacramento. Dopo una bufera delle avversità, che mise a dura prova la tenera pianticella fu costretta a rifugiarsi a Lodi. Il Vescovo di Lodi, Mons. Rota, accolse paternamente quelle figlie, raccomandategli dal Vescovo di Bergamo e, con gesto magnanimo, procurò loro in Lavagna di Comazzo una casa che diventa provvisoriamente la Casa Madre dell'Istituto. L'opera di Dio fu finalmente compiuta! La Fondatrice dette ormai tutte le garanzie di continuità per l'adorazione pubblica perpetua a Gesù Sacramentato, trasfuse nelle Suore il suo prezioso patrimonio spirituale, che fu spirito di preghiera, di sacrificio, di mortificazione, di obbedienza, di umiltà, di carità, soprattutto verso i poveri. Morì il 18 febbraio 1903, la notizia in breve tempo si sparse a quanti la conoscevano, specie la gente umile e povera da lei prediletta, unanimemente la dichiararono santa. Il 9 agosto 1926 la salma venerata fu trasportata dal cimitero di Bergamo alla Casa Madre dell'Istituto da lei fondato, dove tuttora giace in apposita cappella, attigua alla chiesa dell'Adorazione. La Chiesa, esaudendo il desiderio di moltissime persone, il 18 febbraio 1928 aprì il processo diocesano sulla santità della vita di Madre Geltrude, sulle sue virtù e sui miracoli, e si concluse nel 1939. Nello stesso anno, sotto il Pontificato di Pio XII, si apre il Processo Apostolico. Il 26 aprile 1961, alla presenza del Santo Padre Giovanni XXIII, ha luogo la Congregazione generale, dopo la quale è data lettura del decreto sulla eroicità delle virtù praticate da Madre Geltrude, alla quale viene attribuito il titolo di Venerabile. Il primo ottobre 1989 viene proclamata beata da papa Giovanni Paolo II e il 26 febbraio 2009 è stata canonizzata da papa Benedetto XVI, che ne ha dato evidenza nella solenne cerimonia del 26 aprile 2009. MARTIROLOGIO ROMANO. A Bergamo, Santa Geltrude (Caterina) Comensoli, vergine, che fondò una Congregazione di religiose per l’adorazione del Santissimo Sacramento e la formazione della gioventù.
nome Beato Giovanni da Fiesole (detto Beato Angelico)- titolo frate Domenicano- nome di battesimo Guido di Pietro- nascita 1400, Vicchio nel Mugello- morte 18 febbraio 1455, Roma- ricorrenza 18 febbraio- Guido, figlio di Pietro, nacque a Vicchio nel Mugello verso il 1400. Non abbiamo testimonianze sulla sua formazione artistica. Sappiamo, invece, che nel 1417 venne ammesso nella Compagnia di San Nicola, una delle numerose gilde di pittori a Firenze. Verso il 1420 Guido decise di entrare nel convento domenicano di Fiesole, appartenente al movimento dell'osservanza. Ricevette il nome di fra Giovanni e strinse rapporti di amicizia con fra Antonio Pierozzi, il futuro sant'Antonino. Tra il 1428 e il 1435 eseguì almeno cinque pale d'altare per la chiesa conventuale, tra le quali la celebre Annunciazione oggi conserva:a al Museo del Prado, che suscitò l'ammirazione di Michelangelo, e l'incoronazione della Vergine oggi al Louvre. Nel decennio successivo fra Giovanni lavora al convento di San Marco a Firenze. In ogni cella esegue un affresco che è un richiamo alla vita di Cristo, un invito alla sua imitazione. Verso il 1445 viene invitato a Roma. Dirige un'importante bottega d'arte che lavora per la corte pontificia, ma resta sempre un uomo modesto e pio. Ritorna poi per qualche tempo a Fiesole, donde viene chiamato nuovamente a Roma. Qui muore il 18 febbraio 1455. Una leggenda racconta che nel momento in cui esalò l'ultimo respiro, una lacrima cadde dagli occhi di tutti gli angeli che aveva dipinto. Spiega il senso della sua arte come via della bellezza che porta a Dio e giustifica il nome con il quale viene designato dai posteri. CITAZIONE Con tutta la sua vita fra Angelico cantò la gloria di Dio, che egli portava come un tesoro nel profondo del suo cuore, ed esprimeva nelle opere d'arte. Egli è rimasto nella memoria della Chiesa e nella storia della cultura come uno straordinario religioso-artista (Giovanni Paolo II). MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, beato Giovanni da Fiesole, detto Angelico, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che, sempre unito a Cristo, espresse nelle sue pitture ciò che contemplava nel suo intimo, in modo tale da elevare le menti degli uomini alle realtà celesti.
