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Diocesi di San Miniato
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Diocesi di San Miniato- Dioecesis Sancti Miniati- Chiesa latina- Suffraganea dell'arcidiocesi di Firenze- Regione ecclesiastica Toscana- Vescovo Giovanni Paccosi- Vicario generale
Roberto Pacini- Presbiteri 74, di cui 58 secolari e 16 regolari (2.256 battezzati per presbitero)- Religiosi 17 uomini, 80 donne- Diaconi 13 permanenti- Abitanti 178.734- Battezzati 166.948 (93,4% del totale)- Stato Italia- Superficie 691 km²- Parrocchie 91 (4 vicariati)- Erezione 5 dicembre 1622- Rito cattolico romano- Cattedrale Santa Maria Assunta e San Genesio- Santi patroni San Genesio e San Miniato martiri. La diocesi di San Miniato (in latino: Dioecesis Sancti Miniati) è una sede della Chiesa cattolica in Italia suffraganea dell'arcidiocesi di Firenze appartenente alla regione ecclesiastica Toscana. Nel 2022 contava 166.948 battezzati su 178.734 abitanti. È retta dal vescovo Giovanni Paccosi. Nel 1408 la repubblica di Firenze aveva già l'intenzione di erigere una diocesi a San Miniato, per sottrarla alla giurisdizione dell'arcidiocesi di Lucca. Il progetto tuttavia andò in porto solo due secoli dopo, soprattutto grazie all'interessamento di Maria Maddalena d'Austria, vedova di Cosimo II de' Medici. La diocesi fu eretta il 5 dicembre 1622 con la bolla Pro excellenti di papa Gregorio XV, ricavandone il territorio dall'arcidiocesi di Lucca, per un totale di 118 parrocchie dell'epoca. L'antica collegiata fu elevata al rango di cattedrale sotto il titolo di Santa Maria Assunta e San GenesioAl territorio della nuova diocesi fu aggregata anche l'abbazia vallombrosana di San Salvatore di Fucecchio, con le sue dipendenze, che era esente dalla giurisdizione degli arcivescovi di Lucca e sottomessa direttamente all'abbadessa del monastero delle clarisse di Santa Maria di Gattaiola che vi esercitava giurisdizione quasi episcopale. Il primo vescovo fu il canonico fiorentino Francesco Nori, che venne eletto solamente nel marzo del 1624 e prese possesso della nuova diocesi il 13 agosto dello stesso anno. Gli succedette Alessandro Strozzi, già vescovo di Andria, che indisse il primo sinodo diocesano nel 1638. Nel 1650 il vescovo Angelo Pichi istituì il seminario, a cui fu data una sede definitiva nel 1685 e fu ampliato nel secolo successivo. Grande premura pastorale ebbero i primi prelati di San Miniato, tramite frequenti sinodi e visite pastorali, in un territorio che per secoli aveva raramente ricevuto visite da Lucca.Con il vescovo Carlo Falcini ebbe iniziò la pubblicazione del bollettino diocesano (nel 1911), mentre con il suo successore Ugo Giubbi fu istituita l'Azione Cattolica e il settimanale diocesano La domenica; allo stesso vescovo si deve la celebrazione del primo congresso eucaristico diocesano.
A partire dalla seconda metà del Novecento la diocesi vive una profonda crisi vocazionale con una drastica riduzione del clero attivo, con la conseguente riduzione delle parrocchie e l'affidamento di più comunità parrocchiali ad un unico sacerdote. La diocesi comprende 18 comuni della città metropolitana di Firenze e delle province di Pisa e Pistoia. Comprende per intero i territori comunali di Capannoli, Casciana Terme Lari, Castelfranco di Sotto, Cerreto Guidi, Larciano, Montopoli in Val d'Arno, Ponsacco, San Miniato, Santa Croce sull'Arno e Santa Maria a Monte; e in parte i comuni di Crespina Lorenzana, Empoli, Fauglia, Fucecchio, Palaia, Pontedera, Terricciola e Vinci. Sede vescovile è la città di San Miniato, dove si trova la cattedrale di Santa Maria Assunta e di San Genesio.
