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I santi di oggi 17 settembre:
nome San Roberto Bellarmino- titolo Cardinale di Santa Romana Chiesa, Vescovo e dottore della Chiesa- nome di battesimo Roberto Bellarmino- nascita 4 ottobre 1542- Ordinato presbitero 19 marzo 1570 dal vescovo Cornelio Giansenio- Nominato arcivescovo 18 marzo 1602 da papa Clemente VIII- Consacrato arcivescovo
21 aprile 1602 da papa Clemente VIII- Creato cardinale 3 marzo 1599 da papa Clemente VIII- morte 17 settembre 1621- ricorrenza 17 settembre, 13 maggio messa tridentina- Incarichi ricoperti
Rettore della Pontificia Università Gregoriana (1592-1594), Cardinale presbitero di Santa Maria in Via (1599-1605), Arcivescovo metropolita di Capua (1602-1605), Cardinale presbitero di San Matteo in Merulana (1605-1621), Camerlengo del Collegio Cardinalizio (1617-1618), Prefetto della Congregazione dell'Indice dei Libri Proibiti (1618-1621)- Cardinale presbitero di Santa Prassede (1621)- Beatificazione 13 maggio 1923 da papa Pio XI- Canonizzazione 29 giugno 1930 da papa Pio XI- Attributi Bastone pastorale- Patrono di Arcidiocesi di Capua, Pontificia Università Gregoriana, catechisti, avvocati canonisti, Arcidiocesi di Cincinnati negli Stati Uniti d'America- S. Roberto Bellarmino nacque a Montepulciano il 4 ottobre del 1542 da Cinzia Cervini, sorella del Papa Marcello II e da Vincenzo Bellarmino. Affezionato al le cose di Dio, amava poco i trastulli infantili; ripeteva ai fratellini le prediche udite e spiegava ai contadinelli i primi elementi del catechismo. Fatta con angelico fervore la sua Prima Comunione, prese, contro l'uso di quel tempo, a comunicarsi ogni domenica, con edificazione di tutti. Iniziati gli studi mostrò subito la sua straordinaria acutezza e penetrazione d'ingegno accoppiata ad una insaziabile avidità d'imparare. E poiché suo padre, che intendeva farne un compito gentiluomo, volle che aggiungesse allo studio delle lettere anche l'arte del canto e della musica, egli ingenuamente sostituiva con parole sacre qualunque verso lubrico che incontrasse ripetendo con franchezza a chi si meravigliava : « La mia voce non si presta a cantare cose che non siano pure ». Mentre egli faceva grandi progressi nella virtù e nel sapere, il padre andava riponendo in lui le più belle e lusinghiere speranze, ma Roberto la pensava ben diversamente. Conscio dell'importanza della salvezza dell'anima, dopo un anno di lotta contro il padre, ottenne di entrare nella Compagnia di Gesù. Dopo il noviziato nel 1561 si trasferì per il corso di filosofia al Collegio Romano. Ma dolorose prove non ritardarono a farsi sentire: lo colse un ostinato esaurimento di forze ed un acuto dolore di testa. Ciononostante, docile, rassegnato e paziente riuscì il primo della classe. Indi fu mandato come insegnante a Firenze e a Mondovì. Nel 1567 andò a Padova per gli studi di teologia, durante i quali predicò a Venezia e a Genova. Pochi anni dopo fu inviato nell'Università di Lovanio, ove fu professore, e là nel 1570 fu ordinato sacerdote del vescovo Cornelius Jansenius e celebrò la sua prima Messa. Gregorio XIII aveva deciso che nel Collegio Romano s'istituisse una cattedra di carattere polemico per difendere dagli assalti degli avversari le verità della fede e per questa fu prescelto Roberto che, per la sua monumentale opera, le « Controversie », fu detto il Martello degli eretici. Tra tutta la sua attività rifulge quanto fece per il catechismo, che, già cardinale, non disdegnava insegnare ai familiari ed al popolo. Fu padre spirituale di S. Luigi, ebbe relazioni con S. Realino e fu provinciale a Napoli. Tutto ciò, unito ad una grande santità, aveva attirato su di lui gli occhi di tutti e Clemente VIII, nonostante la ripugnanza del Santo, lo fece cardinale, arcivescovo di Capua, ove fu prodigo di cure e carità a tutti, ma specialmente ai poveri. Nel 1621, abbandonato l'appartamento cardinalizio, si ritirava nella casa del Noviziato di S. Andrea al Quirinale ove si preparò alla morte, E confortato dalla benedizione di Gregorio XV, dopo aver recitato con grande pietà e fede il Credo, spirava, portando al tribunale divino illesa la candida stola battesimale. Era il 17 settembre 1621. S. Roberto fu pure un grande scrittore : scrisse ben 31 opere tra le quali spiccano maggiormente: le « Controversie », il « Catechismo », « Le ascensioni spirituali della mente in Dio » e l'« Arte del ben morire »: perciò Pio XI lo dichiarò Dottore della Chiesa. PRATICA. Ci siano di guida queste parole del Santo: « Procura di non mandar nessun povero scontento: se ho poco, dò poco, se avrò di più, darò di più... ». PREGHIERA. O Dio, che per respingere le insidie dell'errore e per difendere i diritti della Sede Apostolica, concedesti mirabile dottrina e forza al tuo beato Pontefice e dottore Roberto, per i suoi meriti ed intercessione fa' che noi cresciamo nell'amore della verità e che gli, erranti ritornino nell'unità della tua Chiesa. MARTIROLOGIO ROMANO. San Roberto Bellarmino, vescovo e dottore della Chiesa, della Compagnia di Gesù, che seppe brillantemente disputare nelle controversie teologiche del suo tempo con perizia e acume. Nominato cardinale, si dedicò con premura al ministero pastorale nella Chiesa di Capua e, infine, a Roma si adoperò molto in difesa della Sede Apostolica e della dottrina della fede.
