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18/06/2024 alle 13:36

I santi di oggi 18 giugno:

I santi di oggi 18 giugno:

nome San Gregorio Giovanni Barbarigo- titolo Cardinale di Santa Romana Chiesa e vescovo- nome di battesimo Gregorio Giovanni Gaspare Barbarigo- nascita 16 settembre 1625, Venezia- Ordinato presbitero 21 dicembre 1655 dal patriarca Gianfrancesco Morosini- Nominato vescovo 9 luglio 1657 da papa Alessandro VII- Consacrato vescovo 29 luglio 1657 dal cardinale Marcantonio Bragadin- Creato cardinale 5 aprile 1660 da papa Alessandro VII- morte 18 giugno 1697, Padova- ricorrenza 18 giugno, 17 giugno messa tridentina- Beatificazione 6 luglio 1761 da papa Clemente XIII- Canonizzazione 26 maggio 1960 da papa Giovanni XXIII- Attributi Bastone pastorale- Incarichi ricoperti Vescovo di Bergamo (1657-1664), Cardinale presbitero di San Tommaso in Parione (1660-1677), Vescovo di Padova (1664-1691), Cardinale presbitero di San Marco (1677-1691)- I milanesi erano soliti ripetere ai bergamaschi, complimentandosi per il loro vescovo: «Noi abbiamo un santo cardinale morto, san Carlo Borromeo, voi avete un vescovo vivo». Vescovo vivo era Gregorio Barbarigo, il quale, tra l'altro, aveva una stima sconfinata di san Carlo. Lo aveva scelto come modello di vita spirituale e come esempio di impegno pastorale quando tentò di realizzare nella propria diocesi le riforme volute dal concilio di Trento. Gregorio Barbarigo era nato a Venezia nel 1625 da un'antica e nobile famiglia istriana immigrata nella città lagunare. Educato alla scienza e alle virtù da un papà religiosissimo, a ventitré anni seguì il cugino Pietro Duodo a Miinster, come segretario di Alvise Contarini, che era ambasciatore della Serenissima Repubblica al congresso di pace di Westfalia. In Germania, dove rimase cinque anni, il Barbarigo strinse amicizia con il nunzio papale Fabio Chigi che lo introdusse nell'ascetica di Francesco di Sales e l'avviò nello studio del latino e delle scienze religiose. Fu ancora il Chigi a consigliare il giovane Barbarigo, una volta tornato a Venezia, a laurearsi in diritto canonico in vista di un suo possibile impiego a Roma. Il Barbarigo lo ascoltò e si iscrisse all'università di Padova, dalla quale uscì dottore il 25 settembre 1655. Nel frattempo aveva maturato la vocazione al sacerdozio. Due mesi dopo l'ordinazione, si stabiliva a Roma, chiamatovi da Alessandro VII, l'amico Chigi diventato papa. Nella capitale Gregorio dimorò in una casa accogliente, stracolma di libri, che egli intendeva trasformare in una «locanda di letterati». Intanto su Roma si abbatteva la peste e il giovane prete Barbarigo venne incaricato di organizzare i soccorsi nel popolare rione di Trastevere. «Avevo una paura al principio, che mi sentivo morire», scriveva al padre. Ma poi si buttò con passione e sprezzo del pericolo a eseguire la sua missione, che era di «dar ordini perché vengano le carrette [...] a levar li morti e li ammalati, portar il sussidio alle case serrate [...] e veder se hanno bisogno di niente». Cessata la peste, il Barbarigo venne nominato vescovo di Bergamo. Raggiunse la città lombarda portando con sé lo stretto necessario e, dei tanti libri, solo la biografia di san Carlo Borromeo. Prima di prendere possesso della diocesi inviò ai fedeli e al clero una lettera pastorale nella quale diceva: «Il distintivo del buon pastore è la carità». E alla più genuina carità improntò il suo ministero, riordinando la diocesi, eliminando abusi, restaurando la disciplina nel clero e nei monasteri, curando l'educazione catechistica e la preparazione dei futuri sacerdoti. Aveva progettato un grande seminario, ma non poté realizzarlo perché nel frattempo venne eletto cardinale e destinato alla diocesi di Padova. Nella città del Santo giunse in forma privata, osteggiato dal capitolo della cattedrale che temeva il suo rigore morale e la sua decisa volontà di riforma. A Padova Gregorio fu pastore esemplare e infaticabile. Visitò più volte le trecentoventi parrocchie della diocesi, stimolando il processo della riforma del clero e organizzando scuole di catechismo per fanciulli e adulti. Suo fiore all'occhiello, il seminario: lo collocò in un vecchio convento acquistato con la vendita di tutta l'argenteria della curia. Per l'aggiornamento del clero radunò alcuni importanti sinodi. Il grande vescovo, nei due conclavi ai quali partecipò, rischiò di venire eletto papa, tant'era la stima di cui godeva. Alla sua morte, avvenuta il 18 giugno 1697, durante una visita pastorale, nella sola città di Padova c'erano quarantadue scuole di dottrina cristiana, e trecentoquattordici scuole nell'intera diocesi. Fu incluso nell'albo dei santi, da Giovanni XXIII, nel 1960. MARTIROLOGIO ROMANO. A Padova, san Gregorio Barbarigo, vescovo, che istituì il seminario per i chierici, insegnò il catechismo ai fanciulli nel loro dialetto, celebrò un sinodo, tenne colloqui con il suo clero e aprì molte scuole, dimostrandosi generoso con tutti, severo con se stesso.

