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23/03/2024 alle 10:41

I santi di oggi 23 marzo:

I santi di oggi 23 marzo:

nome San Turibio de Mogrovejo- titolo Vescovo- nome di battesimo Turibio de Mogrovejo- nascita 16 novembre 1538, Spagna- Ordinato presbitero 1578- Nominato arcivescovo 16 maggio 1579 da papa Gregorio XIII- Consacrato arcivescovo agosto 1580 dall'arcivescovo Cristóbal Rojas Sandoval- morte 23 marzo 1606, Lima, Perù- ricorrenza 23 marzo- Incarichi ricoperti Arcivescovo metropolita di Lima (1579-1606)- Beatificazione 2 luglio 1679 da papa Innocenzo XI- Canonizzazione 10 dicembre 1726 da papa Benedetto XIII- Attributi mitra, bastone pastorale- Patrono di Perù, vescovi missionari, indios- Benedetto XIV lo paragonò a san Carlo Borromeo e lo definì «instancabile messaggero d'amore». Eppure Turibio, nacque in Spagna nel 1538, e nel 1579 era ancora un laico. Filippo II, tuttavia, sapeva che nel nuovo mondo gli Indios erano spesso sfruttati fino a morte e volle un cambiamento. Inizialmente Turibio resistette ma poi accettò e venne nominato arcivescovo di Lima. Coscienziosamente, prima di partire, studiò accuratamente i problemi da affrontare. La realtà che gli si presentò nel 1581 era drammatica: la popolazione autoctona era ridotta in condizioni di impoverimento materiale, culturale e umano, mentre i discendenti dei primi conquistatori erano gelosi dei loro privilegi. Turibio, tuttavia, aveva il temperamento del grande riformatore. Anzitutto nutriva grande amore e rispetto per gli indios. Per questo studiò la loro lingua, il quéchua, e impose ai sacerdoti in cura d'anime di studiarla. Convocò, poi, un concilio generale per l'America Latina a Lima, due concili provinciali e dodici sinodi diocesani. Queste riunioni gli servivano per riformare l'amministrazione e i costumi, favorire e coordinare lo scambio di esperienze missionarie e pastorali. L'arcivescovo poi fu quasi sempre in visita nella sua vastissima diocesi. Fondò il seminario di Lima, fece pubblicare un catechismo in lingua quéchua e raccomandò ai parroci di preoccuparsi perché le case degli indios avessero tavole per mangiare e letti per dormire. Turibio scrisse anche un "Libro de las visitas" che rivelava una mente pianificatrice di ampie vedute. Perfino le note più brevi testimoniano l'ardente amore del padre per i figli. Sfinito dai viaggi e dagli altri impegni del governo pastorale Turibio morì nel 1606. MARTIROLOGIO ROMANO. A Lima, nel Perù, san Turibio Vescovo, per la cui virtù si propagò in América la fede e la disciplina ecclesiastica.

nome Santa Rebecca Ar-Rayès- titolo Religiosa- nome di battesimo Boutrossieh Ar-Rayyes- nascita 1832, Libano- morte XIX Secolo, Batrun,Libano- ricorrenza 23 marzo- Beatificazione 17 novembre 1985 da papa Giovanni Paolo II- Canonizzazione 10 giugno 2001 da papa Giovanni Paolo II- Butroussiyyah (Pietra o Piera) Ar-Rayyes nacque nella città di Himlaya in Libano. La data di nascita precisa non è conosciuta, poiché i documenti andarono persi quando la città fu saccheggiata dai drusi nel 1860. Suo padre era Mourad Saber al-Chabaq Ar-Ra-yyes, la madre si chiamava Rafqa El-Gemayel, entrambi erano maroniti. Rafqa El-Gemayel morì quando Butroussiyyah aveva sette anni e il padre si risposò dopo due anni. La famiglia era molto po-vera così, appena fu grande abbastanza da poter lavorare, Butroussiyyah andò a servizio presso una famiglia cristiana libanese di Damasco. All'età