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11/05/2024 alle 17:44

I santi di oggi 11 maggio:

I santi di oggi 11 maggio:

nome Sant'Ignazio da Laconi- titolo Frate cappuccino- nascita 17 dicembre 1701, Laconi, Sardegna- morte 11 maggio 1781, Cagliari, Sardegna- ricorrenza 11 maggio- Canonizzazione

da papa Pio XII il 21 ottobre 1951- Santuario principale Santuario di Sant'Ignazio da Laconi- Ricorrenza 11 maggio- Attributi la bisaccia e il bastone, simboli della questua- Patrono di provincia di Oristano- Ignazio nacque a Laconi, nel cuore della Sardegna, nel 1701. Nel piccolo paese vicino alle montagne del Gennargentu, crebbe timorato di Dio e ancora adolescente già praticava digiuni e mortificazioni; non frequento scuole e non imparò mai a scrivere, ma andava ogni giorno a messa e faceva ii chierichetto; di poche parole, parlava appena ii dialetto sardo. Ventenne, desideroso di mutar vita, scese a Cagliari, non per cercarvi posizioni economiche più agiate, ma per chiedere ai cappuccini di San Benedetto di essere accolto nel loro convento per consacrarsi a Dio. I cappuccini, che conducevano una vita molto rigida, chiusero un occhio sulla sua malferma salute e nel 1721 gli permisero - con la mediazione del marchese di Laconi Gabriele Aymerich - di pronunziare la professione religiosa come fratello laico. Venne poi trasferito nel convento di Iglesias, destinato ai servizi pii umili nel convento e alla questua nella zona del Sulcis. Come questuante Ignazio divenne una delle figure tipiche del capoluogo sardo. Lo si vedeva ogni giorno, bisaccia in spalla, per le vie della città, al porto, nelle bettole. Riceveva ii dono dal buon cuore della gente che lo amava e lo stimava, e dava in cambio ii calore della sua amicizia, di una buona parola, l'esempio evangelico di una vita umile, vissuta a fianco dei poveri, ai quali distribuiva parte di ciò che riceveva. La sua morte nel 1781 fu pianta come la scomparsa di un amico, di una persona cara di cui si pensava impossibile un giorno la dipartita. Le reliquie del santo riposano nella chiesa dei Cappuccini in viale Fra' Ignazio, a Cagliari. Periodicamente le spoglie vengono portate in pellegrinaggio lungo tutta la Sardegna, un evento che richiama sempre numerosissimi fedeli. MARTIROLOGIO ROMANO. A Càgliari, in Sardégna, sant'Ignazio da Làconi, Confessore, dell'Ordine dei Minori Cappuccini, glorioso per umiltà, carità e miracoli, che il Papa Pio dodicesimo adornò degli onori dei Santi.

