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3 settimane fa

I santi di oggi 14 dicembre:

I santi di oggi 14 dicembre:

nome San Giovanni della Croce- titolo Sacerdote e dottore della Chiesa- nascita 1542, Fontiveros, Spagna- morte 14 dicembre 1591, Ubeda, Spagna- ricorrenza 14 dicembre, 24 novembre messa tridentina- Beatificazione 25 gennaio 1675 da papa Clemente X- Canonizzazione Basilica Vaticana, 27 dicembre 1726 da papa Benedetto XIII- Patrono di Mistici, poeti- Collaboratore di Santa Teresa d'Avila nella fondazione dei Carmelitani Scalzi, Dottore della Chiesa, Giovanni della Croce risulta sempre più un affascinante maestro: le sue parole e il suo messaggio sanno di mistero, del mistero di Dio. Nacque a Fontiveros in Castiglia (Spagna) nel 1542, da una famiglia poverissima. Orfano molto presto del padre; una madre laboriosa e intraprendente per far fronte alla fame. Il piccolo Juan venne subito colpito dalla durezza della vita. Provato nel fisico, ma temprato nello spirito, si diede da fare come infermiere per mantenersi agli studi cui si sentì portato. Emerse ben presto la sua voglia di Dio e di Assoluto. A 20 anni decise di entrare nel noviziato dei Carmelitani. Arrivò al Sacerdozio a 24 anni, ma si scoprì dentro una gran voglia di una vita rigorosamente consacrata nel silenzio e nella contemplazione, una voglia che neppure i brillanti studi teologici nella prestigiosa università di Salamanca riuscirono a sopire. Ci pensò Santa Teresa ad offrirgli una soluzione, invitandolo a partecipare alla Riforma dell'Ordine Carmelitano. Maestro dei novizi, attirò tanti giovani che desideravano condurre una vita come lui. Nello spazio di pochi anni, pieni di fatiche apostoliche sulle strade assolate o ghiacciate di Spagna, accanto a profonde sofferenze, incredibili ed esaltanti esperienze mistiche. La sua perfezione ascetica, la sua vita d'orazione, la sua elevatezza. di spirito e d'ingegno, l'esperienza mistica personale e la conoscenza dell'ampia esperienza mistica del Carmelo Riformato, la vasta dottrina, la profonda interiorità, e soprattutto la viva fiamma d'amore che lo vivificava e lo consumava fecero di lui non solo un grande santo, ma anche un grande maestro. Scrisse poemi e trattati che sprigionavano la sua sapienza mistica, quella che non viene dai libri e dagli studi, ma che si "sa per amore". Morì a Ubeda il 14 dicembre 1591, a soli 49 anni, facendo sue, in un trasporto d'amore, le parole del Cantico dei cantici: "Rompi la tela ormai al dolce incontro!". Le sue spoglie furono traslate nel Convento dei Carmelitani Scalzi a Segovia nel 1593, due anni dopo la sua morte. Il sepolcro è custodito in una cappella all'interno del convento, che è diventato un importante luogo di pellegrinaggio per devoti e studiosi interessati alla vita e alle opere del santo. APPROFONDIMENTO

Il suo linguaggio: poetico e pieno di immagini e simboli, il linguaggio della passione e dell'amore. Con spirito nuovo, da umanista rinascimentale, offre un valido aiuto per il cammino cristiano dell'uomo moderno. Il cammino che propone è necessario e il risultato possibile anche se può sembrare una cosa ardua. Giovanni della Croce invita alla rinuncia, che non è negazione di sé o abdicazione da sé, ma promozione del meglio di sé. L'opera di Giovanni della Croce, se non invita ad un approccio immediato, ridesta tuttavia sempre almeno curiosità e fascino. Sono molte le persone comunque che l'hanno preso sul serio, come Teresa di Gesù Bambino, Elisabetta della Trinità, Edith Stein..., e tanti altri, ci assicurano che l'itinerario proposto da Giovanni della Croce è