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31/07/2024 alle 14:22

I santi di oggi 31 luglio:

I santi di oggi 31 luglio:

nome Sant'Ignazio di Loyola- titolo Fondatore della Compagnia di Gesù- nome di battesimo Íñigo López de Loyola- nascita 1491 Lojola, Spagna- morte 31 luglio 1556, Roma- ricorrenza 31 luglio- Beatificazione 27 luglio 1609 da papa Paolo V- Canonizzazione 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV- Santuario principale Chiesa del Gesù, Roma- Attributi Cuore trapassato da spine, IHS (Cristogramma)- Patrono di Gesuiti, militari Patrono universale della gioventù- Nacque nel castello di Lojola, da una nobile famiglia di Spagna, l'anno 1491. Dopo aver dimorato per qualche tempo alla corte dei re cattolici, passò nella milizia, ove si distinse per il suo valore. Prescelto alla difesa di Pamplona, da prode sostenne l'assedio con un pugno di uomini, ma nel furore della mischia ebbe una gamba spezzata. Mentre era costretto a letto, chiese qualcuno di quei romanzi cavallereschi che allora erano in voga, ma non avendone a portata di mano gli furono dati la vita di Gesù Cristo e un libro di vita di santi. Portato più dalla necessità che dalla devozione, Ignazio incominciò a leggerli. Quei digiuni, quelle veglie, quelle mortificazioni di quegli uomini grandi davanti a Dio e davanti agli uomini, lo colpirono fino nell'intimo dell'anima. Era la grazia divina éhe entrata nel suo cuore cominciava ad operare. Tremenda fu la battaglia della natura colla grazia, ma finalmente questa prevalse e la sua vita mutò. Non appena ebbe forze bastevoli per reggersi in piedi cominciò ad attuare i disegni che, illuminato dalla luce divina, aveva progettato nella malattia. Si recò al santuario di Monserrat: quivi, ai piedi di Maria, depose spada e corazza, e, donato il ricco vestito cavalleresco ad un povero, si ritirò nella grotta di Manresa. Il rigore e l'austerità della vita quivi trascorsa furono grandi. Duramente provato resistette; fedele a Dio nella mortificazione, nella preghiera e nel raccoglimento, Dio lo premiò, riversando su di lui un torrente di benedizioni, di dolcezze, di grazie e di gioie, di rivelazioni, di illustrazioni straordinarie e meravigliose. Qui compose l'aureo libro degli Esercizi Spirituali, che fu ed è una perenne scuola di perfezione cristiana. Ignazio, fermo nel proposito di voler unicamente servire Dio, visitò la Terra Santa. Di ritorno si stabilì a Barcellona ed intraprese lo studio del latino. Passò quindi a Parigi ove trovò Saverio, Rodriguez ed altri coi quali stabilì di fondare una milizia di Cristo che chiamò « Compagnia di Gesù »; nella cappella di Montmartre emetteva i voti religiosi coi compagni. A Roma, esposta ogni cosa al S. Padre, tutto veniva approvato. Così nasceva la Compagnia di Gesù che, nel corso dei secoli, contrassegnata dalla caratteristica della persecuzione e del martirio, fiorì ovunque apportando bene immenso a tutta l'umanità. Con la nuova Compagnia, Ignazio mandava missionari fra gl'infedeli, difendeva la verità cattolica contro l'eresia protestante e promuoveva il rinnovamento della pietà tra i fedeli. Fondò anche il Collegio Germanico, e tante altre pie istituzioni che ci attestano il suo grande zelo. Più volte lo si sentì esclamare che se gli fosse stato dato di scegliere avrebbe preferito vivere incerto della beatitudine e intanto lavorare per il Signore e la salvezza del prossimo, piuttosto che morire subito colla sicurezza della gloria eterna. Esausto di forze, consumato dalla carità e pieno di meriti, il 31 luglio del 1556 passava nella patria beata a ricevere il premio dei giusti. PRATICA. La lettura della vita di Gesù fu per Ignazio il principio della sua conversione: leggiamola anche noi. PREGHIERA. Dio, che a propagare maggiormente la gloria del tuo nome, per mezzo del beato Ignazio provvedesti la Chiesa militante di nuovo sussidio, concedi che col suo aiuto e a sua imitazione noi combattendo in terra meritiamo di essere coronati con lui in cielo. MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di sant’Ignazio di Loyola, sacerdote, che, nato nella Guascogna in Spagna, visse alla corte del re e nell’esercito, finché, gravemente ferito, si convertì a Dio; compiuti gli studi teologici a Parigi, unì a sé i primi compagni, che poi costituì nella Compagnia di Gesù a Roma, dove svolse un fruttuoso ministero, dedicandosi alla stesura di opere e alla formazione dei discepoli, a maggior gloria di Dio.