nome Stimmate di San Francesco d'Assisi- titolo L'apparizione dell'Altissimo- nascita 1182, Assisi- morte 3 ottobre 1226, Assisi- ricorrenza 17 settembre- Da San Damiano, dove in gioventù il Crocifisso parlò a San Francesco, al Monte della Verna. Il Monte de' La Verna Francesco lo ricevette in dono dal conte Orlando da Chiusi, un luogo adatto alla vita solitaria e a fare penitenza. Il silenzio di quel monte rapì l'anima di Francesco, il quale preferiva sistemarsi nelle profondità della roccia per vivere nascosto il fuoco che bruciava nel suo petto. Accadde, nel 1224, due anni prima della sua morte, che gravi tensioni si erano accese nell'Ordine, così il Santo desiderò allontanarsi e si ritirò a La Verna, per vivere una quaresima in onore di San Michele. Qui, Francesco era intento a meditare come fosse possibile potersi unire ancora più intimamente col Cristo Crocifisso. Il giorno dell'Esaltazione della Croce, il Signore, avendo ascoltato le preghiere di questo figlio, gli rispose. E Francesco fu fatto degno di ricevere sul proprio corpo i segni visibili della Passione di Cristo. Un prodigio mirabile: la figura di un serafino, con sei ali luminose, infuocate, discese dal cielo e giunse vicino all'uomo di Dio. Questi riuscì a vedere l'effige di un uomo crocifisso, che aveva mani e piedi stesi e confitti sulla croce. In seguito, si potevano scorgere sul corpo del Poverello non i fori dei chiodi, ma i chiodi stessi formati di carne di colore del ferro al centro delle mani e dei piedi, mentre il costato era imporporato dal sangue.
nome Santa Adriana di Frisia- titolo Martire- nascita II secolo, Frigia- morte II secolo, Frigia- ricorrenza 17 settembre- Sant'Adriana nacque a Frigia intorno al 130 dC fu una santa cristiana e martire del II secolo. Secondo la leggenda, fu schiava di un principe frigio. Rifiutò di partecipare a riti pagani come parte della celebrazione del principe e fu quindi arrestata dalle autorità romane e gettata da una scogliera.
nome Sant'Ildegarda di Bingen- titolo Vergine e dottore della Chiesa- nascita 1098, Bermersheim, Germania- morte 17 settembre 1179, Bingen, Germania- ricorrenza 17 settembre- Beatificazione<br /> 1324 da papa Giovanni XXII- Canonizzazione 10 maggio 2012 da papa Benedetto XVI (canonizzazione equipollente)- Santuario principale Cappella del priorato benedettino di Bingen- Attributi saio, penna, libro, cetra, bastone pastorale- Patrona di filologi ed esperantisti- Ildegarda di Bingen sarebbe stata famosa in qualunque secolo, ma nel suo i risultati e la sua influenza, particolarmente come donna, furono straordinari. Nacque a Bermersheim, sul Nahe, vicino ad Alzey, nell'estate del 1098, ma a parte il fatto che il padre, Ildeberto di Bermersheim, era un nobile e forse al servizio del vescovo di Speyer, non si sa molto del suo ambiente famigliare. All'età di soli otto anni, fu mandata a compiere gli studi presso un'eremita, la B. Jutta (22 dic.) che viveva a Disibodenbcrg in una dimora (forse una casupola) annessa alla chiesa dell'abbazia fondata da S. Disibodo (8 set.). Ildegarda era una bambina delicata, ma la sua istruzione, che sembra aver incluso imparare a leggere e a cantare in latino e acquisire la capacità di svolgere i lavori domestici comunemente richiesti alle donne di tutte le classi, a quel tempo, continuò ininterrottamente. Durante gli anni, altre ragazze giovani giungevano per unirsi a lei, perciò jutta, accorgendosi che si trattava, in effetti, di una congregazione religiosa, diede loro da seguire la Regola di S. Benedetto (11 lug.) e assunse il titolo di badessa. Ildegarda ricevette l'abito monacale all'età di quindici anni, e per i successivi diciassette anni circa la sua vita fu abbastanza priva d'eventi. La sua vita interiore, tuttavia, era tutt'altro che ordinaria. Dall'età di tre anni fece esperienza di visioni o rivelazioni che, nelle prime fasi le causarono dolore e imbarazzo. «Quando ero completamente assorta in ciò che vedevo,» affermò «dicevo molte cose che sembravano strane a chi mi ascoltava, che mi facevano arrossire e piangere, e abbastanza spesso mi sarei uccisa se fosse stato possibile. Ero troppo spaventata per dire a qualcuno cosa avevo visto, eccetto la nobildonna cui sono stata affidata [Jutta], che ne riferì una parte a un monaco che conosceva». Le rivelazioni continuarono fino in età adulta, e per tutto il tempo fece esperienza di una spiacevole combinazione di malattie croniche (mal di testa e altri disturbi fisici, accompagnati da un'aridità spirituale) e di una grande creatività che cercava uno sbocco. Alla morte di Jutta nel 1136, Ildegarda divenne badessa al suo posto, ma le rivelazioni e visioni le causavano ancora preoccupazione: pensava di doverle mettere per iscritto, ma temeva che gli altri l'avrebbero derisa, e che in ogni caso il suo latino sarebbe stato inadeguato. Infine decise di parlarne al suo confessore, un monaco di nome Goffredo, e gli chiese di parlarne al suo abate, Conone. Pensando alla questione, Conone chiese a Ildegarda di scrivere almeno una parte delle cose che credeva Dio le avesse rivelato. Ildegarda obbedì, scrivendo dell'amore di Cristo, del regno di Dio, degli angeli, dell'inferno e del diavolo, materiale che venne poi sottoposto all'arcivescovo di Magonza. All'età di quarantadue anni e sette mesi (è precisa a questo riguardo) si sentì all'improvviso svincolata, la sua salute restò incerta ma non ebbe più mal di testa, la sua energia creativa fu liberata, la pesantezza se ne andò e Ildegarda divenne, come affermò, «una piuma sospinta dal respiro di Dio». L'arcivescovo e i suoi teologi conclusero che le visioni «provenivano da Dio». Rispondendo alla sua richiesta, Conone mise a disposizione di Ildegarda un amanuense, un giovane monaco chiamato Vulmaro, e nei successivi dieci anni, con il suo aiuto e quello di altri, quando quest'ultimo non era disponibile, scrisse la sua opera principale, Scivias (abbreviazione di sci vias Domini, "conosco le vie del Signore"). Nei tre volumi Ildegarda fa riferimento alle ventisei visioni distinte concernenti la relazione tra Dio e