nome Sant'Elladio di Toledo- titolo Vescovo- nascita VI secolo, Spagna- morte 633, Toledo- ricorrenza 18 febbraio- La vita di Elladio è nota grazie al racconto lasciatoci da S. Ildefonso di Toledo (t 667; 23 gen.), che egli avrebbe ordinato diacono, Ufficiale presso la corte visigota, la rappresentò al concilio di Toledo del 589 a motivo della sua particolare abilità cd erudizione. Già allora, stando a ciò che narra Ildefonso, era attratto dalla vita religiosa cd era solito aiutare nei loro lavori manuali i monaci del monastero di Agalai sulla sponda del fiume Tagus. Entrato in questo monastero, fu eletto nel 605 abate; nonostante la nomina, secondo Baronio, continuò a svolgere tutti i servizi del monastero, tra cui anche quello di trasportare la legna per la stufa. Elladio era così generoso nei confronti dei poveri che «era come se il suo calore e la sua vitalità fluissero direttamente nelle loro membra e nelle loro anime». Nel 615 con la morte dell'arcivescovo Aurasio si rese vacante la sede metropolitana della città di Toledo e nonostante la sua riluttanza a separarsi dal monastero, Elladio accettò di essere eletto nuovo arcivescovo. Si conosce poco dei suoi di-ciotto anni di episcopato, al di là della generosità nei confronti dei poveri. Si è ipotizzato che abbia incoraggiato il re Sisebuto a espellere gli ebrei dal regno, ma non esistono prove concrete a so-stegno di tale congettura. MARTIROLOGIO ROMANO. A Toledo in Spagna, sant’Elladio, che, dapprima amministratore della corte regia e dello stato, divenne poi abate di Agalia e, elevato infine alla sede episcopale di Toledo, diede eccellente esempio della sua carità.
nome San Tarasio- titolo Patriarca di Costantinopoli- nascita 730, Costantinopoli- morte 25 febbraio 806, Costantinopoli- ricorrenza 18 febbraio- Nel 784 Tarasio passò direttamente dal ruolo secolare di segretario capo dell'imperatrice d'Oriente Irene alla sede patriarcale di Costantinopoli. Il contesto ecclesiastico di questo periodo è costituito dalla controversia iconoclastica della quale è opportuno fornire alcuni cenni per poter comprendere l'operato di Tarasio come patriarca. L'iconoclastia — movimento che in nome della purezza dottrinale condannava la produzione e la venerazione di immagini sacre — si era sviluppato in Asia Minore all'inizio dell'vm secolo. Se da una parte l'imperatore Leone l'Isaurico appoggiò il movimento pubblicando nel 730 un editto contro il culto delle immagini e costringendo il patriarca S. Germano (12 mag.) ad abdicare, S. Giovanni Damasceno (4 dic.) difese invece energicamente le icone sulla base della teologia della creazione e dell'Incarnazione. Il figlio di Leone, divenuto imperatore con il nome di Costantino V dal 741 al 755, decise d'indire un concilio per risolvere la disputa: esso si tenne nel 754 a Hieria, sul versante asiatico di Costantinopoli, e non vi parteciparono né il papa né i patriarchi delle Chiese orientali, sebbene fossero presenti trecentotrentotto vescovi presieduti da Teodoro di Efeso. Fu emanato un decreto che condannava sia la fabbricazione che la venerazione di icone, affermando che Cristo non poteva essere rappresentato e successivamente l'iconoclastia s'impose nella Chiesa orientale. Tutto ciò sarebbe forse stato motivo di minori dispute se Costantino V non avesse aggravato il problema confiscando i monasteri dove erano ancora esposte le icone, trasformandoli quindi in caserme e obbligando i monaci ad arruolarsi nell'esercito imperiale. I monasteri della Bitinia, allora il più importante centro del monachesimo in Europa, furono evacuati e in gran parte distrutti; sebbene la popolazione fosse in gran parte favorevole ai monaci, l'esercito rimase risolutamente fedele all'imperatore e la resistenza risultò inefficace. Scomparso Costantino nel 775, il figlio Leone IV (775-780) fece cessare la persecuzione. Alla sua morte la vedova Irene cominciò a regnare in nome del figlio Costantino VI e