di quattordici anni, venne richiamata a casa dal padre, che desiderava farla sposare nonostante la sua contrarietà. Pare che sia rimasta a Himlaya fino all'età di ventun anni e che abbia rifiutato numerosi pretendenti. Un giorno che tornava a casa dopo essere stata al pozzo a prendere acqua, sentì la zia e la matrigna che discutevano animatamente su quale fosse il miglior partito per lei; sconfortata, decise di lasciare la casa e diventare suora, esaudendo così un desiderio nascosto da lungo tempo. Partì nel 1853 per il convento di Santa Maria della Liberazione di Bikfayya, che apparteneva alle suore mariamette, una congregazione locale, fondata dai gesuiti, che si occupava dell'insegnamento. Lungo il cammino incontrò altre tre giovani a cui propose di unirsi a lei e due accettarono; continuarono insieme e si presentarono alla superiora, che accolse Butroussiyyah senza ulteriori valutazioni e chiese alle altre due di tornare un'altra volta. Il giorno seguente arrivarono il padre e la matrigna per ricondurla a casa, ma ella scongiurò la superiora di non mandarla nel parlatorio, e da quel momento non li vide mai più. Prese l'abito nel 1855, assumendo il nome di Anissa (Agnese). Era una novizia umile e rispettosa, amata e stimata da tutti. L'anno seguente, il 1856, fu trasferita a Ghazir, dove fece la sua professione e dove rimase per sette anni come cuoca della comunità. Quell'anno i drusi, che a partire dal 1840 avevano sempre fatto incursioni contro i cristiani, sferrarono un attacco violentissimo durante il quale rimasero uccisi quasi ottomila cristiani in Libano in soli ventidue giorni. Le strade di Deir-al-Qamar furono sommerse dal sangue dei maroniti; anche se i drusi non erano soliti uccidere le donne, per precauzione un arabo durante l'attacco nascose le suore in una stalla e da allora suor Agnese non poté più ricordare la carneficina di quei giorni senza piangere. Dopo due anni trascorsi a Deir-al-Qamar, Agnese si trasferì nella città di Gebail per un anno e poi per un altr'anno in quella di Ma'ad. In seguito alla richiesta da parte di un ricco cristiano di mandare un'insegnante nel suo villaggio, che si trovava nello stesso distretto, suor Agnese vi si recò e iniziò a insegnare in una classe di sessanta alunni, alloggiando nella casa di Antonio Issa e sua moglie. Nel 1871 una profonda crisi scosse la congregazione: i gesuiti volevano unire le mariamette e le sorelle del Sacro Cuore, due istituti che perseguivano scopi quasi identici e che avevano entrambi perso una parte delle proprietà nei massacri del 1860. Le due congregazioni però non riuscirono a raggiungere un accordo e i religiosi della Compagnia di Gesù decisero di sopprimerle entrambe. Suor Agnese non desiderava tornare alla vita del mondo come altre sorelle fecero: Antonio Issa vide il suo sconforto e le propose di nominarla sua erede se fosse rimasta a insegnare nel villaggio. Dal momento che ella era però decisa a entrare in un monastero, si offrì di pagarle tutte le spese e la raccomandò all'arcivescovo. All'età di trentanove anni, il 12 luglio 1871, suor Agnese entrò nel monastero di S. Simone El-Qarn dell'ordine baladita, una delle due congregazioni monastiche nelle quali l'ordine maronita del Libano si era diviso nel 1770. La professione ebbe luogo il 25 agosto 1873 ed ella prese il nome della madre, Rafqa (Rebecca). Rebecca si distinse nel nuovo monastero per le sue qualità di obbedienza e