gli esseri umani attraverso la creazione, la redenzione, e nella Chiesa, oltre a contenere una cura quantità di profezie apocalittiche, oltre a moniti e dichiarazioni simboliche che non sono sempre facili da comprendere (la qualità sibillina di alcune delle sue affermazioni le valsero il titolo di Si bill a del Reno"). Alcuni dei suoi insegnamenti, inoltre, tendono al panteismo, una forma che potrebbe essere definita come "panenteismo", tuttavia il suo simbolismo ha una notevole consistenza, che s'incentra sul potere vivificante di Dio. Ildegarda fa costante riferimento alla viriditas o potere rinverdente di Dio, al «lussureggiante rinnovamento» portato da Cristo agli individui e alle istituzioni avvizzite, e allo Spirito Santo come potere rinnovatore attivo. Nonostante sostenesse che la sua comprensione della Scrittura era puramente intuitiva, direttamente rivelata da Dio come tutto il resto che affermava, è difficile prenderla alla lettera. Non cita mai le sue fonti, ma esistono e sono estese: la Scrittura, naturalmente, e autori cristiani dal Pastore di Hermas a S. Girolamo (30 set.) e S. Agostino (28 ago.), a S. Gregorio Magno (3 set.), Beda (25 mag.) e altri, forse appresi attraverso commentari o compendi. È anche possibile che, essendo così convinta della verità e dell'urgenza del suo messaggio, trovasse conveniente affermare di essere stata ispirata da Dio per superare le inchieste, lente e caute, delle autorità, ma giacché la sua epoca apprezzava la stabilità, sembra non abbia osato citare gli autori tradizionali su cui si basava la maggior parte degli scrittori di teologia e dei pensatori spirituali, per proteggersi da queste indagini. Inoltre è degna di nota per la sua noncuranza dei temi devozionali ortodossi standard, come la redenzione individuale dalla colpa del peccato, quanto per le questioni che tratta. Dronke ha seriamente suggerito che, sebbene abbia attaccato l'eresia, in realtà «non la fece franca» con ciò che equivale a una forma primitiva di manicheismo. Nel 1147, l'arcivescovo di Magonza sottopose l'opera d'ildegarda a papa Eugenio III (8 lug.), allora in visita a Treviri, il quale, con un approccio prevedibilmente cauto, nominò una commissione per esaminare Ildegarda e i suoi scritti; solo quando ricevette un rapporto favorevole, li lesse e discusse con alcuni consiglieri stretti, tra cuí S. Bernardo di Clairvaux (20 ago.), che entusiasta spinse il papa ad approvarli.<br /> La lettera di Eugenio a Ildegarda è incoraggiante e cauta, è felice e pieno di stupore per i favori che le sono stati concessi, ma la mette in guardia contro l'orgoglio. Nella sua lunga risposta, Ildegarda restituisce il favore, alludendo con parabole ai problemi del tempo e mettendo in guardia Eugenio contro l'ambizione deimembri della sua famiglia. Nella sua lettera il papa disse a Ildegarda di vivere con le sue consorelle, osservando fedelmente la regola, nel luogo in cui aveva avuto la visione, in riferimento alla proposta delle monache di edificare un nuovo convento sul Rupertsberg, una collina esposta e deserta vicino a Binge, dal momento che quello di Disibodenberg non riusciva più ad accogliere i membri della congregazione sempre più numerosi, ma Ildegarda, che affermava che Dio le aveva mostrato il nuovo sito in una visione, incontrò la feroce opposizione dei monaci di S. Disibodo. Gran parte dell'importanza dell'abbazia era dovuta alla sua vicinanza al convento, in cui erano conservate le reliquie di. Giutta, e alla presenza di Ildegarda. L'abbazia faceva assegnamento anche sulle donazioni delle monache, e i monaci non volevano perderle, così l'abate accusò Ildegarda, la cui salute era peggiorata, di agire per orgoglio, tuttavia quando la vide e si accorse che era veramente malata, cambiò atteggiamento e le disse di alzarsi e di andare a Rupertsberg. Fu più difficile convincere i monaci, che cambiarono idea quando l'abate fu guarito da una malattia grave mentre si trovava nella chiesa d'Ildegarda. Ildegarda e altre diciotto monache si trasferirono sul Rupertsberg tra il 1147 e il 1150, in una terra desolata, ma dove, grazie all'energia illimitata di Ildegarda, presto ebbero un convento abbastanza grande da dare alloggio a una congregazione di cinquanta membri, «con acqua corrente in tutti gli uffici».<br /> Oltre a essere pratica, era creativa e piena d'inventiva: insegnò alle monache molti inni e cantici di cui compose sia le parole che la musica, scrisse una rappresentazione drammatica allegorica con canto sacro, Ordo virtutum, perché lo recitassero, e per la lettura nel refettorio distribuì cinquanta omelie allegoriche (che non possono essere state facili da ascoltare). Si riteneva che le sue versioni adas vid» clk S. Disibodo (8 set.) e di S. Ruperto (29 mar.) fossero ma poiché contengono elementi locali tradizionali, pro~ente richiesero un impegno maggiore di quello. Quando aboriva a trovare del tempo libero (sicuramente non spesso), amala lavorare sul suo cosiddetto «linguaggio sconosciuto», una sorta d'esperanto, basato sul latino e la lingua germanica, con la frequente ripetizione della Z finale (ci sono giunte circa 900 parole). Ildegarda, inoltre, trovò in qualche modo il tempo di compiere ricerche e scrivere su argomenti che la affascinavano: un libro di storia naturale, basato chiaramente su un'attenta osservazione scientifica, che tra le altre cose descrive gli elementi, i minerali e i metalli, alberi e altre piante, pesci, rettili, uccelli e quadrupedi; uno di medicina, che esamina il corpo umano e le cause, i sintomi e i trattamenti dei disturbi che lo affliggono, e che mostra, in particolare, quanto la sua immaginazione, se non la conoscenza, precorresse i tempi. Cinque secoli prima di William Harvey, per esempio, riuscì quasi a dare una descrizione accurata di come il sangue circola nel corpo. Inoltre vi è la sua voluminosa corrispondenza, di cui è stata tramandata una parte consistente, ma il suo stile non è facile: per rimproverare o mettere in guardia (e faceva spesso entrambe le cose) tendeva ad adottare uno stile predicatorio pieno d'allegorie e allusioni. Secondo lei, il suo ruolo nella vita era di comunicare il contenuto delle visioni al popolo della sua generazione, per ricondurli sulla via della giustizia; per lei la profezia era un fardello e una responsabilità piuttosto che un dono, e in ciò assomigliava più a un profeta dell'Antico Testamento che a una mistica cristiana. Tra i destinatari delle sue lettere omileticlie, vi erano vari papi, vescovi, e abati, incluso S. Bernardo, e diversi monarchi, tra cui Enrico II d'Inghilterra, ma anche gruppi di persone, come il clero di Treviri e Colonia (lettere feroci e sincere in cui li rimproverava per le loro mancanze e li avvertiva di cosa sarebbe successo se non si fossero ravveduti).