@Vitupero
I santi di oggi 7 settembre:
nome Santa Regina di Alise- titolo Vergine e martire- nascita III Secolo, Autun, Francia- morte III Secolo, Alesia, Francia- ricorrenza 7 settembre- Attributi raffigurata mentre sperimenta i tormenti del martirio, o mentre riceve consolazione spirituale in prigione mediante la visione di una colomba su una croce luminosa- Patrona contro la povertà, l'impoverimento, le pastorelle, le vittime della tortura- Figlia di un cittadino pagano della Borgogna, la cui moglie morì dando alla luce questo splendido fiore, fu affidata ad una balia cristiana la quale, dopo averla battezzata, fece crescere Regina nella fede e nell'amore. Figlia di nobile pagano ben presto si avvicinò alla fede cristiana e contrariamente a quanto avrebbe voluto il padre dedicò la sua vita alla castità e alla preghiera divenendo così un'umile pastorella andando a vivere come eremita. La sua bellezza attirò l'attenzione del prefetto Olibrio, il quale, sapendo che era di stirpe nobile, voleva sposarla a tutti i costi, ma lei rifiutò e disubbedì al volere di suo padre, che cercava di convincerla a sposare un uomo ricco. Così il padre non stentò a rinchiuderla in una prigione, e subire le più tremende torture. Una notte le apparve una croce e una voce gli avrebbe rassicurato il suo rilascio imminente. All'età di 15 Regina fu decapitata, al momento dell'esecuzione una colomba bianca apparve nel cielo e causò la conversione di molti dei presenti.
MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Alise in Francia, santa Regina, martire.
nome Beato Guido da Arezzo- titolo Monaco- nascita 991 circa- morte 1050 circa- ricorrenza 7 settembre- Santuario principale Abbazia di Pomposa- Guido nacque intorno al 991 in luogo incerto. Tra il 1026 e il 1032, Papa Giovanni XIX lo invitò a Roma affinché gli spiegasse la sua opera. Fu monaco benedettino e curò l'insegnamento della musica nell'Abbazia di Pomposa, sulla costa Adriatica vicino a Ferrara, dove notò la difficoltà che i monaci avevano ad apprendere e ricordare i canti della tradizione Gregoriana. Per risolvere questo problema, ideò e adottò un metodo d'insegnamento completamente nuovo, che lo rese presto famoso in tutta l'Italia settentrionale. L'ostilità e l'invidia degli altri monaci dell'abbazia gli suggerirono di trasferirsi ad Arezzo, città che, benché priva di un'abbazia, aveva una fiorente scuola di canto. Qui giunto, si pose sotto la protezione del vescovo Tedaldo, a cui dedicò il suo famoso trattato: il Micrologus. Dal 1025, Guido fu insegnante di musica e canto nella Cattedrale, dove ebbe modo di proseguire gli studi intrapresi a Pomposa arrivando a codificare la moderna notazione musicale, che avrebbe rivoluzionato il modo di insegnare, comporre e tramandare la musica. Per aiutare i cantori, Guido aveva usato le sillabe iniziali dei versi dell'inno a San Giovanni Battista di Paolo Diacono per denotare gli intervalli dell'esacordo musicale: (LA) « Ut queant laxis Resonare fibris Mira gestorum Famuli tuorum Solve polluti Labii reatum Sancte Iohannes ». (IT)« Affinché possano con libere voci cantare le meraviglie delle azioni tue i (tuoi) servi, cancella del contaminato labbro il peccato, o san Giovanni »(Inno a San Giovanni) da cui derivarono i nomi delle note Ut-Re-Mi-Fa-Sol-La. In questo modo Guido pose le basi del sistema teorico detto solmisazione (la prima forma di solfeggio). Il sistema guidoniano non era usato per indicare l'altezza assoluta dei suoni, che erano denotati con il sistema alfabetico già esistente, ma per collocare correttamente la posizione del semitono (mi-fa) nella melodia. Il nome "Ut", quindi, non era assegnato solo alla nota che oggi chiamiamo "do" (l'Ut più grave della scala in uso fino al Rinascimento, anzi, era un sol). Solo nel corso del Seicento i nomi del sistema guidoniano furono associati definitivamente alle altezze assolute, dopo che alla fine del XVI secolo era stato aggiunto un nome per il