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28/09/2024 alle 16:55

I santi di oggi 28 settembre:

I santi di oggi 28 settembre:

nome Maria che scioglie i nodi- titolo Risolutrice delle avversità- ricorrenza 28 settembre- Maria che scioglie i nodi è rappresentata in un dipinto del 1600 di Georg Melchior Schmidtner conservato nella chiesa di San Pietro ad Augusta (Augsburg), tenuta dai gesuiti. È qui che è stato ammirato dal giovane Jorge Maria Bergoglio, l'attuale Papa Francesco, che allora, nel 1986, si trovava in Germania per un soggiorno di studio. Affascinato dalla storia di questo dipinto, una volta tornato in Argentina diffuse il culto della Madonna rappresentata in America Latina e poi in tutto il mondo. Il dipinto deve la sua devozione alla storia che lo lega ad un matrimonio, quello tra il nobile Wolfgang Langenmantel e Sophia Rentz, avvenuto nel 1612 ed entrato in crisi appena 3 anni dopo. L'uomo si recò così dal gesuita Jakob Rem per chiedere consiglio a questi il quale affidò la questione a Maria Santissima, pregandola assieme durante gli incontri. Il 28 settembre, nell’ultimo dei loro quattro incontri, Wolfgang consegnò a padre Rem il nastro nuziale, quello che si usava durante la celebrazione del matrimonio per legare le mani degli sposi quale segno del vincolo indissolubile. Ma il nastro bianco appariva pieno di nodi giacché Sophia dopo ogni litigio con il marito, ne aggiungeva uno. Il sacerdote offrì il nastro nuziale alla Vergine dicendo: “Con questo atto religioso innalzo il vincolo del matrimonio, sciolgo tutti i nodi e lo appiano” i nodi si sciolsero miracolosamente e il matrimonio fu salvo.

nome San Venceslao- titolo Martire- nascita 907 circa, Stochow, Praga, Repubblica Ceca- morte 936, Stará Boleslav, Repubblica Ceca- ricorrenza 28 settembre- Attributi Corona, palma del martirio- Patrono di Repubblica Ceca, Boemia, Slovacchia- S. Venceslao, re di Boemia, era figlio di Uratislao e di Drahomira e nipote di Boivoro, primo duca cristiano di Boemia e della beata Ludmilla. Suo padre Uratislao era un principe virtuoso, valoroso e benigno; ma la madre Drahomira, atea e pagana, univa ad una alterigia diabolica una grande crudeltà e perfidia. Venceslao ebbe anche un fratello più giovane, di nome Boleslao, perfido come la madre. Ludmilla, nonna di questi due principi, volle Venceslao presso di sé, premendole educare l'erede secondo le massime del Cristianesimo. Venceslao ebbe per maestro un prete di santità e prudenza non comune, alle cui cure corrispose lodevolmente, mostrando già in tenera età il suo amore per lo studio e la virtù. Fu messo in seguito a compire gli studi in un collegio di Praga. Era ancor giovane, quando gli morì il padre. La madre Drahomira allora prese le redini del regno. Questa pessima donna sfogò il suo odio contro il Cristianesimo, facendo atterrare le chiese, proibendo il culto pubblico e persino l'insegnamento della religione cristiana ai fanciulli. Revocò tutte le leggi emanate dal marito Uratislao in favore dei cristiani e scacciò i magistrati che non si professavano pagani. Gran numero di fedeli furono vittime di questo suo odio. Non è a dire quanto grande fosse il dolore di Ludmilla per queste cose e quanto raddoppiasse i suoi sforzi e le sue preghiere perché Venceslao, erede al trono, un giorno ponesse termine a questi mali. E appena fu possibile, incitò Venceslao a prendere in mano le redini del governo, assicurando da parte sua protezione, preghiera e consiglio. Ma bisognava fare i conti col fratello Boleslao, educato e sostenuto dalla perfida Drahomira. Si decise di dividere il regno: la parte preponderante toccò a Boleslao e la Boemia propriamente detta rimase a Venceslao. Non contenta Drahomira volle sopprimere anche la pia Ludmilla, rea di aver educato cristianamente Venceslao. La fece infatti strangolare nel suo oratorio mentre stava in orazione. Ludmilla è venerata come martire di Boemia e la Chiesa ne celebra la solennità il 16 di settembre. Intanto scoppiò la guerra: Radislao, principe di Gurima, si portò con una potente armata negli stati del nostro santo; Venceslao. per