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I santi di oggi 24 ottobre:
nome Sant'Antonio Maria Claret- titolo Vescovo e fondatore della Congregazione dei Missionari figli del Cuore Immacolato di Maria- nome di battesimo Antonio María Claret y Clará- nascita 24 dicembre 1807, Sallent, Spagna- Ordinato presbitero 13 giugno 1835- Nominato arcivescovo 20 maggio 1850 da papa Pio IX- Consacrato arcivescovo 6 ottobre 1850 dal vescovo Llucià Casadevall i Duran- morte 24 ottobre 1870, Fontfroide, Francia- ricorrenza 24 ottobre- Motto Caritas Christi urget nos- Incarichi ricoperti Superiore generale dei Missionari figli del Cuore Immacolato di Maria (1849-1850), Arcivescovo metropolita di Santiago di Cuba (1849-1859), Arcivescovo titolare di Traianopoli di Rodope (1860-1870)- Beatificazione 25 febbraio 1934 da papa Pio XI- Canonizzazione 7 maggio 1950 da papa Pio XII- Santuario principale Tempio Sepolcro (Chiesa) di Sant'Antonio Maria Claret, a Vicenza- Attributi Bastone pastorale, mitra- Patrono di Claretiani- Era il 23 dicembre 1807. Nel piccolo paese di Sallent (Barcellona) veniva alla luce Antonio M. Claret. Ottimi genitori i suoi: onesti, laboriosi, fiduciosi nella Provvidenza Divina. Se la radice era sana, il frutto fu squisito. Antonio si distinse presto per la devozione alla Vergine e all'Eucarestia. Spesso con la sorella si recava nel vicino Santuario e recitava devotamente il S. Rosario. Maria gradiva quest'omaggio. Si dice infatti che fu salvato dalla Vergine mentre i flutti del mare stavano per inghiottirlo. Le buone doti d'animo coltivate per mezzo di una accurata educazione familiare maturarono in lui la vocazione al sacerdozio. Con una volontà tenace e costante seppe superare gli ostacoli. Tra un'occupazione e l'altra trovava il tempo per applicarsi agli studi del latino. Ebbe la consolazione di trovarsi molto presto libero dal mestiere di operaio tessile e così poter prepararsi al sacerdozio. Il 13 giugno 1835 saliva l'altare per celebrare la Prima Messa. Mosse i suoi primi passi di levita nella natia Parrocchia di Sallent, ove, dopo brevissimo tempo, venne proposto come Vicario ed Economo Spirituale. Qui concepì il desiderio di fondare una nuova Congregazione i cui membri si spargessero per il mondo a portare la buona novella. Ma le ristrettezze finanziarie, in seguito alla guerra civile, non permisero al Claret l'attuazione del suo disegno. Solo 16 luglio 1849 fondò a Vic potrà dare inizio alla nuova Congregazione dei Missionari, Figli dell'Immacolato Cuore di Maria. In quest'opera egli profuse il suo grande cuore. Fu padre, maestro e sapiente guida a quanti venivano a mettersi sotto il vessillo del Cuore Immacolato di Maria. Fu pure grande apostolo della penna e della stampa. Di lui dobbiamo citare, oltre i numerosi volumetti di devozione e di dottrina cristiana utili per tutti, i vari opuscoletti intorno alla Madonna, per i quali la Vergine gli espresse personalmente la sua gratitudine. Nel 1848 fondò in Barcellona una tipografia che stampò tra l'altro 50 edizioni in catalano e 69 in spagnolo (tutte di 10 o di 15 mila copie) della « Via retta e sicura per andare al cielo », prezioso libro di pietà scritto dal Santo. Sono circa 120 i libri ed opuscoli, che diede alla luce, dei quali sono stati stampati oltre 7.715.800 volumi, senza tener conto delle altre 160 edizioni fatte a Cuba, a Madrid e altrove. Nominato Arcivescovo di Cuba, continuò a esercitare l'apostolato della stampa e si applicò con zelo intrepido ad arginare il dilagare continuo dell'immoralità. Operò con grande fermezza, con tanta carità, ma soprattutto con un profondo amore alla Vergine, per la cui protezione sfuggì a numerosi attentati organizzati dalla massoneria. Nel 1855 sempre a Cuba fondò con la Venerabile Maria Antonia Paris le Religiose di Maria Immacolata Missionarie Clarettiane e nel 1857 lasciò Cuba per rientrare a Madrid come confessore della Regina di Spagna, continuando ad esercitare l'apostolato della predicazione in favore di ogni categoria di persone. I massoni non cessarono di perseguitarlo e calunniarlo nei modi più infamanti. Neppure sul letto di morte lo lasciarono in pace. Sant’Antonio Maria era devotissimo alla Vergine Immacolata che venerava specialmente con la recita assidua del Rosario ma in modo del tutto particolare fu devoto del Santissimo Sacramento tanto che fu beneficiato personalmente da un miracolo eucaristico tutto particolare che egli stesso racconta: “L’esperienza della presenza di Gesù nell’Eucaristia, nella celebrazione della Santa Messa o nell’adorazione di