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I santi di oggi 17 novembre:
nome Sant'Elisabetta d'Ungheria- titolo Religiosa- nascita 1207, Presburgo (Bratislava), Slovacchia- morte 17 novembre 1231, Marburgo, Germania- ricorrenza 17 novembre, 19 novembre messa tridentina e in Ungheria e zona germanofona- Canonizzazione 27 maggio 1235 da papa Gregorio IX- Attributi Corona, elemosina, brocca, cesto con pane, frutta, pesci, grembiule con rose, saio e cingolo- Patrona di Assia, infermieri, società caritatevoli, fornai, Ordine Francescano Secolare- S. Elisabetta, figlia di Andrea re d'Ungheria e di Gertrude, nacque in Presburgo, allora regno d'Ungheria, l'anno 1207. A quattro anni, secondo l'uso dei tempi, era già promessa in sposa al principino Ludovico, col quale fu educata e crebbe tra il fasto ed i cattivi esempi della corte. Ma il Signore la prevenne con le sue benedizioni e non permise che fosse guastata dall'aria contagiosa delle ricchezze e dei piaceri. Appena quindicenne adunque per volontà dei parenti impalmò il promesso sposo Ludovico IV, langravio di Turingia in Germania, il quale per primo dono di nozze gli presentò uno specchio riflettente l'immagine del Salvatore. D'allora un triplice amore: verso la famiglia, Dio ed il prossimo divenne l'occupazione di tutta la sua vita. A questo fine Elisabetta divise le ore del giorno tra la preghiera, il lavoro, le visite agli infermi e il soccorso agli indigenti.
Biasimata spesso dai cortigiani quasi che il suo modo di vivere convenisse più ad una monaca che ad una principessa, essa appoggiata dal suo pio marito seppe imporre silenzio ed indurre molti a seguire i suoi esempi. Entrando in chiesa, deponeva la regale corona, stimandosi indegna di comparire col capo ornato di gemme dinanzi a Colui che fu incoronato di spine. Similmente aborriva ogni sfarzo, ma pregava, lavorava e colla sua carità illuminata provvedeva ogni giorno a più di 900 poveri. Ella stessa si portava nei tuguri dei villaggi dove consolava materialmente e spiritualmente i miseri. Un giorno, scendendo dal castello di Wartburg fino al villaggio di Eisenach, nel suo pio esercizio di carità col mantello pieno di pani destinati ai poveri, incontrò il marito Ludovico che, contrario alle sue volontà, volle ad ogni costo veder cosa contenesse: apertolo, non vi trovò che un fascio di rose fragranti. Altra volta raccolse un fanciullo lebbroso e, curatolo, lo depose nel suo letto coniugale; salito il principe in camera e tirate le coperte, invece del lebbroso trovò l'immagine del Crocifisso. In quel tempo si diffuse in tutta la Germania una spaventosa carestia a cui la madre dei poveri (così era comunemente chiamata la nostra Santa) andò incontro dando fondo al ricco erario e privandosi di tutti gli oggetti di lusso. Ma il Signore volle dalla sua serva fedele prove d'amore e fedeltà ben maggiori. Ludovico, partito coi crociati per la Terra Santa, quando fu giunto ad Otranto, cadde infermo e morì. A tanta sciagura si aggiunse la più spietata persecuzione. Il cognato Enrico, usurpato il langraviato, spogliò Elisabetta di tutte le sue possessioni e barbaramente la scacciò di corte con i suoi bambini. Un bando vietava ai sudditi di accoglierla, e la regina dei poveri non trovò rifugio che in una stalla. È straziante quella pagina della sua vita; ella però tutto sopportò con animo profondamente rassegnato, e Dio volle che le fosse resa giustizia. Per opera del padre suo fu reintegrata nei suoi diritti e in quelli dei figli: restituiti i beni, le fu restituita la corona e proposta anche la mano di un principe; ma essa, vestendo l'abito e la fune del poverello d'Assisi, preferì la povertà ad ogni gloria umana, riconoscente a Dio dei dolori e di tutte le ingratitudini sofferte. Le celesti consolazioni del suo Divino Sposo allietarono i suoi ultimi giorni ed ella morì il 17 novembre 1231 a soli 25 anni di età. Fu proclamata santa da papa Gregorio IX nel 1235. PRATICA. Facciamo sempre la carità ai poveri. PREGHIERA. Illumina, Dio misericordioso, i cuori dei tuoi fedeli, e per le preghiere gloriose della beata Elisabetta fa' che noi disprezziamo le prosperità del mondo e godiamo sempre delle consolazioni celesti.
MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di santa Elisabetta di Ungheria, che, ancora fanciulla, fu data in sposa a Ludovico, conte di Turingia, al quale diede tre figli; rimasta vedova, dopo aver sostenuto con fortezza d'animo gravi tribolazioni, dedita già da tempo alla meditazione delle realtà celesti, si ritirò a Marburg in Germania in un ospedale da lei fondato, abbracciando la povertà e adoperandosi nella cura degli infermi e dei poveri fino all'ultimo respiro esalato all'età di venticinque anni.
nome San Gregorio Taumaturgo- titolo Vescovo- nascita 213 circa, Neocesarea del Ponto- morte 270 circa, Neocesarea del Ponto- ricorrenza 17 novembre- Santuario principale Santuario di San Gregorio Taumaturgo Stalettì (CZ)- Attributi Mitra e bastone vescovile- Patrono di Invocato contro i terremoti, piene dei fiumi e cause disperate- S. Gregorio, soprannominato Taumaturgo, nacque al principio del secolo III in Neocesarea del Ponto. I suoi genitori, illustri per nobiltà e ricchezze, ma idolatri, lo allevarono, assieme al fratello Atenodoro, nel paganesimo. Ma la Provvidenza Divina, che aveva prestabilito di farne due grandi luminari della Chiesa, dispose che ancora fanciulli trovassero la verità e la vera religione. Dotato di grande penetrazione e di una sete inestinguibile di sapere, Gregorio fu messo a frequentare la scuola di filosofia del celebre Origene. Alla luce di quelle lezioni tanto eloquenti, la sua mente fu rischiarata e ben presto volle essere battezzato. Approfonditosi in modo particolare nello studio della S. Scrittura, deliberò di consacrarsi interamente al divino servizio e di rinunziare ad ogni vantaggio terreno. Infatti, mentre era ancora a Cesarea, la morte gli rapi i genitori, ed egli trovandosi padrone di molte ricchezze, ne fece parte alle vedove ed agli orfani e si ritirò in una solitudine. Colà la penitenza, la preghiera e lo studio della Sacra Bibbia furono i suoi grandi mezzi per salire alla contemplazione e alla perfezione. Non poté tuttavia rimanere ignoto, poichè la fama delle sue virtù giunse agli orecchi del santo vescovo Fotino, che per speciale rivelazione dello Spirito Santo lo volle far risplendere sul candelabro della Chiesa, creandolo vescovo di Neocesarea. Invano tentò di sottrarsi al grave peso; ma conosciuta essere quella la volontà di Dio, dopo una conveniente preparazione, fece l'ingresso nella sua popolatissima città, che non contava però più di 17 cristiani. Nondimeno la sua fama di uomo straordinario aveva preparato quel popolo idolatra al culto del vero Dio; e da parte sua il Santo non risparmiò sforzi, preghiera e specialmente miracoli per affrettarne la conversione. Ne riportiamo qualcuno. Trattavasi di costruire il primo tempio cristiano; ma il fiume da un lato e la montagna dall'altro rendevano angusto il luogo. Il Santo comandò al monte di scostarsi, e il monte docilmente si spostò quanto era necessario. Il popolo si lamentava che una palude, già causa di discordie tra fratelli, rendeva insalubre il clima. San Gregorio col segno di croce la fece divenire fertile campagna. In una piena, il torrente di Casalmacco ruppe gli argini e minacciava l'abitato: vi accorse il Santo, piantò in terra il suo bastone, e le acque si ritirarono nel loro alveo ed il bastone divenne robustissima pianta. I tanti prodigi del vescovo taumaturgo non valsero a salvarlo dalla persecuzione di Decio, né dall'esilio.<br /> Conosciuta per divina rivelazione l'ora della sua morte, comandò di fare diligente ricerca di quanti pagani rimanessero ancora nella sua diocesi, e saputo che erano 17: « Deo gratias! esclamò il Santo, alla mia venuta trovai appunto 17 cristiani! ». Indi dopo 25 anni di episcopato chiuse placidamente gli occhi nel Signore. PRATICA. Preghiamo perchè il Signore aumenti la nostra fede. PRECHIERA. O glorioso S. Gregorio, che con tanto zelo vi adoperaste per la salute degli infedeli, dateci la grazia di condurre alla vita eterna almeno i nostri fratelli. MARTIROLOGIO ROMANO. A Neocesarea nel Ponto, nell'odierna Turchia, san Gregorio, vescovo, che, abbracciata fin dall'adolescenza la fede cristiana, fu grande cultore delle scienze sia umane sia divine; ordinato vescovo si mostrò insigne per dottrina, virtù e zelo apostolico e per i numerosi miracoli da lui operati ricevette il nome di Taumaturgo.