<br /> Talvolta riusciva a essere assai tagliente: quando l'arcivescovo di Magonza le disse di mandare una certa monaca come badessa in un altro convento, replicò: «Tutti le ragioni della promozione di questa giovane non hanno valore davanti a Dio. Lo spirito di questo Dio premuroso afferma: "Piangete e gridate, o pastori, perché non sapete ciò che fate, distribuendo i sacri uffici secondo i vostri interessi e sprecandoli con uomini perversi e atei. Quanto a voi, alzatevi, perché i vostri giorni sono contati"». Comprensibilmente questa sorta d'approccio non la rese universalmente popolare, anche se i visitatori provenivano da ogni ceto sociale, allo stesso tempo altri la denunciarono perché disonesta, matta o anche peggio. Né quest'opposizione, né la malattia costante trattenne Ildegarda dal compiere le sue attività al di fuori del convento. Credeva che Dio la stesse usando come suo portavoce: «Io non sono che un povero vaso di coccio, e dico queste cose non da me, ma grazie alla Luce serena» scrisse a un amico (e la sua audacia e sincerità erano una combinazione formidabile). Tra il 1152 e il 1162, fece diversi viaggi in Renania, durante i quali predicò pubblicamente, cosa assai insolita per una donna al tempo. Fondò una casa dipendente a Libingen, vicino a Rudesheim, ma sembra che abbia assunto il ruolo di visitatrice badessa di un certo numero di altri conventi e monasteri, ma le sue critiche a chi non seguiva strettamente la disciplina erano così dure che queste visite non sempre accrescevano la sua popolarità, e lo stesso si può dire dei suoi incontri con vescovi, clero e laici. Ildegarda continuò fino alla fine a opporsi all'uso sbagliato dell'autorità; durante gli ultimi anni di vita, un giovane, che a un certo punto era stato scomunicato, morì e fu sepolto nel cimitero a S. Ruperto. Il vicario generale di Magonza affermò che non poteva essere sepolto in un luogo sacro e chiese che il corpo fosse riesumato.<br /> Ildegarda rifiutò, affermando che il ragazzo aveva ricevuto gli ultimi sacramenti e che perciò non poteva più essere considerato come scomunicato. Quando fu ribadito l'ordine, questa volta dal vescovo, lldegarda rimandò indietro il messaggio. «Venite Vostra grazia, mio signore arcivescovo, e disseppellitelo voi.» Il vescovo venne, accompagnato da membri del capitolo cattedrale, ma Ildegarda aveva tolto tutte le insegne della sepoltura, perciò dovettero andarsene a mani vuote. Quando il vescovo pronunciò l'interdetto sulla sua chiesa, Ildegarda rispose con una lunga lettera sull'argomento della musica sacra, che evidentemente non c'entrava per niente, affermando «che aiuta l'uomo a costruire un legame santo tra questo mondo e il mondo tutto fatto di bellezza e musica». Il suo significato diventava chiaro alla fine: «Coloro che perciò, senza un buon motivo, impongono il silenzio alle chiese in cui si può udire il canto in onore di Dio, non meriterà di udire il glorioso coro degli angeli che loda il Signore nei cicli». L'arcivescovo, cui Ildegarda per precauzione scrisse allo stesso tempo, ignorò i vari moniti a lui rivolti, ma tolse l'interdetto. In questo periodo, Ildegarda, che aveva più d'ottant'anni, era così fragile fisicamente da dover essere trasportata da un luogo all'altro, tuttavia continuò a scrivere, dare consigli, istruire le monache, e incoraggiare tutti coloro che le chiedevano aiuto, finché morì in pace a S. Ruperto il 17 settembre 1179.<br /> Immediatamente si affermò che sulla sua tomba si verificavano miracoli, avvenuti anche mentre era in vita, e il culto è testimoniato dal XIII secolo. Nel 1324, papa Giovanni XXII (1316-1334) approvò il culto pubblico, e Ildegarda compare nei martirologi locali dal xv secolo. Le reliquie, portate a Eibingen durante la Guerra dei Trent'anni, furono autenticate nel 1489 e poi di nuovo nel 1498, e sebbene non sia mai stata canonizzata ufficialmente, è chiamata santa nel Martirologio Romano, e diverse diocesi tedesche la commemorano in questo giorno. Le visioni e rivelazioni di Ildegarda sono tra le meglio documentate dei fenomeni di questo tipo; il linguaggio con cui le descrive e le interpreta è vivace ed espressivo, ricco di simboli, come se lo portasse ai limiti estremi per descrivere l'indescrivibile, e ne è consapevole lei stessa: «Non ho queste visioni durante il sonno, o in sogno, né per pazzia, non le percepisco fisicamente con gli occhi e le orecchie, e non di nascosto, ma le vedo in pieno, e con il volere di Dio, quando sono sveglia e attenta, con gli occhi dello spirito e l'orecchio interiore; è difficile per gli esseri umani capire da dove provengono». Non si limitò a usare solo le parole per descrivere ciò che vedeva: illustrò lei stessa lo Scivias, e le illustrazioni tramandate (anche se solo sotto forma di copie eseguite meticolosamente), vive, originali e ricche di simboli, si avvicinano allo spirito dell'opera di William Blakc come non era mai successo a quei tempi. Era anche una musicista completa, ed ebbe un inaspettato successo alla fine del secolo scorso. E inoltre patrona dei filologi e degli esperantisti.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Rupertsberg vicino a Bingen nell’Assia, in Germania, santa Ildegarda, vergine, che, esperta di scienze naturali, medicina e di musica, espose e descrisse piamente in alcuni libri le mistiche contemplazioni, di cui aveva avuto esperienza.