Gesù Sacramentato era così profonda che non ho potuto spiegarla. Ho sentito e sentito la sua presenza così viva e vicina che mi risulta duro separarmi dal Signore per continuare i miei compiti ordinari … Il 26 agosto 1861, trovandomi in preghiera nella chiesa del Rosario di La Granja, alle sette del pomeriggio, il Signore mi concesse la grande grazia della conservazione delle specie sacramentali e ho sempre il Santissimo Sacramento nel petto giorno e notte. Da quel momento dovevo stare con molta più devozione e ricordo interiore. Inoltre dovevo pregare e affrontare tutti i mali della Spagna, come il Signore mi ha manifestato in altre preghiere”. PRATICA. «...ma colui che osserverà i miei comandamenti ed avrà insegnato ad osservarli, sarà chiamato grande nel regno dei cieli». PREGHIERA. Difendeteci, o Signore, da ogni errore e dalle massime corrotte del mondo. Concedeteci di essere per il mondo luce che illumina e sale che risana, anziché venire avvolti dalle sue tenebre e trascinati dai suoi vizi .
MARTIROLOGIO ROMANO. Sant'Antonio Maria Claret, vescovo: ordinato sacerdote, per molti anni percorse la regione della Catalogna in Spagna predicando al popolo; istituì la Società dei Missionari Figli del Cuore Immacolato della Beata Maria Vergine e, divenuto vescovo di Santiago nell'isola di Cuba, si adoperò con grande merito per la salvezza delle anime. Tornato in Spagna, sostenne ancora molte fatiche per la Chiesa, morendo infine esule tra i monaci cistercensi di Fontfroide vicino a Narbonne nella Francia meridionale.
nome San Luigi Guanella- titolo Sacerdote e fondatore delle congregazioni religiose dei Servi della Carità e della Figlie di Santa Maria della Divina Provvidenza- nome di battesimo Luigi Guanella- nascita 19 dicembre 1842, Fraciscio di Campodolcino- morte 24 ottobre 1915, Como- ricorrenza 24 ottobre- Beatificazione 25 ottobre 1964 da papa Paolo VI- Canonizzazione 23 ottobre 2011 da papa Benedetto XVI- Santuario principale Santuario del Sacro Cuore di Como- Patrono di Guanelliani, UNITALSI, compatrono di Traona (SO)- Pio XI espresse la sua ammirazione per don Luigi Guanella definendolo il «Garibaldi della carità». Garibaldi a parte, a colpire il papa fu il coraggio di questo prete di montagna che, con disarmante povertà di mezzi e una sconfinata fiducia nella provvidenza, si imbarcò in imprese di straordinario valore sociale in soccorso di persone sfavorite dalla natura o dalla sorte, e per questo emarginate dalla società. Egli ridiede a bambini e anziani soli, handicappati psichici, ciechi, sordomuti, storpi... dignità di persone, un accettabile presente e un meno incerto futuro. Il suo motto, nell'aiutare il prossimo, era: «Senza eccezioni». Non si doveva cioè escludere nessuno, contava soltanto la necessità. Con altrettanto coraggio, don Guanella usò la penna per denunciare la politica anticristiana e anticlericale dei governanti di allora, meritandosi la loro ostilità, tradottasi nel suo confino, come elemento sovversivo e pericoloso, in minuscole e remote parrocchie perché non potesse nuocere. Un bel tipo, insomma, nacque il 19 dicembre 1842 a Fraciscio di Campodolcino, un villaggio di montagna, 1350 metri sul mare, della Val San Giacomo (Sondrio) nelle Alpi Retiche. Montagna vuol dire duro lavoro, fatica sui campi, nei boschi e negli alpeggi per un presente risicato e un futuro senza troppe illusioni, un ambiente difficile che educa al sacrificio, alla paziente povertà, alla fermezza del carattere e anche alla fede e alla solidarietà. Luigi trovava nella sua famiglia l'ambiente giusto per venire su bene. Il papà Lorenzo, per ventiquattro anni sindaco di Campodolcino, era un tipo severo e autoritario; dolce e paziente era invece la mamma, Maria Bianchi. Insieme, dosando fermezza e dolcezza, allevarono ben tredici figli. Luigi, dodicenne, entrò nel collegio Gallio di Como. Era un ragazzino serio, buono e studioso e i padri somaschi, che dirigevano l'istituto, speravano che entrasse nella loro famiglia; lui preferì il seminario diocesano, dove nel 1862 iniziò lo studio della teologia, che non stava vivendo una delle sue stagioni migliori, segnata com'era dalla povertà culturale dei tempi e più attenta agli aspetti pastorali e pratici che ai suoi contenuti. Allo studio della teologia il giovane montanaro aggiunse un personale interesse per il sociale, toccato dalle condizioni di vita della gente, dei suoi paesani in particolare, tra i quali trascorreva le vacanze occupandosi dei bambini, degli anziani e degli ammalati. In seminario strinse amicizia con il vescovo di