nome Sant'Ilda- titolo Badessa- nascita VII secolo, Northumbria, Inghilterra- morte VII secolo, Inghilterra- ricorrenza 17 novembre- Santuario principale Abbazia di Whitby- Attributi tiene tra le braccia l'Abbazia di Whitby- Il culto di S. Ilda deve essere stato riconosciuto quasi subito dopo la sua morte, poiché il suo nome compare nel calendario di S. Villibrordo (7 nov.), scritto all'inizio dell'viii secolo. Ilda era una delle figlie di Ererico, uno dei nipoti di S. Edwin, re di Northumbria (12 ott.), che visse in esilio con la sua famiglia nell'enclave britannico di Elmet (nell'attuale Yorkshire settentrionale). Fu battezzata a tredici anni, con Edwin, da S. Paolino, arcivescovo di York (10 ott.); nei successivi vent'anni visse, secondo quanto afferma Beda, «molto nobilmente nel mondo secolare» e poi decise di consacrarsi ufficialmente a Dio. Il suo progetto iniziale era di raggiungere il regno dell'Anglia orientale, dove regnava la cugina Anna, poi di recarsi a Chelles, in Francia ed entrare nella congregazione mona-stica, di cui faceva già parte sua sorella Hereswitha, ma fu persuasa da S. Aido, vescovo di Lindisfarne (8 ott.), a far ritorno in Northumbria. Ilda trascorse un breve periodo in un piccolo lotto di terra donatole da Aido, sulle rive del fiume Wear, ma presto, in ogni caso, fu eletta badessa del monastero doppio costruito a Hartlepool; i momisteri doppi, per uomini e per donne, che recitavano l'Ufficio insieme nella chiesa, ma che vivevano totalmente separati, diretti da una badessa tranne che per quanto riguardava questioni strettamente spirituali, erano comuni a quel tempo. Il compito di Ilda fu di riorganizzare la vita della congregazione, in base a una regola di origine irlandese (forse quella di S. Colombano, 21 nov.), in certi aspetti differente dalle regole seguite dalla Chiesa franca e dal resto della cristianità. Nove o dieci anni dopo, all'incirca, nel 657, Ilda fu trasferita a Streaneshalch (più tardi Whitby), per riformare un monastero doppio già esistente e per fondarne uno nuovo, ma la cosa più stupefacente è il successo che ottenne in entrambi i casi. Ilda credeva fermamente nell'importanza dell'istruzione, in particolare, ma non esclusivamente, per il clero; nel monastero, incoraggiò la lettura e lo studio della Scrittura, oltre allo studio della lingua e della letteratura latina, e istituì ben presto una biblioteca. Beda, la cui Historia Ecclesiastica è praticamente la fonte di tutte le informazioni che la riguardano, osserva che «Ilda obbligava tutti coloro che erano sotto la sua giurisdizione a partecipare più spesso alla lettura della Sacra Scrittura e a esercitarsi liberamente in attività atte a formare molte persone ai doveri ecclesiastici e ai ministeri da svolgere all'altare»; diversi monaci, infatti, diventarono vescovi, incluso S. Giovanni di Beverley (7 mag.). Il prestigio personale di Ilda e la sua influenza si estesero oltre i confini del monastero; Beda ci informa che «non solo la gente comune, ma anche i re e i principi talvolta chiedevano e accettavano i suoi consigli». Ilda incoraggiò il poeta anglo-sassone Caedmon (11 feb.), che governava le mandrie di proprietà del monastero e che alla fine divenne membro della congregazione, a scrivere un poema su temi cristiani in lingua locale, e fu probabilmente grazie alla sua fama, oltre all'appropriatezza del luogo, che l'abbazia di Whitby fu scelta come sede del famoso sinodo del 663-664, convocato per decidere la data della Pasqua. L'immediato risultato fu un dibattito (tra coloro che favorivano il metodo irlandese di calcolare la data della Pasqua e quelli che, capeggiati dall'arcivescovo di York, S. Vilfrido (12 ott.), spalleggiato dal re di Northumbria, Oswiu, sostenevano il metodo romano); dietro a questa discussione si celava una tensione di lunga data tra le Chiese celtiche, che si erano sviluppate in modo abbastanza indipendente, e le altre, che seguivano le direttive di Roma. Ilda e i membri della congregazione, che seguivano la loro regola celtica, appoggiarono ovviamente il metodo celtico, ma alla fine quello romano fu votato dalla maggioranza. Ilda accettò senza protestare questa decisione; inoltre quindici anni dopo, quando l'arcivescovo di Canterbury, S. Teodoro (19 set.), decise piuttosto arbitrariamente di dividere la diocesi di Vilfrido i cui confini a quel tempo coincidevano con quelli del regno di Northumbria, si schierò dalla parte di Teodoro contro Vilfrido, senza dubbio perché pensava sinceramente che fosse una buona idea e poiché due dei nuovi vescovi, S. Bosa (9 mar.) e S. Giovanni di Beverley, erano monaci di Whitby; inoltre è stata suggerita l'ipotesi che lo ritenesse un modo per pareggiare i conti con Vilfrido. Negli ultimi sette anni della sua vita, llda soffrì di una malattia cronica, di cui non si conoscono i dettagli, ma che sicuramente non le impedì di continuare a svolgere i suoi compiti, in particolare quelli che concernevano l'insegnamento. Morì nel 680, probabilmente il 17 novembre; secondo Beda, una monaca di nome Begu che viveva nel convento di Hackness, a una ventina di chilometri, sentendo le campane in sogno, vide l'anima di Ilda che saliva in paradiso, avvisò le consorelle e, quando i monaci del monastero di Whitby arrivarono all'alba per portare loro la notizia, la congregazione era già in chiesa a pregare per lei. Dopo la morte di Ilda, il pensiero romano, piuttosto che quello irlandese, divenne predominante a Whitby, principalmente a causa dell'influenza di S. Enfleda (24 nov.) e di S. Elfleda (8 feb.), rispettivamente figlia e nipote di S. Edwin. Entrambe erano entrate nel convento quando Ilda era badessa e ciascuna svolse un mandato come badessa. L'abbazia stessa fu distrutta dai danesi nell'800 ca. e le presunte reliquie di Ilda furono trasferite (non è chiaro in che luogo preciso, dato che Glastonbury e Gloucester affermarono di possederle). Il culto fu molto esteso nell'Inghilterra settentrionale, dove le furono dedicate non meno di quattordici chiese, incluse le undici che si trovano nello Yorkshire e le due edificate a Durham. La sua festa fu anche celebrata solennemente a Evesham, dato che nell'XI secolo fu rifondata l'abbazia di Whitby. MARTIROLOGIO ROMANO. A Whitby nella Northumbria in Inghilterra, santa Ilda, badessa, che accolta la fede e i sacramenti di Cristo, posta alla guida del monastero, si adoperò per il rinnovamento della disciplina monastica maschile e femminile, per la difesa della pace e dello spirito di carità e per la promozione del lavoro e della lettura della Sacra Scrittura, al punto che si riteneva avesse compiuto in terra opere celesti.