devozione che da sempre la caratterizzavano, arricchite ora dalla convinzione di essere arrivata a casa; aveva una bella voce e cantava l'ufficio con slancio, in maniera concentrata e gioiosa; era sempre la prima a arrivare nel coro alla mattina e spesso si recava in chiesa per pregare. Le sue superiori ritenevano che il suo amore verso le sorelle avesse raggiunto un alto grado di perfezione: se vedeva qualcuna triste, tentava sempre di consolarla; visitava spesso gli ammalati ed era sempre disposta a trascorrere la notte al capezzale di chi avesse bisogno di cure particolari. Se qualcuno veniva punito, chiedeva di essere sottoposta anch'essa alla medesima punizione come incoraggiamento e per scacciare ogni sentimento di rifiuto nei suoi confronti. Non cercava nulla per se stessa: non chiese mai un abito nuovo, preferendo portarne uno di seconda mano, e i suoi unici beni erano un cuscino, un fuso e una scatola di metallo per gli aghi da maglia. Rebecca, tuttavia, sentiva che la sua vita non era completamente dedicata a Dio. Nella festa del Rosario nell'ottobre 1885 si recò in chiesa e più tardi descrisse così l'esperienza: «Compresi che la mia salute era ottima e che non ero mai stata malata, così pregai: "Mio Dio, perché mi sei così lontano? Perché mi hai abbandonato? Non ti sei manifestato a me nell'esperienza della malattia, mi hai forse abbandonato?"». Quella stessa notte sentì un dolore violentissimo alla testa che si estese agli occhi. Fu il primo segno della sua passione, che sarebbe durata ventinove anni. I dolori agli occhi e alla testa divennero quasi intollerabili, e iniziò a perdere la vista all'occhio destro. Un guaritore glielo cavò, con la conseguente concentrazione del dolore nell'occhio sinistro. Il suo unico conforto era poter recitare l'ufficio a memoria. Riteneva che le sue sofferenze fossero nulla in confronto a quelle di Cristo: «Il mio capo non è coronato di spine, non vi sono chiodi nelle mie mani o nei miei piedi. Devo espiare delle colpe. Egli, nel suo amore per noi, ha sopportato infiniti obbrobri e sofferenze, e noi non lo ricordiamo mai». In due occasioni si senti un po' meglio. Per la festa del Corpus Christi sentì un intenso desiderio di partecipare all'eucarestia e pregò intensamente per ottenere la grazia: improvvisamente sentì il suo corpo scivolare fuori dal letto e i suoi piedi protendersi verso il pavimento. Si trascinò fino in chiesa, lasciando le sorelle sbalordite per lo stupore. Rimase seduta durante la Messa e, dopo la benedizione finale, chiese di poter rimanere un altro poco. Quando fu ora di tornare in cella non riuscì più a muoversi. In un'altra occasione la superiora le chiese se non desiderasse nulla per se stessa ed ella rispose che avrebbe voluto riavere la vista per un'ora per poter vedere lei e le altre sorelle. Subito riacquistò la vista per il tempo di un'ora, riuscendo a vedere le cose nella stanza. Suor Rebecca morì il 23 marzo 1914 all'età di ottantadue anni e venne seppellita due giorni dopo. È stata beatificata da papa Giovanni Paolo II il 17 novembre 1985. Per l'occasione fu donata al papa una bella icona della beata secondo la tradizione siriana. MARTIROLOGIO ROMANO. Presso ad-Dahr in Libano, santa Rebecca ar-Rayyas da Himláya, vergine della Congregazione delle Suore Libanesi Maronite, che, cieca per trent’anni e affetta da altre infermità in tutto il corpo, perseverò nell’orazione continua confidando solo in Dio.