nome San Giustino De Jacobis- titolo Vescovo- nascita 9 ottobre 1800, S. Fele- Ordinato presbitero 12 giugno 1824 dall'arcivescovo Giuseppe Maria Tedeschi, O.P.- Nominato vescovo 6 luglio 1847 da papa Pio IX- Consacrato vescovo 7 gennaio 1849 dal vescovo Guglielmo Massaia, O.F.M.Cap. (poi arcivescovo e cardinale)- morte 31 luglio 1860, Zula, Eritrea- ricorrenza 31 luglio- Beatificazione 25 luglio 1939 da papa Pio XII- Canonizzazione 26 ottobre 1975 da papa Paolo VI- Attributi bastone pastorale- Patrono di San Fele- Incarichi ricoperti Prefetto apostolico d'Abissinia (1839-1847), Vescovo titolare di Nilopoli (1847-1860), Vicario apostolico d'Abissinia (1847-1860)- Giustino de jacobis nacque nel 1800 a S. Fele (Basilicata). La sua famiglia si trasferì a Napoli; all'età di diciotto anni entrò a far parte della Congregazione della Missione (lazzaristi o vincenziani) e, ordinato sacerdote, fu continuamente richiesto come predicatore e confessore, sviluppando un'abilità speciale nello spiegare la fede ai non istruiti. Allo stesso tempo si dimostrò particolarmente abile come amministratore: fu incaricato di contribuire a una nuova fondazione a Monopoli e poi nominato superiore della casa dell'ordine a Lecce. Nel 1836 e 1837, quando Napoli fu colpita da un'epidemia di colera, Giustino mostrò la sua gran carità nell'assistere i malati, specialmente i poveri. Poi, nel 1839, fu incaricato di occuparsi delle missioni vincenziane fondate di recente a Godar e Adua in Etiopia. Un giornale contemporaneo, scrivendo della sua nomina, lo descrisse come «uno di quegli evangelizzatori che sanno come sottomettere la natura alla religione, e portare a Gesù Cristo sia i saggi e gli studiosi, che gli ignoranti e i semplici» (B.T.A.). L'Etiopia mise alla prova sia la sua abilità che la sua determinazione: il paese era politicamente diviso, con costanti combattimenti tra i signori locali, alcuni dei quali sostennero Giustino, mentre la maggior parte si oppose perché era occidentale. Il paese si trovava anche in uno stato di povertà religiosa: la Chiesa copta, cui apparteneva circa metà della popolazione, era teoricamente governata da un vescovo non etiope, o abuna, nominato dal patriarca di Alessandria, ma per gran parte del periodo tra il 1803 e il 1841, non c'era stato nessun abuna nel paese. Circolava un forte risentimento contro la minoranza di cattolici latini, che erano ancora messi in relazione, nella mente del popolo, con l'attività missionaria occidentale che aveva avuto la mano pesante nel XVII secolo. I sacerdoti occidentali erano stati banditi dal paese nel 1632, e la missione vincenziana fu la prima a essere istituita da allora. Giustino era sensibile a questa situazione complessa e studiò la cultura e le lingue di quella nazione, tentando di porre fine all'ostilità con la disponibilità e l'umiltà. Seguì uno stile di vita etiope, indossando abiti locali e vivendo in generale senza mobili, dormendo e sedendo per terra, e scrivendo su brandelli di carta appoggiandosi sulle ginocchia. Aveva grandi vedute sulla necessità di un clero autoctono, pensando che sarebbe stato meglio avere dei sacerdoti etiopi non molto istruiti piuttosto che una gran quantità di missionari europei. Insisteva nell'osservare il rito etiope nel celebrare la Messa, con l'appoggio di papa Pio IX, e quando furono successivamente ordinati sacerdoti locali secondo il rito latino, chiese loro di svolgere il loro ministero secondo i riti locali. Il suo primo coinvolgimento ufficiale con il clero copto avvenne nel 1841, quando un notabile del luogo gli ordinò di far parte di una delegazione che si recasse ad Alessandria per chiedere la nomina di un abuna. Sfortunatamente il patriarca nominò Salama, che aveva solo vent'anni, senza alcuna esperienza monastica, che aveva studiato presso una scuola inglese protestante, perciò totalmente impreparato a trattare i problemi della Chiesa etiopica. Nel 1846 