nome Santi Acisclo e Vittoria- titolo Martiri di Cordova- ricorrenza 17 novembre- La passio medievale di questi due santi non è nient'altro che finzione e non sembra che esistano prove dell'esistenza di Vittoria. Acisclo, d'altro canto, fu davvero martire; è menzionato da Prudenzio e nel Geronimiano al 18 novembre (con questa nota curiosa: «in questo giorno si raccolsero le rose»). Il suo nome inoltre compare in un'iscrizione spagnola dell'inizio del vi secolo, in riferimento alle reliquie, ed entrambi gli accenni una volta erano sufficienti a garantirgli un proprio ufficio nel culto mozarabico. Esiste, a ogni modo, una discordanza di cento anni circa riguardo alla data della nascita e della morte, sebbene la tradizione affermi che subirono il martirio durante la persecuzione di Diocleziano (284-305). Nella sua opera intitolata Memoriale dei santi, S. Eulogio (11 mar.) afferma che erano fratello e sorella e che provenivano da Cordoba; denunciati in quanto cristiani, furono imprigionati e torturati, nel tentativo di far sì che rinnegassero la loro fede. Vista la loro fermezza, furono portati nell'anfiteatro, dove Acisclo fu decapitato e Vittoria trafitta dai dardi; i corpi furono sepolti da una ricca signora, di nome Minciana, nel terreno circostante alla sua casa di campagna, dove alla fine fu costruita una chiesa, che divenne luogo di sepoltura di molti martiri deceduti in quella persecuzione. La basilica di St-Sernin a Tolosa afferma di possedere alcune reliquie dei due santi.<br /> Sono invocati: contro le tempeste. MARTIROLOGIO ROMANO. A Córdova nell’Andalusia in Spagna, sant’Acisclo, martire.
nome Santi Alfio e Zaccheo- titolo Martiri- ricorrenza 17 novembre- Tutto quello che sappiamo di questi due santi è tratto dai Martiri di Palestina di Eusebio. In occasione dell'approssimarsi dei giochi per la celebrazione del ventesimo anno del regno di Diocleziano, il governatore della Palestina chiese e ottenne l'amnistia dell'imperatore per tutti i criminali; era anche il primo anno della persecuzione generale dell'imperatore Diocleziano nei confronti dei cristiani, che perciò non furono inclusi nell'amnistia. Zacchco, un diacono di Gadara, a est del Giordano, in questo periodo fu arrestato, torturato e rinchiuso in prigione, dove fu legato a un palo del rogo in modo che il corpo si lacerasse; affrontò comunque la situazione con serenità, lodando Dio incessantemente. Fu raggiunto dopo poco da Alfio, che, sebbene fosse originario di Eleutheropolis, era lettore della Chiesa di Cesarea; all'inizio della persecuzione, aveva incoraggiato gli altri cristiani a rimanere fedeli alla loro religione. Condotto davanti al prefetto, che restò perplesso dalle risposte ricevute durante il primo interrogatorio, fu gettato in prigione. Dopo una seconda comparsa in tribunale, durante la quale fu picchiato in modo grave, fu rinchiuso nella stessa cella di Zaccheo. Dopo un'ulteriore comparizione davanti al prefetto furono entrambi condannati a morte e decapitati il 17 novembre 303.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Cesarea in Palestina, santi Alfeo e Zaccheo, martiri, che, nel primo anno della persecuzione dell’imperatore Diocleziano, per avere confessato con fermezza l’esistenza di un solo Dio e la regalità di Cristo Gesù, dopo molti supplizi subirono la condanna a morte.