nome Beata Annunciata Cocchetti- titolo Vergine- nome di battesimo Annunciata Asteria Cocchetti- nascita 9 maggio 1800, Rovato- morte 23 marzo 1882, Cemmo- ricorrenza 23 marzo- Beatificazione 21 aprile 1991 da papa Giovanni Paolo II- Annunziata Cocchetti nacque il 9 maggio 1800 a Rovato, nella diocesi di Brescia. Figlia di proprietari terrieri, rimase orfana a soli sette anni e venne cresciuta dalla nonna. All'età di diciassette anni aprì una scuola per ragazze in quella che era stata la casa dei suoi genitori. Cosciente di aver bisogno di qualche qualifica professionale e di una posizione regolare, ottenne il diploma di insegnante, che le procurò un posto nella scuola elementare di Rovato. Dopo la morte della nonna, la zia, che ne era diventata la tutrice, la portò con sé a Milano, dove visse per sei anni, mantenendo i contatti con la città natale, soprattutto con alcune dame impegnate in opere sociali con i giovani. Dietro consiglio di don Luca Passi alcune di queste dame entrarono nella Pia Opera di Santa Dorotea, un movimento che stava guadagnando importanza in Italia. Don Luca tentò di aprire una scuola per ragazze di campagna nel 1821 a Cemmo, ma il tentativo fallì, e l'edificio fu preso in gestione da don Vincenzo Panzerini di Lovere, che tentò ancora di trasformarlo in una scuola, mettendolo nelle mani della nipote, Erminia Panzerini. Venendo a sapere dalle dame di Brescia che quella scuola aveva bisogno di un'altra insegnante, Annunziata si presentò sul posto e nel 1831 iniziò a lavorare a Cemmo. Lavorò per undici anni eon Erminia, portando la scuola a un ottimo livello. Si legò anche al movimento della Pia Opera e aprì numerose sezioni a Cemmo e nelle parrocchie limitrofe. In quello stesso anno, il 1831, don Luca stava fondando un istituto, le Suore di Santa Dorotea, per sostenere il lavoro della Pia Opera. Quando Erminia Panzerini morì nel 1842, Annunziata entrò come novizia nell'ordine con l'intenzione di fondare un suo istituto. Fece ritorno a Cemmo nell'ottobre del 1842, vestita con l'abito religioso e accompagnata da due altre sorelle; nel 1843 le tre presero i voti nel nuovo istituto Santa Dorotea di Cemmo, di cui fu aperto il noviziato nel 1853. Annunziata Cocchetti fu una donna energica, impegnata nell'opera dell'istituto che aveva fondato, e nello stesso tempo una persona dedita alla preghiera, con un grande amore per Cristo e la santa eucarestia. Cercò sempre di instillare nelle sorelle e negli alunni un profondo amore di Dio. Nei mesi estivi a partire dal 1843 organizzò ritiri per ragazze in un edificio apposito, dove anch'essa andò a stare e dove morì il 23 marzo 1882, all'età di ottantadue anni. È stata beatificata da Giovanni Paolo II il 21 aprile 1991. Oggi la congregazione possiede settantadue case in Inghilterra, Argentina e Zaire, con circa quattrocento membri. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel villaggio di Cemmo in Lombardia, beata Annunziata Cocchetti, vergine, che resse con saggezza, fortezza e umiltà l’Istituto delle Suore di Santa Dorotea da poco fondato.

nome Sant'Ottone Frangipane- titolo Eremita- nome di battesimo Ottone Frangipane- nascita 1040 circa, Roma- morte 1127 circa, Ariano Irpino, Campania- ricorrenza 23 marzo- Attributi saio, spada, flagello- Patrono di Ariano, Castelbottaccio e diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia- Secondo la tradizione arianesi, nacque a Roma, ed era un discendente della nobile famiglia Frangipane. Intorno al 1058/60 dovette partire per alcune campagne militari in difesa del papa. In uno di essi, Ottone fu catturato dagli avversari e messo in prigione. Liberato per intervento divino, per intercessione di san Leonardo de Noblac, tornò a Roma. Poi è andato in pellegrinaggio di ringraziamento ai santuari cristiani in diverse regioni. Quel pellegrinaggio durò circa 50 anni. Le tradizioni affermano che in quel momento portava l'abito benedettino, visse per qualche tempo nell'Abbazia della Santissima Trinità di Cava dei Tirreni, e che visitò San Guglielmo di Vercelli a Montevergine. Dopo il lungo pellegrinaggio, il santo si stabilì ad Ariano Irpino intorno al 1110. Qui Ottone lavorò per tre anni in un ospedale per pellegrini che lui stesso aveva fondato, dando l'esempio di carità, fino a quando decise di ritirarsi per condurre una vita eremitica, a circa un chilometro. e mezzo dalla città, nella chiesa di San Pietro Apostolo, oggi chiamata San Pietro in Carcere. Annesso alla chiesa costruì una piccola cella, e lì si isolò. Compì molti miracoli nel luogo, aumentò le sue austerità, prolungò le sue veglie di preghiera, diminuì il cibo e aumentò le penitenze. Nella piccola cella scavò una fossa per ricordarsi della morte, come ammonimento a condurre una vita santa. Dopo dieci anni di questa vita morì. Gli arianesi trasportarono solennemente il suo corpo nella cattedrale, dove il vescovo lo fece seppellire con onore. Il culto sembra essere iniziato subito e nel tempo gli sono stati attribuiti molti miracoli. La salma fu trasferita a Benevento intorno al 1220, per evitare profanazioni nelle incursioni saracene. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Ariano Irpino in Campania, sant’Ottone, eremita.