difendersi prese anch'egli le armi. Quando i due eserciti si trovarono di fronte, Venceslao, divinamente ispirato, propose a Radislao di affidare l'esito della contesa a un duello, per impedire in tal modo spargimento di sangue innocente. Il principe di Gurima accettò, certo di vincere. Ma ecco che mentre combattevano, due Angeli si posero ai fianchi di Venceslao, dandogli la vittoria. Lo zelo di Venceslao nel reprimere i disordini della nobiltà e difendere gli oppressi, gli attirarono molti nemici, e la stessa sua madre si mise a capo della congiura. A tradimento lo invitò nel suo palazzo, ed una notte, mentre Venceslao si recava a pregare, lo fece barbaramente trucidare. Era l'anno 936. PRATICA. La preghiera deve essere sempre il nostro conforto, anche nelle più atroci pene. PREGHIERA. O Dio, che per mezzo della palma del martirio trasferisti il beato Venceslao dal principato terreno alla gloria celeste, custodiscici per le sue preghiere da ogni avversità, , e concedici di gioire della sua compagnia.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. San Venceslao, martire: duca di Boemia, fu educato alla sapienza umana e divina dalla zia paterna Ludmilla e, pur severo con sé stesso, fu però uomo di pace nell'amministrare il regno e misericordioso verso i poveri e riscattò in massa gli schiavi pagani in vendita a Praga, perché fossero battezzati; dopo avere affrontato molte difficoltà nel governare i suoi sudditi e nell'educarli alla fede, tradito da suo fratello Boleslao, fu ucciso in chiesa a Stará Boleslav in Boemia da alcuni sicari.

nome Beato Bernardino da Feltre- titolo Religioso- nome di battesimo Martino Tomitano- nascita 1439, Feltre, Belluno- morte 1494, Pavia- ricorrenza 28 settembre- Beatificazione 1654- Santuario principale Chiesa di Santa Maria del Carmine, Pavia- Bernardino da F'eltre fu uno dei grandi predicatori del XV secolo e un economista pratico anche se discusso. Martino Tomitani, nato a Fcltre, vicino a Venezia nel 1439, fu il maggiore di dieci figli. Le sue doti intellettive furono presto riconosciute, ed egli ricevette una buona istruzione, recandosi poi all'università di Padova, nel 1456, per studiare legge e filosofia. Quasi subito conobbe il predicatore francescano S. Giacomo delle Marche (28 nov.), discepolo di S. Bernardino da Siena (13 mag.). Nel maggio dello stesso anno entrò nei frati minori dell'Osservanza, con il nome di Bcrnardino, dal nome del santo senese canonizzato di recente. L'impegno radicale e senza mezzi termini, sua caratteristica peculiare, è esemplificato da un suo commento di questo periodo su uno dei suoi grandi amori, la musica, che considerava: «non adatta per coloro che si consacravano a Dio». Fu ordinato sacerdote nel 1463 e trascorse í successivi sei anni in tutta tranquillità, studiando e pregando; poi, nel 1469, il capitolo veneziano dell'ordine lo nominò tra i suoi predicatori. Bernardino fu terrorizzato, dato che prima d'allora non aveva mai pronunciato omelie in pubblico, non aveva fiducia in se stesso, ed era molto basso di statura, caratteristica che certo non facilitava le cose (era solito firmarsi «piccolino e poverello»). La sua guida spirituale, facendogli il segno della croce sulle labbra, gli disse: «Dio ti scioglierà la parola, per dimostrarti che íl dono della predicazione proviene solo da lui», tuttavia quando, dopo essersi attentamente preparato, salì sul pulpito per la prima volta davanti a una numerosa congregazione a Mantova, fu colto dal panico e dimenticò tutto ciò che aveva pensato dí dire. Ricordando il suo patrono, S. Bernardino, abbandonò l'idea di pronunciare il discorso preparato, e cominciò a parlare liberamente di lui. Da quel giorno non si preparò più le omelie nel modo convenzionale, affidandosi piuttosto alla preghiera, che definì come «preparazione migliore dello studio, giacché più efficace e veloce». Per i successivi venticinque anni, Bcrnardino viaggiò per l'Italia predicando ovunque andasse; sono state conservate almeno centoventi sue omelie, perciò sappiamo che il suo stile era semplice, disadorno («l'ostentazione non porta mai niente di