nome San Fabio e compagni- titolo Martiri in Sabina- nascita III secolo, Nicomedia- morte 305 circa, Cures Sabini- ricorrenza 11 maggio- Le poche notizie sulla vita di san Fabio provengono dalla Passio Sancti Anthimi. San Fabio, era un discepolo di Sant'Antimo, il suo martirio è accomunato a quello dei suoi compagni: Massimo, Basso, Sisinnio, Dioclezio e Fiorenzo. Alla fine del III secolo era proconsole dell'Asia Minore Faltonio Piniano, sposato con Anicia Lucina, imparentata con l'imperatore Gallieno. Consigliere di Piniano era un certo Cheremone terrore dei cristiani. Per le sue insinuazioni, il presbitero Antimo e i suoi discepoli furono gettati in carcere, ma Cheremone non poté godere a lungo della persecuzione in atto, perché un giorno attraversando sul cocchio proconsolare le vie di Nicomedia, cadde rovinosamente e morì. Ciò terrorizzò Piniano la sua angoscia gli provocò una grave malattia. Lucina la moglie, che già da tempo si sentiva attratta dalla nuova religione, pensò di consultare Antimo, lo fece liberare con i discepoli e condurre al palazzo consolare; qui gli promise la libertà se avesse guarito il marito Piniano. Antimo rispose che una sola cosa poteva guarirlo, che si fosse fatto cristiano. Piniano accettò e si dimostrò un catecumeno attento e sincero, cosicché Antimo riuscì ad ottenere da Dio la sua guarigione e successivamente lo battezzò con tutta la famiglia. Verso il 303 Faltonio Piniano ritornò a Roma, richiamato dall'imperatore Diocleziano, ma prima di partire riuscì a convincere Antimo e i suoi discepoli a seguirlo nella capitale dell'impero; naturalmente il suo arrivo non passò inosservato e ben presto si diffuse la notizia che aveva condotto con sé dei cristiani. Per sottrarli alle possibili persecuzioni, Piniano decise di allontanarli da Roma, mandandoli in due vasti poderi di sua proprietà. Il diacono Sisinnio con Dioclezio e Fiorenzo, andarono ad Osimo, mentre Antimo, Massimo, Basso e Fabio furono inviati presso la città sabina di Curi. I gruppi divisi continuarono la loro missione di evangelizzazione cosicché Antimo liberò dal demonio un sacerdote pagano; L'ossesso una volta guarito, per dimostrare la sua riconoscenza e la nuova fede che aveva abbracciato, atterrò l'idolo del dio Silvano, incendiando anche il bosco a lui sacro. I pagani furiosi denunciarono il grave oltraggio al proconsole Prisco, incolpando di ciò il prete Antimo, il quale fu arrestato con i discepoli. Seguirono interrogatori, torture, prodigi, che in questa scheda omettiamo, rimandando alla scheda propria di S. Antimo prete. S. Antimo fu decapitato l'11 maggio 305 e sepolto nell'Oratorio di Curi in cui era solito pregare; la stessa sorte toccò al suo erede nello zelo apostolico Massimo, decapitato il 19-20 ottobre 305 e sepolto nel suo Oratorio al XXX miglio della Salaria; Basso che intratteneva i fedeli incoraggiandoli, fu arrestato e avendo rifiutato di sacrificare a Bacco e Cerere, fu massacrato dal popolo nel mercato di Forum Novum; invece Fabio fu consegnato al console che dopo averlo fatto torturare, lo condannò alla decapitazione lungo la stessa via Salaria. Sisinnio, Dioclezio e Fiorenzo, sempre nel 305, non avendo voluto sacrificare agli dei, furono decapitati dal popolo. Infine Piniano e Lucina morirono naturalmente nella loro casa di Roma.

nome Sant'Antimo e compagni- titolo Martiri- ricorrenza 11 maggio- Il nome di Sant' Antimo è legata, pietra su pietra, una delle più interessanti costruzioni d’architettura romanica esistenti nella campagna toscana. Fin dal IX secolo, infatti, i monaci Benedettini avevano dedicato a Sant Antimo una grande abbazia che sorge, solitaria e severa, tra Siena e Grosseto, sulle pendici vulcaniche del Monte Amiata. La chiesa e il campanile furon poi ricostruiti nel 1100 con le sobrie linee dello stile romanico, detto anche «abbaziale», perché fiorito nei monasteri che avevano giurisdizione sulle terre della bassa padana, e dall’ordine benedettino diffuso in tutto il mondo cristiano come un sapiente linguaggio costruttivo. Ma di Sant’Antimo uomo non si sa molto, anzi si sa molto poco. Non per questo, però, la sua figura storica è meno sicura e meno reale del corpo di pietra squadrata e lavorata che dalle balze dell'Amiata ripete il suo nome e testimonia l'antica devozione al Santo. Nativo forse di Nicomedia, in Bitinia, fu prete e predicò a Roma, o più probabilmente nella Sabina. Imprigionato una prima volta, guarì miracolosamente il proconsole Piniano, per intercessione della di lui moglie, Lucina. Questo fatto prodigioso portò alla conversione l’intera famiglia di Piniano, che non solo liberò i prigionieri cristiani, ma li nascose ai persecutori. Catturato una seconda volta, fu gettato nel Tevere, gonfio di acque giallastre per la piena. Un Angiolo lo trasse a volo dai flutti insidiosi e lo ricondusse incolume al suo piccolo oratorio. I soldati lo ritrovarono lì, in preghiera, e lo trascinarono alla decapitazione, al ventiduesimo miglio della Salaria, la strada che porta a Rieti. È curioso che ad un Santo il cui ricordo e affidato quasi esclusivamente ad una opera d'architettura, sia attribuito l’episodio della distruzione di un tempio. Si narra infatti che Antimo, insieme con un gruppo di contadini della Sabina, da lui convertiti, abbia demolito un tempietto dedicato al dio italico Silvano. Come indica il nome, Silvano era protettore e custode dei boschi, e per quanto fosse una divinità minore, il suo culto aveva una certa importanza nella religiosità pagana, ai tempi del primo Cristianesimo. L’Imperatore Traiano gli aveva dedicato un Tempio sull’Aventino, chiamandolo addirittura Santo Silvano salutare. La venerazione di Silvano si spiega facilmente sapendo ch’egli era considerato anche protettore delle greggi e dei frutteti. La sua superstizione doveva perciò avere una forte presa nella mente dei mandriani e dei contadini, gelosi delle loro ricchezze e sempre timorosi dell’incerta fortuna delle stagioni. L’abbattimento del tempietto di Silvano, narrato dalle leggende, non fu quindi un gesto vandalico, né una vendetta contro un simbolo pagano, e neppure una sfida verso i persecutori, da pagarsi col sangue del martirio. Fu invece un segno materiale, tangibile, eloquentissimo dei tempi nuovi e della nuova luce che si era fatta strada anche nell’anima e nelle menti dei contadini della Sabina, convertiti dalla predicazione di Sant’Antimo. Non è un Cristianesimo superstizioso che prende il posto alla superstizione pagana: la distruzione del tempio del dio silvestre è invece il segno che al gretto interesse, all’egoistica avidità, all’ingrata avarizia si è sostituita la fiducia nella Provvidenza, la rassegnazione alla volontà divina, il comandamento della carità, insegnato da Sant’Antimo con le parole di Gesù, e anche oggi ripetuto a troppe orecchie svogliate o distratte, attutite dai densi fumi della cupidigia. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma al ventiduesimo miglio della via Salaria, sant’Ántimo, martire.