nome San Giuseppe Oriol Boguna- titolo Sacerdote- nome di battesimo José Oriol Boguñá- nascita 23 novembre 1650, Barcellona- morte 23 marzo 1702, Barcellona- ricorrenza 23 marzo- Beatificazione 21 settembre 1806 da papa Pio VII- Canonizzazione 20 maggio 1909 da papa Pio X- Giuseppe Oriol nacque da una povera famiglia di Barcellona il 23 novembre 1650. Il padre, Giovanni, tessitore di seta, morì sei mesi dopo la sua nascita e dopo due anni la madre, Geltrude Buguiia, si risposò con Domenico Pujolft, un calzolaio, che si affezionò al figlio di lei come se fosse stato suo. Lo affidò al curato della sua parrocchia, S. Maria del Mare, perché lo educasse: Giuseppe entrò a far parte del coro, fu istruito nella musica e nel catechismo e ricevette probabilmente un'educazione primaria, senza la quale non avrebbe potuto compiere gli studi che in seguito intraprese. Venne chiamato per svolgere il compito di sagrestano e, durante il servizio, acquistò una grande sensibilità per la presenza sacramentale di Cristo. Era solito trascorrere molte ore in preghiera in chiesa. Il suo patrigno morì quando egli aveva dodici o tredici anni, e Geltrude si ritrovò ancora una volta in difficoltà economiche. Per alleggerire il suo fardello, Caterina Bruguera, che aveva aiutato ad allattare il bambino quando era piccolo, lo prese in casa con sé, dove rimase per tredici anni. Grazie alla generosità di benefattori sconosciuti Giuseppe fu in grado di continuare gli studi all'università. Una volta trasferitosi nella casa di Caterina, si dedicò seriamente allo studio e alla preghiera, non uscendo mai di casa se non per andare a Messa o a scuola. All'età di ventitré anni vinse un dottorato in teologia presso l'università di Barcellona, continuando a studiare contemporaneamente teologia morale ed ebraico. Venne ordinato sacerdote nel 1676. Consapevole delle difficoltà economiche della madre, iniziò a lavorare come tutore dei figli di Tommaso Gasneri. La famiglia era ricca e viveva in una casa lussuosa, dove anch'egli si trasferì, trovandosi a condurre un'esistenza ben lontana da quella della sua infanzia. Nel 1677 un fatto accadutogli a tavola ebbe un effetto irreversibile: stava per servirsi da uno dei piatti colmi di cibo delizioso quando sentì la sua mano trattenuta una, due e tre volte da una forza misteriosa ma invincibile. Interpretò quella strana paralisi come un ammonimento divino a non inseguire una vita comoda e da quel momento iniziò un digiuno che protrasse per tutta la vita. Il suo unico sostentamento furono pane nero e acqua, aggiungendo erbe selvatiche nei giorni di festa e una sardina per Natale e Pasqua. Durante la Quaresima mangiava e beveva solo di domenica. Rimase con la famiglia Gasneri per nove anni, fino alla morte della madre avvenuta nel 1686. Tre settimane dopo partì a piedi per andare a visitare le tombe degli apostoli di Roma. Là gli fu assegnata da papa Innocenzo XI una prebenda per la cura delle anime della chiesa di Santa Maria dei Re a Barcellona, conosciuta più comunemente come Nuesira Sefiora del Pino. Ritornò in Spagna per iniziare il suo ministero, che sarebbe terminato con la morte, quindici anni dopo. Esattamente cento anni dopo, nel 1786, sarebbe nato in Francia Giovanni Vianney, il Curato d'Ars (4 ago.), e Giuseppe Oriol può essere considerato in diversi modi un suo precursore e la sua anima gemella: entrambi si sottoponevano a un rigido ascetismo, entrambi erano ricolmi di una grazia particolare ed entrambi si sarebbero consumati nella cura pastorale del gregge loro affidato, trascorrendo ore e ore nei confessionali. Giuseppe affittò una piccola stanza da un certo dottor Padrós, continuando a risiedervi anche dopo la morte di quest'ultimo, con il consenso della vedova e rimanendovi fino