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28/03/2024 alle 19:24

La Settimana Santa: Giovedì Santo

La Settimana Santa: Giovedì Santo

Primo giorno del Triduo Pasquale, il Giovedì Santo ci prepara ai misteri della Passione e richiama quanto Gesù visse alla vigilia della sua morte in croce, interrogando ogni fedele con le parole del salmista: “Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto?”. Sul piano liturgico il Giovedì Santo prevede la Messa crismale celebrata al mattino nelle cattedrali - durante la quale il vescovo consacra solennemente gli oli santi e in particolare il Sacro Crisma - e la Messa in Coena Domini. Quest’ultima, che segna l’inizio effettivo del Triduo, è officiata nel tardo pomeriggio o alla sera per commemorare l’Ultima Cena con gli apostoli, quando Cristo “sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). Nell’Ultima Cena, Gesù e i Dodici celebrarono la Pasqua ebraica, memoriale della salvezza che Dio aveva donato a Israele, schiavo in terra d’Egitto, “passando oltre” le case degli ebrei e manifestando la sua potenza liberatrice. Come il sangue dell’agnello sugli stipiti delle porte aveva salvato i primogeniti israeliti, così Gesù - il vero Agnello, annunciato dai profeti - manifestò che solo il suo sacrificio è fonte di vera salvezza. Fonte, dunque, di liberazione dalla schiavitù del peccato, preludio alla nuova Pasqua e gloria eterna per chi Lo ama. Egli è Dio che si fa Servo, insegna agli apostoli a servirsi l’un l’altro e, con il gesto della lavanda dei piedi, ribalta le idee di grandezza tipiche del mondo. Fino a condensare tutto così: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Quel come io vi ho amati è l’imperativo a vivere secondo la Volontà divina, in amore e verità. Nell’Ultima Cena, Gesù e i Dodici celebrarono la Pasqua ebraica, memoriale della salvezza che Dio aveva donato a Israele, schiavo in terra d’Egitto, “passando oltre” le case degli ebrei e manifestando la sua potenza liberatrice. Come il sangue dell’agnello sugli stipiti delle porte aveva salvato i primogeniti israeliti, così Gesù - il vero Agnello, annunciato dai profeti - manifestò che solo il suo sacrificio è fonte di vera salvezza. Fonte, dunque, di liberazione dalla schiavitù del peccato, preludio alla nuova Pasqua e gloria eterna per chi Lo ama. Egli è Dio che si fa Servo, insegna agli apostoli a servirsi l’un l’altro e, con il gesto della lavanda dei piedi, ribalta le idee di grandezza tipiche del mondo. Fino a condensare tutto così: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Quel come io vi ho amati è l’imperativo a vivere secondo la Volontà divina, in amore e verità.

Il disegno di Misericordia racchiuso nell’Ultima Cena ha il suo culmine nell’istituzione dell’Eucaristia. Gesù si dona così quale “Pane di Vita” per aiutare ognuno a rimanere saldo di fronte al “mistero d’iniquità” che attanaglia il mondo e vincere il combattimento spirituale. Chiarissime le sue parole nell’atto di benedire e spezzare il pane: “Prendete e mangiate. Questo è il mio Corpo”. E, ancora, dopo la benedizione del calice: “Bevetene tutti, perché questo è il mio Sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati”. Sempre Lui, Sacerdote eterno, volle istituire nella stessa cena il sacramento dell’Ordine, per perpetuare nei secoli il dono totale di Sé (“fate questo in memoria di me”) attraverso la sua Chiesa, fondata sugli apostoli e anzitutto su Pietro. Pregò per loro e annunciò sia le persecuzioni che subiranno nel suo Nome sia i fedeli che li seguiranno: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra”.