Foggia, Bernardino Frascolla, reduce dal carcere di Como, dove era stato rinchiuso per aver difeso i diritti della chiesa contro le prepotenze di governanti anticlericali. Fu lui ad ordinarlo sacerdote, il 26 maggio 1866. Don Luigi iniziò il ministero pastorale come viceparroco a Prosto, in Val Chiavenna. L'anno seguente fu nominato parroco a Savogno, un gruppetto di case aggrappate alla montagna, raggiungibile grazie ai duemila gradoni di una ripida mulattiera. Rimase lassù sette anni, trasformando la piccola comunità, con ii suo ardente zelo e la «complicità» spirituale dei parrocchiani, in un «convento», come osservava qualcuno con simpatica malizia. Lassù don Luigi maturò la vocazione a un impegno di tipo diverso, per questo chiese al vescovo il permesso di andare a Torino a condividere l'esperienza di don Giovanni Bosco. Trascorse tre anni con il fondatore dei salesiani, ma poi il vescovo di Como lo richiamò in diocesi. Don Luigi tornò da Torino con un progetto in testa: fare qualcosa per i ragazzi in difficoltà. Passò presto ai fatti, acquistando un vecchio convento francescano a Traina, e qui avviò una scuola privata per ragazzi che vogliono farsi preti. Non fece, però, i conti con le autorità politiche locali, che guardavano con sospetto questo prete che fu alla scuola di don Bosco. Fu senz'altro «un sovversivo», dicevano, che vuole con la sua scuola riempire la valle di preti e monache. Meglio renderlo innocuo, suggerirono al vescovo, relegandolo a Olmo, una delle più remote parrocchie di montagna. Ma non c'è barba di politico che possa opporsi ai disegni di Dio. Infatti, quando pensarono di aver neutralizzato l'indocile pretino, giunse «l'ora della misericordia», cioè l'ora segnata da Dio che spariglia tutto. Nel concreto, il vescovo nominò don Luigi parroco di Pianello Lario, sul lago di Como, una parrocchia vacante per la morte di don Carlo Coppini, un bravo prete che istituì in paese un ospizio per persone in difficoltà, assistite da un gruppetto di volonterose ragazze. Un invito a nozze per don Luigi, che vide nell'imprevista situazione il segno evidente della volontà di Dio. Si buttò con entusiasmo nel nuovo incarico pastorale, curando con particolare attenzione l'istruzione dei ragazzi e degli adulti, la crescita religiosa, morale e sociale dei suoi parrocchiani. A questo scopo scrisse, con linguaggio adatto, una cinquantina di opuscoletti, su argomenti di ascetica, catechesi, storia della chiesa e commenti ai vangeli della domenica. I poveri continuavano a essere al centro delle sue preoccupazioni, che condivideva con il gruppetto di giovani che dirigevano l'ospizio fondato dal suo predecessore, dal quale don Luigi partì per realizzare una nuova congregazione, che chiamò le Figlie di Santa Maria della Provvidenza, che presto ampliarono il campo della loro azione andando a mettere solide radici a Como. Due Figlie della Provvidenza, seguite da alcune orfanelle, giunsero nella città di sant'Abbondio il 5 aprile 1886. Animatrice della missione è suor Chiara Bosatta. Giovane intelligente, attiva e santa (Giovanni Paolo II la proclamerà beata il 21 aprile 1991) fondò assieme a don Luigi la Casa della divina Provvidenza che, grazie al suo infaticabile zelo, conobbe presto un rapido sviluppo, sostenuto dalla congregazione dei Servi della Carità, cui don Guanella dà vita, benedetta e sostenuta dal vescovo di Como Andrea Ferrari, futuro arcivescovo di Milano e santo. La congregazione con le sue iniziative di carità (scuole, istituti di avviamento e oratori per l'istruzione e l'educazione dei giovani) mise radici in altre città d'Italia: a Milano (1891), Pavia, Sondrio, Rovigo, Roma (1903), Cosenza, ma anche oltre i confini del nostro paese, cioè in Svizzera e negli Stati Uniti d'America (1912), sempre accompagnata dall'amicizia e dalla protezione di Pio X. La Casa della divina Provvidenza di Como diventò la sede canonica delle due congregazioni, ramo maschile e femminile, nella quale si trasferisce anche don Luigi, ormai alle prese con gli acciacchi della vecchiaia e le conseguenze di un'intensissima opera di carità, che lo vide attivarsi ovunque ci fosse da soccorrere persone in difficoltà, magari travolte da eventi catastrofici, come i terremotati di Calabria, Messina e Marsina. O le vittime della guerra quando scoppò il primo conflitto mondiale, nel quale stavano rischiando la vita anche alcuni confratelli. Il 27 settembre 1915 fu colpito da paralisi. La notizia fece accorrere al suo capezzale amici ed estimatori, da don Luigi Orione al vescovo di Como, che gli fece visita