alla sua ultima malattia. La stanza era silenziosa e isolata e gli procurava quella solitudine di cui aveva bisogno per le sue ore di preghiera e penitenza, anche se gli abitanti della casa non poterono non accorgersi delle sue flagellazioni notturne. Tutto ciò che possedeva erano un tavolo, una panca, un crocifisso e pochi libri. Non v'era fuoco a proteggerlo dal freddo invernale e non c'era un letto, ma in ogni caso non dormiva mai più di due o tre ore per notte, riposandosi da seduto o usando un semplice stuoino. Riassettava da solo la stanza, vestiva lo stesso abito liso in estate e in inverno e non portava mai il cappello per difendersi dal freddo o dalla pioggia. Non spendeva nulla per sé o per i suoi bisogni, tenendo tutto il denaro che gli proveniva dal suo beneficio per i poveri o per le messe per i defunti. Aveva un solo scopo: staccarsi completamente da tutto ciò che non era Dio per attaccarsi a lui con tutte le forze. In principio veniva deriso per strada, ma poi le cose cambiarono. Si spostava sempre a piedi, qualsiasi fosse la distanza da percorrere; parlava raramente ma rispondeva cortesemente e gentilmente a quelli che gli facevano delle domande, misurando le sue parole secondo i bisogni dell'ascoltatore. I bambini gli si avvicinavano per baciargli la mano, ed egli li portava in chiesa per una lezione di catechismo, le donne, che credevano di parlare a un angelo più che a un essere umano, non avevano paura di essere respinte. Aveva una forte influenza su soldati e prigionieri, che si conquistava con la sua generosità e simpatia. Le persone colte e intelligenti lo ascoltavano rispettosamente e perfino i venditori ambulanti e i commercianti si alzavano in piedi quando passava per la strada. Era un uomo serio, ma mai scontroso, al contrario era conosciuto come un santo allegro. In lui vi era una luce che attirava gli altri: la gente si sentiva amata da lui e gli accordava fiducia. Era il primo ad arrivare nel coro per l'ufficio e l'ultimo a lasciarlo ed era solito confessare prima della Messa e celebrarla con grande raccoglimento, preparandosi accuratamente e ringraziando a lungo. Visitava le case dei parrocchiani solo se doveva adempiere a qualche bisogno spirituale e limitava la conversazione ai misteri della fede, esortando a ricevere i sacramenti e ad aumentare la devozione a Maria. La cosa più importante per lui era il ministero nel confessionale, al quale dedicava ogni minuto libero. Possedeva un dono speciale per la direzione spirituale, sostenuto dalla sua abilità nel leggere nel cuore dei penitenti. A un certo punto venne accusato di troppa severità e di prescrivere penitenze che mettevano a rischio la salute. I suoi denigratori riuscirono a raggiungere l'orecchio del vescovo e questi gli proibì di confessare (il prelato tuttavia morì presto e il suo successore gli affidò nuovamente l'incarico). Stranamente, nel mezzo di questa vita impegnatissima, fu colto da un irresistibile desiderio di martirio e decise di andare a Roma per mettersi a disposizione della Congregazione per la Propagazione della Fede. invano i fedeli di Barcellona lo scongiurarono di rimanere e a nulla valsero gli inviti alla riflessione avanzati da due anziani preti: egli partì per l'Italia, ma a Marsiglia cadde ammalato e una visione di Maria lo incoraggiò a tornare a Barcellona e a trascorrere il resto della vita prendendosi cura degli ammalati. Da questo momento in poi crebbe verso la santità perfetta, i cui frutti si manifestarono nelle opere di misericordia che compì verso ogni tipo di miseria. Sperimentando l'unione permanente con Dio, era continuamente rapito fuori da se stesso, senza riuscire a vedere o udire nulla, incosciente di ciò che stava dicendo o facendo. Mentre celebrava all'altare il suo