nome San Gregorio di Tours- titolo Vescovo- nascita 538 circa, Clermont-Ferrand, Francia- Consacrato vescovo 573- morte 17 novembre 594, Tours, Francia- ricorrenza 17 novembre- Incarichi ricoperti Vescovo di Tours- Attributi bastone pastorale- Giorgio Florenzio, che prese in seguito il nome di Gregorio, fu il vescovo più famoso di Tours dopo S. Martino (11 nov.); nacque a Clermont-Ferrand nel 539, in una famiglia molto famosa dell'Alvernia. Il suo bisnonno era S. Gregorio di Langres (4 gen.), e suo zio, alle cui cure fu affidato dopo la morte del padre, S. Gallo di Clermont (1 lug.). Alla morte di Gallo, Gregorio era appena diventato adolescente quando contrasse una malattia grave, durante la quale iniziò seriamente a pensare di dedicare la vita a Dio. Una volta guarito si recò a studiare la Sacra Scrittura sotto la guida di S. Avito I (5 feb.), a quel tempo sacerdote a Clermont, e fu ordinato diacono nel 563; poi, nel 573, fu nominato vescovo, successore di S. Eufronio, per richiesta di Sigeberto I, re d'Austrasia (561-575) e del popolo di Tours. La Gallia merovingia era piena di disordini e violenza; alla morte di Clodoveo (481-511), nel 511, che si era convertito al cristianesimo nel 496, il regno dei franchi fu diviso fra i suoi quattro figli. Dopo un breve periodo in cui fu nuovamente riunito sotto Clotario I (511-561), fu nuovamente diviso tra i suoi quattro figli. Gregorio, come molti altri vescovi del periodo, fu incapace di isolarsi dalla vita politica di quel tempo.<br /> All'inizio del suo incarico, due dei figli di Clotario, Sigeberto I e Chilperico di Neustria (561-584), erano in guerra uno contro l'altro, di conseguenza Tours era una diocesi particolarmente afflitta da molti problemi. Non era facile per un vescovo mantenere la propria integrità in tali circostanze, ma nonostante l'inevitabile violenza e gli intrighi connessi alla vita di corte e il fatto che venisse frequentemente chiamato a intraprendere missioni diplomatiche per conto del re, Gregorio non si compromise mai. Quando il figlio di Chilperico, Meroveo, irritò suo padre sposando la vedova di suo zio Sigeberto, Brunilde, Gregorio fu l'unico a dare rifugio a Meroveo e a sostenere il vescovo di Rouen, che aveva celebrato il matrimonio, e, sebbene in seguito a questi avvenimenti i rapporti migliorassero in senso generale, Gregorio non ebbe certo la pretesa che re Chilperico diventasse un buon teologo, anche se il re si riteneva tale. Questo, tuttavia, non è l'aspetto della vita e dell'attività che Gregorio scelse di trattare alla fine della sua grande opera Historia Francorum; desiderò innanzitutto essere ricordato per la sua attività pastorale e per le sue opere. In veste di vescovo lavorò intensamente per ravvivare la vita della diocesi e durante il suo episcopato vi fu una grande rinascita della fede e delle opere di carità; molti che si erano allontanati dalla fede o erano diventati eretici si riconciliarono con la Chiesa. Ricostruì e ampliò la cattedrale, distrutta da un incendio, e restaurò molte chiese, inclusa quella di S. Martino; incoraggiò la devozione per Maria, quando ancora nessuno lo faceva, e pare che credesse nella sua Assunzione. Fu ampiamente riverito per l'umiltà, la carità e la generosità verso i suoi nemici, e le sue opere mostrano la sua attenta osservazione dell'umanità. Gregorio è naturalmente ricordato soprattutto per gli scritti, dai quali si apprende la maggior parte delle notizie che lo riguardano e in cui si hanno dettagli della Gallia del vi secolo: un lavoro straordinario. Quest'uomo fu responsabile di una diocesi enorme e il suo compito primario fu difendere e interpretare la fede e la morale; inoltre visitò monasteri e conventi e fondò scuole, guidò e controllò le proprietà ecclesiali e amministrò le entrate non abbondanti della Chiesa (tutti compiti che sembra aver svolto con lo stesso zelo). Inoltre trovò il tempo di scrivere un certo numero di libri sulla vita e i miracoli dei santi, incluso il De Gloria Martyrum, il De Gloria Confessorum, le Vite di S. Martino e S. Giuliano (28 ago.), un commentario sui salmi e l'ambiziosa storia dei franchi in dieci volumi che, come molle delle sue opere, si pensa sia stata scritta durante il suo episcopato, date le aggiunte e il continuo inserimento di riferimenti incrociati. Alla sua morte nel 549, Gregorio fu sepolto nella cattedrale di Tours, dove, circa un secolo dopo, S. Audoeno (24 ago.) costruì una tomba per lui, vicino a quella di S. Martino, sulla quale, secondo un biografo primitivo, S. Oddone di Cluny (18 nov.), avvennero alcuni miracoli; sfortunatamente questa tomba fu distrutta dai vichinghi, nel IX secolo e, dopo essere stata restaurata nell'XI secolo, fu di nuovo saccheggiata dagli ugonotti, nel 1562. MARTIROLOGIO ROMANO. A Tours in Neustria sempre in Francia, san Gregorio, vescovo, che succedette in questa sede a sant’Eufronio e compose una storia dei Franchi con stile chiaro e semplice.
nome Beata Salomea da Cracovia- titolo Regina d'Ungheria, badessa- nascita 1211 circa, Cracovia, Polonia- morte 17 novembre 1268, Sandomierz, Polonia- ricorrenza 17 novembre- Beatificazione 1672 da papa Clemente X- Salomea era la figlia di Leszek il Buono, principe di Cracovia; è difficile datare precisamente i primi eventi della sua vita, dato che le fonti differiscono assai considerevolmente. Sembra certo, ad ogni modo, che, all'età di tre anni, fu affidata al vescovo di Cracovia, il B. Vincenzo Kadlubek (8 mar.), perché la conducesse alla corte di re Andrea II di Ungheria (1205-1235). Leszek aveva organizzato il matrimonio tra Salomea e il figlio di Andrea, KMrnki, che a quel tempo aveva sei anni; in matrimoni concordati di questo tipo, non insoliti a quel tempo, la ragazza solitamente viveva a corte del futuro suocero. I due bambini furono incoronati e "governarono" Halicz per circa tre anni, finché non fu occupata da un principe della Rutenia, Mstislav, che li fece prigionieri. Durante la prigionia, Salomea, che aveva circa nove anni, pronunciò un voto congiunto di castità; furono liberati quando gli ungheresi riconquistarono Halicz, e alla fine fu celebrato solennemente il matrimonio. Sembra che dopo la cerimonia, Salomea abbia condotto una vita in un certo senso ascetica, diventando terziaria francescana e facendo il possibile perché la corte diventasse un modello di vita cristiana. Mlm;in governò la Dalmazia e la Slovenia fino alla morte avvenuta durante una battaglia contro i Tartari, nel 1241, e per circa un anno Salomea rimase a corte, compiendo opere buone; nel 1242, tuttavia, tornò in Polonia. Fu una benefattrice particolarmente generosa dei frati minori, e con l'aiuto del fratello Boleslao, fondò un convento di Clarisse Povere, a Sandomierz, nel 1245, entrandovi e diventandone alla fine badessa. Mori il 17 novembre 1268, e le spoglie furono portate nella chiesa francescana di Cracovia; papa Clemente X (1670-1676) approvò il culto nel 1672. MARTIROLOGIO ROMANO. Presso Cracovia in Polonia, beata Saloméa, che, regina di Halicz, dopo la morte del marito, il re Colomanno, professò la regola delle Clarisse e svolse santamente l’ufficio di badessa nel monastero da lei fondato.