sebbene fosse una donna violenta e intrigante, si mostrò favorevole all'adorazione delle icone e si adoperò quindi per ripristinarla favorendo la riapertura dei monasteri. Ma il completo ristabilimento della venerazione delle immagini avrebbe richiesto un concilio che abolisse il decreto di Hieria, perché tale assise si era attribuita autorità ecumenica. Era dunque necessario un nuovo patriarca che sostenesse la causa e indicesse il sinodo e con una decisione particolarmente illuminata Irene scelse Tarasio, il capo della cancelleria imperiale. Il titolare in carica, Paolo IV, che aveva sostenuto Hieria, fu invitato a dimettersi e a ritirarsi in un convento. In quanto laico, Tarasio non era coinvolto con i rappresentanti della fazione monastica ed era la persona ideale per riportare la pace; accettando quindi l'incarico alla condizione che si indicesse un nuovo concilio, fu consacrato vescovo di Costantinopoli il 25 dicembre del 784 per saltum (evitando cioè l'iter ordinario). All'inizio dell'anno seguente Tarasio contattò la Santa Sede con una lettera in cui notificava a papa Adriano I (772-795) la propria elezione avvenuta direttamente dallo stato laicale. Professando inoltre la propria fede e il proprio sostegno al culto delle immagini, richiedeva un nuovo concilio ecumenico. A questa lettera se ne aggiungeva un'altra, da parte dell'imperatrice in persona, che auspicava la medesima cosa. Il papa Adriano, nonostante le personali riserve circa l'elezione non canonica di Tarasio e l'uso del termine "patriarcato ecumenico" per la sede di Costantinopoli, accolse la proposta e inviò due rappresentanti a sostenere il suo diritto di conferma dei decreti finali. Il concilio si radunò dapprima in una chiesa di Costantinopoli ma fu interrotto da milizie che agivano per conto dei vescovi iconoclasti che si opponevano a Irene. La basilissa Irene allora, agitando il pericolo di una minaccia araba in realtà inesistente, ordinò di trasferire il concilio nella più tranquilla Nicea, che in virtù del primo concilio ecumenico tenutosi nel 325 ispirava inoltre maggiore autorità. Questo concilio riuscì a giungere al termine dei lavori alla fine di settembre del 787. Tarasio ebbe il compito di moderare la discussione sebbene, in via di principio, presiedessero i rappresentanti papali. Con il loro sostegno, Tarasio usò la propria abilità diplomatica per attenuare le richieste della fazione monastica, che chiedeva l'annullamento di tutte le ordinazioni eseguite da vescovi iconoclasti. Decise infatti che sarebbero stati deposti solo coloro (probabilmente non molti) che avevano avuto un ruolo attivo nelle persecuzioni. I dibattiti furono caratterizzati dalla quasi totale mancanza di una seria discussione teologica sulla questione: fu merito di Tarasio liberare i vescovi della sua fazione dall'inclinazione compiacente per le leggende e di insistere invece sulla precisa distinzione tra latrai (adorazione) e proskonesis (venerazione). La venerazione di icone fu dichiarata ortodossa per il fatto che il culto veniva rivolto alla persona rappresentata nell'immagine e non all'immagine stessa. Tarasio portò inoltre il concilio a considerare anche altri argomenti, in particolare la simonia e la necessità per ecclesiastici e monaci di uno stile di vita austero e impeccabile, del quale egli stesso fu uno straordinario esempio. Inviò quindi a papa Adriano un resoconto del concilio, il cui documento finale includeva ventidue canoni disciplinari. Anche se Tarasio aveva diretto il concilio in modo saggio ed equilibrato, tra i monaci che aveva chiamato a contrastare i vescovi iconoclasti rimase qualche risentimento. Fu quindi trascinato nelle macchinazioni imperiali di Irene, che continuava a esercitare la reggenza sebbene Costantino VI avesse già raggiunto l'età per poter regnare. Dopo aver costretto il figlio a troncare il fidanzamento con Rotrude, figlia di Carlo Magno, lo spinse a sposare Maria di