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La Cattedrale intitolata a Santa Maria Assunta e San Genesio martire ha alle proprie spalle una storia secolare. La chiesa, denominata di Santa Maria in Sala, era la parrocchiale dei Vicari Imperiali al tempo di Federico I Barbarossa, affacciata su un vasto spiazzo delimitato da edifici di corte e di governo. Nel 1194, in una bolla di papa Celestino III, si fa menzione di una chiesa, dedicata a Santa Maria, dipendente dalla pieve di San Genesio in Vico Wallari, presso cui risiedeva un vicario foraneo del vescovo di Lucca, diocesi alla quale San Miniato apparteneva. È nel 1236 che, per la distanza dalla pieve di San Genesio, la chiesa di Santa Maria ottenne il diritto di fonte battesimale e quello di seppellire. Una volta distrutto il Borgo di San Genesio nel 1248, la chiesa si trasformò in pieve e acquisì anche il titolo di San Genesio. La storia della Pieve di Santa Maria è strettamente legata alle vicende storico-politiche che vedono San Miniato al centro delle lotte comunali. Non a caso, venuta la città sotto il dominio fiorentino nel 1369, la chiesa fu ridotta ad armeria entro un progetto che prevedeva la risistemazione dell’area della rocca con l’ampliamento del circuito delle mura, così da meglio fortificare il castello conquistato. Il fonte battesimale veniva trasferito nella chiesa dei Santi Giusto e Clemente, distrutta poi nel Cinquecento. La pieve insomma si era trasformata in struttura militare. Già prima tuttavia aveva conseguito una sua completezza architettonica, poiché, alla fine del secolo XII, era terminata esternamente e presentava già inseriti in facciata elementi marmorei, quali il leone rampante e maschere demoniache, tuttora presenti. Durante i soggiorni sanminiatesi dell’imperatore Enrico VI, dal 1184 al 1194, fu portata a termine la torre campanaria, prima inserita nella cinta muraria e poi inglobata nella chiesa stessa. Fondamentale è stata dunque, per la costruzione della pieve, la presenza dei Vicari Imperiali, ma anche quella degli imperatori stessi. È, infatti, fu sotto Federico II (1220-1250) che la pieve assunse l’attuale volumetria: tre navate con transetto, campanile separato, ma in asse con la navata centrale. Si ritiene inoltre che, sulla linea degli interessi astronomici dell’imperatore, fossero inserite nella facciata 32 scodelle in ceramica, di cui 26 superstiti, con tipologia decorativa in cui prevalgono il blu di cobalto e disegni essenzialmente geometrici, pur non mancando raffigurazioni di animali (oggi conservate in parte nel Museo Diocesano d’Arte Sacra), di provenienza araboispanica o più probabilmente dall’Africa mediterranea, da centri quali Cartagine, in Tunisia. La disposizione, in due scomparti, fa pensare ai Carri dell’Orsa, indirizzati verso una stella bianca e verde, posta in alto, al centro del fastigio, a indicare la stella polare, quale punto di riferimento per tutti i fedeli. Secondo la metafora del viaggio, il cristiano è allora il pellegrino-navigante, orientato dalla Chiesa (stella polare) e dal cielo (i Carri), verso il paradiso, meta ultima del viaggio. Riaperta al culto nel 1489 con lo stabilizzarsi della situazione politica e la perdita di importanza delle fortificazioni della rocca, il vicario fiorentino Pier Vettori restituì la chiesa al clero locale, ampliandola, tanto da includere (1494), nella parte absidale, la torre campanaria (orologio dal 1438), nota con il nome di Torre di Matilde (secondo la tradizione che voleva Matilde di Canossa essere nata nel vicino Palazzo dei Vicari), e già insignita del titolo di collegiata da papa Innocenzo VIII nel 1487 con gli attuali dieci canonicati. Fu lo stesso Pier Vettori, al termine dei lavori di restauro della chiesa, della durata