accessibile. La sua spiritualità non sradica e non impone un programma fisso di vita. Pur rimanendo nei nostri quotidiani impegni, ci chiede di vivere nell'attenzione amorosa, un orientamento a Dio totale e rigorosamente esclusivo. Il suo magistero orale e scritto, illumina tutto il percorso cui l'anima è chiamata per il raggiungimento del "Monte", dei vertici della spiritualità ove si compie il mistero amoroso dell'unione con Dio. La Chiesa ha riconosciuto il valore universale della dottrina ascetica e mistica di S. Giovanni della Croce procamandolo Dottore Mistico della Chiesa Universale. Quel che è certo è che tutti i pensieri, tutti i detti di S. Giovanni della Croce sono proprio articoli che regolano il modo di camminare sulle orme di Cristo. Un codice della strada, sì, della vera strada: l'imitazione di Cristo, di Colui che è Egli stesso via. Ed è altrettanto certo che il passaggio obbligato è quello della Croce. MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di san Giovanni della Croce, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani e dottore della Chiesa, che, su invito di santa Teresa di Gesù, fu il primo tra i frati ad aggregarsi alla riforma dell’Ordine, da lui sostenuta tra innumerevoli fatiche, opere e aspre tribolazioni. Come attestano i suoi scritti, ascese attraverso la notte oscura dell’anima alla montagna di Dio, cercando una vita di interiore nascondimento in Cristo e lasciandosi ardere dalla fiamma dell’amore di Dio. A Ubeda in Spagna riposò, infine, nel Signore.

nome Sant'Agnello di Napoli- titolo Abate- nascita 535, Napoli- morte 14 dicembre 596, Napoli- ricorrenza 14 dicembre- Santuario principale Eremo di Sant'Aniello, Guarcino- Attributi bandiera nella mano destra (vessillo della Croce), bastone pastorale- Patrono di Guarcino, Rodio, Pisciotta, Sant'Agnello, Roccarainola- Sant'Aniello nacque a Napoli da nobili genitori di origine siracusana nel 535. La tradizione narra che la madre Giovanna, essendo sterile, pregava costantemente la Vergine affinché le fosse concesso un bambino. Ottenuta la grazia la pia genitrice volle offrirlo alla Madonna e, portato il neonato, che aveva solo 20 giorni, di fronte all'immagine della Vergine, tra lo stupore dei genitori, esclamò: "Ave Maria!". A ricordare tale prodigio sul luogo venne eretta una chiesa: "Santa Maria, intercede pro miseris!". Di Sant'Agnello si narra che sin dalla tenera infanzia, non desiderava nulla di terreno, nulla di carnale e che piangeva colpe non sue e scelleraggini della patria menando vita eremitica. Alla morte dei genitori impiegò i suoi averi nella costruzione di un ospedale che da lui prese il nome. Il Signore premiò questo suo amore per il prossimo operando per mezzo di lui numerosissimi miracoli come la sua apparizione a difesa di Napoli nel 581 durante l'assedio dei Longobardi. Ecco perché lo si dipinge con la bandiera nella mano destra ossia con il vessillo della Croce. La fama della sua santità crebbe a dismisura tanto da costringerlo ad andare a vivere per sette anni in un luogo sconosciuto. Solo l'apparizione della Vergine lo ridestò da farlo ritornare a Napoli. In questo attaccamento alla sua persona sant'Agnello vide una minaccia alla sua santità e l'ancora di salvezza gli venne offerta da un monastero dove trascorse il resto della sua vita. Alla morte dell'Abate del monastero Sant'Agnello per voto unanime dei monaci venne chiamato a sostituirlo. Morì all'età di 61 anni e precisamente il 14 dicembre del 596 ed i funerali furono un'autentica apoteosi. MARTIROLOGIO ROMANO. A Napoli, sant'Agnello, abate del monastero di San Gaudioso.