nuovo,» disse) e vivace. Con il trascorrere del tempo attirò un folto seguito di gente; a Firenze e a Padova la congregazione si riversò nella piazza principale; a Padova e Feltre tutti gli alloggi disponibili erano stati occupati in anticipo, in occasione della sua venuta; e in un'occasione, tremila persone si recarono da Crema a Lodi, percorrendo una distanza di circa venti chilometri, per ascoltare due omelie di seguito. Non aveva mezzi termini, era persino brusco, nel denunciare i fallimenti di una società lacerata dalla guerra, dalle rivalità politiche, dalla violenza, e dalla corruzione. Quest'uomo fragile, in realtà, minacciato dalla tubercolosi, divenne così veemente che esistono almeno due testimonianze documentate della rottura di un vaso sanguigno. Il fatto che si fece presto dei nemici, specialmente tra le autorità, che si sentivano minacciati dalle sue critiche scrupolose, non fu un deterrente per lui, e neanche gli attentati alla sua vita. Presto alcune leggi furono abrogate o approvate come risultato del suo intervento: grazie a lui, per esempio, per la prima volta nelle prigioni gli uomini furono separati dalle donne; fu dichiarato illecito lo sfruttamento da parte del marito del denaro della moglie; le corse che si svolgevano a Brescia il 15 agosto furono abolite per gli abusi che incoraggiavano; e in diverse città le case da gioco furono chiuse. Come Bernardino da Siena e il suo contemporaneo fiorentino, il domenicano Girolamo Savonarola, era solito organizzare enormi falò in cui bruciare ciò che chiamava «la cittadella del diavolo» (dalle carte ai dadi da gioco, dai libri licenziosi ai distintivi delle fazioni rivali che stavano causando conflitti nelle città italiane, oltre ad articoli di vestiario non necessari e frivoli). Il popolo amava questo spettacolo, e se i loro governanti erano meno entusiasti, la maggior parte di loro imparò a rispettare Bernardino e, all'occorrenza, a sfruttar il suo intervento come mediatore. Solo con le fazioni Oddi e Baglioni, costantemente in conflitto a Perugia, non riuscì a ottenere alcun risultato. Uno dei mali più gravi che Bernardino sentì il bisogno di risolvere fu la pratica dell'usura: gli usurai, la maggior parte ebrei, a quel tempo prestavano il denaro a tassi d'interesse esorbitanti, e altrettanto facevano i rapaci banchieri lombardi. Consapevole dell'atmosfera antisemita prevalente, Bernardino disse con chiarezza che non intendeva attaccare gli ebrei in quanto tali: Non si deve recare danno agli ebrei e alle loro proprietà. L...] Bisogna donare loro giustizia e carità, poiché hanno la nostra stessa natura. Lo ripeto ovunque [...] giacché l'ordine, i pontefici e i misericordiosi lo richiedono allo stesso modo, ma tuttavia è vero che la legge canonica proibisce espressamente gli affari troppo frequenti, e la troppa familiarità con essi. Oggi nessuno ha scrupoli su questa questione, e non posso tacere; gli usurai ebrei superano ogni limite, rovinano i poveri e s'ingrassano a loro spese. Io, che vivo d'elemosine e mangio lo stesso pane dei poveri, non posso restare zitto davanti a quest'oltraggiosa ingiustizia. Al giorno d'oggi questo discorso sembra paternalistico e in un certo senso offensivo, ma a quel tempo era relativamente progressista. Nel 1484, mettendo in pratica le sue parole e incontrando l'opposizione di alcuni frati, istituì il suo primo Monte di Pietà; il mons pietatis originale fu probabilmente fondato nel secolo precedente da un vescovo di Londra, Michele di Northborough. Bernardino lasciò mille marchi d'argento da prestare senza interessi ai poveri, che per sicurezza avrebbero dovuto depositare uno o più degli oggetti di proprietà personale. Un francescano, Barnaba da Terni, fondò una simile «agenzia di prestiti su pegno» a Perugia nel 1462, e ne furono aperti altri successivamente in Toscana, nelle Marche, e negli Stati pontifici, ma fu Bernardino che ebbe l'idea e la sfruttò per creare un'organizzazione effettiva. Il Monte di Pietà mantovano incontrò una tale opposizione da parte degli usurai del luogo da fallire, ma dal 1484 al 1492, Bernardino ne fondò non