settimo grado della scala ("Si", dalle iniziali di "Sancte Iohannes"). Il teorico della musica italiano Giovanni Battista Doni propose inoltre, per ragioni eufoniche, di sostituire il nome "Ut" con "Do", derivato dalla parola 'Dominus' cioè 'Signore' in riferimento a Dio (ma molto probabilmente scelse il nome "Do" come chiara allusione al suo cognome). A partire da quell'epoca, i nomi dati da Guido hanno sostituito nei paesi latini la notazione alfabetica (ancora in uso in area tedesca e anglosassone); in francese si usa tuttora "Ut" in luogo del "Do". Guido codificò inoltre il modo di scrivere le note (notazione) definendo le posizioni di esse sulle righe e negli spazi del rigo musicale e proponendo un sistema unificato per la loro scrittura (utilizzando, per la parte terminale della nota, un quadrato, che sarebbe poi diventato un rombo ed infine un ovale). Il rigo usato da Guido aveva quattro righe (a differenza del moderno pentagramma, introdotto invece da Ugolino Urbevetano da Forlì, che ne ha cinque) ed era perciò detto tetragramma. A Guido si deve inoltre l'invenzione di un sistema mnemonico, detto mano guidoniana, per aiutare l'esatta intonazione dei gradi della scala o esacordo. Oltre che nel già citato Micrologus, egli espose tali innovazioni in numerose lettere e trattati: tra queste, degne di menzione sono la Epistola "ad Michaelem de ignoto cantu", il "Prologus in Antiphonarium" e le "Regulae rithmicae". Non è chiaro quali delle innovazioni attribuite a Guido fossero concepite a Pomposa e quali ad Arezzo, perché l'antifonario che egli scrisse a Pomposa è andato perduto. La notorietà che la diffusione del Micrologus gli diede in tutta Italia fece sì che fosse invitato a Roma da Papa Giovanni XIX. Pare che Guido vi si recasse nel 1028, soggiornando al Laterano ed illustrando alla Curia Papale le novità che aveva introdotto; ritornò però presto ad Arezzo a causa della sua salute cagionevole. Dopo questa data si hanno meno notizie certe di Guido, tra cui quella del completamento del suo antifonario attorno al 1030, che però è andato perduto. Inoltre, le cronache dell'ordine camaldolese ed alcuni documenti presso l'Archivio Segreto Vaticano, lo indicano come priore presso il monastero di Fonte Avellana tra il 1035 e il 1040, anni in cui Pier Damiani indossava l'abito monastico e di cui Guido divenne amico. In questo celebre monastero, Guido portò a compimento il suo Codice Musicale, poi denominato NN o Codice di Fonte Avellana, ancora oggi conservato nella vastissima biblioteca dell'importante monastero appenninico. Successivamente, dal 1040 al 1050, anno in cui sopraggiunse la sua morte, Guido fu priore del monastero di Pomposa, nel quale aveva maturato la sua vocazione monastica ed aveva vissuto i primi anni come monaco. Dal 1040 al 1042, Guido volle con lui a Pomposa l'amico Pier Damiani, affidandogli la mansione di maestro dei monaci e dei novizi. Alcune cronache lo danno per beatificato subito dopo la morte, ma non esistono certezze in merito.
nome San Grato di Aosta- titolo Vescovo- nascita V secolo, Aosta- morte 7 settembre 470, Aosta- ricorrenza 7 settembre- Attributi insegne episcopali, regge il capo reciso di San Giovanni Battista, grandine- Patrono di Aosta, Valgrisenche, Valle d'Aosta, Conflans, Morlon, Montbovon, Piscina, Saluggia, Rossana- San Grato fu uno dei primi evangelizzatori della Valle d’Aosta nel V secolo. Eustasio protovescovo di Aosta, compagno di sant’Eusebio di Vercelli inviò il prete Grato al Concilio di Milano convocato nel 451 per contribuire alla soluzione del problema delle due nature di Cristo, l’umana e la divina. Grato appose la propria firma su una lettera inviata a nome del vescovo aostano al papa Leone Magno a conclusione di quell’assise. Morto Eustasio, sulla cattedra episcopale gli succedette Grato. In questa veste prese parte alla traslazione del corpo del martire tebeo sant’Innocenzo. Non si conosce la data della morte di Grato, mentre