nome San Venanzio Fortunato- titolo Vescovo- nome di battesimo Venanzio Onorio Clemenziano Fortunato- nascita 530 circa, Valdobbiadene, Treviso- morte 607 circa, Poitiers, Francia- ricorrenza 14 dicembre- Venanzio Onorio Clemenziano Fortunato nato vicino a Treviso, a nord di Venezia, è conosciuto soprattutto come letterato, oltre che come santo. Tutto ciò che si sa della sua giovinezza è che studiò logica, retorica e diritto a Ravenna. All'età di vent'anni circa, rischiò la cecità, una malattia particolarmente grave per uno studioso, ma guarì dopo essersi strofinato gli occhi con l'olio di una lampada che ardeva davanti a una statua di S. Martino di Tours (11 nov.) in una chiesa di Ravenna. La santa patrona popolare protettrice contro le malattie degli occhi era S. Lucia (13 dic.), mentre S. Martino era tradizionalmente considerato come il santo patrono dei soldati; è provato, tuttavia, che S. Martino guarì un occhio malato di S. Paolino di Nola (22 giu.), e questo può essere il motivo della devozione di Fortunato per questo santo. Dopo aver recuperato la vista, Venanzio decise di compiere un pellegrinaggio al sepolcro di S. Martino a Tours., per ringraziarlo. Intraprese il viaggio proprio prima dell'invasione longobarda dell'Italia, che devastò la parte settentrionale della penisola; deve essere partita molta altra gente finché era possibile ma pochi probabilmente fecero un viaggio piacevole come Fortunato. Il suo pellegrinaggio si trasformò in una sorta di gran tour. Sembra che sia stato ben accolto dalle famiglie più importanti, che abbia frequentato vescovi e abati, oltre a gentiluomini distinti; gli piaceva vivere bene e dimostrava di avere l'istinto dell'uomo di corte, poiché ripagava l'ospitalità scrivendo poesie elaborate in onore delle virtù di chi lo ospitava. Partecipò al matrimonio del re Sigeberto e della moglie Brunilde alla corte di Metz, e compose un elaborato epitalamio per le loro nozze. Le sue doti lo resero popolare a corte e presso i nobili, che lo ospitavano a turno. Raggiunse Tours dove erano in corso piccole guerre che rendevano la vita pericolosa, tuttavia non riuscì a stabilirsi nella società rozza e spesso brutale dei franchi. Essendo uno degli ultimi romani eruditi, non si trovava a suo agio in nessuno dei due ambienti.<br /> Trovò una sistemazione a Poitiers, dove la regina Radegonda (13 ago.) si era rifugiata per difendersi dal marito, Clotario I, brutale e assetato di sangue, che le aveva ucciso il fratello. All'abbazia della S. Croce, Fortunato trovò una congregazione di monache che vivevano in pace e che apprezzarono la sua erudizione, diventando sue amiche. Radegonda e la figlia adottiva Agnese lo spinsero all'ordinazione sacerdotale, ed egli divenne loro cappellano, consigliere, uomo d'affari e segretario. Radegonda conduceva una vita privata molto austera, ma non imponeva alle persone che aveva intorno lo stesso stile di vita. La maggior parte delle monache proveniva dalle grandi famiglie aristocratiche galloromane, e la vita era particolarmente lussuosa, nel convento, dotato di terme romane, giardini e cuochi eccellenti. Le monache osservavano la Regola dei SS. Cesario e Cesaria di Arles (27 ago. e 12 gen.), ma l'osservanza era in, un certo senso, trascurata. L'osservanza della regola non riuscì a impedire alle suore di vezzeggiare il loro cappellano: gli mandavano piatti di carne con ricche salse, burro, frutta e vino, inoltre quando egli visitò il monastero apparecchiarono con piatti d'argento e di cristallo adornando la tavola con vasi di rose. Fortunato perciò era trattato come un re e diventò devoto a Radegonda e Agnese: inviava loro mazzi di gigli e scriveva lettere e poesie per loro, chiamandole "mamma" e "sorella". Alcuni commentatori successivi, considerando queste relazioni, hanno trovato che erano del tutto innocenti. In una società spesso rozza e crudele, la presenza di un poeta romano educato e istruito, che avrebbe potuto comporre versi raffinati e che sapeva come far piacere a qualcuno, deve essere stato un arricchimento per la vita della congregazione. Fortunato conosceva tutti i grandi ecclesiastici e gli alti ufficiali, e poteva consigliare Radegonda e la badessa del monastero su questioni di politica ecclesiastica. Talvolta il monastero si trovò in pericolo, a causa di re guerrieri o vescovi ostili, ma egli aiutò la congregazione a mantenere il suo stile di