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05/03/2024 alle 09:49

I santi di oggi 5 marzo:

I santi di oggi 5 marzo:

nome Sant'Adriano di Cesarea- titolo Martire- nascita III Secolo, Adria, Rovigo- morte 5 marzo 309, Cesarea in Palestina- ricorrenza 5 marzo- Patrono dei corrieri- Subì il martirio con Eubulo l'anno 309, «sesto anno della persecuzione», secondo la testimonianza di Eusebio. Essendo venuti ambedue a Cesarea in Palestina per aiutare i martiri di quella città, i due santi furono scoperti e, per aver confessato la loro fede, furono condannati alle belve il cosidetto "damnatio ad bestias". Adriano, dopo essere stato gettato in pasto ad un leone, fu finito con la spada. Nei sinassari greci il giorno 7 o 8 maggio è celebrata la festa dei Ss. Eubulo e Giuliano. MARTIROLOGIO ROMANO. A Cesarea in Palestina, sant'Adriano, martire, che, durante la persecuzione dell'imperatore Diocleziano, nel giorno in cui gli abitanti erano soliti celebrare la festa della Fortuna, per ordine del governatore Firmiliano, fu per la sua fede in Cristo dapprima fu gettato in pasto a un leone e poi sgozzato con la spada.

nome San Lucio I- titolo 22º papa della Chiesa cattolica- nascita Roma- Elezione 25 giugno 253- Fine pontificato 5 marzo 254 (0 anni e 253 giorni)- morte 5 marzo 254, Roma- ricorrenza 5 marzo- Beatificazione<br /> 12 marzo 1601 da papa Clemente VIII- Canonizzazione 22 dicembre 1738 da papa Clemente XII e Clemente XIII- Santuario principale Catacombe di San Callisto- Fu Pontefice dal 253-254; morì a Roma il 5 marzo 254. Dopo la morte di papa San Cornelio, morto in esilio nell'estate del 253, Lucio fu scelto al suo posto e fu consacrato Vescovo di Roma. Non si sa quasi nulla della vita di questo Papa prima del suo pontificato. Secondo il libro Liber Pontificalis, era romano di nascita e suo padre si chiamava Porfido. Altre fonti altre, più attendibili, lo dicono toscano, nato a Lucca, figlio di Licinio. A Roma, fece parte del clero dell'Urbe sotto i Papi Fabiano e Cornelio. La persecuzione della Chiesa sotto l'imperatore Gallo, proteggeva gli eretici Novaziani e osteggiava i cattolici. Anche Lucio fu mandato in esilio subito dopo la sua consacrazione, a Vescovo di Roma ma in breve tempo, presumibilmente quando Valeriano fu nominato imperatore, gli fu permesso di tornare al suo gregge. Il Catalogo Feliciano, le cui informazioni si trovano nel Liber Pontificalis, ci informano dell'esilio di Lucio e del suo miracoloso ritorno: San Cipriano, scrisse una lettera (ora perduta),di congratulazioni a Lucio per la sua elevazione alla Santa Sede e per il suo esilio, inviò una seconda lettera di congratulazioni a lui e ai suoi compagni in esilio, così come a tutta la Chiesa romana (ep. LXI, ed. Hartel, II, 695 mq.).<br /> La lettera inizia con: "Caro Fratello, di recente ti abbiamo offerto le nostre congratulazioni, quando Dio ti ha esaltato a governare la Sua Chiesa e ti ha concesso la doppia gloria di confessore e vescovo. Ancora una volta ci congratuliamo con voi, i vostri compagni e tutta la congregazione; con questo, a causa della protezione gentile e potente del nostro Dio, Egli ti ha ricondotto con lode e gloria a Sé stesso, affinché il gregge riceva il suo pastore. Il pilota barca e le persone a un regista che governa e mostrare loro apertamente che era il piano di Dio che ha permesso il tuo esilio, non per il vescovo in esilio è stato privato della sua Chiesa, ma piuttosto di tornare alla sua Chiesa con maggiore autorità”. Sfortunatamente quest'augurio non sì avverò, e Lucio non fu martire. Morì pochi mesi dopo, nel marzo del 254, in un periodo di relativa tranquillità per la Chiesa. Lucio fu sepolto in un vano della volta papale nelle catacombe di San Callisto. Nello scavo della volta, è stato trovato un grande frammento dell'epitaffio originale, che dà solo il nome del Papa in greco: LOUKIS. La lastra è rotta proprio dietro la parola, quindi con ogni probabilità non c'era scritto nient'altro che il titolo EPISKOPOS (vescovo). Le reliquie del santo furono traslate da papa Paolo I (757-767) nella Chiesa di San Silvestro in Capite, poi da papa Pasquale I (817-824) nella Basilica di Santa Prassede. La sua testa attualmente è conservata in un reliquiario nella Cattedrale cattolica di Sant'Ansgar a Copenaghen, in Danimarca. L'autore del "Liber Pontificalis" ha attribuito a San Lucio un decreto, secondo il quale due sacerdoti e tre diaconi devono sempre accompagnare il vescovo per essere testimoni della sua vita virtuosa. Tale misura doveva essere necessaria in determinate condizioni in un periodo successivo; ma all'epoca di Lucio questo era incredibile. Questo presunto decreto portò una successiva falsificazione a inventare un altro decreto apocrifo attribuito a Lucio. La storia contenuta nel Liber Pontificalis secondo cui Lucio, morente, diede all'arcidiacono Stefano il potere sulla Chiesa cosa che accadrà tre secoli dopo a Felice III e Bonifacio II è inventata. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma sulla via Appia nel cimitero di Callisto, deposizione di san Lucio, papa, che, successore di san Cornelio, subì l’esilio per la fede in Cristo e, insigne testimone della fede, affrontò le difficoltà del suo tempo con moderazione e prudenza.