Paflagonia, che avrebbe in seguito calunniata e forse tentato di avvelenare; Costantino decise poi di divorziare da Maria, perché legato a Teodota, una delle dame di compagnia della moglie. Egli cercò di persuadere Tarasio che Maria stava progettando di avvelenarlo, ma Tarasio subodorò un imbroglio. Il patriarca doveva perciò affrontare tre problemi delicati: il divorzio e i motivi che l'avevano provocato; il diritto al secondo matrimonio; l'atteggiamento della Chiesa di fronte alla successiva bigamia. C'era inoltre il problema dell'applicazione dei canoni alla persona dell'imperatore. Inizialmente Tarasio adottò una linea di comportamento severa, rifiutando di accettare il divorzio e minacciando di scomunicare Costantino. Il matrimonio tuttavia fu ugualmente celebrato da un sacerdote di nome Giuseppe e non è possibile stabilire se vi sia stata o no la tacita approvazione di Tarasio, ma in ogni caso l'esito fu che Tarasio censurò Giuseppe senza prendere provvedimenti canonici. In parte per ragioni di principio (le leggi della Chiesa, appena ristabilite, venivano sacrificate a considerazioni di ordine pratico), in parte per motivi politici (Costantino era consigliato e sostenuto da vescovi in passato iconoclasti), la fazione monastica guidata dall'abate Platone di Saccudion (4 apr.) e da suo nipote Teodoro Studita (11 nov.) accusò Tarasio di lassismo, ruppe la comunione con lui e denunciò il matrimonio dell'imperatore come adulterio. La reazione non tardò e Costantino mise in prigione e poi bandì Teodoro e Platone, mettendo così in crisi il movimento di riforma della Chiesa. Vedendo che suo figlio non era sostenuto né dall'esercito né dalla Chiesa, Irene lo fece imprigionare e accecare nel 797, assumendo la posizione di unica regnante. Tarasio fu costretto a scomunicare Giuseppe, a bollare Teodota come adultera e a diseredarne il figlio. Cinque anni dopo, infine, Irene fu deposta da Nièreforo ed esiliata sull'isola di Lesbo, la qualcosa permise a Tarasio di trascorrere in una certa tranquillità i rimanenti quattro anni del suo patriarcato. Tarasio era persona umile, avversa al fasto e alla pompa; faceva indossare al suo clero vestiti semplici con cinture fatte di pelo di capra e non voleva schiavi che lo servissero; camminava in mezzo al popolo e parlava con la gente. Il suo temperamento lo rendeva inadeguato a trattare con persone come Irene. Poco prima di morire — come riferisce nella sua biografia Ignazio Diacono, che fu detentore dei sacri vessilli e che divenne vescovo di Nicea — ebbe una visione nella quale discuteva degli eventi della sua vita con una serie di accusatori. Alla fine la serenità ebbe la meglio e Tarasio morì in pace dopo un patriarcato durato ventun anni, molti dei quali turbolenti. A differenza di tutti coloro, santi e non, che furono coinvolti nei dibattiti teologici, ecclesiastici e politici che sconvolgevano Bisanzio a quel tempo, Tarasio mantenne una condotta prudente, lasciando però irrisolta la controversia iconoclastica. Essa infatti si riaprì nell'814, quando l'imperatore Leone V l'Armeno cominciò ancora una volta a rimuovere le icone dalle chiese ed esiliò il patriarca Niceforo I (13 mar.), successore di Tarasio, che era come lui un laico elevato direttamente al soglio vescovile. Una scorretta traduzione in Occidente dei decreti del concilio di Nicea portarono i vescovi franchi a un pronunciamento contro di esso, pubblicato nei Libri Cardini nel 790, e alla coseguente condanna da parte del sinodo di Parigi dell'828. L'autorità pontificia, corroborata da un'adeguata spiegazione teologica, rettificò poi l'errata traduzione, ma la controversia iconoclasta rimase uno dei punti d'incomprensione che riemersero nel Grande Scisma tra Oriente e Occidente nel 1054. MARTIROLOGIO ROMANO. A Costantinopoli, san Tarasio, vescovo, che, insigne per pietà e dottrina, aprì il Concilio Niceno II, nel quale i Padri difesero il culto delle sacre immagini.