vita, continuando perciò a essere molto popolare e a essere invitato in qualsiasi occasione pubblica necessitasse di essere commemorata con una delle sue poesie. La relazione tra Fortunato e il suo vescovo Gregorio di Tours (17 nov.) è stata oggetto di una certa discussione; giacché il primo scriveva spesso al secondo con deferenza, gli unici riferimenti a Fortunato che restano nelle lettere di Gregorio sono particolarmente precisi: «il sacerdote Fortunato» o «il sacerdote italiano». Fortunato, in ogni caso, fece frequenti visite a Gregorio, che lo spinse a dedicarsi alla composizione letteraria, suggerendogli alcuni temi e raccomandando i suoi componimenti ad altri vescovi. Quando Fortunato giunse all'età di sessantanove anni, fu eletto vescovo di Poitiers, all'unanimità. Si dedicò a quest'incarico con molto zelo ed entusiasmo, ma i doveri episcopali furono troppo pesanti per lui ed egli morì l'anno della sua consacrazione.<br /> Fortunato è stato descritto da qualche commentatore come un adulatore, e Samuel Dill lo ha definito un parassita. Sicuramente chiuse un occhio sui vizi di coloro che lodava in termini così splendenti: l'immoralità, la crudeltà e la perdita di valori dei figli di Clodoveo e della loro corte furono semplicemente ignorate; il panegirico, in ogni caso, era la forma poetica letteraria ufficiale del tempo. L'idea che là valutazione del carattere dovesse essere critica, mettendo cioè in luce i difetti e le virtù, è relativamente moderna (e molto più affermata oggi, di quanto sarebbe stata nella Gallia del vi secolo). I giudizi più mordaci su Fortunato non spiegano perché Gregorio abbia raccomandato le sue opere, né la ragione per cui la regina Radegonda, donna di rango elevato e con una grande sensibilità, non solo l'abbia nominato cappellano personale, ma si sia affidata al suo consiglio per circa vent'anni (evidentemente lo stimava molto); non chiariscono neanche il motivo della sua elezione come vescovo di Poitiers, né perché, dopo aver condotto per diversi anni una vita molto agiata e aver tributato lodi ai ricchi e ai potenti, abbia scritto poesie di notevole qualità su temi cristiani. Nel 569, l'imperatore Giustiniano II mandò una reliquia della Croce al monastero. Secondo il pensiero cattolico medievale la croce era strumento della salvezza: il peccato era entrato nel mondo con la caduta di Adamo nel giardino dell'Eden, e miracolosamente la croce di Cristo, fatta con lo stesso legno dell'albero proibito, aveva reso possibile la redenzione. Pietro Abelardo e Giovani della Croce (14 dic.; supra) successivamente svilupparono lo stesso tema. Fortunato scelse questo concetto come tema del primo dei suoi grandi componimenti, Vexilla regis prodeunt, scritto in occasione della donazione e sepoltura della reliquia. La poesia, definita da Helen Waddell come «il più grande inno processionale del Medio Evo,» divenne uno dei grandi inni della liturgia, cantato nei secoli in occasione del Venerdì Santo. Lo stesso tema è affrontato nell'inno Pange lingua gloriosi scritto per la Pasqua; inoltre compose il Salve festa dies per la Pasqua. Se le monache della S. Croce appresero i particolari sul mondo esterno da lui, egli imparò da loro una spiritualità profonda e genuina. Le sue opere sono abbondanti: compose altri inni per importanti eventi ecclesiastici, molti basati sui ritmi dei canti dei legionari romani in marcia. Scrisse anche alcune Vite dei santi: in prosa, quelle di S. Ilario (13 gen.), S. Radegonda (13 ago.) e S. Paterno di Avranches (16 apr.), e in versi, quelle di S. Martino (11 nov.) e S. Medardo (8 giu.). Nella sua opera In laudcm Marine, presenta la Vergine come la regina dei cieli, mentre è omaggiata. Fortunato era molto stimato; trovò il suo mestiere e trasformò un talento apparentemente banale in strumento per affrontare grandi temi. Ben preparato nella tradizione latina classica, la rinnovò con la devozione e la pietà che caratterizzarono poi le migliori opere letterarie del mondo cristiano medievale. Nelle generazioni successive la sua fama di hon viveur può aver diminuito il riconoscimento dato ai suoi inni eccellenti, che sono ora considerati tra i più raffinati esempi di poesia cristiana.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Poitiers in Aquitania, ora in Francia, san Venanzio Fortunato, vescovo, che narrò le gesta di molti santi e celebrò in eleganti inni la santa Croce.