nome San Francesco De Geronimo- titolo Sacerdote- nascita 17 dicembre 1642, Grottaglie,Taranto- morte 11 maggio 1716, Napoli- ricorrenza 11 maggio- Beatificazione 1806 da papa Pio VII- Canonizzazione 1839 da papa Gregorio XVI- Patrono di Regno delle Due Sicilie, Grottaglie e compatrono di Napoli- Francesco Di Girolamo (De Geronimo) nacque a Grottaglie (Taranto), primo di undici fratelli, e trascorse la maggior parte della sua vita a Napoli, di cui divenne apostolo. Dall’età di dodici anni studiò presso i padri teatini. Approfondì in seguito diritto canonico e civile all’università di Napoli. Nel 1666 fu ordinato prete e per i successivi quattro anni insegnò nel collegio De Nobili dei gesuiti di Napoli, diventando solo nel 1670 membro della Compagnia di Gesù. Sottoposto a un noviziato molto severo fu inviato a operare pastoralmente con il famoso predicatore Agnello Bruno, allora in missione nelle campagne di Otranto. Questa nuova esperienza (durata dal 1671 al 1674) gli diede la possibilità di cambiare luogo e ambiente. Nel 1682 fece la professione religiosa, completò gli studi teologici e fu nominato predicatore della chiesa del Gesù Nuovo a Napoli. In quel periodo, poco dopo la crudele persecuzione contro i cristiani in Giappone, si parlò molto di mandarvi un nuovo gruppo di missionari; Francesco desiderava poter partire ma gli fu detto che era il regno di Napoli la sua India e il suo Giappone; così fu per i seguenti quarant’anni. La sua predicazione attirava grandi folle a Napoli e nei dintorni; uomini e donne si accalcavano presso il suo confessionale; si dice che ogni anno quattrocento “peccatori incalliti” cambiassero vita per merito suo. Prigioni, ospedali c galere sperimentarono il suo ministero, che ottenne anche le conversioni di numerosi turchi. Svolse la sua missione anche nelle aree più malfamate della città, dove qualche volta subì aggressioni fisiche. In modo occasionale predicava nelle strade, stimolato da qualche fresco accadimento: una volta una prostituta lo ascoltò stando alla finestra e il giorno dopo andò da lui a confessarsi. I suoi penitenti provenivano da ogni classe e condizione sociale: ci fu ad esempio il caso davvero singolare di una donna francese, Marie Alvira Cassier, che aveva ucciso suo padre e si era arruolata nell’armata spagnola facendosi passare per uomo; sotto la guida di Francesco, dopo aver fatto penitenza, giunse alla santità. Un altro aspetto del suo apostolato era quello della formazione dei missionari, incarico nel quale sublimò il suo desiderio per le terre di missione. Al suo ministero vennero attribuite guarigioni, che egli sempre riferì all’intercessione di S. Ciro (31 gen.), al quale era profondamente devoto. Verso la fine della sua vita sperimentò molte sofferenze fisiche. Morì a Napoli all’età di settantaquattro anni e fu sepolto nella chiesa dei gesuiti del Gesù Nuovo, che divenne meta di un ininterrotto pellegrinaggio sulla sua tomba. Fu canonizzato nel 1839. Dopo la seconda guerra mondiale le sue reliquie furono traslate nella chiesa dei gesuiti di Grottaglie. MARTIROLOGIO ROMANO. A Napoli, san Francesco De Geronimo, sacerdote della Compagnia di Gesù, che a lungo si dedicò alle missioni popolari e alla cura pastorale degli abbandonati.