più volte, mentre lo stesso pontefice, Benedetto XV, si premurò di fargli pervenire la sua benedizione. La gravità della situazione non lascò spazio a speranze. Il 22 ottobre si decise di amministrargli il sacramento dell'unzione degli infermi. Due giorni dopo, il 24 ottobre, tornava alla casa del Padre. L'amico cardinale Ferrari, al momento di benedire la bara, disse: «Con quale nome preferiresti che io ti chiamassi? Tu mi risponderai sicuramente: servo della carità». Proclamato beato da Paolo VI il 25 ottobre 1964, è iscritto nell'albo dei santi da Benedetto XVI il 23 ottobre 2011. MARTIROLOGIO ROMANO. A Como, beato Luigi Guanella, sacerdote, che fondò la Congregazione dei Servi della Carità e delle Figlie di Santa Maria della Provvidenza per prendersi cura delle necessità dei più poveri e degli afflitti e provvedere alla loro salvezza.
nome Beato Giuseppe Baldo- titolo Sacerdote e fondatore- nome di battesimo Giuseppe Baldo- nascita 17 febbraio 1843, Puegnago sul Garda- morte 24 ottobre 1915, Ronco all'Adige- ricorrenza 24 ottobre- Beatificazione 31 ottobre 1989 da papa Giovanni Paolo II- Giuseppe Baldo nacque il 17 febbraio 1843 a Puegnago sul Garda, vicino a Brescia ma nella diocesi di Verona; era figlio di Angelo Baldo, agricoltore, e di Ippolita Casa, ostetrica. Ricevuta una profonda educazione religiosa, all'età di sedici anni entrò in seminario a Verona per diventare sacerdote. I suoi progressi furono tali che con un indulto pontificio ricevette l'ordinazione presbiterale all'età di soli ventidue anni. Nominato curato di una parrocchia di campagna, venne presto richiamato dal seminario per coprire il ruolo di vicerettore, incarico in cui diede prova di essere sia un ottimo insegnante sia un eccellente direttore spirituale; pubblicò anche un manuale di preghiere, un libro di omelie e diverse opere sulla disciplina del seminario. Dopo aver ricoperto questo incarico per circa undici anni, chiese di poter tornare in una parrocchia, sentendo di essere chiamato a un apostolato più ampio: nel 1877 fu così nominato parroco di Ronco all'Adige. Il suo ingresso in parrocchia avvenne quasi di nascosto perché un gruppo di massoni anticlericali lo aveva minacciato di morte se si fosse azzardato a entrare pubblicamente con la tradizionale cerimonia. L'opposizione anticlericale che incontrò fu molto simile a quella che dovette sopportare il contemporaneo San Luigi Guanella che, come lui, operò nel Nord Italia. Giuseppe non era certo persona che si lasciava intimorire facilmente e nella prima domenica trascorsa in parrocchia annunciò apertamente alla gente: «Io sono il vostro parroco. D'ora in avanti avrete un nuovo padre, un nuovo cuore al quale avete il diritto di appellarvi, una nuova anima che non deve fare altro che pregare, soffrire e agonizzare per voi». Era infatti convinto che un prete non dovesse stare chiuso in sagrestia ed essere visto soltanto in occasione delle funzioni religiose, ma che fosse suo compito interessarsi di ogni cosa che potesse accrescere la dignità della gente, andando incontro quindi ai bisogni sia materiali che spirituali. Stilò a questo proposito un piano di azione sociale e caritativa che ebbe un impatto rivoluzionario: tra il 1882 e il 1885 istituì scuole rivolte a uomini e donne e una Società Operaia di Mutuo Soccorso; successivamente aprì una Cassa di Risparmio Rurale per sottrarre i poveri al potere degli usurai, scuole vocazionali per ragazzi e ragazze e un'infermeria. Fondò anche un pio sodalizio di donne chiamato "Le ancelle della Carità di S. Maria del Soccorso", che si occupava di assistenza domiciliare ai malati, e nel 1888 fu in grado di aprire un piccolo ospedale per accogliere e curare gli ammalati poveri e gli anziani soli e abbandonati. Cinque anni dopo ottenne i fondi per una nuova congregazione, le Piccole Figlie di S. Giuseppe, composta da infermiere dedite al lavoro ospedaliero. I primi anni della congregazione furono caratterizzati da notevoli difficoltà finanziarie, per il ritardo del denaro promesso, e i suoi membri vissero in una situazione di estrema povertà, ma l'istituto sopravvisse grazie alla prudenza e alla lungimiranza del suo fondatore. Dal lato spirituale, istituì la Società delle Quarant'ore, l'associazione delle Madri Cristiane, la confraternita del SS. Sacramento e un consiglio parrocchiale a cui affidò un ruolo concreto nell'evangelizzazione della parrocchia stessa. Giuseppe pregò ardentemente di poter patire una lunga e dolorosa agonia, «che lo purificasse da ogni possibile scoria di umana debolezza». Per ventidue mesi soffrì di una grave malattia, con sofferenze indicibili, ma sopportò tutto con pazienza e in una preghiera quasi incessante. Morì nella parrocchia che aveva servito per trentotto anni, il 24 ottobre 1915: i suoi resti furono trasportati nel 1950 nella cappella della casa madre della sua congregazione, e fu beatificato nel 1989. MARTIROLOGIO ROMANO. A Ronchi lungo l’Adige vicino a Verona, beato Giuseppe Baldo, sacerdote, che, dedito al ministero pastorale, fondò la Congregazione delle Piccole Figlie di San Giuseppe per l’assistenza agli anziani e ai malati e l’istruzione dei bambini e dei giovani.