nome San Nimatullah Youssef Kassab Al-Hardini- titolo Religioso maronita- nome di battesimo Nimatullah Youssef Kassab Al-Hardini- nascita 1808, Beit Kassab, Libano- morte 1858, Kfifane, Libano- ricorrenza 14 dicembre- Beatificazione 10 maggio 1998 da papa Giovanni Paolo II- Canonizzazione Basilica di San Pietro, 16 maggio 2004 da papa Giovanni Paolo II- Attributi Cappuccio nero e barba nera- Nimatullah nacque a Beit Kassab nel Libano il 1808. Accanto a S. Charbel e a S. Rafqà, il beato Al-Hardini è tra le figure monastiche più rappresentative e venerate dalla Chiesa maronita libanese. Youssef Kassab costituisce un esempio illuminato di vita cristiana santificata nella preghiera e nella pratica ascetica, fino a raggiungere le alte vette della mistica. Originario della regione di Hardin, il giovane Youssef fu educato in una famiglia libanese profondamente religiosa, legata alla forte tradizione maronita: su di lui influì la testimonianza del fratello Elias, che si dedicò alla vita eremitica. Compiuti gli studi elementari nella scuola monastica di S. Antonio di Houb, maturò ben presto la vocazione religiosa: nel 1828 entrò nel monastero maronita di S. Antonio in Qozhayya, come novizio, assumendo il nome di Nimatullah (che significa "dono di Dio"). Completati gli studi filosofici e teologici, nel 1833 fu ordinato sacerdote nel monastero dei santi Cornelio e Cipriano di Kfifane, dove trascorse il resto della stia vita nel rigore della disciplina ascetica e interamente dedito alla preghiera. Uomo di grande cultura e di straordinarie qualità, fu nominato per ben tre volte assistente generale dell'ordine Maronita, carica che ricoprì per obbedienza, rifiutando di assumere la carica di abate generale, ritenendosene indegno. Fu anche grande studioso e stimato professore di teologia, annoverando tra i suoi discepoli anche S. Charbel Makhlouf. Ammalatosi gravemente di polmonite, morì invocando il nome della Madre di Dio, cui era particolarmente devoto, avvolto da una radiosa luce che lo illuminava, mentre il suo corpo emanava un soave profumo. Alla sua intercessione sono attribuiti numerosi miracoli che hanno contribuito ad accrescerne la fama di santità, già molto viva ancora in vita. È stato beatificato da Giovanni Paolo II il 10 maggio 1998; dallo stesso pontefice è stato canonizzato il 16 maggio 2004.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. In località Klifane nel territorio libanese, san Nimatullah al-Hardini (Giuseppe) Kassab, sacerdote dell’Ordine Libanese Maronita, che, uomo insigne per spirito di preghiera e penitenza, attese all’insegnamento della teologia, all’educazione dei giovani e all’impegno pastorale.