corpo era trasfigurato e il suo viso, normalmente pallido, diventava luminoso e raggiante mentre portava l'eucarestia agli ammalati, così che molte persone si fermavano a guardarlo meravigliate. I malati sentivano una fiamma che li riempiva quando egli li toccava e ogni giorno, dopo i vespri, una folla di infermi convergeva dalle città e dai villaggi vicini alla chiesa di Santa Maria ed egli, intingendo le dita nell'acqua santa, li benediceva oppure stendeva le mani su di loro, operando guarigioni prodigiose. A volte, per evitare l'affollamento davanti alla chiesa, egli stesso si recava nei villaggi. Le uniche persone scontente erano i farmacisti, che a causa sua perdevano i clienti, i peccatori incalliti e gli scettici, ma egli li riconosceva e non li curava, sperando che questo li portasse al pentimento. Giuseppe mantenne la sua umiltà, meravigliandosi del fatto che Dio avesse scelto proprio lui come strumento. Credeva fermamente che tutti i sacerdoti potessero fare altrettanto se solo avessero voluto usare i doni che Cristo aveva dato loro. Sentendo avvicinarsi la morte, chiese una stanza e un letto a un amico e vi si trasferì. Volle anche ricevere l'estrema unzione e il viatico. Durante i suoi ultimi tre giorni di vita ricevette ancora il viatico, non mangiando null'altro. Quando annunciò che la sua morte era imminente, quelli che lo assistevano si addolorarono molto, ma egli li pregò di rallegrarsi con lui, promettendo loro che li avrebbe ricordati davanti a Dio. Fu sempre sereno, quasi felice e, come sentì prossima la fine, chiese che recitassero lo Stabat Mater: durante la preghiera, tenendo gli occhi fissi sul crocifisso, esalò l'ultimo respiro. Era il 23 marzo 1702, Giuseppe aveva 52 anni. Venne canonizzato nel 1909. Una folla immensa si raccolse intorno alla sua bara e il giorno del funerale le porte della chiesa dovettero venire chiuse per permettere la tumulazione. MARTIROLOGIO ROMANO. A Barcellona in Spagna, san Giuseppe Oriol, sacerdote, che con la mortificazione del corpo, una vita di povertà e l’orazione continua ebbe l’animo costantemente rivolto a Dio e fu colmo di celeste gaudio.

nome Beato Metodio Domenico Trcka- titolo Sacerdote redentorista e martire- nome di battesimo Metod Dominik Trcka- nascita 6 luglio 1886, Frýdlant, Repubblica Ceca- morte 23 marzo 1959, Leopoldov, Slovacchia- ricorrenza 23 marzo- Beatificazione 4 novembre 2001 da papa Giovanni Paolo II- Nacque il 6 luglio 1886 a Frýdlant nad Ostravicí (attuale Repubblica Ceca). Nel 1902 entrò nella congregazione del SS. Redentore, professando i voti religiosi il 25 agosto 1904. Fu ordinato presbitero a Praga il 17 luglio 1910. Già durante gli anni di seminario aveva espresso il desiderio di lavorare fra i cristiani di rito orientale: nel 1919 fu mandato a Lviv per svolgere l'apostolato tra i fedeli greco-cattolici. Dopo l'avvento del regime comunista, durante la notte del 13 aprile 1950 tutti i religiosi furono portati nei campi di concentramento. Durante il processo, il 12 aprile 1952, fu accusato di collaborazione con il vescovo Gojdié perché divulgava le lettere pastorali e consegnava informazioni a Roma. Questo era considerato spionaggio e alto tradimento contro lo stato. Fu condannato a 12 anni di carcere. Nell'aprile del 1958 fu trasferito a Leopoldov, considerata una delle prigioni più dure: si ammalò di polmonite e si spense il 23 marzo 1959, dopo aver perdonato i suoi aguzzini. È stato beatificato il 4 novembre 2001.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Leopoldov in Slovacchia, beato Metodio Domenico Trcka, sacerdote della Congregazione del Santissimo Redentore e martire, il cui pellegrinaggio terreno, in tempo di persecuzione della fede, si tramutò con il suo glorioso martirio in vita eterna.