nome Santi Areta e 340 compagni- titolo Martiri di Nagran- ricorrenza 24 ottobre- Axum era la capitale religiosa e politica dell'Etiopia, convertita al cristianesimo da S. Frumenzio (27 ott.). Nei primi anni del vi secolo gli Etiopi, partendo da questa zona, attraversarono il mar Rosso e imposero il loro dominio sugli Ebrei e gli Arabi che abitavano il territorio corrispondente all'attuale Yemen. Un certo Dunaan, che era membro della deposta famiglia dominante e precedentemente convertito al giudaismo, guidò la rivolta contro gli Etiopi, prese possesso della città di Zafar e ne massacrò la guarnigione e il clero. Dopo aver trasformato la chiesa in una sinagoga, cinse d'assedio la città di Nagran, una delle principali roccheforti cristiane del paese. La resistenza oppostagli fu fiera e Dunaan ebbe la meglio soltanto in virtù della promessa di amnistia fatta agli abitanti qualora si fossero arresi; quando però quest'ultima accettarono la resa, egli lasciò che i suoi soldati saccheggiassero la città e condannò a morte tutti i cristiani che non avessero abbandonato la loro fede. Il capo della resistenza, un certo Banu Harith (che i testi greco-latini chiamano Areta), fu decapitato assieme ai membri della tribù che lo avevano sostenuto, mentre i sacerdoti, i diaconi e le vergini consacrate furono arsi vivi; Dunaan tentò anche di prendere la moglie di Areta come concubina, e, incontrando il suo rifiuto, si vendicò giustiziando davanti ai suoi occhi le quattro figlie e poi decapitandola. Il numero degli uccisi fu di quattromila. Dunaan stesso stilò un resoconto degli avvenimenti in una lettera a un re arabo suo conterraneo; alla lettura erano presenti due vescovi cristiani e le loro successive denunce, insieme ai racconti dei profughi da Nagran, diffitsero la notizia del massacro in tutto il Medio Oriente: ci fu una condanna unanime dell'accaduto e il ricordo si tramandò per molti anni ancora (Maometto stesso fa menzione del massacro, condannando i colpevoli all'inferno, nella Sura 85 del Corano). Il patriarca di Alessandria scrisse ai vescovi d'Oriente raccomandandosi che le vittime fossero commemorate come martiri e, insieme all'imperatore, spinse il re axumita, Elsebaan, a vendicare l'eccidio; questi non si tirò indietro e, riconquistato lo Yemen, uccise Dunaan e si impossessò della sua principale roccaforte (Alban Butler sostenne che il re «dopo aver sconfitto il tiranno grazie alla benedizione divina, gesti la sua vittoria con mirabile clemenza e moderazione», ma questa ricostruzione non corrispondeva affatto al vero, perché, sia in battaglia che nei successivi rapporti con i giudei, Elsebaan dimostrò grande ferocia e crudeltà). La tradizione, poi, sostiene che al termine della sua vita il monarca abbia abdicato in favore del figlio, donato la sua corona alla chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, e condotto una vita esemplare come eremita. Nel XVI secolo lo storico ecclesiastico cardinale Baronio aggiunse Areta, i martiri di Nagran e S. Elsebaan nel Martirologio Romano: non v'è dubbio che i martiri soffrirono in nome della fede cristiana e Elsebaan può realmente essersi pentito delle crudeltà commesse e aver goduto di una morte santa, ma la cosa rimane insolita; tutti costoro, infatti, erano quasi certamente seguaci dell'eresia monofisita (che sosteneva esserci in Cristo una sola natura, quella divina), giacché la Chiesa etiope aveva grandi influssi siro-giacobiti nella sua dottrina ufficiale. O Baronio, quindi, non era a conoscenza di questo fatto (la sua conoscenza delle Chiese d'Oriente era infatti alquanto sommaria), oppure riconobbe che la palma del martirio sorpassava nel merito la macchia dell'eresia (che aveva probabilmente un valore più formale che sostanziale). MARTIROLOGIO ROMANO. A Nagran in Arabia, passione dei santi Áreta, principe della città, e trecentoquaranta compagni, martiri al tempo dell’imperatore Giustino, sotto Du Nuwas o Dun‘an re d’Arabia.