è nota quella della sua deposizione, il 7 settembre, inserita come tradizionale nei libri liturgici e nel martirologio dove cita: alla sua lapide funeraria si attribuivano virtù straordinarie, e si diceva, per esempio, che il suo contatto risanasse la repellente e contagiosa malattia della lebbra. Perciò la pietra venne portata nel locale lebbrosario, dove poteva esprimere al meglio le sue proprietà taumaturgiche; chiuso il lazzaretto, fu collocata nella chiesa di St.Cristophe come reliquia a sé, distinta dalle spoglie del vescovo che erano invece state sistemate in Cattedrale. Sul conto di san Grato fiorì un’importante leggenda, ormai dimostrata essere del tutto anacronistica, che va sotto il nome di Magna legenda Sancti Grati ed è attribuita al canonico Jacques des Cours, vissuto nel secolo XIII. In questo racconto Grato viene detto contemporaneo di Carlo Magno, che visse invece tre secoli dopo il vescovo di Aosta; secondo i moderni studiosi, la Legenda, “costruita” a uso del popolo, ebbe la funzione di ancor più valorizzare la figura del santo agli occhi dei devoti, «poiché la santità non s’impone alle folle, se non si ammanta di meraviglioso». A questa tradizione risale la vicenda del ritrovamento della testa di san Giovanni Battista, reliquia spesso associata a san Grato nell’iconografia popolare. Decapitato per un capriccio della bella Salomè, la testa del Precursore per ordine del re Erode Antipa fu sepolta in un pozzo separatamente dal corpo, per timore che miracolosamente potesse ricongiungervisi e Giovanni potesse risuscitare. Grato ebbe una visione dal Signore, in cui gli veniva indicata la località segreta della sepoltura. Partito da Aosta in compagnia del compagno Giocondo, a Roma ricevette la benedizione del papa e quindi si imbarcò per la Terrasanta. Durante la traversata si scatenò una gran tempesta, che gettò il terrore tra i marinai, ma Grato, levate le braccia al cielo, fece ritornare la calma all’istante. Giunto a Macheronte, presso le rovine del castello di Erode, un angelo lo guidò, prendendolo per mano e conducendolo al pozzo nel quale ormai da secoli si trovava il capo del Battista. Subito la reliquia salì in superficie e si posò nelle palme protese di Grato. La fama del santo e la diffusione del suo culto nell’Italia nordoccidentale è legata alla sua protezione su tutti i frutti della terra. «Egli fu il taumaturgo pietoso cui ricorrere in ogni circostanza: quando l’incendio si propagava al fienile, la grandine minacciava il raccolto, la pioggia e il disgelo facevano straripare laghi e torrenti, la siccità bruciava le zolle, la “peste” colpiva gli animali della stalla, e talpe, cavallette, bruchi devastavano i campi». MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Aosta, san Grato, vescovo.
nome Beata Eugenia Picco- titolo Vergine- nome di battesimo Eugenia Picco- nascita 8 novembre 1867, Crescenzago, Milano- morte 7 settembre 1921, Parma- ricorrenza 7 settembre- Beatificazione da papa Giovanni Paolo II il 7 ottobre 2001- Nacque a Crescenzago (Milano) 1'8 novembre 1867. In giovane età dovette combattere con i desideri mondani della madre, che la voleva cantante di successo, e con il convivente della madre che la molestava. Una sera del maggio 1886, Eugenia sentì la chiamata alla santità ed entrò nella ancor giovane Famiglia religiosa delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, fuggendo da casa il 31 agosto 1887. Pronunciò la professione perpetua giugno 1894. Nel giugno 1911 venne eletta superiora generale e rimase in carica fino alla morte, sopraggiunta il 7 settembre 1921. Il processo di beatificazione è giunto al termine con la proclamazione del 7 ottobre 2001. MARTIROLOGIO ROMANO. A Parma, beata Eugenia Picco, vergine della Congregazione delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, che, tutta votata alla volontà di Dio, promosse la dignità delle donne e provvide alla formazione spirituale e culturale delle religiose.