nome San Giovan Giuseppe della Croce- titolo frate Francescano Alcantarino- nome di battesimo Carlo Gaetano Calosirto- nascita 15 agosto 1654, Ischia- morte 5 marzo 1734, Napoli- ricorrenza 5 marzo- Beatificazione 24 maggio 1789 da papa Pio VI- Canonizzazione 26 maggio 1839 da papa Gregorio XVI- Santuario principale Collegiata dello Spirito Santo- Patrono di Regno delle Due Sicilie, Diocesi di Ischia, Napoli, Ischia- Carlo Gaetano furono i nomi di Battesimo di questo santo: nomi che egli stesso cambiò in Giovanni Giuseppe della Croce, quando fu ricevuto novizio nell'Ordine Minore Riformato. Nacque Giovanni Giuseppe ad Ischia, isola e città del Napoletano, da piissimi genitori. La madre trasfuse nel cuore del bimbo il più puro amore a Gesù e Maria. Così ben vigilato e custodito, crebbe di pari passo in età e in grazia.<br /> Della sua infanzia e giovinezza si sa che nutriva grande devozione a Gesù Sacramentato, dinanzi al quale passava lunghe ore, che spesso lo riceveva nel suo tenero ed infiammato cuore, che era maestro dei compagni nella dottrina cristiana; che amava grandemente i poverelli e che soprattutto prediligeva la vita nascosta e mortificata. Tutti i sabati e le vigilie delle feste della SS. Vergine, erano per lui giorni di severo digiuno. Questa fu la condotta del nostro santo in famiglia. Entrato tra i Minori Riformati, la sua vita' divenne molto più austera. penitente, umile e fervorosa. Nell'austerità della regola trovò la palestra della sua perfezione. Non appena ebbe terminato il noviziato, fu inviato a Piedimonte d'Alife, perchè fondasse quivi un convento. E Giovanni Giuseppe lo costruì angusto e scomodo, perchè risultasse un vero luogo di penitenza. Il fondatore e i primi discepoli lo santificarono colla loro vita raccolta e mortificata. Dopo tali prove di virtù fu dai superiori ritenuto idoneo per ricevere i sacri ordini. e fu consacrato sacerdote. Sprovvisto quasi del tutto di studi, ebbe il dono della scienza infusa.<br /> Successivamente occupò la carica di maestro dei novizi e di guardiano: sempre e in tutto Precedette con l'esempio. Sulle sue orme sante trovarono agevole cammino alla perfezione i religiosi a lui affidati. Dio lo benedisse grandemente e gli concesse il dono dei miracoli. Ritiratosi più tardi in un eremo da lui fondato, attese più intensamente al perfezionamento della sua vita interiore ed a preparami alla morte che al venne il 5 marzo 1734. Fu canonicato il 26 maggio 1839. PRATICA. Impariamo a tornare alla mortificazione.<br /> PREGHIERA. O Signore che ci allieti con l'annua solennità del tuo beato confessore Giovanni Giuseppe della Croce, concedici propizio, che, mentre ne celebriamo la festa, ne imitiamo anche le azioni. MARTIROLOGIO ROMANO. Sempre a Napoli, san Giovanni Giuseppe della Croce (Carlo Gaetano) Calosirto, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che, sulle orme di san Pietro di Alcántara, ripristinò la disciplina religiosa in molti conventi della provincia napoletana.