nome San Proclo di Costantinopoli- titolo Vescovo- nascita IV secolo, Costantinopoli- Elezione 434- Fine patriarcato 446- morte 24 luglio 446, Costantinopoli- ricorrenza 24 ottobre- Proclo, nato a Costantinopoli non dopo il 390-395, secondo alcuni racconti fu discepolo di S. Giovanni Crisostomo (13 set.), ma con più probabilità semplicemente eccelse, al pari del santo, nello studio della retorica e ne condivise le idee. Entrò a servizio del patriarca Attico e ne diventò segretario, sebbene S. Giovanni e Attico fossero avversari nella politica ecclesiastica dell'epoca. Attico fu talmente colpito da Proclo che lo ordinò diacono e, dopo un intervallo di tempo, presbitero. Quando il patriarca nel 425 morì, molti pensarono che Proclo ne sarebbe stato il successore, ma ciò non accadde e l'anno seguente fu invece consacrato vescovo di Cizico. La popolazione di quella città si rifiutò di accoglierlo ed egli dovette rimanere a Costantinopoli, dove si distinse come predicatore. Nel 428 il patriarcato si rese nuovamente vacante e ancora si pensò a Proclo come miglior candidato a reggere la sede, ma l'imperatore intervenne e impose la scelta di Nestorio. Il nuovo patriarca iniziò a divulgare una dottrina cristologica (condannata successivamente come eresia nestoriana) che sosteneva la compresenza, nel Verbo incarnato, di due persone, quella umana e quella divina. Conseguiva dunque che Maria dovesse essere considerata solamente madre dell'uomo Cristo e così Nestorio e i suoi seguaci si rifiutarono di usare il termine Theotokos ("Madre di Dio"), titolo tradizionale della Vergine. Nel 429 Proclo tenne una famosa omelia in cui si scagliò contro queste teorie, sostenendo l'uso del titolo Theotokos e affermando: «Noi non proclamiamo un uomo deificato, ma confessiamo un Dio incarnato». Egli non sembra, tuttavia, aver avuto un ruolo di rilievo nella successiva controversia e neppure nell'importante concilio di Efeso del 431, che condannò l'eresia e depose Nestorio. Fu scelto un nuovo patriarca e quando anch'egli morì, nel 434, Proclo poté finalmente accedere alla sede di Costantinopoli. Proclo si distinse per la moderazione in un periodo in cui accuse e controaccuse erano all'ordine del giorno nell'ambiente ecclesiastico, e in cui alcuni credenti ortodossi erano intenzionati a raggiungere l'eliminazione fisica degli eretici. Alcuni vescovi armeni gli chiesero di esprimere un giudizio sugli scritti del loro campione, Teodoro di Mopsuestia, e Proclo, a questo proposito, scrisse la sua opera più famosa, il cosiddetto «Torno di S. Proclo agli Armeni», in cui difese il punto di vista ortodosso sull'Incarnazione, criticando il lavoro di Teodoro (ma senza mai nominarlo per timore di offendere coloro che lo veneravano come santo). Ottenne il favore della popolazione presenziando alla traslazione dei resti di S. Giovanni Crisostomo a Costantinopoli, e sanò la vecchia frattura che aveva allontanato i seguaci del santo. Si ritiene che sia stato lui a voler introdurre, nella liturgia orientale, il noto Trisagion ("Tre volte santo") — «Santo Dio, Santo Potente, Santo Immortale, abbi pietà di noi» — a causa dell'efficacia di tale invocazione nel far cessare un grave terremoto nella città. S. Cirillo d'Alessandria (27 giu.) definisce Proclo «un uomo intriso di fede, perfettamente istruito nella disciplina della Chiesa e attento osservatore dei canoni». Lo storico greco Socrate che lo conobbe personalmente scrisse: «Per quanto riguarda le virtù morali egli ebbe pochi eguali. Era sempre gentile con tutti, convinto che la cortesia più della severità facesse progredire la causa della verità. Decise perciò di non irritare e perseguitare gli eretici, restituendo così alla Chiesa nella sua persona quella mite e benigna dignità di carattere che tanto spesso era stata infelicemente violata [...] egli fu un esempio per tutti gli autentici vescovi». È necessario aggiungere, tuttavia, che Proclo seppe combattere appassionatamente per i propri diritti come qualsiasi altra persona