nome Santa Marina- titolo Monaca- nascita 715, Bitinia- morte 750, Libano- ricorrenza 18 giugno e 17 luglio- Santuario principale Duomo di Santa Marina a Polistena- Attributi Abito Monacale, crocifisso, giglio e bambino di nome Fortunato- Secondo il Martirologio Romano,Santa Marina si festeggia il 18 giugno, e il 17 luglio si celebra la traslazione delle sue reliquie da Costantinopoli a Venezia, avvenuta nel 1231. Nella chiesa infatti si raccoglievano le gesta dei santi che poi venivano trascritte perché fossero di esempio a tutti i cristiani e venivano lette durante la messa. L'altare di questa santa è meta di pellegrini provenienti da tutto il mondo, in particolare dalle località dell'Italia centro meridionale, dove è ancora venerata. Marina nacque a Qalamoun nel Nord del Libano. Suo padre Eugenio era un pio uomo. Sua madre morì quando Marina era molto piccola. Fatto che indusse il padre a rinunciare al mondo per ritirarsi nel Monastero di Qannoubine nella Valle Santa, accompagnato dalla figlia, che vestì da maschio, introdotta ai monaci col nome di Marino. La giovane si dedicò alla pratica delle virtù monastiche con massima spiritualità e precisione. Un giorno, mandato in missione in una città vicina, dovette trascorrere la notte a casa di un amico dei monaci che sia chiamava Paphnotius, la cui figlia era incappata in adulterio e rimasta incinta. Quando il padre scoprì il fatto s'infuriò e la figlia attribuì la colpa al monaco. L'uomo andò subito al Monastero dal Superiore che chiamò Marino e lo sgridò, ma questi non disse nulla per discolparsi. Il suo silenzio fu interpretato come un'ammissione di colpa e Marino fu condannato a svestire l'abito. Quando la figlia partorì, il nonno portò il bambino al Monastero e lo affidò a Marino che lo allevò con ciò che i monaci usavano dargli, latte di capra e avanzi. Marino sopportò la vergogna senza nessun lamento per quattro anni, poi il Superiore mosso a compassione lo riammise al Monastero sotto severissime condizioni. Marina perseverò nella sua opera ascetica fino alla morte quando i segni del suo volto brillavano di luce divina. Grande lo stupore dei monaci quando, nel preparare il corpo per la sepoltura, scoprirono che Marino era una donna. Il Superiore e i monaci s'inginocchiarono davanti al corpo immacolato, chiedendo perdono a Dio e all'anima della santa divina. Un'imperatrice di nome Marina, molto devota della Santa, per meglio assicurare dalla profanazione il suo sacro corpo, ordinò che venisse collocato nei sobborghi della Città imperiale (Costantinopoli). Da qui il s. corpo fu traslato in Romania presso un monastero da cui, successivamente, nel 1228, il mercante veneziano Giovanni Bora lo avrebbe acquistato e portato a Venezia dove volle impreziosire di quel sacro deposito la sua Parrocchia, che al nome di S. Liberale aggiunse quello di S. Marina. La Santa mostrò presto quanto fosse efficace il suo patrocinio presso Dio. Il suo culto fu in ogni tempo grande presso i Veneziani, ma si accrebbe e prese una forma civile, mentre prima era di carattere esclusivamente ecclesiastico, nel 17 luglio dell'anno 1509. Allora, nelle gravi angustie della guerra di Cambrai, le armi della Serenissima Repubblica, messe sotto il Patrocinio di questa inclita Vergine, poterono riconquistare la città di Padova, le cui chiavi in seguito vennero conservate nella chiesa della Santa. In tale circostanza la gloriosa Vergine fu dichiarata Patrona Minus principalis di Venezia. Il Senato, considerando che questo felice avvenimento era una grazia dovuta alla protezione di S. Marina, decretò che il 17 luglio di ogni anno fosse il giorno festivo e che il Doge, con lo stesso Senato, dovesse recarsi con gran pompa alla chiesa della Santa, per omaggiarla del suo patrocinio. Dopo il 1810, per le vicende dei tempi, la bella chiesa dedicata a S. Liberale e a S. Marina fu distrutta; il corpo della cara Santa fu trasportato nella chiesa di S. Maria Formosa, dove tuttora si può venerare, deposto in una sontuosa cappella. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Alessàndria la passione di santa Marina Vergine.