nome Beato Giovanni Mazzucconi- titolo Sacerdote e martire- nascita 1 marzo 1826, Rancio di Lecco, Milano- morte 1855, Woodlark, Oceania- ricorrenza 7 settembre- Beatificazione 1984- Giovanni nacque a Rancio di Lecco, in provincia di Milano, marzo 1826. Apparteneva a una famiglia ricca e caritatevole, inoltre uno dei fratelli divenne sacerdote, e due sorelle monache. Dopo aver trascorso un'infanzia normale, s'iscrisse all'Istituto delle Missioni Estere di Milano, uno tra i primi studenti a farlo. Fu ordinato sacerdote nel 1850; circa due anni dopo, nel marzo 1852, s'imbarcò per il Pacifico del Sud. Trascorse i successivi tre anni evangelizzando il popolo dell'isola di Rook (l'attuale Kanipalap Siassu) al largo dell'odierna Papuasia Nuova Guinea. In seguito s'ammalò gravemente di malaria e a causa della mancanza di assistenza medica fu inviato a Sydney per curarsi, dove fu assistito dai Fratelli Maristi fino alla guarigione. Di ritorno verso l'isola di Rook, la nave su cui viaggiava, spinta fuori rotta da una tempesta, fu costretta ad approdare sull'isola di Woodlark, circa centosessanta chilometri a sud est. Nello stesso momento altri tre missionari abbandonarono l'isola per il trattamento selvaggio ricevuto dagli abitanti. Giovanni fu subito ucciso dagli indigeni, come il resto dell'equipaggio, tra cui pare ci fossero più missionari. Trascorse un anno prima che la notizia del martirio raggiungesse il mondo esterno. Si sa che Giovanni teneva un diario in cui annotava dettagli interessanti delle isole dell'arcipelago, ma andò perduto al momento della morte, di cui non si conosce la data precisa. Giovanni era pienamente consapevole del pericolo cui stava andando incontro. Proprio prima di imbarcarsi scrisse due lettere alla sua famiglia (incluse nei documenti necessari alla causa di canonizzazione), in cui affermava: «Non so cosa il Signore ha in serbo per me in questo viaggio che inizierà domani: so solo una cosa, che Egli è buono e mi ama moltissimo; tutto il resto, la calma e la tempesta, il pericolo e l'incolumità, la vita e la morte sono solo espressioni transitorie e mutevoli del suo amore fervente, immutabile, eterno». Giovanni è stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 19 gennaio 1984.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. Nell’isola di Woodlark in Oceania, beato Giovanni Battista Mazzucconi, sacerdote dell’Istituto Milanese per le Missioni Estere e martire, che, dopo due anni trascorsi al servizio dell’evangelizzazione, ormai spossato dalle febbri e dalle piaghe, fu ucciso in odio alla fede con un colpo di scure.
nome Santi Marco Crisino, Stefano Pongracz e Melchiorre Grodziecki- titolo Martiri- ricorrenza 7 settembre- Il martirio di Marco Kóriisi, Stefano Pongràcz e Melchiorre Grodecz è un importante capitolo della storia della Controriforma in Ungheria. Stefano nacque nel castello di Alvinc in Transilvania, probabilmente nel 1583, entrò nella Compagnia di Gesù a Brno in Moravia l'11 luglio 1602, ma compì gli studi in un certo numero di luoghi, inclusa Praga, Klagenfurt, e Graz. Quando fu ordinato sacerdote si recò nel collegio gesuita a Humenné. Melchiorre, che aveva un anno di meno, proveniva da Cieszyn in Slesia, dove nacque, anch'egli nel castello di famiglia, nel 1584. Fu istruito presso il collegio gesuita a Vienna cd entrò nella Compagnia di Gesù nel 1603. Fu durante il noviziato a Brno, che incontrò Stefano. Dopo l'ordinazione, insegnò per un periodo all'istituto di S. Vincenzo a Praga. Marco nacque in una distinta famiglia croata a Crisio, nella diocesi di Zagabria, nel 1589. Fu educato dai gesuiti e conobbe Stefano e Melchiorre, tuttavia scelse di diventare un sacerdote diocesano e studiò prima a Graz e poi al collegio tedesco-ungherese a Roma. Nel 1615 ritornò in Ungheria, dove il primate cattolico, l'arcivescovo Pazmany, gli affidò compiti importanti nell'arcidiocesi di Esztergom. Nel 1619 tutti e tre intrapresero un'attività pastorale e catechistica vicino a Cassovia (l'attuale Kosice, in Slovacchia). Stefano e Melchiorre erano stati invitati dal luogotenente del