di ben 24 anni, a far aprire, nel 1518, i tre portali che caratterizzano tuttora la facciata della cattedrale. Nel 1489 il proposto Giovanni Cavalcanti aveva ottenuto dal Vettori, per il proposto e il capitolo, il palazzo dei capitani delle milizie del forte, poi dei Signori Dodici e del capitano del popolo, oggi sede del Vescovo. La nascita della Diocesi di San Miniato, nel 1622, per volere di papa Gregorio XV, fece sì che l’edificio sacro più insigne della città, la collegiata di Santa Maria Assunta e San Genesio, assurgesse alla dignità di cattedrale, destinata, da quel momento, a frequenti opere di rinnovamento architettonico e decorativo. I primi restauri avvennero, infatti, sotto l’episcopato di Giovan Francesco Maria Poggi (1703-1718), discreti e poco intrusivi; si realizzarono i soffitti a cassettoni delle tre navate, intagliati dal fiorentino Antonio Bettini e decorati dal pittore fiorentino Anton Domenico Bamberini. Dobbiamo altresì a questo restauro le tre cappelle delle navate laterali, affrescate dallo stesso Bamberini: quella di San Filippo Benizzi o di San Donnino (o della Misericordia), che conserva un’Adorazione dei pastori del pisano Aurelio Lomi, già appartenente alla Pieve di Santa Maria, degli anni 1604-5; la cappella del Suffragio o di Santa Maria Maddalena de’Pazzi con un’Estasi di Santa Maria Maddalena, copia da Luca Giordano; quella di San Francesco di Paola con una Risurrezione di Lazzaro del fiorentino Cosimo Gamberucci (1614). Si ascrive allo stesso restauro il maggior numero delle lapidi celebrative sulle pareti della cattedrale. In linea con il gusto barocco del tempo, la Cattedrale subiva un radicale restauro nel triennio 1766-1769, sotto il vescovo Domenico Poltri (1755-1778), nel corso del quale scomparvero le antiche colonne in marmo o cotto, si abbassarono gli archi gotici finemente lavorati, si modificarono quasi tutti i dipinti del Bamberini mentre la chiesa si riempiva di stucchi e dorature e nella facciata si aprivano tre finestroni. Si procedette all’ultimo restauro con il vescovo Francesco Maria dei marchesi Alli Maccarani (1854-1863), quando il proposto Giuseppe Conti, tra il 1858 e il 1861, trasformò nuovamente la chiesa, su progetto dell’architetto pesciatino Pietro Bernardini, con un rinnovato abbellimento secondo il gusto del tempo, senza alcun rispetto del valore storico-artistico di quanto già preesistente. I pilastri del Poltri diventarono colonne neoclassiche in scagliola finto marmo, le pareti furono decorate in finto marmo a striature bianche e verdi, il presbiterio venne dotato di una balaustra di marmo, mentre a capo delle navate laterali si disponevano due nuovi altari e si costruiva la cupola, affrescata da Annibale Gatti nel 1859; si tamponarono, in facciata, i finestroni del Poltri, sostituiti da tre rosoni. Provvidenzialmente non si realizzò il progetto di copertura dell’antica facciata romanica in mattoni con fasce marmoree bianche e verdi, a imitazione dei grandi lavori fiorentini di Santa Maria del Fiore e Santa Croce. L’Archivio vescovile conserva un accurato disegno di questo proposito mancato. La storia della cattedrale è dunque carica di vicissitudini, di interventi più o meno significativi, come testimonia l’imponente apparato decorativo interno. Il passaggio da semplice pieve a cattedrale ha determinato dunque il susseguirsi di progetti di restauro e ammodernamento in relazione al gusto dei tempi, tanto da alterare l’austera e semplice impronta originaria, facendone comunque un vitale spazio di incontro dell’intera Diocesi intorno al suo Vescovo. La Cattedrale, come insegna il Concilio, si riconferma dunque luogo di partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il Vescovo, circondato dai suoi sacerdoti e ministri.