nome Beato Pietro da Gubbio- titolo Agostiniano- nascita 1231 circa, Gubbio, Umbria- morte 1306 circa, Gubbio, Umbria- ricorrenza 23 marzo- Beatificazione 1847 da papa Pio IX- Nacque a Gubbio, dalla nobile famiglia dei Ghisleni. Cristianamente istruito, studiò a Perugia e Parigi, conseguendo la laurea in giurisprudenza. Esercitò la professione con grande competenza e carità, guadagnandosi una reputazione di onestà e rettitudine. Mise la sua professione soprattutto al servizio dei bisognosi. Intorno ai 40 anni conobbe i frati agostiniani che si stabilirono a Gubbio intorno al 1250 e provenivano dall'eremo di Brettino (Fano). Entusiasta della sua vita austera e caritatevole, volle condividerla professando la regola di sant'Agostino e diventando così avvocato al servizio di Dio e della Chiesa. Ordinato sacerdote, la sua determinazione e il suo zelo attirarono l'attenzione dei superiori, che gli affidarono compiti di responsabilità. La tradizione vuole che fosse Vicario Generale dell'Ordine, e con questo titolo fu inviato dal Priore Generale, in qualità di Visitatore, per sostenere e animare le nuove comunità in Francia, lasciando anche lì una testimonianza di equilibrio e santità. Si afferma anche che, per spirito di penitenza e umiltà, visitava sempre quelle comunità nudo. Famoso anche come predicatore, sia per la sua grande preparazione culturale che per la sua semplicità accessibile a tutti, si affermò per la sua grande capacità di preghiera e di carità. Trascorse l'ultima parte della sua vita nel convento di Gubbio, dove morì all'età di 75 anni. Il suo culto immemorabile fu riconosciuto da Papa Pio IX nel 1874. Nell'Ordine di Sant'Agostino la sua memoria viene celebrata il 29 ottobre. MARTIROLOGIO ROMANO. A Gubbio in Umbria, beato Pietro, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino.

nome Beato Pietro Higgins- titolo Martire- nome di battesimo Pietro Higgins- nascita 1600 circa, Dublino, Irlanda- morte 1642 circa, Naas, Leinster, Irlanda- ricorrenza 23 marzo- Probabilmente nacque a Dublino, in Irlanda. Entrò nell'Ordine dei Predicatori. Sappiamo che nel 1627 era in Spagna con un gruppo di domenicani irlandesi che vivevano lì. Nel 1630 era a Dublino e predicava Naas. Era priore del convento di Naas, in Irlanda e un eccellente predicatore del Vangelo. Furono anni difficili in Irlanda, perché si preparava una zuppa di grande animosità tra i cattolici autoctoni con i protestanti venuti dall'Inghilterra. Il conflitto scoppiò nel 1641, e basti qui dire che quella che era una rivolta politica dei gruppi vernacolari contro il potere della Corona di Carlo I, si trasformò in una guerra civile, dove saccheggi, omicidi indiscriminati, e ognuno dava la colpa all'altra religione per comandare le più grandi atrocità. Con la situazione a Naas dominata dal conte di Ormond, un protestante inglese, le rappresaglie furono contro tutti i leader cattolici, che fossero o meno responsabili di crimini comuni. Il beato Pietro fu arrestato e, con il pretesto di ristabilire l'ordine, fu condannato a morte. Tuttavia, mantenne permanentemente la sua innocenza riguardo alle accuse penali contro di lui, ed è stato in grado di dimostrare che gli era stata offerta la libertà se si fosse rivolto all'anglicanesimo, quindi è chiaro che la sentenza era esclusivamente in odio alla fede cattolica. Per la sua fedeltà alla Chiesa cattolica fu condotto al patibolo a Dublino dove fu impiccato. L'Ordine dei Predicatori lo celebra il 30 ottobre. È stato beatificato nel set dei 17 martiri della persecuzione in Irlanda, da Papa Giovanni Paolo II il 27 settembre 1992. MARTIROLOGIO ROMANO. In località Naas vicino a Dublino in Irlanda, beato Pietro Higgins, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e martire, che, sotto il regno di Carlo I, fu impiccato senza processo per la sua fedeltà alla Chiesa Romana.

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