re, Andreas Dóczy, a incoraggiare i pochi cattolici in questa zona in cui il calvinismo era predominante, che dal 1604 erano stati privati delle loro chiese. La missione ottenne dei risultati, ma provocò una reazione, ed essi furono coinvolti nelle lotte di potere della regione. Il principe locale calvinista, Bethlen Gabor, che stava tentando di impossessarsi delle terre del re cattolico, mandò un esercito, condotto dal generale Gyorgi Ralóczi, che marciò su Kosice. Stefano e Melchiorre si affrettarono sulla scena e altrettanto fece Marco, e i tre s'incontrarono nella città, che fu conquistata da Ràkóczi il 5 settembre 1619. Dietro suggerimento di Bethlen Gabor, il generale fece catturare i tre uomini, che assieme al luogotenente del re furono messi agli arresti domiciliari. All'alba del 7 settembre arrivarono alcuni soldati con l'ordine del generale di persuaderli a rinunciare al cattolicesimo. Dopo il loro rifiuto, lí torturarono brutalmente a uno a uno. Marco morì per primo, seguito da Melchiorre; quando credettero di aver ucciso anche Stefano, i soldati gettarono i tre corpi in una fossa, ma Stefano non era ancora morto, e sopravvisse per altre ventiquattro ore soffrendo terribilmente prima di spirare, l'8 settembre. All'inizio non fu permesso a nessuno di seppellirli, ma alla fine Bethlen Gabor concesse a una donna del luogo di prendere i corpi. Per breve tempo il luogo di sepoltura fu una cappella del posto, ma nel 1636 i resti furono trasferiti nel monastero delle clarisse a Trnava. Marco, Stefano e Melchiorre furono beatificati assieme nel 1905. MARTIROLOGIO ROMANO. A Kosice sui monti Carpazi, nell’odierna Slovacchia, santi martiri Marco Crisino, sacerdote di Esztergom, Stefano Pongracz e Melchiorre Grodziecki, sacerdoti della Compagnia di Gesù, che né la fame né le torture della ruota e del fuoco poterono indurre a rinnegare la fede cattolica.
nome Santo Stefano di Chatillon- titolo Certosino, vescovo- nascita 1149, Châtillon-des-Dombes, Francia- morte 7 settembre 1208, Die, Francia- ricorrenza 7 settembre- Attributi<br /> saio, bastone pastorale, mitra e angelo<br /> Patrono di Châtillon-sur-Chalaronne- Si hanno poche notizie certe di questo santo certosino. Una Vita del XIII secolo composta di ottanta versi in latino mediocre è troppo corta per fornire informazioni più dettagliate, e la sua appendice ancora più breve, Miracula, non ha valore storico. Esiste una Vita in prosa di poco posteriore, accompagnata dai suoi Miracula, ma non è altro che una raccolta di materiale tratto dalle Vite di altri santi, in particolare di S. Antelmo (26 giu.), abate della Grande Chartreuse. I semplici fatti che lo riguardano affermano che Stefano (Etiennc) nacque a Ch;àtillon-les-Dombres, a nord ovest di Lione, nel 1149 o 1150; nel 1175 circa, entrò nell'ordine dei certo-sini a Portes-en-Bugey e successivamente svolse per un breve periodo l'incarico di priore. Poi, dopo il 1207, accettò, con molti timori, di diventare vescovo di Die, ma solo quando gli fu ordinato da papa Innocenzo III (1198-1216). Morì il 6 o il 7 settembre, ma è impossibile che si tratti del 1213, come è stato ipotizzato, a meno che non avesse dato le dimissioni dall'incarico di vescovo di Die e abbia vissuto poi per pochi anni ancora, giacché il suo successore aveva già assunto l'incarico nel 1209. La data comunemente accettata è il 1208. Mentre era ancora in vita gli furono attribuiti dei miracoli, ma quelli narrati dopo la sua morte avvenuta nel 1231, spinsero l'arcivescovo di Vienne e i suoi suffraganti a proporre la canonizzazione. Non fu deciso niente, ma il popolo continuò a venerare le reliquie, e durante un controllo nel 1557, il corpo fu scoperto intatto. Tre anni dopo, i resti furono distrutti dagli ugonotti. Papa Pio IX approvò il culto di S. Stefano per la diocesi di Die, estendendolo in seguito, nel 1857, all'Ordine certosino. MARTIROLOGIO ROMANO. A Die in Francia, santo Stefano di Châtillon, vescovo, che, strappato alla solitudine di Portes-en-Bugey, resse felicemente questa Chiesa, senza però nulla sottrarre all’austerità della vita certosina.