di quell'epoca così ricca di contrasti. Ebbe un'importante divergenza di opinioni con il papa sulla questione della giurisdizione episcopale, quando entrambe le sedi rivendicarono l'autorità sulla Chiesa di Tessalonica. Altri disordini nacquero per via della pretesa dei vescovi illirici di avere il diritto di appellarsi a Costantinopoli piuttosto che a Roma e in questi dissensi Proclo difese la posizione dei patriarchi in modo difficilmente definibile mite e moderato. Morì il 24 luglio 446. Oltre al TOMO già menzionato, siamo in pos-sesso di molte sue omelie (anche se sussistono dubbi sull'attribuzione di alcune di esse) e lettere, che trattano soprattutto di differenze dottrinali tra opinioni ortodosse e nestoriane. Alban Butler descrisse il suo stile come «conciso, sentenzioso e ricco di momenti arguti e allegri, più adatto a piacere e deliziare che a muovere il cuore [...l e tale da richiedere molte sofferenze e studio [...] non comparabile alla semplice e naturale gravità di S. Basilio o al dolce stile di S. Giovanni Crisostomo», giudizio che, forse, non combacia con l'immagine del cortese, paziente e moderato patriarca descritto da altri. Gli ortodossi osservano la sua festa il 20 novembre. MARTIROLOGIO ROMANO. A Costantinopoli, san Proclo, vescovo, che proclamò coraggiosamente la beata Maria come Madre di Dio e riportò dall’esilio nella città con solenne processione il corpo di san Giovanni Crisostomo, meritando per questo nel Concilio Ecumenico di Calcedonia l’appellativo di Magno.
nome San Maglorio- titolo Vescovo, abate- nascita 535, Glamorgan- morte 24 ottobre 605, Sercq- ricorrenza 24 ottobre- Apparentemente di origine irlandese, Maelor, o Maglorio fu educato da S. Illtyd (6 nov.) a Llaninntyd Fawr nel Galles. Dopo essere diventato monaco, fu ordinato diacono e condotto in Bretagna da S. Samson (28 lug.), di cui probabilmente era cugino. Qui gli fu affidata la guida del monastero di Kerfunt, dove collaborò nell'opera missionaria del maestro. La tradizione vuole che quando quest'ultimo morì, Maelor gli succedesse come abate del monastero di Dol e come vescovo del medesimo luogo (ma oggi si ritiene errata questa notizia). Infine Maelor si ritirò in un luogo solitario sulla costa bretone, ma anche lì un gran numero di persone andava a trovarlo, chiedendo il suo consiglio e sperando di poter vedere qualche miracolo. Quando il santo guarì il capo tribù di Sark, una delle isole del Canale, da una malattia della pelle, come ricompensa ebbe in dono un terreno sull'isola e qui si ritirò con alcuni dei suoi monaci, costruendovi un monastero. Egli organizzò la popolazione locale perché si difendesse dalle incursioni nemiche e con ogni probabilità fece visita anche a un'altra isola, Jersey, per scacciare ciò che viene descritto come un drago (e di conseguenza ricevette anche li in dono della terra). Dopo aver fatto ritorno a Sark, assistette la popolazione durante un'epidemia aggravata dalla carestia, senza preoccuparsi del pericolo che stava correndo. Non è certa la data della sua morte; secondo una Vita tarda egli interpretò alla lettera le parole del salmista «questo solo io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita», rifiutando di muoversi dalla chiesa negli ultimi mesi che gli erano rimasti da vivere. Le sue reliquie furono traslate prima di tutto a Lehon, vicino a Dinant (Belgio), nell'857, quindi a Parigi, per evitarne la distruzione durante le incursioni vichinghe; il loro possesso è tuttora rivendicato dalla chiesa di Saint-Jacques. Il nome di Maelor compare in diversi martirologi e calendari bretoni, e non vi è alcun dubbio sul suo culto, qualunque sia il contenuto di verità presente nelle Vite leggendarie. Il mistico inglese Richard Rolle parla di lui nel suo libro The Fire of Love (Il fuoco dell'amore, cap. 13). MARTIROLOGIO ROMANO. Nella Bretagna in Francia, san Maglorio, che, discepolo di sant’Iltuto, si tramanda sia succeduto a san Sansone vescovo di Dol e abbia vissuto in solitudine sull’isola di Sark.