nome Beata Francesca Schervier- titolo Fondatrice- nome di battesimo Francesca Schervier- nascita 3 gennaio 1819, Aachen, Germania- morte 14 dicembre 1876, Aachen, Germania- ricorrenza 14 dicembre- Beatificazione 28 aprile 1974 da papa Paolo VI- Francesca nacque ad Aachen in un periodo in cui la Ruhr stava rapidamente trasformandosi nel centro industriale primario della Germania occidentale; il padre, Johann Schervier, era un importante uomo d'affari. Nel settembre 1818, l'imperatore austriaco partecipò a un congresso industriale in città, e, dopo una visita alla fabbrica degli Schervier, accettò di buon grado di diventare padrino della figlia che la signora Schervier stava aspettando, Francesca nacque il gennaio successivo e l'imperatore la accompagnò al battesimo. Nel 1832, all'età di soli tredici anni, la madre morì, e l'anno seguente le sue due sorelle maggiori seguirono la stessa sorte. Francesca si trovò ad avere la responsabilità di mantenere la famiglia per suo padre e i fratelli e le sorelle minori. Il padre era una sorta d'ufficiale, con un incarico che deve essere stato gravoso. L'interesse di Francesca per la gente meno fortunata di lei era già forte: anche quando era piccola, elargiva generose donazioni a coloro che ne avevano bisogno; uno dei suoi servi l'avvisò: «Un giorno, la bambina darà via tutta la casa». Il suo padrino, l'imperatore, le aveva mandato regali costosi, che lei donò ai poveri. L'industrializzazione causò povertà e miseria, e le organizzazioni cattoliche cominciarono a intraprendere molti tipi di attività sociali per soddisfare le necessità dei bisognosi. A ventuno anni, Francesca si unì alla comunità di donne della parrocchia di S. Paolo, che si dedicava all'assistenza dci poveri e degli ammalati, oltre che dei bambini abbandonati. Una volta a quanto pare si vestì da uomo ed entrò in un postribolo per recuperare una ragazza. Nel 1844, diventò terziaria francescana e l'anno seguente, alla morte del padre, cominciò a condurre una vita monastica con altre quattro ragazze. Il numero salì a ventitré, che ricevettero la tonaca con l'approvazione dell'arcivescovo di Colonia nel 1851, e il nome di Suore dei Poveri di S. Francesco. La congregazione aveva un carattere insolito, giacché consisteva di due "famiglie", una dedita alla vita contemplativa e una a quella pratica, ma che si sostenevano a vicenda. Nel 1858 Francesca mandò alcune suore a Cincinnati, per assistere gli immigrati tedeschi, poi visitò gli Stati Uniti, durante la guerra di secessione, unendosi alle consorelle nell'assistere i soldati feriti e le numerose persone che avevano perso la casa. Durante la guerra franco-prussiana, le suore rimasero lungo il confine per aiutare i feriti e occuparsi di ventotto ambulanze militari. Madre Francesca era con loro, e lavorò tra i corpi mutilati e tra uomini le cui vite erano andate distrutte. Nel 1871 l'imperatrice d'Austria le conferì la croce al merito per il lavoro svolto, ma lei la rifiutò, dicendo che non voleva nessuna ricompensa: «L'amore offerto dalle suore ai soldati malati e feriti non è un merito personale come quello conferito dalla congregazione cui sono orgogliose di appartenere». Francesca Schervier è stata beatificata da papa Paolo VI il 28 aprile 1974.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Aachen in Germania, beata Francesca Schervier, vergine, che per lungo tempo si adoperò premurosamente in città per i poveri, i malati e gli afflitti e fondò la Congregazione delle Suore Povere di San Francesco per sovvenire alle necessità dei bisognosi.