nome San Clodoaldo- titolo Venerato a Parigi- nascita 524 circa, Orleans, Francia- morte 560 circa, Saint-Cloud, Francia- ricorrenza 7 settembre- Nominato abate ordinario 1196- Nominato vescovo tra il 1203 e il 1207- Consacrato vescovo 1207 dall'arcivescovo Jean de Sassenage- Incarichi ricoperti Priore della Certosa di Portes (1196-1207), Vescovo di Die (1207-1208)- Durante l'infanzia e la giovinezza, Clodoaldo (o Cloud) fu una delle vittime della brutalità della politica merovingia. Quando suo nonno, il re franco Clodoveo, morì nel 511, il regno fu diviso tra i quattro figli, Teodorico, Clodomiro, Childeberto I e Clotario I. Clodomiro, che aveva già assassinato il re di Borgogna, S. Sigismondo (1 mag.), mori combattendo contro suo cugino, il nuovo re di Borgogna, Gondomaro, e lasciò tre figli, di cui Clodoaldo era il più giovane, come eredi del suo regno. I tre ragazzi furono cresciuti a Parigi con gran cura e affetto da parte della nonna, la moglie di Clodoveo, S. Clotilde (3 giu.), mentre il regno era amministrato dallo zio Childeberto. Quando Clodoaldo compì otto anni, Childeberto e il fratello Clotario cominciarono a complottare per eliminare i ragazzi e spartirsi i loro territori. Uno dei paggi di Childeberto fu inviato presso Clotilde per chiederle di decidere tra la morte dei ragazzi, o la tonsura e la clausura forzata in un monastero, ma distorse a tal punto la risposta di Clotilde, che quest'ultima fu costretta a presentarsi per scegliere il tipo di esecuzione. Clotario immediatamente pugnalò Teodaldo, il maggiore. Il secondo fratello, Gunther, scappò terrorizzato da Childeberto, che, addolorato per l'assassinio di Teodaldo, tentò di proteggerlo, ma Clotario catturò il ragazzo e lo uccise. Clodoaldo riuscì a scappare in qualche modo, e fu portato in salvo da amici. Ben consapevole di questi aspetti del mondo della politica e del potere, quando raggiunse l'età giusta per reclamare il suo regno, secondo il racconto di Gregorio di Tours, pronunciò invece i voti, e forse diventò sacerdote. Un'altra versione afferma che si recò in eremitaggio vicino a Parigi, dove visse seguendo l'esempio e i consigli di un altro eremita, S. Severino, ma, come suggerisce una Vita successiva, la presenza di Severino in Provenza è improbabile. Alla fine si trasferì in un altro eremo vicino a Nogent-sur-Seine, a sud ovest di Parigi, dove tramandò la fede al popolo locale. Morì, probabilmente nel 560, all'età di circa trentasei anni. Grazie a un gioco di parole sul suo nome in francese, è venerato come il santo patrono di tutti i fabbricatori di chiodi. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel villaggio di Saint-Cloud nel territorio di Parigi in Francia, san Clodoaldo, sacerdote, che, nato da stirpe regale,dopo la morte violenta del padre e dei fratelli, fu accolto dalla nonna santa Clotilde e, rifiutato con sdegno il potere terreno, si fece chierico.
nome Beati Rodolfo Corby e Giovanni Duckett- titolo Martiri- ricorrenza 7 settembre- Giovanni Duckett proveniva dalla stessa famiglia del B. Giacomo Duckett, un libraio di Londra impiccato a Tyburn nel 1602, e anche il padre si chiamava Giovanni. Nato a Underwinder, vicino a Sedbergh nel West Riding dello Yorkshire nel 1613, si recò a studiare al Collegio Inglese di Douai, dove fu ordinato sacerdote nel 1639. Dopo altri tre anni di studi a Parigi, durante i quali divenne noto per la sua dedizione alla preghiera e lo spirito contemplativo, trascorse una quindicina di giorni con i certosini a Nieuport nelle Fiandre, preparandosi per la missione in Inghilterra, guidata dal "suo parente" p. Duckett (figlio del B. Giacomo). Per quasi un anno svolse il suo ministero nella contea di Durham, poi, il 2 luglio 1644, fu arrestato, insieme a due laici, mentre stava per battezzare alcuni bambini. All'inizio rifiutò di ammettere, al comitato parlamentare che lo aveva sequestrato e interrogato nel Sunderland, di essere un sacerdote; avevano trovato, infatti, delle prove contro di lui, vale a dire gli unguenti sacri e il rituale, ma poiché esigevano una sua personale ammissione, lo minacciarono