nome San Foca l'Ortolano- titolo Martire- nascita III secolo, Sinope nel Ponto- morte 303 circa, Sinope nel Ponto- ricorrenza 5 marzo, 23 luglio, 22 settembre- Attributi Palma del martirio- Patrono di agricoltori, giardinieri e naviganti, Francavilla Angitola, San Foca, Castiglione Marittimo- S. Foca, nativo di Sinope nel Ponto, desideroso di ben impiegare il tempo, coltivava con le proprie mani un suo giardino, situato in un luogo vicino alla città. Vendeva poi i frutti di quello e con una parte del danaro che ne cavava, provvedeva ai suoi bisogni, spendendo l'altra a beneficio de' poveri pellegrini. Suscitata dall'imperatore Decio una fiera persecuzione contro i cristiani, S. Foca ebbe la sorte di dar la sua vita per Gesù Cristo, poichè, conosciuto per cristiano, furono spediti soldati per ucciderlo, i quali per informarsi bene di lui si fermarono in una casa, che era appunto quella di Foca, il quale li ricevè e trattò con tutta carità. Interrogato poi da essi se conosceva un certo Foca, rispose: «Attendete pure a star allegramente questa sera, che domani ve lo farò vedere». Fattosi giorno disse loro: «Io son quel Foca cristiano, che voi cercate». Maravigliati di sì generoso fatto quei soldati, cominciarono a discorrere del modo di donar la vita a sì buon ospite; del che accorgendosi Foca, li pregò ad ubbidire al loro Signore, animandoli con coraggio ad eseguire la commissione per cui erano stati inviati, onde essi si indussero finalmente, benchè con rammarico, a tagliargli la testa. MASSIMA. Chi perseguita il suo nemico e vuol vendicarsi, è simile ad un frenetico che batte la testa contro i muri parendogli d'offendere e di vendicarsi mentre ci resta più che mai offeso. PRATICA. O quanto sarete sicuro d'essere protetto in questo mese da S. Foca, se per amor suo amerete i vostri nemici ! Faceva del bene a' suoi persecutori ; e che credete sia per fare con un divoto imitatore delle sue virtù?