nome San Maiolo- titolo Abate di Cluny- nascita 906 circa, Avignone- morte 994, Souvigny, Francia- ricorrenza 11 maggio- Maiolo (Maieul in francese), nato ad Avignone ed erede di grandi proprietà a Reiz in Provenza (allora occupata dai saraceni), si trasferì con i suoi genitori a Macon, studiò filosofia a Lione con un maestro famoso, Antonio, e divenne arcidiacono di Macon. Ancor giovane ricevette pressioni per diventare vescovo di Besangon, ma rifiutò e si fece monaco a Cluny, monastero di cui la sua famiglia era benefattrice. Assunse poi l’incarico di bibliotecario ed economo; sia l’organizzazione della copiatura e collezione dei libri monastici che l’amministrazione del monastero erano nelle sue mani. Nel corso di viaggi svolti per conto del monastero la sua sapienza e la sua prudenza divennero “leggendarie”. Quando l’abate Aimardo divenne cieco Maiolo fu nominato suo coadiutore, e nel 965, alla morte di Aimardo, divenne abate di Cluny. Maiolo era un uomo di aspetto molto fine, e ispirava allo stesso tempo rispetto e affetto. La sua formazione aristocratica lo aiutò nei rapporti sia con i rappresentanti della Chiesa che degli Stati. Durante il suo abbaziato divennero ancor più stretti i legami tra Cluny e il papato, che estese a quattordici vescovi di Burgundia, Provenza e Alvernia la protezione speciale di Cluny e dei suoi abati, e anche delle dipendenze. Questa protezione implicava anche la restituzione a Cluny delle terre che gli erano state sottratte e la sua difesa in tempi di disordine e violenza, nei quali i governatori civili erano notoriamente deboli. Al tempo stesso Maiolo godeva di alta stima presso gli imperatori Ottone il Grande e Ottone II: il primo gli chiese di sovraintendere ai monasteri dell’impero e il secondo, unitamente alla moglie Adelaide, gli diede la possibilità di fondare monasteri in Italia, particolarmente a Pavia; va menzionata la fondazione di S. Salvatore nel 971 e la riforma di S. Pietro in Ciel d’Oro nel 983. Inoltre rifondò molti monasteri in Francia, in particolare Saint-Bénignc a Digione. Come per i suoi santi successori, è difficile fare un bilancio tra i risultati interni ed esterni di Maiolo. Ottone II desiderava che divenisse papa ma egli rifiutò, sostenendo che era impossibile trovare un accordo con i «romani» (in verità era convinto che il suo compito primario fosse legato a Cluny). Fu un costruttore geniale e la pregevole chiesa attuale, chiamata Cluny II, trae da lui le sue origini. Per una valutazione complessiva sono significative le parole dello storico di Cluny N. Hunt: «Maiolo fu una delle figure più affascinanti della sua epoca, il più ardente degli abati cluniacensi, diffondendo ovunque note autentiche di santità. Si pensa che sia stato il più contemplativo di tutti gli abati; fu il primo a essere chiamato santo, e con tal titolo si fa riferimento a lui in una bolla pontificia di Gregorio V, pochi anni dopo la sua morte. Sfortunatamente non ha lasciato scritti». MARTIROLOGIO ROMANO. Presso Sauvigny in Borgogna, ora in Francia, transito di san Maiólo, abate di Cluny, che, fermo nella fede, saldo nella speranza, ricco di carità, riformò molti monasteri in Francia e in Italia.