di tortura. Quando si accorse che i due laici erano interrogati sul suo conto, e che si stava svolgendo un'inchiesta tra gli amici e i parenti, Giovanni decise di ammettere di essere un sacerdote. Fu portato immediatamente a Londra, insieme con un gesuita, Rodolfo Corby, che era stato catturato vicino a Newcastle. La famiglia dei Corby (o Corbington) proveniva da Dublino, ma Rodolfo era nato a Maynooth, fuori Dublino. All'età di cinque anni, la famiglia ritornò in Inghilterra; dopo qualche anno di persecuzione, ogni membro, secondo certi documenti, scelse la vita religiosa. Il padre, Gerardo, divenne collaboratore temporale dei gesuiti; la madre, Isabella, benedettina, morì a Gand; le due sorelle entrarono nello stesso ordine a Bruxelles; il fratello più grande e il più giovane divennero gesuiti, ed egli stesso entrò a far parte della Compagnia di Gesù a Watten nelle Fiandre, ritornando a svolgere la missione in Inghilterra, nel 1632. Il suo ministero tra i cattolici dispersi della contea di Durham durò dodici anni, finché fu arrestato a Hamsterley Hall, vicino a Newcastle, mentre stava celebrando la Messa. Quando i due sacerdoti arrivarono a Londra, furono rinchiusi nella prigione di Newgate in attesa di processo. I gesuiti inglesi all'estero tentarono di scambiare Rodolfo con un colonnello scozzese, al tempo prigioniero in Germania. Quando la trattativa sembrava conclusa, Rodolfo propose a Giovanni di sostituirlo nello scambio, sostenendo che egli, più giovane, era meglio qualificato per la missione. Giovanni fu riluttante ad accettare, ma alla fine la decisione non dipese da loro. Furono entrambi processati e fu pronunciata la sentenza di morte. Rodolfo «sembrava agonizzante per la tristezza e la paura», mentre celebrava l'ultima Messa nei loro alloggi a Newgate, ma poi si riprese. Quando furono portati a Tyburn la mattina del 7 settembre 1644, avevano «la testa rasata, la tunica anglicana, e sorridevano». Giovanni non parlò per niente, tranne che per benedire coloro che lo chiedevano, e per dire a un ministro protestante che tentava cli parlargli, le seguenti parole: «Signore, non vengo qua perché mi sia insegnata la mia religione, ma per morire professando la mia fede». Rodolfo, d'altro canto, pronunciò un breve discorso. I due uomini poi si abbracciarono, e il carro fu trascinato via. Lo sceriffo non permise che li tirassero giù e li sventrassero finché non furono morti entrambi. MARTIROLOGIO ROMANO. A Londra in Inghilterra, beati Randolfo Corby, della Compagnia di Gesù, e Giovanni Duckett, sacerdoti e martiri, che, condannati a morte sotto il re Carlo I perché entrati in Inghilterra da sacerdoti, conseguirono la palma celeste morendo impiccati a Tyburn.
nome Beati Tommaso Tsuji, Ludovico Maki e Giovanni Maki- titolo Martiri- ricorrenza 7 settembre- Tommaso nacque a Sonogi, vicino a Omura, nell'isola meridionale del Giappone chiamata Kyushu, nel 1517 circa, da una famiglia nobile giapponese, se non cristiana, almeno simpatizzante, dato che fu educato presso i gesuiti ad Affina, vicino a Osaka. Nel 1589, entrò nella Compagnia di Gesù e fu ordinato sacerdote a Nagasaki. Subito diventò famoso come predicatore in quella zona, ma venne inviato ad Hakata quando i suoi commenti incisivi sul loro comportamento provocarono l'antagonismo di alcuni giapponesi cristiani a Nagasaki. Fu poi emesso l'editto con cui si bandivano i sacerdoti cattolici dal paese, ed ebbe inizio un periodo di persecuzioni. Assieme ad altri ottanta gesuiti, Tommaso obbedì all'ordine e si recò a Macao, dove rimase per quattro anni. Nel 1618, decise di riprendere l'attività apostolica e ritornò in Giappone travestito da mercante. In questo modo aveva un gran vantaggio rispetto ai missionari europei: era giapponese e, ammesso che continuasse a travestirsi, poteva muoversi liberamente durante il giorno. Si dice si sia vestito talvolta da artigiano, talvolta come membro di classi ricche e istruite, o da venditore di legna, un modo particolarmente conveniente e discreto per introdursi nelle case dei cristiani. Non fu facile, tuttavia, dato che questo gli costò