nome Santa Droside di Antiochia- titolo Martire- morte Antiochia di Siria- ricorrenza 14 dicembre- Secondo questa alcuni fonti, Droside, detta anche Anisia, era figlia dell'Imperatore Traiano e si unì a cinque pie donne antiochene che uscivano di notte per trovare i corpi dei martiri cristiani e portarli segretamente nelle loro case. Denunciati e detenuti, morirono tutti martiri, gettati in un calderone di acqua bollente. La favolosità di questa leggenda non deve mettere in dubbio l'esistenza di una vera martire di nome Droside: il suo culto, infatti, era celebrato ad Antiochia già alla fine del IV secolo, poiché si è conservata un'omelia di san Giovanni Crisostomo, che consegnò alla festa del santo. In questa omelia, però, non si fa menzione della linea imperiale di Droside, o delle sue compagne, e nemmeno della data del martirio. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Antiochia in Siria, santa Dróside, martire, che san Giovanni Crisostomo afferma sia stata arsa sul rogo.

nome Beato Bonaventura da Pistoia- titolo Servo di Maria- nome di battesimo Bonaventura Bonaccorsi- nascita Pistoia- morte 1315 circa, Orvieto, Terni- ricorrenza 14 dicembre- Beatificazione 23 aprile 1822 (conferma del culto)- Nel 1276, S. Filippo Benizi (22 ago.) giunse a Pistoia, tra Pisa e Firenze, per presiedere a un capitolo generale dell'Ordine dei serviti, cogliendo l'opportunità di predicare al popolo locale, straziato da lotte intestine. Tra il suo pubblico vi era Bonaventura, aveva circa trentasei anni e apparteneva alla nobile famiglia Bonaccorsi, e che era a capo dei ghibellini, la fazione politica che generalmente appoggiava l'imperatore contro il papa, per cui era diventato famoso. Bonaventura fu così commosso dalle esortazioni alla pace e alla concordia di S. Filippo, che si recò da lui, si confessò accusandosi di aver provocato disordini e causato molta miseria e ingiustizia. Era così pentito che chiese di entrare a far parte dell'Ordine dei serviti. Filippo naturalmente dubitava di un cambiamento così improvviso e completo, e mise alla prova l'aspirante imponendogli una penitenza pubblica: avrebbe dovuto rimediare pubblicamente alle sue malefatte e chiedere personalmente perdono a tutti quelli che aveva oltraggiato o contrastato. Bonaventura lo fece in modo tanto diretto e così volentieri che Filippo lo fece trasferire al seminario di Monte Senario, quartier generale dell'ordine; perseverando nel suo nuovo stile di vita, e dopo aver pronunciato i voti, raggiunse Filippo in veste di socius e fu ammesso al sacerdozio. Negli anni successivi restò continuamente con Filippo, che era priore generale, e lo aiutò, insieme al nunzio apostolico, il cardinale Latino, nel tentativo di portare la pace alle tormentate città dell'Umbria e della Toscana. La figura di questo ghibellino riformato, che vestiva gli abiti del mendicante e predicava l'amore fraterno, fece una grande impressione. Nel 1288, Bonaventura fu eletto priore di Orvieto, ma alla morte di S. Filippo fu chiamato ad aiutare il successore, poi fu nominato predicatore apostolico, con l'incarico di svolgere missioni in Italia, cosa che fece con grandi risultati. Nel 1303 fu eletto priore di Montepulciano, dove assistette S. Agnese (20 apr.) nella fondazione della congregazione delle monache domenicane, di cui diventò guida spirituale; in seguito fu trasferito nella sua città natale, Pistoia, dove era scoppiata una nuova guerra civile, e che era minacciata dai fiorentini, Bonaventura fu instancabile nel predicare la pace e l'unità civica.<br /> Morì a Orvieto e fu sepolto nella cappella della Madonna dei Dolori nella chiesa servita, a testimonianza del rispetto che godeva da parte dei confratelli. Il culto fu confermato nel 1822. MARTIROLOGIO ROMANO. A Orvieto in Umbria, beato Bonaventura da Pistoia, sacerdote dell’Ordine dei Servi di Maria, che, mosso dalla predicazione di san Filippo Benizi, lo aiutò a ricomporre la pace tra le fazioni in molte città d’Italia.