nome San Francesco Maria da Camporosso- titolo Religioso cappuccino- nome di battesimo Giovanni Croese- nascita 27 dicembre 1804, Camporosso, Imperia- morte 17 settembre 1866, Genova- ricorrenza 17 settembre- Beatificazione 1929 da papa Pio XI- Canonizzazione 1962 da papa Giovanni XXIII- Nacque il beato Francesco Maria il 27 dicembre 1804 da Giovanni Croese e da Maria Antonia Garzo a Camporosso, ridente paesello sulla riviera ligure nell'attuale provincia di Imperia. Due giorni dopo la sua nascita venne battezzato col nome di Giovanni. Dalla sua ottima genitrice il piccolo Giovanni ricevette i primi germi di quella pietà semplice e profonda, che dovevano più tardi svilupparsi nelle più fulgide virtù della vita cristiana e cingere il suo capo dell'aureola della santità. Fanciullo fu pastore del piccolo gregge paterno, e fatto grandicello aiutò il padre nel duro lavoro dei campi.<br /> Ricevette nella festa del Corpus Domini del 1816 la prima Comunione, dopo di che cadde gravemente infermo e guarì per l'intercessione della Madonna del Laghetto che si venera presso Nizza.<br /> A 17 anni udita la voce di Dio che lo chiamava ad una vita più perfetta, entrò fra i Minori Conventuali in qualità di terziario. Ma dopo fervorose preghiere alla Beata Vergine e col consiglio di illuminati religiosi abbracciò la vita religiosa fra i Minori Cappuccini, entrandovi come novizio il 7 dicembre 1825 col nuovo nome di Francesco Maria. Durante il noviziato ebbe modo di rivelarsi la squisita bellezza della sua anima e di svilupparsi quell'ardore di carità per Iddio e per il prossimo che doveva fare di lui, umile laico cappuccino, il benefattore dell'intera città di Genova. Difatti, appena finito il noviziato, il Beato fu destinato al convento della SS. Concezione di Genova, dapprima come aiuto nella cucina e come infermiere, poscia come questuante, nel quale ufficio trascorse circa 40 anni, cioè quasi tutta la sua vita di religioso. Vita non ricca di avvenimenti grandiosi, ma piena di una bontà ingegnosamente operosa ed inesauribile. Nel quartiere del porto e del deposito franco, ove in particolar modo si svolse l'attività di frate Francesco, la sua figura alta, simpatica, piena di modestia e di grazia, esercitava un fascino straordinario su quanti l'avvicinavano. Ogni dolore umano trovava nel Beato una dolce parola di conforto ed una luce di cristiana speranza. La gente di mare specialmente ricorreva a lui con commovente fiducia. Quando verso l'estate del 1866 scoppiò una furiosa epidemia in Genova. non recò meraviglia, ma solo profonda commozione, il sapere che il « Padre santo » aveva offerto al Signore la sua vita in olocausto, onde far cessare il flagello che aveva colpito la sua città diletta. Era la suprema prova di amore che il laico cappuccino offriva ai suoi fratelli sofferenti, prova accettata da Dio il 17 settembre 1866 col chiamare questo suo servo buono e fedele ai gaudii eterni del cielo. Fu beatificato da Pio XI il 30 giugno del 1929. PRATICA. Offrite la vostra preghiera e il vostro obolo per qualche opera francescana. PREGHIERA. Dio, che ci allieti con l'annua solennità del tuo beato confessore Francesco, concedici propizio, che mentre ne celebriamo la festa, ne imitiamo anche le azioni.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Genova, san Francesco Maria da Camporosso, religioso dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, insigne per la sua carità verso i poveri, che, al dilagare della peste, contrasse egli stesso la malattia, offrendosi come vittima per la salvezza del prossimo.
nome Santa Colomba di Cordova- titolo Martire- nascita IX secolo, Cordova, Spagna- morte 17 settembre 853, Cordova, Spagna- ricorrenza 17 settembre- La storia di questa martire è stata narrata da S. Eulogio di Cordova (11 mar.) in Memoriale Sanctorum, resoconto del martirio dei cristiani che subirono la persecuzione dell'850 in Spagna. Colomba era nata a Cordova, minore di tre figli. Sua sorella, Elisabetta, aveva fondato assieme al marito un convento doppio a Tàbanos, in cui si ritirarono con i loro figli. Suo fratello, Martino, era abate della parte del monastero destinata agli uomini, e ispirata dal loro esempio, Colomba, molto stimata per la sua santità, pur ammettendo che può essere un giudizio esagerato, decise di diventare monaca, ma fu ostacolata, almeno per un breve periodo, dalla madre vedova che desiderava per lei il matrimonio, ma che successivamente, dopo aver cominciato in ogni caso ad accorgersi dell'inutilità della sua opposizione, morì inaspettatamente. Colomba poté entrare nella congregazione di Tàbanos, ma nel 852, quando la persecuzione era già cominciata da un paio d'anni, la congregazione fu cacciata da Tàbanos e le monache si rifugiarono in un convento nei pressi di Cordova, vicino alla chiesa di S. Cipriano (16 set.). Ignorando palesemente una norma episcopale in base alla quale i cristiani non avrebbero dovuto provocare la persecuzione, Colomba un giorno lasciò la casa, si presentò davanti ai magistrati musulmani, e denunciò Maometto e la sua legge. Il magistrato la condannò alla decapitazione, e il suo corpo, gettato nel Guadalquivir, fu recuperato da alcuni amici cristiani e seppellito nella basilica di S. Eulalia (10 dic.) a Fragella. Le reliquie furono presumibilmente portate più tardi all'abbazia di Santa Maria de Nàjera e nel suo priorato dipendente, dedicato a S. Colomba. MARTIROLOGIO ROMANO. A Córdova nell’Andalusia in Spagna, santa Colomba, vergine e martire, che durante la persecuzione dei Mori professò spontaneamente la sua fede davanti al giudice e al consiglio cittadino e fu prontamente decapitata con la spada davanti alle porte del palazzo.