nome San Martino di Vertou- titolo Abate- nascita 527 circa, Nantes,Francia- morte 601 circa, Francia- ricorrenza 24 ottobre- Abate e fondatore delle Abbazie di Vertoun (Nantes), Saint-Jouin-des-Marnes e altre ancora. Le informazioni sulla sua vita sono molto confuse. Si dice che abbia introdotto la regola benedettina nell'abbazia di Saint-Jouin-des Marnes, dove furono trasferite le sue reliquie. Secondo la sua leggenda, nacque a Nantes, in una famiglia franca. San Felice gli conferì il diaconato e lo mandò a predicare a Poitou. Nonostante tutti i suoi sforzi, Martino riuscì solo a convertire i proprietari della casa in cui viveva. Consigliava a questi di fuggire dalla catastrofe imminente e lui stesso lasciò invano la città in cui aveva lavorato e subito dopo la sua partenza un terremoto la distrusse e fu invasa dall'acqua. Dopo il suo fallimento missionario, San Martino si ritirò in un bosco sulla riva sinistra della Sèvre, dove fondò un eremo che si trasformò nel tempo nell'Abbazia di Vertou. Il santo evangelizzò la regione. A lui vengono attribuite diverse altre fondazioni, come il convento delle suore di Durieu, dove morì. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Vertou nel territorio di Retz in Francia, san Martino, diacono e abate, che san Felice vescovo di Nantes mandò a convertire i pagani di questa regione.
nome San Senoco- titolo Abate, Sacerdote- nascita VI secolo, Poitou, Francia- morte 576, Francia- ricorrenza 24 ottobre- Figlio di genitori pagani e originario del Poitou, nel regno dei Franchi, Senoc o Senou, si convertì al cristianesimo e abbandonò la sua casa per diventare eremita; si stabilì così in Touraine, nel luogo in cui oggi sorge un villaggio chiamato S. Senou. Trovate alcune rovine in cui abitare, utilizzò le pietre per costruirsi una cella e una cappella. Nonostante si fossero uniti a lui tre discepoli, egli preferiva vivere in solitudine, trascorrendo la maggior parte del tempo nel silenzio. Praticava severe penitenze, che gli guadagnarono la fama di uomo santo: per questo molte persone gli facevano visita offrendogli in dono denaro e beni vari, che Senoc utilizzava per soccorrere i poveri della regione. Nel 573 lasciò la sua cella per visitare la città di Tours, dove era stato eletto come nuovo vescovo Gregorio di Tours (17 nov.), e dopo aver scambiato con lui il bacio della pace, Senoc fece ritorno al proprio eremo. Poco dopo egli dovette ancora mettersi in viaggio per fare visita a parenti e amici nella città natia e qui fu accolto con tale rispetto, e persino venerazione, per la sua fama di santità, che al suo ritorno aveva il cuore gonfio d'orgoglio. S. Gregorio venne a conoscenza del suo stato d'animo e lo rimproverò molto aspramente, ricordandogli che Paolo esorta a non gloriarci di nulla se non delle nostre infermità, perché la potenza di Cristo possa dimorare in noi. Senoc accettò umilmente l'ammonimento e decise di avere ormai vissuto troppo a lungo come eremita e che in futuro avrebbe trascorso più tempo in compagnia dei fratelli, cosicché la loro sorveglianza lo aiutasse a non nutrire un'opinione troppo elevata di se stesso. S. Gregorio, che è la nostra principale fonte d'informazioni sulla vita di Senoc, riporta un racconto dei diversi miracoli operati per sua intercessione. I due strinsero evidentemente una forte amicizia, tanto che Senoc morì nel 576 fra le braccia del vescovo; una grande folla presenziò alla Messa funebre, celebrata da S. Gregorio, come pure alla Messa del Trigesimo, durante la quale un paralitico guarì sulla sua tomba. Il suo culto si diffuse in Francia, dove fu talvolta venerato sotto il nome di Enoc; le sue reliquie vengono rivendicate dalla chiesa di Sessenay (il cui nome è pro-babilmente la storpiatura di S. Senoc), vicino a Chalon-sur-Saone (sopra Lione). Senoc è anche considerato patrono dei costruttori di ponti, poiché si racconta che abbia riparato numerosi ponti in rovina. MARTIROLOGIO ROMANO. Presso Tours in Neustria, ora in Francia, san Senóco, sacerdote, che costruì su degli antichi ruderi un monastero e fu assiduo nelle veglie, nella preghiera e nella carità verso gli schiavi.