nome Sant'Ugo di Lincoln- titolo Monaco certosino e vescovo- nascita 1140 circa, Avillon, regno di Borgogna- Ordinato presbitero 1165- Nominato vescovo 10 agosto 1186 da papa Urbano III- Consacrato vescovo 21 settembre 1186 dall'arcivescovo Baldwin of Forde- morte 1200 circa, Holborn, Londra- ricorrenza 17 novembre- Incarichi ricoperti Vescovo di Lincoln (1186-1200)- Canonizzazione papa Onorio III, 18 febbraio 1220- Santuario principale cattedrale di Lincoln- Attributi abiti vescovili, abito certosino, cigno bianco, calice con Gesù Bambino- Patrono di Lincoln- Ugo nacque nel 1140 ca. a Avillon nel regno di Borgogna, dove suo padre, Guglielmo, soldato famoso, era signore del luogo; la madre, Anna, morì quando il figlio aveva solo otto anni. Il bambino fu educato nel convento degli agostiniani a Villard-Benoit (dove anche il padre si ritirò, a quel punto) e a soli quindici anni pronunciò i voti comc canonico agostiniano; appena fu ordinato diacono a diciannove anni, iniziò a farsi conoscere come predicatore. Presto gli fu affidata una piccola casa dipendente a Saint-Maximin e durante questo soggiorno accompagnò il priore a vistare il monastero fondato nel 1084 da S. Bruno (6 ott.), nel massi della Grande-Chartreuse, a nord di Grenoble. Questa visita cambiò la vita di Ugo, subito attratto dal silenzio e dalla posizione isolata di quel luogo, oltre che dalla dedizione dei monaci. A dispetto del quadro allarmante fatto dal priore a proposito del rigore caratteristico della vita dei certosini, e nonostante la promessa fatta ai superiori di non lasciare Villard-Benoit, Ugo, dopo una profonda riflessione decise che quella promessa era stata fatta sotto pressione, e all'età di circa venticinque anni ritornò alla Grande-Chartreuse, dove indossò l'abito dei certosini. Sappiamo poco dei successivi dieci anni di vita, anche se il suo biografo fornisce solo un piccolo dettaglio, tuttavia molto particolare: gli scoiattoli e ogni specie di uccelli si raccoglievano nel piccolo orto fuori della cella, e sembra che Ugo abbia posseduto il dono di parlare con gli animali, come il suo più giovane contemporaneo, S. Francesco d'Assisi (4 ott.). Dopo aver trascorso dieci anni nel monastero, fu nominato procuratore, incarico che svolse per sette anni, con il compito di accogliere i visitatori che giungevano al monastero, tra cui S. Pietro di Tarantasia (8 mag.), che visitò la Grande-Chartreuse in vecchiaia. A questo punto la vita di Ugo prese un'altra direzione. Per rimediare all'omicidio, avvenuto circa dieci anni prima, di S. Tommaso Becket (29 clic), il re d'Inghilterra Enrico II (1154-1189) aveva fondato il primo convento certosino in Inghilterra, a Witham, nel Somerset. I primi due priori non furono certo all'altezza del ruolo loro affidato, e l'impresa era fallita per causa loro, perciò Enrico, che aveva sentito parlare di Ugo da un nobile francese, mandò il vescovo di Bath alla Grande-Chartreuse per chiedergli di intervenire nella conduzione del monastero appena fondato. Ugo presentò la questione al capitolo certosino, che, dopo averla discussa, gli concesse il permesso di accompagnare il vescovo in Inghilterra.<br /> Appena raggiunta Witham, Ugo non solo vide che la costruzione non era ancora iniziata, ma che non era stato fatto nulla per ricompensare coloro a cui erano state sottratte le terre e le case per consentire la costruzione del convento. Per prima cosa insistette perché venissero ricompensati e rifiutò di accettare il suo ufficio finché non fosse stato restituito «fino all'ultimo penny». Vi fu solo un ulteriore problema, quando il monastero era quasi finito: Enrico interruppe il finanziamento, ma Ugo riuscì a sistemare la questione, grazie al suo tatto, consentendo perciò la fondazione del primo monastero certosino inglese. All'inizio il monastero si era attirato l'inimicizia di molti, che, grazie all'umiltà e all'evidente integrità morale di Ugo, cambiarono opinione e divennero candidati adatti a entrare in quell'ordine. La fama di Ugo, inoltre, era tale che il popolo (perfino il re, che aveva un profondo rispetto per lui e spesso soggiornava al convento) percorreva grandi distanze per giungere a chiedere il suo consiglio. Una questione su cui Ugo non esitò a esprimere la sua opinione fu l'usanza di Enrico di tenere le sedi vacanti per impossessarsi delle rendite; un esempio particolarmente scandaloso era la sede di Lincoln, che, eccetto un periodo di diciotto mesi, rimase senza un vescovo per circa diciotto anni. Alla fine, nel 1186, fu chiesto al decano e al capitolo di eleggere un nuovo vescovo e, in