nome San Lamberto di Maastricht- titolo Vescovo e martire- nascita VII secolo, Maastricht- Consacrato vescovo 670- morte 17 settembre 705, Liegi- ricorrenza 17 settembre- Titolo Vescovo di Tongres e Maastricht- Patrono di gallinacei; invocato contro le malattie degli animali domestici, contro l'ernia, l'epilessia e i calcoli biliari- Landeberto, noto successivamente come Lamberto, fu il soggetto di non meno di cinque Vile, la prima scritta nell'VIII secolo, l'ultima nel xii. Nacque nel periodo tra il 633 e il 638 da una famiglia nobile e ricca di Maastricht, che presto sarebbe diventata la città principale della diocesi di Liegi. Secondo i biografi, sarebbe stato insolito che i genitori fossero cristiani, giacché il paganesimo era ancora molto forte in quella zona a quel tempo; nonostante ciò, Lamberto ricevette la sua istruzione a corte, dal vescovo di Tongres-Maastricht, S. Teodardo (10 set.), e alla fine intraprese il sacerdozio. Lo stesso biografo lo descrive in questo periodo, probabilmente con sufficiente accuratezza nonostante il fervore precedente, come «un giovane prudente e di bell'aspetto, cortese e con un bel modo di parlare e di comportarsi; di buona costituzione, forte, un buon lottatore, dalla mente chiara, affezionato, puro e umile, e appassionato di lettura». All'assassinio di Teodardo nel 670 circa, Lamberto fu scelto come successore. Era vescovo da appena cinque anni, quando fu coinvolto nel tumulto politico successivo alla morte di Childerico II di Neustria e Borgogna (656-675). Ebroino, il precedente sindaco del palazzo di Neustria, avido di potere, approfittando della situazione, si vendicò di tutti quelli che avevano appoggiato Childerico, e nel frattempo Lamberto fu espulso dalla sua sede. Dagoberto II d'Austrasia (676-679), presso il quale si rifugiò inizialmente, chiese ai monaci di Stavelot-Màlmedy di accoglierlo e di trattenerlo in una sorta di arresti domiciliari per la sua sicurezza, e nel frattempo lo sostituì nel suo incarico alla diocesi di Liegi con un certo Paramondo. Fu così che Lamberto, nei successivi sette anni, visse semplicemente come un membro della congregazione di Stavelot-Màlme-dy, e il suo biografo offre un aneddoto per illustrare la nuova condizione di vita: una notte d'inverno, Lamberto fece cadere una scarpa provocando un discreto rumore, e quando l'abate ordinò che il responsabile uscisse all'aperto per pregare davanti alla gran croce che si trovava all'esterno della porta della chiesa, senza profferire una parola, uscì, a piedi nudi con addosso solo la camicia. Stava pregando da tre o quattro ore davanti alla croce, quando l'abate chiese ai monaci, che si stavano riscaldando dopo il mattutino, se fossero tutti presenti, ed apprendendo che il responsabile del rumore notturno era ancora fuori, chiese che fosse fatto entrare e fu sbalordito quando vide Lamberto mezzo congelato. All'assassinio di Ebroino nel 680, Pipino di Héristal lo sostituì nell'incarico di sindaco di palazzo, e desiderando consolidare la sua posizione, immediatamente reintegrò tutti i sacerdoti e i vescovi, tra cui Lamberto, che erano stati banditi. Dopo anni di separazione forzata dai suoi fedeli, quest'ultimo ritornò a Maastricht colmo d'energia e zelo, e il periodo che seguì fu fecondo per lui: non solo compì molto seriamente i suoi doveri di vescovo all'interno della zona diTongres-Maastricht, ma si recò personalmente a convertire i pagani che ancora restavano nel Campine e nel Brabante, e in collaborazione con S. Landrada (8 lug.) fondò un monastero per monache a Munsterblizen. Esistono due descrizioni delle circostanze che condussero alla morte di Lamberto: secondo la più tarda, che risale al IX secolo, Pipino iniziò una relazione con Alpais, sorella della moglie, S. Plectrude, e quando Lamberto li rimproverò, Alpais si lamentò con suo fratello, Dodo, che si occupò della faccenda e con un gruppo di seguaci attaccò Lamberto mentre stava pregando nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano a Liegí, uccidendolo. La versione preferita dai primi biografi di Lamberto, che scrivevano neWviii e ix secolo, raccontava che Clodoveo III (675) aveva garantito un privilegio d'immunità per i beni della chiesa della Madonna a Maastricht. Gli agenti del re, furiosi di non poter tassare la chiesa, alla fine riuscirono, molestando il vescovo, a causare una contesa con due parenti di Lamberto, che in risposta all'offesa, si occuparono della questione e uccisero gli agenti. Dodo, amministratore importante delle proprietà reali e parente degli uomini uccisi, giunse con il suo esercito privato per ottenere vendetta. Lamberto ammonì i suoi parenti, sostenendo che avrebbero dovuto espiare la loro colpa, e in quell'occasione furono uccisi sul colpo. Uno degli uomini di Dodo poi si arrampicò fino alla finestra della camera in cui Lamberto si era chiuso a chiave e gettò una lancia, uccidendo il vescovo che stava pregando. Fra il 17 settembre e al massimo l'anno 705. Qualunque sia la versione che riflette in modo migliore la realtà, la natura della morte di Lamberto, unitamente all'evidente santità del suo stile di vita, presto spinsero il popolo a venerarlo come martire. Il corpo fu poi trasferito a Maastricht, ma il popolo cominciò a narrare i miracoli che avvenivano nella casa in cui era morto, dove fu costruita una chiesa, e il suo successore, S. Uberto (3 nov.) vi fece traslare le reliquie. La città di Liegi crebbe intorno a questa chiesa, che divenne cattedrale quando Uberto istituì la sede nella nuova città, anziché a Maastricht. Lamberto è tuttora patrono di questa città, ed esistono prove che il culto fosse esteso sin dai primi tempi. Per la metà del secolo, gli erano già state dedicate diverse chiese, e oggi esistono circa centoquattordici dedicazioni soltanto in Belgio. Alla fine dell'VIII secolo il culto si era diffuso in Renania, Baviera, e Sassonia, ed esiste qualche testimonianza a sostegno della sua espansione anche in Francia ed Inghilterra, dove vi sono due chiese primitive dedicate a S. Lamberto, il cui nome compare in diversi calendari monastici, oltre che in quello di Sarum.<br /> Oltre al culto ufficiale, ne esisteva anche uno fortemente popolare: Lamberto era invocato contro le malattie degli animali domestici, oltre che contro l'ernia e i calcoli biliari e renali. Inoltre, dato che la sua festa coincideva così spesso con la fine del raccolto, si svilupparono delle tradizioni, intorno a quest'aspetto. A Hainaut, Limburg e Brabante, per esempio, si raccoglievano le mele in questo giorno; a Liegi si seminava l'orzo. A Berlino, l'espressione Lambertus Wctter (il tempo atmosferico di Lamberto) è usata per descrivere una giornata splendente di sole, mentre altrove esiste il detto: «Saint Lambert pluvieux, neuf jours dangereux» (Se piove il giorno di S. Lamberto, i nove giorni successivi rappresentano un pericolo). MARTIROLOGIO ROMANO. A Liegi in Austrasia, nell’odierno Belgio, passione di san Lamberto, vescovo di Maastricht e martire, che, mandato in esilio, si ritirò nel monastero di Stavelot; riavuta poi la sede, svolse degnamente il suo ministero pastorale, prima di divenire innocente vittima di uomini a lui ostili.