nome San Calogero- titolo Eremita in Sicilia- nascita 466, Calcedonia- morte 18 giugno 561, Monte Kronio, Sciacca- ricorrenza 18 giugno- Canonizzazione<br /> Precanonizzazione (sotto Sergio I)<br /> Santuario principale Santuario di San Calogero (Sciacca)-Attributi Cerva, bastone pastorale, abito basiliano e vangelo- Patrono di Naro, Campofranco, Petralia Sottana, San Salvatore di Fitalia e Cesarò- Le informazioni sulla vita di San Calogero provengono da varie leggende tramandate da scritti e inni in suo onore. Uno dei racconti più accreditati tratto da breviario siculo-gallicano narra che sia nativo di Costantinopoli intorno al I secolo. Spinto a convertire gli abitanti della Sicilia andò in pellegrinaggio a Roma dove incontrò San Pietro apostolo da cui ottenne il permesso di vivere da eremita in un luogo imprecisato. Qui ebbe l'ispirazione di evangelizzare la Sicilia. Tornato da Pietro, ottenne il premesso di recarsi nell'isola assieme ai compagni, Filippo, Onofrio e Archileone. Filippo si recò a Agira, Onofrio e Archileone si recarono nel deserto di Sutera e il nostro Calogero si fermò a Lipari. Da qui, dopo diversi anni, si spostò nei pressi di Sciacca dove visse per trentacinque anni. Un'altra versione della sua vita racconta che San Calogero per scampare alla persecuzione dei cristiani nell'Africa settentrionale approdò in Sicilia insieme a San Gregorio e al diacono Demetrio. La sua provenienza dal continente nero si presume gli abbia dato proprio l'appellativo di "Santo Nero" nonché il colore della pelle quasi sempre nero impresso nei dipinti e nelle molteplici statue in suo onore. Successivamente raggiunse le zone più interne dell'isola evangelizzando con grande coraggio la fede cristiana. In tal modo, però, si attirò l'odio dei nemici del Vangelo. Demetrio e Gregorio vennero catturati, mentre Calogero, si rifugiò sul monte Kronio a Sciacca, dove usando le acque delle terme minerali guarì miracolosamente alcuni infermi. Per tale motivo a Sciacca sorge oggi uno dei maggiori santuari dedicati al Santo taumaturgo. Presto l'ammirazione dei fedeli di San Calogero crebbe e si diffuse in tutta l'isola. San Calogero raggiunse poi Agrigento, dove, secondo la tradizione, si fermò presso una grotta nella quale oggi sorge il Santuario a lui dedicato. Negli ultimi anni della sua vita il Santo rimase sul monte Kronio perchè a causa delle sue precarie condizioni di salute. La storia narra che una cerva che gli forniva il latte, dopo essere stata ferita da un cacciatore, lo condusse nella grotta. Questi si rese conto, con immenso dolore, di avere procurato al povero vecchio eremita un danno irrimediabile. L'uomo decise allora di restare accanto a San Calogero per curarlo e quando il Santo spirò, venne sepolto presso la grotta dove fu edificata una chiesetta che è divenuta meta di pellegrinaggio da parte di fedeli. Ogni anno il vescovo di Agrigento apre i festeggiamenti benedicendo l'abito dei frati a lui devoti: una tunica bianca che reca sul petto "la pazienza", cioè lo stemma nero del Santo. Il culto del "Santo nero" è molto sentito a Naro città della provincia di Agrigento di cui è patrono. Dal 15 giugno, giorno in cui la statua del Santo viene portata dalla cripta sottostante la chiesa all'interno del Santuario stesso culminando il 18 giugno, giorno vero e proprio della festa, che vede il Santo messo su una grande slitta in legno denominata straula o "carro dei Miracoli" e trascinato dai fedeli con una corda, legata a due capi della slitta e lunga più di 100 metri, dal Santuario di San Calogero fino alla chiesa Madre della città. Tutta la processione è scandita dalle urla dei fedeli che trascinano la straula col Santo al grido di "Viva Diu e San Calò". Particolare è la tradizione del pane benedetto che viene modellato in diverse forme a rappresentare le parti del corpo miracolate da San Calogero e viene portato al Santuario per essere benedetto, i proprietari poi ne tengono una parte per loro per condividerla con amici e parenti ed il resto lo lasciano al Santuario affinché sia distribuito ai fedeli.