seguito a pesanti pressioni da parte del re, fu scelto Ugo; la sua decisione di rifiutare la nomina, con la motivazione che l'elezione non era canonica, fu vinta dal priore della Grande-Chartreuse, perciò Ugo, dopo aver lasciato Witham, si assunse la responsabilità della diocesi più grande d'Inghilterra, che si estendeva dall'Humber al Tamigi. La diocesi aveva ovviamente un gran bisogno di riforme, perciò Ugo raccolse attorno a sé un gruppo di sacerdoti istruiti e devoti e con la consueta energia si accinse a ravvivare la fede del popolo, ripristinando la disciplina tra gli ecclesiastici e reintroducendo un tipo di culto comunitario. Il duro lavoro, i viaggi senza sosta in tutta la diocesi per svolgere i suoi doveri pastorali, fecero di lui un esempio da seguire. Fu intransigente sul fatto che il clero ricevesse le decime: rifiutò persino di pagare l'arcidiacono di Canterbury, che lo aveva insediato a Lincoln. Fu anche responsabile del restauro e dell'ampliamento della cattedrale, che trovò in rovina (gravemente danneggiata da un terremoto nel 1185), e talvolta partecipò di persona ai lavori. Alla sua morte la cattedrale non era ancora terminata, ma parte dell'attuale coro e del transetto è opera sua; quindi dettò le sue istruzioni finali al capomastro, Goffredo di Noiers. In verità, l'intera cattedrale, eccetto il coro degli Angeli e parte del transetto sul lato ovest, nel complesso fa parte del suo progetto. Gran parte della fama di Ugo è dovuta per lo più al suo spirito contemplativo (una volta all'anno si recava in ritiro a Witham trascorrendovi un breve periodo per rinnovare la sua fede monastica) e alla sua personalità amabile. Era considerato il monaco più erudito d'Inghilterra, ma secondo il suo biografo, Adamo, monaco di Eynsham, suo cappellano, aveva un gran senso dell'umorismo e conversava in modo eccellente, oltre a essere allegro, sensibile ed entusiasta; fu particolarmente affettuoso con i bambini ed esistono diversi racconti a questo proposito nella sua Vita. Un'altra caratteristica saliente fu il suo intrepido senso di giustizia; durante la terza crociata (1189-1192), per esempio, vi fu una spiacevole ondata di antisemitismo in Inghilterra, che portò a varie persecuzioni. A Stamford e a Northampton, oltre che a Lincoln, Ugo, solo e disarmato, affrontò una folla armata e riuscì in qualche modo a calmare gli animi e a persuadere i rivoltosi a risparmiare le vittime. La stessa diplomazia fu evidente nei suoi rapporti con i tre re successivi, Enrico II, Riccardo I (1189-1199) e Giovanni (1199-1216), che lo considerarono un amico; quando percepì che in un certo modo avevano oltrepassato il limite, non ebbe paura a esprimere il suo pensiero. Nel 1197, per esempio, Riccardo 1, volle che i vescovi e i baroni sovvenzionassero la guerra con il re dei francesi, Filippo II Augusto (1180-1223), ma Ugo rifiutò, aggiungendo che la sua sede avrebbe appoggiato la causa della guerra solo in favore della patria. Quando il suo unico sostenitore, il vescovo Erberto di Salisbury, fu deprivato di tutti i suoi beni, Ugo rimproverò il re apertamente per questo e altri atti di oppressione, e ne uscì vincente. Riccardo stesso una volta disse a proposito di Ugo che «se tutti i prelati della Chiesa fossero stati simili a lui, nessun re cristiano avrebbe osato alzare la testa alla presenza di un vescovo». Poco dopo essere stato incoronato, Giovanni inviò Ugo in Francia come testimone della ratificazione del trattato di Le Goulct; durante il soggiorno, fece visita al suo vecchio convento alla Grande-Chartreuse e alle grandi abbazie di Cluny e di Citeaux, e fu accolto ovunque con affetto e rispetto. Fu colpito tuttavia dalla malattia che lo avrebbe portato alla morte, perciò durante il viaggio di ritorno si fermò al sepolcro di S. Tommaso, a Canterbury. Le sue condizioni non migliorarono, in ogni caso, e invece di partecipare a un concilio nazionale a Londra, fu costretto a mettersi a letto, nella sua casa nell'Old Tempie, a Holborn (l'attuale Lincoln's Inn). Dopo aver ricevuto il sacramento degli infermi, il giorno del diciannovesimo anniversario della sua consacrazione come vescovo, restò infermo con gran pazienza ma soffrendo molto, per quasi due mesi; morì il 16 novembre 1200 e il corpo fu portato in una sorta di processione a Lincoln, e poi sepolto nella cattedrale, fra il dolore e l'afflizione di tutti. La congregazione rappresentò tutte le fasi e gli aspetti della sua vita: quattordici vescovi, in aggiunta all'arcivescovo di Canterbury (contro il quale Ugo si oppose per tutta la vita), cento abati, un arcivescovo