nome San Satiro- titolo Fratello di Sant'Ambrogio- nascita 334, Treviri, Germania- morte 379, Milano- ricorrenza 17 settembre- Patrono di Sacrestani dell'arcidiocesi di Milano- Uranio Satiro, nato in una famiglia ricca e aristocratica appartenente alla gens Aurelia subito dopo il 330, era fratello maggiore di S. Marcellina (17 lug.) e di S. Ambrogio (7 dic.). Alla morte del padre, prefetto del praetorium dei galli, nel 354, la famiglia si trasferì a Roma, dove i due ragazzi ricevettero una buona istruzione sotto gli occhi attenti della madre e della sorella. Satiro, che scelse la carriera pubblica al contrario di Ambrogio che intraprese la vita religiosa, svolse la professione di avvocato per un breve periodo, e poi divenne governatore di una delle province dell'impero. Nel 374, quando Ambrogio fu nominato vescovo di Milano, diede le dimissioni e cominciò ad amministrare gli affari temporali della diocesi. Compì diversi viaggi in Africa, sembra per recuperare del denaro che era dovuto ad Ambrogio, ma durante l'ultimo viaggio la sua nave affondò al largo delle coste della Sardegna, e dato che rischiò quasi la morte, decise di farsi battezzare alla prima occasione (fino allora era stato solo un catecumeno). Ambrogio, nostra sola fonte d'informazioni sul fratello, descrisse Satiro come un uomo di grande integrità e immensamente gentile, e dal suo ritratto si ricava anche qualche suggerimento, raro in questo periodo, riguardo al suo aspetto fisico: come suo fratello, era piccolo, e di costituzione delicata, e venivano frequentemente scambiati uno con l'altro. Satiro morì improvvisamente a Milano nel 379 circa tra le braccia del fratello e della sorella. Ambrogio pronunciò un'omelia commovente al suo funerale, poi Satiro fu seppellito vicino alla tomba del martire S. Vittore nel Ciel D'Oro annesso alla basilica di S. Ambrogio. In base alla richiesta di Satiro, di disporre liberamente dei suoi beni dopo la morte, Marcellina ed Ambrogio li distribuirono ai poveri. Nel 881, fu costruita in suo onore una chiesa con un monastero annesso, nel centro di Milano. MARTIROLOGIO ROMANO. A Milano, deposizione di san Satiro, i cui meriti sono ricordati da sant’Ambrogio, suo fratello: non ancora iniziato ai misteri di Cristo, avendo fatto naufragio, non temette la morte, ma, per non lasciare la vita senza aver ricevuto i sacramenti, salvato dalle onde aderì alla Chiesa di Dio; un’intimo e reciproco affetto lo unì al fratello Ambrogio, che lo seppellì accanto al santo martire Vittore.
nome San Sigismondo Felice Felinski- titolo Vescovo di Varsavia, Fondatore della Congregazione delle Suore Francescane della Famiglia di Maria- nome di battesimo Zygmunt Szczęsny- nascita 1 novembre 1822, Wojutyn- Ordinato diacono 13 febbraio 1855- Ordinato presbitero 8 settembre 1855- Nominato arcivescovo 6 gennaio 1862 da papa Pio IX- Consacrato arcivescovo 26 gennaio 1862 dall'arcivescovo Wacław Żyliński- morte 17 settembre 1895, Cracovia, Polonia- ricorrenza 17 settembre- Incarichi ricoperti Arcivescovo metropolita di Varsavia (1862-1883), Arcivescovo titolare di Tarso (1883-1895)- Beatificazione<br /> 17 agosto 2002 da papa Giovanni Paolo II- Canonizzazione 11 ottobre 2009 da papa Benedetto XVI- Il Servo di Dio Sigismondo Felice Feliriski nacque l'1 novembre 1822 a Wojutyn, territorio polacco allora soggetto all'Impero russo (oggi appartenente all'Ucraina). A 11 anni rimase orfano del padre. Prese la decisione di diventare sacerdote e fu ordinato 1'8 settembre 1855. Il 6 gennaio 1862 papa Pio IX lo nominò arcivescovo metropolita di Varsavia. Avviò subito una decisa azione di rinascita spirituale e morale della nazione, incrementò la preparazione del clero, la catechesi al popolo, l'assistenza dei poveri e dei bambini. Con coraggio si dedicò alla difesa della libertà della Chiesa di fronte allo Stato. Per la sua fedeltà a Roma, il 14 giugno 1863 fu deportato in Russia e condannato all'esilio. Morì a Cracovia il 17 settembre 1895. Fu dichiarato beato da Giovanni Paolo II il 18 agosto 2002 e canonizzato l'11 ottobre 2009 da Benedetto XVI. MARTIROLOGIO ROMANO. A Cracovia in Polonia, beato Sigismondo Felice Feli ski, vescovo di Varsavia, che si adoperò tra grandi difficoltà per la libertà e il rinnovamento della Chiesa, fondando l’Istituto delle Suore Francescane della Famiglia di Maria al servizio del popolo in ogni suo bisogno.