nome Santi Marco e Marcelliano- titolo Martiri- ricorrenza 18 giugno- Santuario principale Basilica dei Santi Cosma e Damiano, Roma- Marco e Marcelliano erano due fratelli gemelli figli di una famiglia di Roma. Furono convertiti alla fede durante la giovinezza. Arrestati sotto l'imperatore Diocleziano, furono gettati in una prigione; dopo vari interrogatori che dimostrarono la loro fermezza nella fede, Chromace, prefetto della città, li condannò a tagliare le loro teste dopo un'attesa di trenta giorni. I due fratelli furono quindi trasportati nella casa di Nicostrate, cancelliere del prefetto e loro guardiano. I genitori Tranquillino e Marzia, le mogli e i bambini si gettarono ai loro piedi, versando lacrime e mandando loro parole in grado di toccare i loro cuori, cercando di far rivedere la loro affermazione. I martiri commossi da questa scena toccante, cominciarono a versare lacrime con quelle dei loro genitori, le loro mogli ei loro figli temendo che non avrebbero resistito ancora alle torture terribili. San Sebastiano, capitano al servizio dell'imperatore, sempre al sostegno dei martiri coraggiosi, non ebbe paura di esporsi alla morte, ricordando ai fratelli santi gli insegnamenti della fede, la speranze immortali di un'altra vita e la punizione degli apostati. Le sue parole rianimarono la fede dei due martiri impetrando persino un cambiamento nei cuori di tutti coloro che erano presenti. Sebastiano diede nuovamnente a Zoe, moglie dell'impiegato Nicostrato, l'uso della parola, che aveva perso da sei anni e convertendola così insime a Tiburzio e Nicostrato alla fede cristiana. Zoe, Nicostratus, Tranquillin, Marcie, le mogli ei figli dei due martiri ricevettero così il santo battesimo e versarondo poi il loro sangue per la fede. In seguito alla conversione, racconta la leggenda, Cromazio lasciò liberi Marco e Marcelliano, ma furono nuovamente arrestati dal successore di Comazio e portati dinanzi il giudice il quale dopo avere tentato inutilmente di far pentire i due gemelli per aver adorato il Signore li fece inchiodare ad una colonna e dopo essere rimasti per ventiquattro ore lodando e benedicendo Dio vennero trafitti con una lancia. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma nel cimitero di Balbina sulla via Ardeatina, santi Marco e Marcelliano, martiri durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, resi fratelli dal medesimo martirio.