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Mons. Giovanni Paccosi- vescovo della Chiesa cattolica- Titolo San Miniato<br /> Incarichi attuali Vescovo di San Miniato (dal 2022)- Nato 2 giugno 1960 (64 anni) a Firenze- Ordinato presbitero 4 aprile 1985 dall'arcivescovo Silvano Piovanelli (poi cardinale)- Nominato vescovo 24 dicembre 2022 da papa Francesco- Consacrato vescovo 5 febbraio 2023 dal cardinale Giuseppe Betori. Descrizione dello stemma: Nel frattempo però è già stato reso pubblico quale sarà l’insegna araldica che lo accompagnerà nel suo ministero, insegna che è così stata illustrata: IL MOTTO: VENITE ET VIDETE (Gv 1,39). Per il proprio motto episcopale il Vescovo Paccosi ha scelto queste parole tratte dal vangelo di Giovanni che descrivono in sintesi il metodo del Cristianesimo: essendosi Dio fatto uomo, l’esperienza della sua Presenza è un avvenimento che si può comunicare e incontrare. INTERPRETAZIONE. Il “capo” dello scudo è “partito”, diviso cioè in due parti uguali da una linea verticale; a destra (si noti che in araldica le direzioni destra e sinistra sono invertite rispetto all’osservatore perché riferite alla destra e alla sinistra dell’ipotetico portatore dello scudo) troviamo la Croce di San Giovanni Battista che, storicamente, oltre ad essere la bandiera della Repubblica Fiorentina dal 1115 al 1532, fu vessillo ghibellino, e per questo fa riferimento alla storia imperiale di San Miniato; inoltre, costituisce richiamo al nome del Vescovo, Giovanni. A sinistra, su di un campo azzurro, campeggia una stella a otto punte, simbolo della Beata Vergine Maria ma anche del Battesimo, della Chiesa e delle otto Beatitudini. L’azzurro è il colore simbolo della incorruttibilità del cielo, delle idealità che salgono verso l’alto; rappresenta l’anelito umano rivolto all’Infinito, a Dio. Nel centro dello scudo si staglia il monogramma di Cristo, il Chi Rho, conosciuto anche come Chrismon: esso è in rosso, colore che simboleggia l’amore assoluto del Padre che invia il Figlio, e colore del sangue versato dal Figlio per la nostra redenzione; campeggia sull’oro, il primo tra i metalli nobili, simbolo quindi della prima delle Virtù: la Fede. In essa possiamo accogliere il mistero di salvezza recato a noi da Cristo, dal suo farsi povero per la nostra liberazione. Ai lati del Chrismon troviamo una rondine, che rappresenta il viaggio e il ritorno, esperienze vissute da don Giovanni come missionario. La rondine è legata anche al ricordo del Venerabile Giorgio La Pira, il quale affermava che “I giovani sono come le rondini: volano verso la primavera!”. Rappresenta perciò il desiderio e la speranza della giovinezza, che in Cristo trova la sua piena realizzazione. All’altro lato vi è il Giglio, simbolo della città e della Chiesa Metropolitana di Firenze, comunità di nascita e della vocazione cristiana del Vescovo. In basso, nella punta dello scudo, appare un grafico. È lo stesso che il Servo di Dio don Luigi Giussani utilizzava per rappresentare il mistero dell’Incarnazione. La freccia orizzontale raffigura la linea mobile della storia umana; la X in alto rappresenta il Mistero, Dio, che gli uomini in tutte le epoche hanno cercato di conoscere e definire: di questa ricerca incessante e mai risolta sono simbolo le frecce ascendenti; la freccia che scende dalla X verso la storia umana è l’immagine dell’Incarnazione: Dio ha deciso di manifestarsi dentro la nostra storia, affinché lo possiamo incontrare nella realtà umana di Cristo, qui e ora, nella Chiesa. “Venite e vedete”.