nome San Pietro di Arbues- titolo Martire- nome di battesimo Pedro de Arbués- nascita 1440 circa, Epila, Spagna- morte 1485, Saragozza, Spagna- ricorrenza 17 settembre- Canonizzazione 29 giugno 1867, da papa Pio IX- Uno dei problemi principali della Spagna medievale fu come bilanciare gli interessi della maggioranza cristiana con quelli delle minoranze ebraiche e musulmane, questione inerentemente delicata, complicata da diversi fattori: il pregiudizio ignorante dei cristiani comuni, per non citare il clero, che non possedeva la tolleranza propria dei loro capi più illuminati, oltre al fatto che durante il XIV secolo, molti ebrei erano commercianti, artigiani, o piccoli agricoltori, alcune famiglie erano diventate molto importanti, sia finanziariamente, sia svolgendo incarichi pubblici e persino ecclesiastici, causando l'invidia dei vecchi cristiani (quelli che potevano rintracciare le loro origini cristiane attraverso un certo numero di generazioni). La persecuzione contro gli ebrei era stata riaccesa da un predicatore antisemita a Siviglia nel 1391, e la violenza si estese rapidamente ad altre città per tutta la Spagna. Terrorizzati, molti ebrei si convertirono al cristianesimo, e quando successivamente fu loro concessa l'opportunità di riconvertirsi al giudaismo, la maggior parte non accettò l'offerta, ritenendo più sicuro restare fedeli al cristianesimo. È prevedibile che alcune conversioni fossero superficiali, e i conversos non ricevettero quasi nessuna istruzione dopo il battesimo, poi nel XV secolo seguirono ulteriori conversioni di massa. In qualità di cristiani, gli ebrei e i musulmani convertiti potevano occupare uffici civili e persino ecclesiastici, e competere in questo campo con i vecchi cristiani, con notevole successo, aumentando di conseguenza il risentimento nei loro confronti. Nel 1449, un grave pogrom ebbe luogo a Toledo, dando origine alle prime accuse (infondate) che gli ebrei convertiti stavano riconvertendosi all'ebraismo su ampia scala, opinione mai condivisa dai regnanti, che pensavano andassero protetti per la particolare abilità che dimostravano in campo finanziario e medico. Questo atteggiamento, di conseguenza, provocò il risentimento popolare nei confronti della monarchia e portò all'istituzione dell'Inquisizione, tribunale ecclesiastico con il compito di scoprire e punire gli eretici, istituzione romana sin dal XII secolo, sebbene all'inizio del XV secolo fosse già in declino. L'Aragona possedeva già un'Inquisizione vecchio stile, ma nel 1478 Ferdinando II d'Aragona (1474-1516) la portò sotto il controllo del re e cominciò a prendere di mira i conversos. La Castiglia, dove l'antisemitismo era più considerevole, ottenne il suo tribunale quando Isabella I (1474-1504) persuase papa Sisto IV (1471-1484) a creare un tribunale spagnolo indipendente. Nel 1483, pur protestando, il papa fu convinto da Ferdinando a estendere l'autorità dell'inquisitore generale per la Castiglia, il domenicano Tomàs de Torquemada, all'Aragona, a cui si opposero in massa sia i vecchi cristiani sia i conversos: furono inviate alcune truppe per consentire l'istituzione del tribunale nella città di Temei, uno dei centri principali dell'opposizione, oltre che a Saragozza. Non molto tempo prima, un giovane di nome Pietro (Pedro) Arbues esercitò la sua professione come canonico regolare a Saragozza; nato a Epila nella regione di Saragozza nel 1440 circa, aveva studiato prima in Spagna, poi al Collegio Spagnolo a Bologna, conseguendo risultati brillanti in teologia e in diritto. Per quanto riguarda il carattere, era noto per la sua austerità e assoluta integrità, e nonostante il desiderio di vivere come un semplice religioso, il suo interesse zelante per l'ortodossia e l'erudizione attirarono l'attenzione di Torquemada, che lo nominò inquisitore provinciale del regno d'Aragona. Non vi è dubbio che nei pochi mesi in cui svolse quest'incarico, Pietro s'impegnò duramente e metodicamente, ed è provato che diversi cristiani ebrei di conseguenza furono sicuramente almeno torturati. Non sorprende quindi che dato il suo zelo si creò dei nemici, che diffusero l'immagine di un uomo freddo, crudele e severo. L'idea di assassinare un inquisitore cominciò a circolare tra i principali gruppi di conversos, appoggiati da alcuni vecchi cristiani.<br /> La notte del 15-16 settembre 1485 otto cospiratori entrarono nella cattedrale di S. Salvatore a Saragozza, mentre Pietro stava pregando; era stato avvisato delle minacce di morte perciò indossava una maglia di ferro sotto la tonaca e un copricapo di ferro, ma una coltellata al collo si dimostrò fatale: accorsero i canonici della cattedrale e lo trovarono agonizzante. La morte sopraggiunse dopo ventiquattro ore, e il corpo fu seppellito nella cattedrale di Saragozza. Il suo assassinio cambiò l'intera situazione: fu immediatamente acclamato come santo, e il popolo si aggirò per le strade in cerca dei conversos. L'inquisizione riprese, e gli assassini e i loro mandanti furono catturati e uccisi con estrema brutalità nei successivi sette anni. I conversos avrebbero dovuto prevedere con sicurezza quale sarebbe stato il risultato, ed è molto probabile che l'omicidio sia stato eseguito da una fazione antisemita per far ricadere la colpa su di loro. Pietro fu beatificato nel 1664 e canonizzato nel 1867. MARTIROLOGIO ROMANO. A Saragozza nell’Aragona in Spagna, san Pietro de Arbués, sacerdote e martire: canonico regolare dell’Ordine di Sant’Agostino, lottò nel regno di Aragona contro le superstizioni e le eresie e morì percosso da alcuni inquisiti davanti all’altare della cattedrale.