nome Beata Osanna Andreasi da Mantova- titolo Vergine domenicana- nome di battesimo Osanna Andreasi- nascita 17 gennaio 1449, Carbonarola, Mantova- morte 18 giugno 1505, Mantova- ricorrenza 18 giugno- Beatificazione 24 novembre 1694 da papa Innocenzo XII- Osanna, figlia del nobile Nicola Andreasi e di Agnese Gonzaga, imparentata con la famiglia ducale che regnava a Mantova, la maggiore in una famiglia numerosa, per tutta la vita continuò a prendersi cura dei familiari. All'età di cinque anni visse un'esperienza religiosa che le fece capire che «la vita e la morte consistono nell'amare Dio», e decise di sottomettere tutta la sua vita a Dio, facendo giorno per giorno quello che le chiedeva. Trascorreva lunghe ore in preghiera e penitenza; spesso cadeva in uno stato di estasi che induceva i suoi genitori a pensare che soffrisse di epilessia: non rientrava nella loro mentalità supporre qualcosa di miracoloso. Osanna chiese di poter imparare a leggere e scrivere, ma il padre oppose un rifiuto dicendo che lo studio era pericoloso per le donne (che avesse poi acquisito una cultura lo si deve al fatto che fu istruita dai fratelli). A quattordici anni chiese al padre il permesso di far parte del Terz'ordine domenicano, ricevendo un nuovo rifiuto perché il genitore voleva per lei il matrimonio. Le permise di indossare l'abito religioso per un certo tempo, come ringraziamento per essere guarita da una grave malattia, ma si adirò molto quando la figlia gli annunciò che si era impegnata per tutta la vita. Forse a causa dell'opposizione paterna e delle responsabilità familiari, di cui dovette farsi carico dopo la morte dei genitori, Osanna non fece la professione da terziaria per altri trentasette anni, rimanendo novizia e occupando sempre il ruolo più basso nelle riunioni dei terziari. Continuò a vivere nel palazzo Andreasi prendendosi cura dei fratelli e dei famigliari. Visse la sua devozione privatamente in spirito di grande raccoglimento e umiltà. A diciotto anni le apparve la Vergine Maria che la fece sposa di Cristo e il Cristo stesso le metteva al dito un anello che, ella disse, aveva sempre la sensazione di portare, benché fosse invisibile agli altri. Tra íl 1476 e il 1484 ebbe una serie di esperienze mistiche nelle quali condivise le sofferenze patite dal Cristo durante la passione; ebbe anche ripetute visioni di Gesù Bambino crocifisso. In un'altra occasione le apparve il paradiso, esperienza così sublime e insondabile da non poter essere descritta con le parole. Le compagne terziarie pensavano che fosse una mistificatrice, oppure che fosse posseduta dal demonio, e per un certo periodo le fecero subire varie vessazioni. Essa in verità cercava di nascondere agli altri le sue esperienze religiose, ma le estasi la sorprendevano senza preavviso e spesso in momenti inopportuni, ad esempio in giardino o fuori casa, sotto la pioggia. Il duca Federico di Mantova la teneva in alta stima: partendo una volta per una campagna militare in Toscana le chiese se poteva acdire, in sua assenza, alla duchessa e ai loro sei figli. Continuò a vivere nel palazzo di famiglia prendendosi cura dei suoi famigliari ma anche trascorrendo molto tempo nel palazzo ducale, dove si comportava da viceduca piuttosto che da semplice governante o bambinaia, prendendo molte decisioni sagge, nonostante la sua giovane età e l'inesperienza, con una fede semplice in Dio. Al suo ritorno il duca continuò a consultarla spesso e quando ella, per obbedienza ai superiori domenicani, dovette recarsi a Milano le scrisse implorandole di tornare. L'intera famiglia ducale guardava a lei come l'amica e la consigliera più fidata, e anche Francesco II, succeduto al padre, e la moglie Isabella d'Este seguirono questa linea. Osanna visse nel silenzio, non chiedendo nulla per sé, intercedendo invece per persone che erano nel bisogno: prigionieri o vittime d'ingiustizie. Accoglieva mendicanti e durante una carestia distribuì pane per le strade; molte persone si rivolgevano a lei per avere consigli o aiuto; non si negava mai a nessuno. Il suo epistolario, pervenutoci, ci descrive la sua vita (che aveva la medesima struttura di quella di una religiosa); le sue preghiere e penitenze; i suoi timori per il mondo al di fuori del suo ristretto circolo di conoscenze. Era sgomenta per la corruzione della Chiesa e questo può spiegare la sua riluttanza a un coinvolgimento più manifesto nelle sue istituzioni. Pregò con slancio per la salvezza di ogni uomo e delle nazioni: a quel tempo l'Italia era travagliata da turbolenze politiche e fermenti religiosi, il papato era precipitato nel discredito totale. Sappiamo, attraverso il suo discepolo Girolamo di Monte Oliveto, che aveva letto Il Trionfo della Croce del Savonarola, rubando tempo al sonno, e il suo giudizio sulla Chiesa e la società del tempo non si discostava da quello del frate domenicano. Disse a Girolamo che in tre occasioni aveva pregato per il papa Alessandro VI (Alessandro Borgia): nelle prime due occasioni Dio sembrò disposto a usare misericordia al pontefice, ma la terza volta non ottenne risposta; allora chiese aiuto alla Vergine Maria e a tutti gli apostoli «pregando tutti loro che ottenessero per lui misericordia. Ahimè, povera peccatrice! Dio rimase immobile, il volto mostrava la sua ira e non diede alcuna risposta a chiunque lo supplicava: né alla Madonna, né agli apostoli, né alla mia anima!». Finalmente nel 1501 Osanna fece la professione solenne come terziaria domenicana, morendo quattro anni dopo, assistita dal duca Francesco e dalla duchessa. Le fu tributato un funerale solenne e la famiglia Andreasi, per riconoscenza ai servizi da lei resi alla casa ducale, fu esentata per vent'anni da tutte le tasse. Le numerose esperienze sovrannaturali di cui godette il privilegio la fanno sentire vincolata a una vita di continua e diretta relazione con Dio piuttosto esterna alle strutture ecclesiastiche. Se la sua esperienza spirituale ha bisogno di convalide queste si possono trovare nella sua vita spesa a servizio degli altri. MARTIROLOGIO ROMANO. A Mantova, beata Osanna Andreasi, vergine, che, vestito l’abito delle Suore della Penitenza di San Domenico, unì con mirabile sapienza la contemplazione delle cose divine con le occupazioni terrene e la cura delle buone opere.