nome San Mamerto di Vienne- titolo Vescovo- Consacrato vescovo prima del 463- morte 475 circa, Vienne, Francia- ricorrenza 11 maggio- Incarichi ricoperti Arcivescovo di Vienne- Mamerto è ricordato soprattutto come il vescovo che in un periodo di crisi istituì le processioni penitenziali delle «Rogazioni», da tenersi nei tre giorni immediatamente precedenti l’Ascensione. Poco conosciamo della sua vita. Sappiamo che era fratello del poeta Claudiano, che egli stesso ordinò prete, ma ignoriamo come e cjuando fu consacrato vescovo di Vienne, antica diocesi nell’Isère, a sud di Lione. Nel 463 pare che Mamerto abbia abusato del suo potere consacrando un vescovo a Die (Dróme), mentre la responsabilità della sede vescovile era stata trasferita da S. Leone Magno (10 nov.) dalla provincia di Vienne a quella di Arles in Provenza. Papa Ilario rimproverò Mamerto ma un sinodo, tenutosi ad Arles, mandò una relazione pacificatrice a Roma, grazie alla quale il nuovo vescovo mantenne la sua sede dopo la ratifica da parte di Arles. L’iniziativa di Mamerto di traslare a Vienne le reliquie di S. Ferreolo (16 giu.), martire del IH secolo che subì il martirio nei pressi di Vienne, suscitò meno problemi. Il ruolo svolto da Mamerto riguardo alle processioni delle “Rogazioni” è testimoniato da S. Avito di Vienne (5 feb.): nell’omelia sulle “Rogazioni” egli dice che queste cerimonie furono istituite da Mamerto in un tempo segnato da varie calamità In conseguenza del ripetersi di fenomeni sismici branchi di lupi selvaggi e di cervi giungevano fino alle porte della città e vi penetravano, sbandati, senza paura di nessuno. Questa calamità durò un anno e culminò con l’incendio del palazzo reale. Durante la veglia pasquale Mamerto implorò la misericordia di Dio con preghiere e lamenti, e avvicinandosi la festa dell’Ascensione, disse al popolo di digiunare, partecipare a liturgie particolari e fare elemosine ai poveri. Gregorio di Tours (17 nov.) così racconta: «Tutti gli orrori cessarono; il racconto di ciò che era accaduto si diffuse in tutte le province spingendo gli altri vescovi a imitare l’iniziativa fatta con fede da quel presule. Da allora a oggi questi riti vengono celebrati in tutte le chiese con animo contrito e cuore grato a gloria di Dio». Se il fatto dell’intervento di Mamerto è ben documentato, i particolari della liturgia sono meno chiari. Secondo E. Bishop «per quanto le testimonianze originali lascino intendere, la sostanza del rituale delle Rogazioni consisteva in salmi cantati con preghiere o collette che accompagnavano i salmi». Le litanie, come noi le conosciamo, furono aggiunte più tardi. L’esempio di Mamerto fu seguito da altre Chiese e approvato dal I concilio di Orleans nel 511, che aggiunse anche il digiuno c l’astinenza da lavori servili. In quel periodo queste osservanze, eccetto il digiuno, divennero generali in tutto l’Occidente. Si può dire, in definitiva, che Marnato fu un pastore devoto, che mostrò anche coraggio e tatto nel propagare questa osservanza al clero ufficiale e al popolo. Fu sepolto nella chiesa di S. Pietro a Vienne; in seguito i suoi resti furono traslati nella chiesa della Santa Croce a Orléans: qui, nel 1563, furono bruciati dai calvinisti. MARTIROLOGIO ROMANO. A Vienne nella Gallia lugdunense, ora in Francia, san Mamerto, vescovo, che nell’imminenza di una calamità istituì in questa città il solenne triduo di litanie in preparazione all’Ascensione del Signore.

nome San Gengolfo- titolo Martire- nascita VIII secolo Borgogna, Francia- morte 760 circa, Avallon, Borgogna, Francia- ricorrenza 11 maggio- Attributi spada e lancia- Patrono di cavalli- Gengolfo era un laico, un cavaliere che fu fedele servitore di Pipino il Breve (maggiordomo del palazzo dei re merovingi e vero detentore del potere reale). Vittima di un matrimonio disastroso fu ucciso per una vendetta, fatto comune in tutti i tempi (compresi i nostri). La moglie era notoriamente donna infedele e sorda a correzioni: Gengolfo allora l’abbandonò e andò a vivere nel suo castello ad Avallon, vicino a Vézclay, dedicandosi alla penitenza e alla carità. Si pensa che sia stato assassinato nel sonno da un amante della moglie. Le sue reliquie vennero distribuite in vari luoghi, essendosi diffusa la voce di miracoli; il suo culto crebbe e oggi viene celebrato in Francia, Germania e nei Paesi Bassi. MARTIROLOGIO ROMANO. A Varennes nel territorio di Langres in Francia, san Gengolfo.