assai, dal punto di vista fisico ed emotivo; inoltre vedere tanti confratelli gesuiti condannati a morte per la fede, lo lasciò scoraggiato e depresso. Temendo di vacillare al momento della sua morte, chiese di essere sciolto dai voti. Quando arrivò il permesso, tuttavia, aveva già cambiato idea e chiese di essere riammesso immediatamente, cosa che non fu possibile, anche se i superiori erano ben disposti verso di lui e lo accolsero in probazione, per un periodo di sei anni, durante i quali superò la depressione e lavorò coraggiosamente e instancabilmente. Infine fu riammesso nella Compagnia nel 1626, inviato a Nagasaki, dove fu catturato il 22 luglio dello stesso anno, giorno della festa di S. Maria Maddalena, in occasione della quale si era recato a celebrare la Messa nella casa di Luigi Maki e di suo figlio Giovanni. Inaspettatamente i soldati fecero irruzione nella casa, e arrestarono i tre uomini. Portato davanti al governatore, Tommaso ammise di essere un gesuita, e fu rinchiuso in prigione a Omura; anche Luigi e Giovanni furono incarcerati per aver invitato un sacerdote nella loro casa. Mentre si trovava in prigione, i membri della famiglia di Tommaso gli fecero visita continuamente, pregandolo di rinunciare alla sua fede e di smettere di disonorarli, ma Tommaso non cedette, insistendo che nulla avrebbe potuto fargli cambiare idea. Alla fine, il 7 settembre, dopo tredici mesi trascorsi in prigione, Tommaso fu portato con Luigi e Giovanni Maki su una collina fuori città e legato su un rogo. Mentre si stava preparando il fuoco, Tommaso incoraggiò gli altri, e quando le fiamme divamparono attorno, li benedisse prima di mettersi silenziosamente a pregare. Secondo un certo numero di testimoni, durante il trapasso gli scoppiò il petto, da cui si levò un'enorme fiamma che poi svanì. Tommaso fu beatificato da papa Pio IX, il 7 luglio 1867. È celebrato il 6 febbraio insieme con altri che morirono durante questa e altre persecuzioni. MARTIROLOGIO ROMANO. A Nagasaki in Giappone, beati martiri Tommaso Tsuji, sacerdote della Compagnia di Gesù, Ludovico Maki e suo figlio Giovanni, condannati al rogo in odio alla fede cristiana.
nome San Sozonte di Pompeiopoli- titolo Martire- ricorrenza 7 settembre- Gli Acta documentati di questo martire sono conservati in due testi greci, il secondo dei quali è una rielaborazione di S. Simone Metafraste (28 nov.), così vaghi, in ogni caso, da rendere difficile stabilire l'esatta identità di Sozonte o la data della morte. Secondo la leggenda, probabilmente in relazione con una sorgente considerata miracolosa, era pastore in Cilicia, o forse in Licaonia. Originariamente chiamato Farasio o Tarasio, scelse il nome Sozonte al momento del battesimo. Un giorno, mentre dormiva sdraiato sotto un albero, ebbe una visione di Cristo, che gli disse di lasciare il suo gregge e di seguirlo fino alla morte. Sozonte immediatamente si recò nella vicina Pompeiopoli, dove si stava celebrando una festa pagana, si diresse senza esitazione verso il tempio del dio, distrusse un'immagine d'oro con un colpo di bastone, e ruppe la mano della statua in piccoli pezzi che poi distribuì ai poveri. Quando si accorse che diversi di loro erano stati arrestati per questo, si consegnò alle autorità, e dopo un lungo interrogatorio da parte del magistrato, gli fu proposta la libertà se avesse adorato quel dio: egli tuttavia derise semplicemente l'idea di adorare un dio che poteva essere fatto a pezzi con un bastone da pastore. Dopo essere stato costretto a girare per l'arena con dei chiodi nei sandali, il magistrato affermò che gli avrebbe concesso la libertà se avesse suonato una melodia con il suo flauto, ma Sozonte rifiutò, dicendo che aveva spesso suonato il flauto per le sue pecore, ma che ora l'avrebbe fatto solo per Dio. Fu condannato al rogo, e più tardi, quella notte, i cristiani del luogo raccolsero e seppellirono i resti carbonizzati. S. Sozonte compare nei sinassari bizantini alla data di oggi, introdotto in Occidente da Baronio. MARTIROLOGIO ROMANO. A Pompeiopoli in Cilicia, nell’odierna Turchia, san Sozonte, martire.