La SANTA MESSA CRISMALE. La messa del crisma, o messa crismale, è la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo nella cattedrale generalmente il mattino del giovedì santo o il pomeriggio del mercoledì santo. Se si frapponessero notevoli difficoltà alla riunione del clero e del popolo con il vescovo, si può anticipare la celebrazione in un altro giorno prossimo alla Pasqua con il formulario proprio della messa. A questa messa stazionale, che vuole significare l'unità della Chiesa locale raccolta intorno al proprio vescovo, sono invitati tutti i membri del clero diocesano (presbiteri e diaconi). I presbiteri, dopo l'omelia del vescovo, rinnovano le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione sacerdotale. In questa messa, il vescovo consacra gli oli santi: il crisma, l'olio dei catecumeni e l'olio degli infermi. Essi sono gli oli che si useranno durante tutto il corso dell'anno liturgico per celebrare i sacramenti: il crisma viene usato nel battesimo, nella cresima e nell'ordinazione dei presbiteri e dei vescovi, nella consacrazione della chiesa e dell’altare; l'olio dei catecumeni viene usato nel battesimo; l'olio degli infermi viene usato per l'unzione degli infermi. In foto Mons. Norbert Trelle infonde il profumo nell'olio del Sacro Crisma durante la messa crismale celebrata nella cattedrale di Hildesheim.

LA MESSA VESPERTINA "IN COENA DOMINI". Nel tardo pomeriggio in tutte le chiese c’è la celebrazione della Messa in “Coena Domini”, cioè la “Cena del Signore”. Si tratta dell'Ultima Cena – raffigurata da intere generazioni di artisti – che Gesù tenne insieme ai suoi apostoli prima dell'arresto e della condanna a morte. Tutti e quattro i Vangeli riferiscono che Gesù, avvicinandosi la festa "degli Azzimi", ossia la Pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la rituale cena, in casa di un loro seguace. La Pasqua è la più solenne festa ebraica e viene celebrata con un preciso rituale, che rievoca le meraviglie compiute da Dio nella liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana (Esodo 12); e la sua celebrazione si protrae dal 14 al 21 del mese di Nisan (marzo-aprile). In quella notte si consuma l’agnello, precedentemente sgozzato, durante un pasto (la cena pasquale) di cui è stabilito ogni gesto; in tale periodo è permesso mangiare solo pane senza lievito (in greco, “azymos”), da cui il termine “Azzimi”. Gesù con gli Apostoli non mangiarono solo secondo le tradizioni, ma il Maestro per l’ultima volta aveva con sé tutti i dodici discepoli da lui scelti e a loro fece un discorso dove s'intrecciano commiato, promessa e consacrazione. LA LAVANDA DEI PIEDI SIMBOLO DI OSPITALITÀ. Il Vangelo di Giovanni, al capitolo 13, racconta l'episodio della lavanda dei piedi (nella foto in alto, l'opera del Tintoretto, La lavanda dei piedi, 1548 – 1549, olio su tela, Madrid, Museo del Prado). Gesù, scrive l'evangelista, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine», e mentre il diavolo già aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota, il proposito di tradirlo, Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua nel catino e con un gesto inaudito, perché riservato agli schiavi ed ai servi, si mise a lavare i piedi degli Apostoli, asciugandoli poi con l’asciugatoio di cui era cinto. Bisogna sottolineare che a quell’epoca si camminava a piedi su strade polverose e fangose, magari sporche di escrementi di animali, che rendevano i piedi, calzati da soli sandali, in condizioni immaginabili a fine giornata. La lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico, era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito, del figlio verso il padre e veniva effettuata con un catino apposito e con un “lention” (asciugatoio) che alla fine era divenuto una specie di divisa di chi serviva a tavola. Quando fu il turno di Simon Pietro, questi si oppose al gesto di Gesù: “Signore tu lavi i piedi a me?” e Gesù rispose: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”; allora Pietro che non comprendeva il simbolismo e l’esempio di tale atto, insisté: “Non mi laverai mai i piedi”. Allora Gesù rispose di nuovo: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” e allora Pietro con la sua solita impulsività rispose: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”. Questa lavanda è una delle più grandi lezioni che Gesù dà ai suoi discepoli, perché dovranno seguirlo sulla via della generosità totale nel donarsi, non solo verso le abituali figure, fino allora preminenti del padrone, del marito, del padre, ma anche verso tutti i fratelli nell’umanità, anche se considerati inferiori nei propri confronti. Al termine della Messa vespertina del Giovedì Santo, l’Eucaristia viene conservata nell’altare della reposizione, adornato di fiori e candelabri, (mentre il resto della chiesa, in genere, rimane al buio e le campane tacciono in segno di lutto, fino alla Solenne Veglia Pasquale nella notte del Sabato Santo). È presso quell’altare che i fedeli possono adorare il Santissimo Sacramento fino al pomeriggio del Venerdì Santo e meditare sui misteri della Passione, specialmente sulla tristezza mortale provata da Gesù nel Getsemani. È il momento propizio per confortare Nostro Signore, come fece Maria partecipando ai suoi dolori e come fece l’angelo disceso nell’Orto.