nome Sant'Angilberto di Centula- titolo Abate di Saint-Riquier- nascita 750 circa- morte 18 febbraio 814, Saint-Riquier, Francia- ricorrenza 18 febbraio- Angilberto appartiene al periodo della "rinascita carolingia" che raggiunse il suo massimo splendore quando Alcuino, già direttore dell'istituto della cattedrale di York, si unì nel 782 a un selezionato gruppo d'insegnarti della corte di Carlo Magno. La scuola della corte preparava sia chierici, per occupare posti di rilievo (v. S. Paolino di Aquileia, 11 gen.), che laici, per una carriera nell'amministrazione secolare dell'impero. Modellata sulla linea classica delle sette arti liberali (trivium e quadrivium) e presieduta dal re in persona, si sviluppò in una sorta di accademia con incontri regolari nei quali i membri potevano discutere temi scelti, leggere i propri poemi e anche risolvere enigmi. In questa atmosfera molto particolare i membri facevano uso di pseudonimi: Angilberto, noto per la qualità dei suoi versi, era chiamato "Omero", mentre altri prendevano i nomi dei profeti dell'Antico Testamento o di personaggi della letteratura classica. Tutto ciò era qualcosa di più di un semplice gioco erudito: mirava a ridare consistenza alla cultura classica in ambiente cristiano e a far così crescere la stessa cultura cristiana. Angilberto era uno dei favoriti di Carlo Magno e fu presente alla sua incoronazione; si dice, anzi, che ne sposò la figlia Berta oppure che ebbe da lei due figli al di fuori del matrimonio, perché un monaco di nome Nitardo sostenne che lui e il fratello Amido erano figli dei due; il fatto è stato considerato come un indice del lassismo morale dell'alto clero ma non è sicuro che al tempo dei fatti Angilberto avesse già ricevuto alcun grado di ordine sacro né che il matrimonio o la relazione con Berta siano eventi reali, benché si racconti che Angilberto abbia sposato Berta con il consenso di Carlo Magno e dopo essere stato ordinato prete. I racconti su di lui risalgono al tardo Medio Evo e lasciano spazio a considerevoli dubbi circa l'attendibilità. Si narra che abbia scelto la vita religiosa dopo la pericolosa esperienza vissuta quando i danesi risalirono il fiume Somme e che anche Berta divenne suora nello stesso periodo. Angilberto, che rivestiva l'incarico di missus (inviato reale) nelle province costiere della Francia settentrionale, pregò sulla tomba di S. Ricario (26 apr.) facendo il voto di diventare monaco se fosse sopravvissuto al pericolo. Le sue preghiere furono esaudite: una violenta tempesta distrusse completamente la flotta dei danesi. Che sia diventato monaco in questo periodo oppure no, certo continuò a godere dei favori di Carlo Magno e gli fu affidata l'abbazia di San Ricario di Centula vicino a Amiens con le sue rendite, ottenendo anche benefici sufficienti a ricostruirla in modo maestoso. Alla fine del 795 papa Adriano I, grande amico di Carlo Magno, morì; gli succedette Leone III. Inglobata la Lombardia nel regno francese, Carlo Magno era diventato imperatore del sacro romano impero, regnando su un territorio che copriva le antiche aree geografiche di Gallia, Germania e Italia, ma Leone III fu eletto e consacrato senza che Carlo Magno fosse consultato, come affermazione della sovranità di Roma sull'Italia. Carlo Magno, che aveva affermato nei Libri Carolini e altrove la propria responsabilità sull'ordine ecclesiale e sull'istruzione, e pur avendo sentito poco più che chiacchiere sulla vita personale di Leone III, mandò Angilberto come missus a Roma con l'incarico di ammonire il papa «a condurre una vita onorabile, a osservare i canoni con zelo e a governare la santa Chiesa nella pietà». Angilberto divenne poi abate di S. Ricario, allestendovi un'ottima biblioteca e introducendo la laus perennis, preghiera corale che durava giorno e notte; tese a escludere i monaci dai lavori manuali e dai servizi, affidati ad altri e il monastero crebbe notevolmente, divenendo il centro di una "città santa" di circa tremila persone: essa ospitava al proprio interno oltre trecento monaci, una scuola con circa cento studenti e un corpo di guardia; aveva tre chiese principali e cinque cappelle più piccole; i monaci passavano dal l'una all'altra in processione e al canto di litanie. Poiché Carlo Magno lo aveva annoverato tra gli esecutori testamentari, Angilberto raggiunse Aaachen per sottoscriverne le ultime volontà. Ormai molto anziano, il santo sarebbe morto a soli ventidue giorni di distanza dal suo insigne protettore. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Centule nel territorio di Amiens in Francia, sant’Angilberto, abate, che, abbandonati gli incarichi di palazzo e militari, con il consenso della moglie Berta, che prese lei pure il sacro velo, si ritirò a vita monastica e resse felicemente il cenobio di Centule.<br />
nome San Teotonio- titolo Sacerdote- nascita 1082, Portogallo- morte 1162, Coimbra, Portogallo- ricorrenza 18 febbraio- Teotonio è oggetto di una biografia coeva che non riporta «miracoli eccezionali ma [...] nutre in ogni riga un reale e reverente affetto per il santo che commemora» (B.T.A.). Nacque in Portogallo, dove è molto venerato; essendo nipote di Cresconio, vescovo di Coimbra, fu destinato al sacerdozio ancora in giovane età. Dopo la sua ordinazione servì come sacerdote e quindi arciprete nella città di Viseu, dove la sua santa austerità unita alle qualità di predicatore conquistarono non solo l'intera città ma anche illustri personaggi provenienti da lontano, tra cui la regina e il consorte Enrico, conte di Portogallo. Nonostante le calde insistenze da parte loro, egli rifiutò sempre di accettare la guida di una diocesi. Ogni venerdì Teotonio celebrava una Messa solenne per le anime del purgatorio, seguita da una processione al cimitero a cui partecipava l'intera popolazione della città, donando grandi somme di denaro in elemosina, che poi venivano distribuite ai poveri. Teotonio non teneva in nessun conto i ranghi sociali: quando la regina, ormai vedova, si presentò a Messa insieme al conte Ferdinando con il quale conviveva, Teotonio pronunciò una severa omelia contro i vizi e li obbligò a lasciare la funzione; in un'altra occasione la regina osò chiedergli di accorciare la celebrazione e il santo rispose che la Messa veniva celebrata per un sovrano più grande e che lei era libera di rimanere o andarsene. Pentita, rimase c alla fine chiese perdono. Interrompendo il proprio ministero, Teotonio fece un pellegrinaggio in Terra Santa e successivamente un secondo. Attorno a quel periodo si stava costruendo a Coimbra un nuovo monastero per i canonici regolari di S. Agostino e Teotonio decise di unirsi a loro; fu uno dei primi membri della comunità e subito fu scelto come priore, distinguendosi nell'incarico per l'insistenza con cui promosse la precisa e reverente recitazione degli uffici quotidiani. Nel 1139 il conte Alfonso Enrico (Alfonso I) mise fine al vassallaggio portoghese verso i re di Castiglia, assumendo il titolo di re del Portogallo, e nel 1143 dichiarò il paese feudo papale. Il fatto attirò il sostegno dei crociati che già nel 1147 lo avevano aiutato a riconquistare la maggior parte del paese occupato dagli arabi. Noto come il Conquistatore, Alfonso teneva Teotonio in grande considerazione e, attribuendo le sue vittorie alle preghiere dell'abate, fece molte donazioni al monastero; Teotonio a sua volta lo convinse a lasciare liberi i suoi prigionieri cristiani mozarabici. Trascorse gli ultimi trent'anni della sua vita nel monastero di Santa Croce, di cui divenne abate, morendo a ottant'anni. Si dice che il re Alfonso, avendo saputo della sua morte, abbia esclamato: «La sua anima deve essere andata in paradiso ancor prima della sepoltura del suo corpo». MARTIROLOGIO ROMANO. A Coimbra in Portogallo, san Teotonio, che si recò due volte in pellegrinaggio a Gerusalemme e, rifiutata la custodia del Santo Sepolcro, tornato in patria fondò la Congregazione dei Canonici regolari della Santa Croce.