nome Sant'Amando di Bordeaux- titolo Vescovo- nascita IV secolo- Consacrato vescovo 404 circa- morte 18 giugno 432, Bordeaux, Francia- ricorrenza 18 giugno- Incarichi ricoperti Vescovo di Bordeaux- Ciò che sappiamo della vita del vescovo Amando ci viene dall'epistolario di Paolino di Nola (22 giu.). Paolino, convertito alla fede cristiana dalla moglie, era di origine spagnola: fu educato nella fede e preparato al battesimo da Amando; tra i due si creò un'amicizia che durò tutta la vita. Paolino scrisse al vescovo molte lettere ed è evidente, da quelle a noi pervenute, l'alta stima che aveva della sua santità e sapienza. Paolino di Nola scrive che Amando di Bordeaux aveva ricevuto un'educazione cristiana, era un buon conoscitore della Sacra Scrittura e viveva una vita casta e riservata, evitando le feste e, in generale, i ritrovi mondani. Fu ordinato prete da Delfino, vescovo di Bordeaux, che lo volle a esercitare il ministero nella sua diocesi. Amando svolse questo compito con grande zelo. Alla morte di Delfino gli succedette nella sede episcopale, e vi rimase per alcuni anni, mentre la sua salute declinava, finché, secondo Gregorio di Tours (17 nov.), in una visione gli apparve il Signore che gli diceva: «Va' a incontrare il servo Severino. Onoralo proprio come le Scritture dicono che si deve onorare un amico di. Dio. Per i suoi meriti è migliore di te e più eminente». Amando pensò che la diocesi avesse bisogno della guida di un giovane; gli andò incontro e lo trattò con onore, annunciando al popolo che sarebbe stato eletto vescovo. Dopo che Severino (23 ott.) fu consacrato, il vescovo anziano diede il benvenuto a Bordeaux ad Amando e lo aiutò ad assumersi le responsabilità pastorali, ma, purtroppo, il neoeletto morì dopo poco tempo e Amando dovette assumere nuovamente l'onere di amministrare la diocesi. Gregorio di Tours cita Paolino quando scrive che Amando era un vescovo «degno di Dio». Per qualche tempo si credette che Amando avesse conservato la corrispondenza di Paolino, ma non pare proprio che ciò sia vero. MARTIROLOGIO ROMANO. A Bordeaux in Aquitania, in Francia, sant’Amando, vescovo, che istruì nella dottrina della verità e battezzò san Paolino da Nola, che spesso lo lodò.

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7 commenti

@eliminato

7 mesi fa

L'immagine di San Gregorio mi fa ridere

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