nome San Gualterio di Esterp- titolo Sacerdote- nascita 990 circa, Confolens, Aquitania- morte 11 maggio 1070, Limoges, Francia- ricorrenza 11 maggio- Gualtiero (o Gautier) nacque nel castello di Confolens (Aquitania) sul fiume Vienne, residenza principale della sua famiglia, una delle casate più importanti d’Aquitania. Studiò presso i canonici agostiniani dell’abbazia di Le Dorat, dove poi entrò come novizio e dove pronunziò i voti solenni. Ritiratosi momentaneamente a Confolens (forse per divisioni all’interno della comunità), dopo alcuni anni fu eletto abate del monastero di Lesterps, incarico che mantenne per trentott’anni. La sua influenza si diffuse largamente: cronache contemporanee parlano di lui come di un uomo di santità eminente, le cui azioni sembravano benedette in modo particolare da Dio; possedeva anche un dono speciale per la riconciliazione dei peccatori. In questo ultimo campo papa Vittore II gli attribuì facoltà speciali, tra cui un mandato ampio per irrogare la pena della scomunica e per reintegrare nella comunione ecclesiale. Il suo biografo narra fatti che rivelerebbero la sua indole già in età giovanile. Durante un pellegrinaggio a Gerusalemme uno strano uccello gettò un grosso pesce su una spiaggia desolata, fornendo opportunamente cibo a Gualtiero e ai suoi compagni. Un’altra volta i suoi compagni prepararono inavvertitamente della carne un venerdì, ma Gualtiero permise loro di mangiarla poiché quel giorno ricorreva la festa di S. Martino (11 nov.), ed egli stesso ne mangiò. Uno dei suoi compagni, rigorista, si scandalizzò stigmatizzando duramente questa concessione, ma subito dopo perse tutte le monete che aveva nella borsa. Gli ultimi sette anni della sua vita furono segnati dalla cecità, ma continuò a esercitare attivamente l'incarico di abate fino alla morte che lo colse l’il maggio 1070 a Lesterps. Il Martirologio lo ricorda per la sua mansuetudine nella vita comunitaria e per la carità verso i poveri. Il suo culto sembra inizialmente circoscritto ai canonici regolari; esso risale al 1090, poco prima che venisse scritta la sua Vita. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Esterp nel terrritorio di Limoges in Francia, san Gualterio, sacerdote, che fu rettore dei canonici e, educato fin da piccolo nel servizio di Dio, rifulse per la mansuetudine verso i fratelli e la carità verso i poveri.

nome Santa Estrella (Stella)- titolo Martire- ricorrenza 11 maggio- morte Gallia, III sec.- La santa è di origine francese, dove è chiamata Estelle o Eustelle e venerata nel Saintouge (regione storica della Francia occidentale a nord della Gironda, oggi compresa nel dipartimento di Charente-Maritime). Eustella era figlia di un funzionario del pretore delle Gallie nel III secolo; fu convertita al cristianesimo da s. Eutropio (30 aprile), vescovo do Saintouge e quando il santo vescovo subì il martirio mediante decapitazione, Eustella ne raccolse il corpo e lo seppellì. Era un compito pietoso che tutti i cristiani praticavano per i loro martiri, anche a rischio di essere arrestati e uccisi. Poi come l’agiografia aurea dei santi martiri, narra per varie fanciulle e giovani martiri dei primi secoli, anche per Eustella fu il padre, rimasto pagano, a farla morire poco dopo, sembra anch’essa decapitata. Sul luogo del martirio scaturì una sorgente d’acqua; la festa si celebra l’11 maggio. In lingua provenzale il suo nome Eustelle significa ‘Stella’, per questo alcuni celebri poeti francesi, quando fondarono nel 1854 il “Félibrige” (Movimento letterario tendente a valorizzare la poesia e la prosa in lingua occitanica), la considerarono loro patrona, adottando come emblema una stella con sette raggi. Il nome ‘Stella’ significa “luminosa come un astro”, oltre che in Francia è molto usato in tutta Italia, specie in Sicilia, dove esiste anche la versione maschile ‘Stellario’.<br /> È diffuso anche nelle varianti femminili Stellina, Maristella, Stella Maria; il suo nome affettivo è in uso dal Medioevo, riflettendo soprattutto la devozione per Maria Santissima, invocata come Maris Stella (Stella del mare). Nel Latino liturgico, vi è un bellissimo canto “Ave maris stella”, dove la Madonna, fonte di guida e di salvezza, è paragonata alla Stella Polare, guida e riferimento per i naviganti.

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