nome Santi Massimo, Claudio, Prepedigna, Alessandro e Cuzia- titolo Martiri di Ostia- ricorrenza 18 febbraio- Si narra che Claudio fu incaricato da Diocleziano di chiedere come sposa per il proprio figlio Massimiano, sua nipote Susanna figlia di Gabinio; recatosi dal fratello, Claudio fu convertito al Cristianesimo e sul suo esempio, abbracciarono la fede anche la moglie Prepedigna con i figli Alessandro e Cuzia. Dopo qualche tempo fu inviato da Gabinio, Massimo, fratello di Claudio, ma anche lui abbracciò la fede. I neo convertiti distribuirono i loro beni ai poveri e si diedero ad opere di carità. Quando Diocleziano ebbe notizia di ciò, li fece arrestare tutti e li esiliò ad Ostia, dove furono bruciati vivi e le loro ceneri furono gettate in mare. Bisogna purtroppo dire che i nostri presunti martiri costituiscono un gruppo fittizio completamente inventato dal leggendista, sia per quanto riguarda la parentela tra di loro e con Diocleziano, sia per la loro storicità. Di Massimo e Claudio, infatti, non si conosce niente altro e nessuna fonte li ricorda; i nomi degli altri sono stati mesi dai latercoli del Martirologio Geronimiano del l° ottobre, ma per ciò stesso non hanno maggiore consistenza storica. Alessandro, difatti è un martire di Dinogetia nella Mesia, mentre Prepedigna e Cuzia sono il risultato di una fantastica lettura dei nomi Eoprepi e Dignaecotiae, diversamente troncati e poi riuniti in Prepedignae e Cotiae. In conclusione il latercolo deve essere espunto dal Martirologio. MARTIROLOGIO ROMANO. Presso Ostia i santi Martiri Màssimo e Clàudio fratelli, e Prepedigna moglie di Clàudio, coi due figli Alessàndro e Cuzia, i quali, essendo di nobilissima stirpe, tutti, per ordine di Diocleziàno, furono presi e mandati in esilio, e quindi bruciati offrirono a Dio l’odoroso sacrificio del martirio. Le loro reliquie, gettate nel fiume, e ritrovate dai Cristiani, furono sepolte presso la medesima città.
nome Santi Sadoth e centoventotto compagni- titolo Martiri- ricorrenza 18 febbraio- Nell'anno 341 il re Sapore 11 di Persia aveva intrapreso una violenta persecuzione contro i cristiani. Il vescovo Simeone Barsabea e i suoi seguaci sono onorati nel Martirologio Romano come le vittime principali di questa ondata di persecuzione; l'anno seguente, Sandost e i suoi compagni patirono allo stesso modo. Sandost fu ordinato diacono da Simeone, vescovo di Seleucia-Ctesi-fonte sul fiume Tigri, rappresentò il suo presule al concilio di Nicea del 325 e, quando questi fu martirizzato, ne divenne il successore. Insieme ad alcuni seguaci fu quindi costretto a nascondersi, continuando tuttavia a guidare il suo gregge. Quando un giorno Sandost vide in sogno una scala che portava al paradiso e sulla cui sommità Simeone glorificato lo invitava a salire dicendo:«Io sono salito ieri, e oggi è il tuo turno», prese coscienza del fatto che, come l'anno precedente il vescovo era stato martirizzato, così egli lo avrebbe seguito quello stesso anno. E così fu: di lì a poco il re Sapore giunse a Seleucia, arrestò Sahdost insieme a vari sacerdoti, chierici minori e suore, per un totale di 128 persone. Condotti in prigione subirono per cinque mesi orribili torture, con la minaccia che avrebbero continuato a soffrire fino a quando non avessero dimostrato obbedienza al re e non avessero adorato il sole. Sahclost replicò a nome di tutti che il sole era solo una creatura generata da Dio per l'umanità e che solo il Creatore è degno di culto. Allo stesso modo il gruppo dei martiri dichiarò: «Noi non moriremo, ma vivremo e regneremo in eterno con Dio e con suo Figlio Gesù Cristo». Furono allora portati fuori dalla città, incatenati a coppie e quindi uccisi, mentre Sandost, separato dal suo gregge, fu condotto a Bait-Lapat e qui decapitato. Sandost era stato vescovo per meno di un anno. MARTIROLOGIO ROMANO. In località Beth Lap t nel regno di Persia, passione dei santi Sadoth, vescovo di Seleucia, e centoventotto compagni, martiri: sacerdoti, chierici e vergini consacrate, rifiutatisi di adorare il sole, furono messi in prigione, sottoposti per lunghissimo tempo a crudeli torture e infine trucidati per ordine del re.