che veniva dall'Irlanda e uno dalla Dalmazia, un principe, Gruffydd ap Rhys del Galles, Guglielmo il Leone, re di Scozia (1165-1214), Giovanni, re d'Inghilterra, e il popolo di Lincoln (per non menzionare i rappresentanti del ghetto ebreo di Londra) piansero la perdita di un «vero servo del Dio onnipotente» e loro protettore. Ugo fu canonizzato nel 1220 da papa Onorio III (1216-1227), primo certosino a ricevere tale onore, sebbene la domanda della sua canonizzazione provenisse non solo dai certosini, ma anche dal re e dai vescovi inglesi. Dopo il 1339, quando i certosini iniziarono a commemorarlo in tutta l'Europa, la fama di questo santo si estese dall'Inghilterra alle Fiandre, oltre chc in Francia, Italia, Renania e Spagna, ma il centro del culto rimase Lincoln. Nel 1280 le reliquie furono trasportate in un nuovo reliquario nella cattedrale di Lincoln e i pellegrini giunsero da ogni parte fino alla Riforma, quando il sepolcro fu smantellato. Furono fatti altri tentativi nel 1887 e nel 1956 di ritrovare il corpo, ma senza risultato, perciò tutto quello che resta di Ugo è la sua stola bianca di lino, una volta conservata alla Grande-Chartreuse e ora nella certosa di Parkminster, nel Sussex occidentale. Le circostanze del suo funerale sono raffigurate nelle vetrate conosciute come Dean's Eye nella cattedrale di Lincoln ed esistono almeno altri due ritratti: uno si trova alla certosa di Parigi cd è particolarmente venerato dalle madri dei bambini malati, mentre l'altro, di Francisco de Zurbàràn, si trova a Cadice. In quest'ultimo, Ugo è rappresentato con un calice, con Gesù bambino sopra, un riferimento a quando, proprio prima di uno dei suoi scontri con Riccardo I, ricevette il sostegno di un giovane sacerdote, che gli disse di avere avuto, durante l'elevazione del SS. Sacramento, la visione di Gesù bambino. L'altro emblema di Ugo è un cigno, dato che, secondo Gerardo del Galles, uno dei cigni nella sua residenza di Stow aveva preso il cibo dalle sue mani, lo aveva seguito e fatto la guardia vicino al suo letto. MARTIROLOGIO ROMANO. A Novara di Sicilia, sant’Ugo, abate, che, mandato da san Bernardo di Chiaravalle, diede inizio in questa terra e in Calabria all’Ordine Cistercense.
nome Sant'Aniano d'Orleans- titolo Vescovo- nascita Francia- morte 453, Orléans, Francia- ricorrenza 17 novembre- Attributi bastone pastorale- Esistono due Vite in latino su questo santo, entrambe tarde e inattendibili; in ogni caso sembra che Aniano sia nato a Vienile in una famiglia nobile e che abbia vissuto in quel luogo per un certo periodo come eremita. Si recò a Orléans, attratto dalla fama del vescovo di quella città, Evurzio, che lo ordinò sacerdote. La situazione rimase invariata finché Evurzio, verso la fine della vita, decise di lasciare la sua sede e convocò un'assemblea per eleggere il suo successore: la scelta cadde su Aniano. Per assicurarsi che non ci fossero errori, l'elezione fu confermata per sortes biblicae (pratica usata prevalentemente dal iv al D( secolo, secondo la quale si era soliti eleggere i vescovi o prendere altre decisioni ecclesiastiche tramite la lettura casuale di brani biblici o letterari). Al momento dell'insediamento nella sua cattedrale, Aniano, secondo i costumi di quel periodo, chiese al direttore delle prigioni di rilasciare tutti i detenuti: questi subito rifiutò, ma dopo aver rischiato di morire, episodio che interpretò come un segno della volontà di Dio, soddisfece la richiesta del vescovo. Nel 451, Orléans fu minacciata da Attila, capo degli unni; come molti altri vescovi del periodo in simili circostanze, Aniano fu l'unico a prendere l'iniziativa, organizzando la difesa e incoraggiando il popolo. Si appellò immediatamente al potente generale romano Flavio Ezio (396-454) perché venisse in loro aiuto, ma il generale tardò a intervenire, così gli unni occuparono la città, ma, mentre stavano ritirandosi con il bottino e i prigionieri, si trovarono di fronte le milizie di Ezio, che alla fine sconfissero i barbari, nella battaglia che ebbe luogo nelle pianure di Catalaunian, vicino a Durocatalaunum (la moderna Chgonssur-Marne). Gregorio di Tours ci descrive la liberazione di Orléans abbastanza dettagliatamente, attribuendone il merito ad Aniano, che tuttavia morì due anni dopo, in età avanzata. Le reliquie sono venerate nella chiesa di Orléans, che porta il suo nome. MARTIROLOGIO ROMANO. A Orléans nella Gallia lugdunense, ora in Francia, sant’Aniano, vescovo, che, confidando in Dio solo, il cui aiuto spesso ottenne con le preghiere e le lacrime, liberò la sua città assediata dagli Unni.