nome Beato Geremia da Valacchia- titolo frate Cappuccino- nome di battesimo Ion Kostist- nascita 29 giugno 1556, Tzazo, Romania- morte 5 marzo 1625, Napoli- ricorrenza 5 marzo- Beatificazione 30 ottobre 1983 da papa Giovanni Paolo II- Giovanni Kostist era il primo figlio di Margherita Barbato e del contadino Stoika Kostist. Nacque il 29 giugno 1556 a Tzazo nella Valacchia (Moldavia inferiore). Quella regione era popolata da ortodossi, protestanti, turchi musulmani e alcuni cattolici; tale diversità contribuì a formare il grande senso di tolleranza e di rispetto propri di Giovanni. In casa venne educato a un profondo amore per i poveri; nonostante anche la sua famiglia non fosse benestante, tutto ciò che si poteva, veniva distribuito a chi aveva ancora meno. Giovanni e suo nonno tagliavano la legna per i poveri, mentre sua madre usava il grano che avanzava per fare loro del pane. A diciott'anni Giovanni lasciò la Romania e su suggerimento della madre emigrò in Italia alla ricerca di una nuova vita. Il nome di lei fa pensare che essa fosse d'origine italiana, però non è chiaro qua-le futuro avesse in mente per il figlio, né se contasse su qualche parente pronto ad accogliere Giovanni e ad aiutarlo a trovare un lavoro. In ogni modo il giovane, dopo avere trascorso i suoi primi quattro anni in Italia in modo piuttosto precario, stava pensando di tornare in patria. Qualcuno però gli suggerì di andare a cercare fortuna a Napoli ed egli accettò; chiese ai frati cappuccini, che già aveva conosciuto a Bari, di accoglierlo nel loro ordine. Venne accettato immediatamente poi, nel 1578, ricevette l'abito e il nome di Geremia e nel 1579 fece la professione.<br /> Trascorse il resto della vita occupandosi degli ammalati; li accudì in diversi conventi, ma lavorò per quarant'anni di seguito a S. Eframo Nuovo a Napoli, dove c'erano centosessanta posti letto, ma molti più pazienti. Geremia mise al servizio dei sofferenti il suo cuore estremamente generoso e la sua grande capacità di rinuncia. Sembrava prediligere i lavori più umili e più faticosi, si occupava sempre dei malati difficili e boriosi e considerava quei servizi un privilegio speciale che gli era dovuto. Nonostante trascorresse le sue giornate a fare lavori pesanti, passava poi gran parte della notte in preghiera ed esortava i suoi compagni a fare altrettanto. Il sostegno alla sua vita spirituale e la fonte della sua forza morale provenivano dal profondo attaccamento al Signore, ai sacramenti, a Maria e alla meditazione della passione. La sua carità era talmente grande da non esaurirsi all'interno del monastero e così gente di ogni ceto, quando si ammalava, chiedeva di frate Geremia. Era destino che Geremia dovesse morire proprio per la sua grande carità: una volta, un prete della zona lo chiamò, chiedendogli di andare a trovare a Napoli il dignitario di corte Giovanni Avales, che si era gravemente ammalato. Il frate per raggiungerlo percorse sette chilometri a piedi, di notte durante un forte temporale e contrasse una polmonite dalla quale non si riprese più. Morì il 5 marzo 1625 a sessantanove anni. La devozione nei suoi confronti è rimasta invariata nel corso di trecentocinquant'anni; è stato beatificato, primo romeno a esserlo, il 30 ottobre 1983 da Giovanni Paolo II.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Napoli, beato Geremia (Giovanni) Kostistik da Valacchia, che, religioso dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, ininterrottamente per quarant’anni diede assistenza agli infermi con carità e letizia.