il vicario apostolico, mons. Massaia, giunse da Roma per aprire una nuova missione per i popoli non cristiani dell'Etiopia meridionale. Ordinò alcuni candidati che Giustino aveva preparato per il sacerdozio e tentò di persuadere quest'ultimo a diventare vescovo dell'Etiopia settentrionale. Giustino rifiutò, in parte per umiltà, e in parte perché non era sicuro che ciò avrebbe contribuito ai tentativi missionari: i vescovi stranieri erano molto impopolari e trattati con molto sospetto (quando si seppe della presenza di Massaia, questi dovette sfuggire a una banda armata incaricata di ucciderlo). Alla fine Giustino accettò di essere consacrato: la cerimonia fu celebrata in segreto da Massaia nel 1848, dopo che Giustino era dovuto scappare sull'isola di Massawa per evitare l'attacco di un esercito di ribelli. Fu in grado di tornare sulla terraferma nel 1849, ma tenne segreta la sua consacrazione il più a lungo possibile; una delle sue poche ordinazioni fu quella di Michele Ghébré (28 ago.) nel 1851. Gradualmente il suo operato guadagnò terreno, e per il 1853 c'erano venti sacerdoti locali di rito latino e circa cinquemila laici, con una sorta di seminario peripatetico del tipo maestro-discepoli. Nel 1854 Giustino si spostò a Gondar, nel sud, dove sperava di trattare direttamente con Kassa, che in quel momento era il più potente dei signori della guerra e che presto sarebbe stato incoronato re dei re da Salama. In luglio egli fu imprigionato, insieme con i suoi compagni; la decisione di uccidere quest'ultimo nacque da Salama; ai copti fu detto che «uccidere colui che segue la loro religione, per esempio i latini, significa guadagnare, sette corone celesti» (O.D.S.). Giustino fu esiliato sotto scorta armata, ma le guardie lo fecero scappare, così egli ritornò segretamente a Gondar per vedere se era in grado di aiutare gli altri prigionieri, ma quando ciò si dimostrò impossibile, ripartì per il settentrione, che lasciò di nuovo nel 1855 per recarsi a Massawa ed evitare gli eserciti di Kassa. Quando uno dei generali chiese aiuto al governo francese per riavere i suoi territori usurpati da Kassa, Giustino approvò con gran riluttanza il progetto e poté tornare da Massawa a Halai. Verso la fine del 1859, giunse una missione politica francese, e Giustino ospitò i suoi membri, perciò fu arrestato dalle truppe di Kassa nel 1860 e tenuto prigioniero per alcune settimane finché fu riscattato dal suo clero. Si recò di nuovo a Massawa per mettersi in salvo, ma, convinto della sua morte imminente, partì con la maggior parte dei suoi compagni per ritornare a Halai. Contrasse una febbre e morì nel deserto il 31 luglio 1860. I resoconti sulla sua attività in Etiopia pongono in rilievo la sua umanità e umiltà; come scrisse mons. Massaia: «Dio ha innalzato questo grande modello di perfezione umana su un piedistallo di umiltà, perché fosse una lezione per l'Etiopia, e per gli apostoli che dovrebbero portare avanti il lavoro da lui iniziato» (citato in B.T.A.). La Chiesa che fondò è «la vitale Chiesa etiopica di rito etiopico nell'Etiopia settentrionale. Il fatto che sia una Chiesa di rito etiopico non è fortuito, ma nasce dalla scelta decisiva di un uomo la cui eroica dedizione a tale scelta lo ha messo in grado di stabilire radici apostoliche permanenti e di lasciare un segno indelebile sulla storia etiopica» (O'Mahoney). Giustino de Jacobis fu sepolto nella chiesa di Hebo, e la sua tomba divenne presto meta di pellegrinaggi. Fu beatificato nel 1939 e canonizzato nel 1975 per la sua attività di missionario e il suo lavoro ecumenico. MARTIROLOGIO ROMANO. Nella valle di Alighede in Etiopia, san Giustino De Iacobis, vescovo della Congregazione della Missione, che, mite e pieno di carità, si impegnò nelle opere di apostolato e nella formazione del clero locale, patendo poi la fame, la sete, le tribolazioni e il carcere.

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