nome Beato Protasio (Antonio) Cubells Minguell- titolo Religioso e martire- nascita 27 dicembre 1880, Coll de Nargó, Spagna- morte 14 dicembre 1936, Barcellona, Spagna- ricorrenza 14 dicembre- Antonio nacque a Coll de Nargó nella Catalogna, emise la professione di Fratello Ospedaliero nel 1899 e prese il nome di Protasio. Prestò servizio in molte comunità come Ciempozuelos, Pinto, Santa Águeda, Carabanchel Alto, Barcellona, ​​Granada, San Baudilio de Llobregat, Madrid, Calafell, Valencia, Gibilterra e Jerez de la Frontera. Fu vicario priore a Calafell (1929-1931) e a San Baudilio (1931-1933) e al momento del martirio faceva parte del Consiglio provinciale come consigliere e segretario e apparteneva alla Comunità dell'Ospedale Asilo-Infantile di Barcellona. Suo padre era un musicista così che Protasio acquisì una vasta cultura musicale; si distinse non solo come interprete sensibile, ma come compositore straordinario e vario. Si dedicò all'istruzione dei bambini ammalati e cercò di trovare un posto per i ragazzi una volta guariti; con loro formò cori che eseguirono brani classici e altri composti da lui stesso. Capitò accidentalmente nel sanatorio di Manresa quando iniziò la guerra civile.<br /> All'inizio della persecuzione dava lezioni di musica a Barcellona per potersi pagare l'alloggio in una pensione. Nei primi mesi di guerra andava ancora a passeggiare in città, ma poi cominciò ad avere il terrore dei gruppi anarchici e non lasciò più la Pensione. ebbe la possibilità di fuggire ma non volle perché “non sempre una persona ha la possibilità di morire martire; lascia che accada ciò che Dio vuole ”. Il 14 dicembre, mentre insegnava musica ai bambini in una casa privata, i miliziani arrivarono, lo portarono via e lo assassinarono alla periferia della città. È stato beatificato il 25 ottobre 1992 da Papa Giovanni Paolo II. MARTIROLOGIO ROMANO. A Barcellona in Spagna, beato Protasio (Antonio) Cubells Minguell, religioso dell’Ordine di San Giovanni di Dio e martire, che, durante la persecuzione contro la Chiesa, fu ucciso in odio alla religione.

nome San Nicasio di Reims- titolo Vescovo e Martire - nascita IV secolo, Reims, Francia- morte 407 circa, Reims, Francia- ricorrenza 14 dicembre- <br /> Incarichi ricoperti Vescovo di Reims- Attributi bastone pastorale, palma del martirio- Patrono di Reims- Un'orda di barbari, probabilmente unni, raggiunse e razziò parte della Gallia, mise sotto assedio la città di Reims, verso la metà del V secolo. Il vescovo Nicasio aveva avvertito il popolo della grave calamità che stava per sopraggiungere e li spinse a prepararsi osservando delle penitenze. Quando vide il nemico alle porte e preoccupandosi solo dei suoi figli spirituali, si recò porta a porta per incoraggiarli a essere pazienti e costanti. Quando il popolo chiese se avrebbe dovuto arrendersi o combattere fino alla fine, egli, sapendo che la città sarebbe stata conquistata, replicò: «Aspettiamo la misericordia di Dio e preghiamo per i nostri nemici. Sono pronto a offrirmi in sacrificio per il mio popolo». In piedi davanti alla porta della sua chiesa, tentò di salvare la vita di chi lo circondava e anche lui fu ucciso. Si racconta che mentre cantava gli venne mozzata la testa ma nonostante questo egli seguitò a salmodiare ancora per un pò. I barbari, visto questo, fuggirono dal terrore. I suoi collaboratori, un diacono, un lettore e la sorella Eutropia subirono il martirio con lui. MARTIROLOGIO ROMANO. A Reims nella Gallia belgica, nell’odierna Francia, passione di san Nicasio, vescovo, che insieme alla sorella Eutropia, vergine consacrata a Cristo, al diacono Fiorenzo e a Giocondo fu ucciso durante una incursione di alcuni pagani davanti alla porta della basilica da lui stesso fondata.

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