nome San Gerasimo- titolo Anacoreta e abate- nascita Licia, Asia Minore- morte 5 marzo 475, Giordano- ricorrenza 5 marzo- Canonizzazione Precanonizzazione- Attributi Saio e leone- Patrono di Cefalonia- San Gerasimo nacque a Licia in Asia Minore, dove, prima di trasferirsi in Palestina, visse diversi anni da eremita. Seguì la propria chiamata alla solitudine nel deserto della Giordania, ma poi aderì all'eresia nestoriana propagata in Palestina dal monaco Teodosio. Gerasimo, attorno al 453 fece visita al fondatore del monachesimo giudaico, S. Eutimio (20 gen.), spinto dalla venerazione universale di cui questi godeva e venne da lui convinto ad accettare il concilio di Calcedonia. Da quel momento in poi Gerasimo visse in regime di grande penitenza per rimediare ai propri errori. Gerasimo raccolse attorno a sé così tanti discepoli da dover costruire una settantina di celle per eremiti intorno a un monastero per aspiranti. La regola che scrisse per la vita nel monastero era meno severa di quella per gli eremiti, tenuti al silenzio totale, a dormire su un materasso di canne e senza poter accendere fuochi nelle proprie celle. Se i monaci si assentavano, dovevano lasciare aperti gli eremi, cosicché chiunque potesse usufruire dei loro beni, che erano proprietà di tutti secondo gli insegnamenti dei primi cristiani. Durante la settimana essi potevano mangiare solo pane e datteri e bere acqua, mentre al fine settimana, quando si radunavano tutti presso il monastero per la Messa, avevano il permesso di cucinare e bere un po' di vino. Se qualcuno di loro si azzardava a chiedere a Gerasimo il permesso di accendere una candela per leggere, di cucinare o anche solo di scaldare un po' d'acqua, egli rispondeva in modo brusco e sgarbato che quelle cose non erano fatte per gli eremiti e che chi non poteva privarsene avrebbe fatto meglio a passare nel convento. Gerasimo, da parte sua, durante tutto il periodo quaresimale si nutriva solo dell'eucarestia. I frati eseguivano anche lavori manuali, come intrecciare ceste o funi; alla domenica sera venivano distribuite le frasche di palma e al sabato successivo si restituiva il lavoro svolto. S. Eutimio aveva una tale stima di Gerasimo da mandargli Ciriaco, un giovane di Corinto che non poteva essere accettato nella sua laura perché troppo giovane. Gerasimo dapprima lo affidò al convento, ma poi, dopo averlo scoperto a pregare di notte, dopo che aveva tagliato legna, trasportato acqua e cucinato per tutto il giorno, lo prese con sé. Eutimio aveva portato con sé in Palestina l'usanza armena di trascorrere in stretta solitudine il periodo che andava dall'ottava dell'Epifania, festa del battesimo del Signore, alla Domenica delle Palme. Un gruppo di asceti, a cui si era unito anche Gerasimo, aveva l'abitudine di passare quel periodo addentrandosi nel deserto al seguito di Eutimio. Essi osservavano la regola della solitudine completa dalla domenica sera al venerdì e si ritrovavano solo per celebrare tutti insieme lc liturgie del sabato e della domenica. Nel 473, in attesa di uno di quegli spostamenti, Gerasimo e Ciriaco raggiunsero S. Eutimio, che però, prevedendo la propria morte, chiese ai due di posticipa re la partenza di una settimana. Dopo alcuni giorni, Gerasimo vide in sogno l'anima di Eutimio che raggiungeva il paradiso e così decise di prendere con sé Ciriaco e di andare a comporre il corpo del santo. La laura di S. Gerasimo sopravvisse a lungo alla sua morte, avvenuta nel 475, durante l'impero di Zenone. Giovanni Mosco nel suo Prato Spirituale racconta un episodio interessante della vita di Gerasimo. Un giorno, un leone, evidentemente ferito a una zampa che non appoggiava a terra, gli si avvicinò. L'eremita trovò una grossa spina piantata nella zampa e dopo averla estratta, lavò e bendò la ferita del leone. Da quel momento in poi la fiera rimase sempre al fianco del monaco; anzi, divenne il "leone da guardia" dell'asino che veniva utilizzato per il trasporto dell'acqua del monastero. Un giorno, alcuni mercanti arabi rubarono l'asino e il leone tornò a casa solo e sconsolato. L'abate accusò il leone di essersi mangiato l'asino e per punizione lo incaricò del trasporto dell'acqua, cosa che il felino fece obbedientemente. Dopo non molto tempo però, i ladri tornarono con l'asino rubato e con tre cammelli; il leone scacciò i ladri, afferrò con le fauci le briglie dell'asino e, in grande trionfo, lo condusse al monastero assieme ai tre cammelli. A quel punto Gerasimo non poté far altro che ammettere il proprio errore. Quando il vecchio abate morì, la povera bestia era inconsolabile e così il nuovo abate gli disse: «Il nostro amico è andato dal Signore e ci ha lasciati orfani, ma tu prendi il tuo cibo e mangia». Il leone iniziò a lamentarsi ancora di più finché l'abate fu costretto a condurlo sulla tomba di Gerasimo. L'animale allora ci si sdraiò sopra e cominciò a sbattere il muso sulla terra senza che nessuno riuscisse a fermarlo; dopo tre giorni venne trovato morto nello stesso punto. È probabile che il leone associato a S. Girolamo sia in realtà quello di Gerasimo; la confusione potrebbe essere dovuta alla forma latina del nome di Girolamo: Hieronimus o Geronimus. MARTIROLOGIO ROMANO. In Palestina sulle rive del Giordano, san Gerásimo, anacoreta, che, al tempo dell’imperatore Zenone, ricondotto alla retta fede da sant’Eutimio, fece grande opera di penitenza, offrendo a tutti coloro che sotto la sua guida si esercitavano nella vita monastica, un modello irreprensibile di disciplina e di vita.