ISTITUZIONE DELL'ORDINE SACRO E DEL SACERDOZIO MINISTERIALE Questo è il mio corpo che è per voi“. E dopo aver lavato i piedi Gesù aggiunge: “vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi“. In queste due frasi si situa la natura e il senso del sacerdozio che Gesù ha istituito in quella che noi chiamiamo “l'ultima cena” e che, forse, potremmo anche chiamare la “Prima Messa” di Gesù. “Questo è il mio corpo che è per voi“. Una frase che si riferisce innanzitutto all'Eucarestia. “Questo il mio corpo che è dato per voi“, parole che riguardano anche il sacerdote, il cui corpo, il cui celibato, la cui sessualità, sono donate per un obiettivo più alto, più santo: Dio e i fratelli. Il corpo del Sacerdote, interamente donato a Cristo, è la riprova più commovente della presenza reale di Gesù nell'Eucarestia. Il corpo del Sacerdote, celibe-casto come il corpo terreno di Cristo, è certamente il modo più emblematico per immedesimarsi nel sacrificio di Cristo, racchiuso nel pane consacrato. Eucarestia e sacerdozio sono inscindibili. L'uomo non separi ciò che Dio ha congiunto in modo così incredibilmente sublime! Ma San Paolo precisa: Gesù disse “questo è il mio corpo … nella notte in cui veniva tradito“. Nel gruppo dei Sacerdoti che circondano Gesù in quella prima Messa della storia ci sono anche Pietro, Tommaso e Giuda. Il primo rinnega, il secondo tentenna nella fede, il terzo tradisce. Gesù ha accettato che quella sera ci fossero anche loro, perché sapeva che ci sarebbero stati altri sacerdoti che avrebbero rinnegato, tentennato nella fede, tradito. Forse a questo aspetto dovremo pensare un po' di più, soprattutto quando i media – con sadico compiacimento – raccontano di rinnegamenti, sbandamenti, o addirittura esecrabili tradimenti. Dopo aver lavato i piedi, Gesù aggiunge: “vi ho dato l'esempio perché come ho fatto io facciate anche voi“. Il corpo del Sacerdote, totalmente donato a Cristo, totalmente unito a Lui nell'Eucaristia, si apre inevitabilmente al servizio dei fratelli. Un servizio che si traduce nel chinarsi e lavare. Il corpo del sacerdote si china e lava i piedi non soltanto il Giovedì Santo, nella coreografia emozionante della liturgia. Il corpo del sacerdote si china e lava i piedi dei fratelli quando rimuove le paure, quando corregge gli errori, rettifica le insicurezze e – nel sacramento della confessione – cancella la sporcizia del peccato. Anche quando si occupa dei poveri, dei migranti e dei non cristiani, il Sacerdote si china a lavare i piedi. In questi casi, il suo non è solo un gesto di premura umanitaria, ma rientra nella sua chiamata: lavare i corpi dei fratelli, perché essi possano accedere al Corpo Santissimo del Cristo nell'Eucaristia. La Caritas, come il Sacerdozio, è nata il Giovedì Santo. Perché il fine ultimo della vita del prete, sia che celebri, sia che operi la carità, è sempre lo stesso: che il suo corpo divenga richiamo al Corpo Santissimo di Cristo nell'Eucarestia. Lo attesta pure la triplice etimologia del suo nome: Sacerdote, ovvero Sacer-dicatum: uomo dedito al sacro; Sacra-dans: uomo che dona le cose sante; Sacrum-faciens: uomo che rende sacro tutto ciò a cui mette mano.

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3 commenti

@Signorino

9 mesi fa

Ah Vitupero che lavorone🥰

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