@Namskot
Odisseo e Calipso
Nessuna fu mai solitaria come Calipso. Dalla soglia della sua caverna, guardava le onde violette, sapendo che gli altri dei non la cercavano. Ostessa divina, il tempo le negava gli ospiti. Perché intorno a lei il mare era deserto e dalle terre non saliva il fumo dei sacrifici?
La distanza di Calipso dal mondo non si misurava soltanto sul dorso immenso delle acque, ma innanzitutto nel tempo. Calipso viveva in un punto di giuntura cosmica: Ogigia era un isola metafisica, ma non confondibile con alcuna altra isola originaria, come l'acqua dello Stige che dissolve qualsiasi materia non è confondibile con l'ambrosia degli dei degli Olimpi. L'isola era un relitto di un eone dimenticato, il regno dello spodestato Crono che niente aveva a che fare con la luce degli olimpi. Calipso significa occultatrice, la sua passione era il celare, avvolgere qualcosa in un velo, come quelli che talvolta le cingevano la testa. Ma nulla le era dato da celare, se non il perenne mescolarsi delle acque celesti e terrestri sotto la sua caverna, con un suono che solo lei sapeva ascoltare.
Davanti a Calipso, Odisseo sentì l'attrazione che Gilgamesh aveva sentito per Siduri la birraia. La donna che versa da bere dietro un banco e parla e ascolta; cosa si celava in quell'attrazione? Odisseo ancora non lo sapeva :è la donna che accoglie nell'anticamera del regno dei morti. In quel luogo intermedio, sospeso, l'unico dove ci si poteva illudere di essere al di là della vita e al di là della morte, si beve e si gioca a dadi.
Le conversazioni con la donna che serve da bere attraversano una notte infinita, senza la minaccia di un'alba ai vetri. Dopo Odisseo gli uomini dimenticarono: ma continuavano a sentire un oscura attrazione per le ostesse, come se ogni banco dove si beve fosse la soglia di un altro mondo.
Odisseo passò sette anni con Calipso, furono anni in cui il tempo lo aveva risucchiato all'indietro, in un recinto che era diventato un sepolcro galleggiante. Nell'Ade, parlando con Achille, Odisseo aveva toccato l'atrocità della morte. Ora intorno a lui c'era un'altra morte, che si presentava con i tratti sospesi di una vita migliore, ma che non era altro lo statico sprofondare nel tempo.
Odisseo sapeva che una vita migliore non esiste. Come i campi Elisi, come il giardino delle Esperidi, Ogigia era un luogo per conoscere non per vivere. Duranti i molti giorni trascorsi in quel non luogo Odisseo aveva raccontato a Calipso la guerra di Troia. Con uno stecco disegnava sulla sabbia gli accampamenti e le posizioni e ogni volta cambiava il racconto o il modo di raccontare. Calipso gli stava accanto, silenziosa e concentrata, poi un onda più forte cancellava quei segni sulla sabbia. Una volta Calipso gli disse: “vedi questo fa il mare. E al mare tu vorresti affidarti?”.
Dopo quel giorno Odisseo non torno più con lei sulla spiaggia, ora sedeva da solo su uno scoglio, il più esposto al mare e al vento, e piangeva. Al tramonto tornava nella caverna e ogni sera si ripeteva la stessa scena. Dal suo seggio d'oro, Odisseo allungava le mani verso il suo cibo da uomo, quel cibo stava accanto all'ambrosia e al nettare divino di cui si nutriva Calipso, che lo guardava. Per sette anni, ogni sera, Calipso sperò che Odisseo li assaggiasse. Allora sarebbe diventato immortale e senza vecchiaia, un semidio perduto oltre i confini del mondo.
Ma Odisseo non fece mai quel gesto, poi mescolavano i loro corpi nel letto, in fondo all'antro, e in quelle notti Calipso sentiva di esistere veramente, perché occultava odisseo fra il suo grande corpo e i suoi drappi. Altrimenti era dominata dalla malinconia e dall'incertezza, come se la sua vita non fosse più reale di quei nomi di guerrieri che Odisseo le ripeteva e la cui immagine era diventata una presenza familiare ma impalpabile.
Quando Calipso gli disse che lo avrebbe lasciato andare, Odisseo sospettò che quelle parole celassero un'altra astuzia per invischiarlo, un altro male. Erano nemici che si confrontavano con le spade delle loro menti fino all'estremo, senza testimoni e nel silenzio. Calipso con tenerezza chiamo allora Odisseo alistròs “furfante” e lo carezzò con la mano. Nessun'altra donna avrebbe usato con lui una parola così intima e così giusta.