nome San Conone l'ortolano- titolo Martire in Panfilia- nascita III secolo, Nazaret- morte III secolo, Panfilia- ricorrenza 5 marzo- Il Martirologio romano commemora al 6 marzo il martirio a Cipro di Conone, vittima della persecuzione di Decio (249-51). Con i piedi trapassati da chiodi il Santo fu costretto a correre davanti a un carro finché, cadde in ginocchio e, mentre levava a Dio l'ultima preghiera, morì. Questa breve notizia non è altro che il riassunto dell'elogio dedicato al martire Conone l'Ortolano nei sinassari bizantini . Sempre dai sinassari si può dedurre che Conone nacque a Nazareth, in Galilea, ma si trasferì ben presto in Panfilia dove condusse una vita molto semplice, forse di eremita. Coltivava un piccolo orto e si nutriva dei pochi legumi che vi crescevano. Un dubbio si può sollevare sulla sua origine palestinese che può essere fondata esclusivamente su una risposta data da Conone al prefetto Publio (o Pollione) che aveva ordinato il suo martirio: «Sono di Nazareth, la mia famiglia è quella di Cristo». Questa risposta, infatti, non può essere considerata indicativa del luogo di origine del martire. San Conone l'Ortolano è commemorato il 5 marzo. MARTIROLOGIO ROMANO. In Panfilia, nell’odierna Turchia, san Conone, martire, che, giardiniere, sotto l’imperatore Decio, fu costretto a correre, con i piedi trafitti da chiodi, davanti ad un carro e, caduto in ginocchio, pregando rese lo spirito a Dio.

nome San Teofilo di Cesarea di Palestina- titolo Vescovo- ricorrenza 5 marzo- Eusebio di Cesarea ricorda Teofilo vescovo di Cesarea di Palestina nella cronologia dei principali capi delle chiese locali al tempo dcl Papa romano Vittore (189 circa-200). Lo stesso autore riparla in altre due occasioni di Teofilo, a proposito di un sinodo riunito in Palestina e della posizione dei vescovi di quella regione, in relazione alla usanza di celebrare la festa di Pasqua in domenica. A parte questa fonte però della vita del Santo non si conosce nulla. Inoltre non sembra che Teofilo abbia goduto di un culto particolare negli antichi calendari. Il nome di San Teofilo é stato introdotto nel Martirologio Romano al 5 marzo, con un breve elogio in cui si loda la sua saggezza e l'integrità della sua vita.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di san Teofilo, vescovo di Cesarea in Palestina, che, sotto l’imperatore Settimio Severo, rifulse per sapienza e integrità di vita.

nome San Ciarano di Saighir- titolo Abate e Vescovo- nascita VI secolo, Ossory, Irlanda- morte VI secolo, Saighir, Irlanda- ricorrenza 5 marzo- Patrono di Diocesi di Ossory- Tracce linguistiche e scavi archeologici nel sud e nel sud est dell'Irlanda, risalenti ai primi secoli dopo Cristo, avallano l'ipotesi di scambi commerciali con romani, brettoni e galli e di un'influenza cristiana portata dai primi mercanti e missionari. Un'altra testimonianza di una fervente vita religiosa cristiana è data da numerose antiche leggende che parlano di santi vissuti in quella regione. S. Girano, probabilmente nativo di Ossory, è uno dei tanti santi che vissero in Irlanda già prima dell'arrivo di Palladio (6 lug.) o Patrizio (17 mar.) ed è tradizionalmente considerato un contemporaneo di S. Ailbeo (12 set.). Vi sono testimonianze scritte secondo le quali Cirano, dopo essersi costruito una cella in una bella zona circondata da boschi e vicina a una famosa sorgente, visse da eremita per un certo periodo. I suoi primi discepoli, secondo le bellissime leggende riportate nella sua biografia, furono degli animali: frate Cinghiale, frate Tasso, frate Volpe e frate Cervo. Le storie di cui sono protagonisti, hanno tutte una certa morale o volontà ascetica, come quella in cui si narra di frate Volpe che, sentendosi un po' affamato, ruba i sandali di Girano per mangiarli; frate Tasso viene subito mandato da lui per convincerlo a pentirsi e, quando frate Volpe torna, viene punito con tre giorni di digiuno. Cirano trovò anche tra gli uomini molti discepoli e per loro costruì un monastero, o meglio un agglomerato di capanne, intorno al quale sorgerà poi una città chiamata in suo onore Seir Ciaran. Il nome della città, che si trova a tre o quattro miglia da Burr in Offaly, mutò poi in Saighir o Saigher. Si ritiene che Girano sia anche stato consacrato vescovo e se ciò fosse vero, egli sarebbe senza dubbio uno dei primi di una lunga serie di abativescovi tipici della Chiesa irlandese. I re di Ossory furono sepolti nel monastero di Girano. I resti del monastero sono tuttora visibili e, in una chiesa dell'isola di Cape Clear (Cork), sono stati ritrovati resti di quello che è ritenuto il suo eremo. MARTIROLOGIO ROMANO. A Saighir nella regione dell’Ossory in Irlanda, san Chierano, vescovo e abate.

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