meno di venti, ognuno amministrato da un gruppo di frati e laici (rappresentanti dei differenti rami del commercio), alcuni controllati dal municipio. Il capitale iniziale proveniva in parte da donazioni volontarie, in parte da prestiti degli usurai stessi; i profitti erano aggiunti al capitale, consentendo di ridurre il piccolo tasso d'interesse. Bernardino fu criticato da tutti (dagli usurai e banchieri che riuscirono a far chiudere alcuni Monte di Pietà, e dai giuristi di diritto canonico, che affermarono che applicare un interesse, se pur minimo, era ugualmente usura). Bernardino non cedette, affermando che senza una piccola rata d'interesse, i fondi non sarebbero esistiti per niente. La questione non fu mai chiarita, mentre era in vita, ma nel 1515 il V concilio Laterano decretò che i Monti di Pietà non solo erano legali, ma che dovevano essere sostenuti, e grazie a questo diventarono comuni in tutta l'Europa, eccetto che nelle Isole Britanniche. Alla fine dell'agosto 1494, Beniardino, la cui salute precaria stava cominciando a peggiorare, riuscì a giungere a Pavia, dove era atteso per l'omelia, durante la quale mise in guardia il popolo del possibile attacco dei francesi, «che stavano ferrando i cavalli per l'invasione dell'Italia», cosa che effettivamente avvenne durante il regno di Carlo VIII, pochi mesi dopo, quando però Bernardino era già morto, a Pavia il 28 settembre, all'età relativamente giovane di cinquantacinque anni: fu subito acclamato come santo e il culto confermato nel 1654. MARTIROLOGIO ROMANO. A Pavia, beato Bernardino da Feltre (Martino) Tomitano, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che riportò ovunque buona messe dalla sua predicazione, istituì contro l’usura i cosiddetti Monti di Pietà e, uomo di pace, fu chiamato dal papa Sisto IV a ricomporre le discordie civili.

nome Santi Lorenzo Ruiz di Manila e 15 compagni- titolo Martiri- ricorrenza 28 settembre- Beatificazione 18 febbraio 1981 da papa Giovanni Paolo II- Canonizzazione 18 ottobre 1987 da papa Giovanni Paolo II- Un resoconto generale delle persecuzioni in Giappone si trova febbraio in quest'opera alla prima voce del 6. Questo gruppo di sedici martiri, che subirono il martirio tra il 1633 e il 1637, è stato beatificato da papa Giovanni Paolo II a Manila nel 1981, luogo scelto in base al fatto che Lorenzo Ruiz proveniva dalle Filippine e fu il primo santo di quel paese. Nella Domenica delle Missioni del 1987, sono stati canonizzati, e la loro festa attualmente è inserita nel calendario universale; qui sono elencati separatamente i nomi e alcuni brevi dettagli. Lorenzo Ruiz nacque da genitori cristiani a Manila, ma fuggì in Giappone, per evitare un'accusa infondata, nel luglio 1636; poiché cristiani, Lorenzo assieme a tutti gli altri; erano tenuti a obbedire all'editto proclamato da Tokugawa Ieyasu nel 1603, che bandiva il cristianesimo, seguito nel 1623 da un altro decreto che costringeva tutti i giapponesi a dichiarare pubblicamente la loro adesione alla religione ufficiale di stato, e i cristiani a calpestare il fumie (piastre che recavano un'immagine della Vergine con il Bambino). In caso di rifiuto, sarebbero stati puniti con la morte, i primi tempi generalmente su un rogo di lunga durata, e poi con la tortura conosciuta come "il pozzo", seguita dalla decapitazione, se le vittime erano ancora vive dopo qualche giorno. Lorenzo morì in questo modo 1128 settembre 1637. Gli altri quindici martiri sono elencati qui di seguito, seguendo l'ordine cronologico della morte: P. Domenico (Domingo) Ibatiez de Erquicia, un domenicano spagnolo, giustiziato il 14 agosto 1633, come Francis Soyemon, un ausiliario domenicano giapponese; P. Giacomo Kyushei Gorubioye Tomanga, domenicano giapponese, il 17 agosto 1633, con Michele Gorubioye, catechista laico giapponese; P. Luca (Lucas) dell'Espiritu Santo, domenicano spagnolo, il 19 ottobre 1633, con Matteo Kohioye, ausiliario domenicano giapponese; Maddalena di Nagasaki, terziaria agostinina giapponese, il 15 ottobre 1634; P. Giordano Ansalone, domenicano italiano, tra 1'11 e il 17 novembre 1634, con p. Tommaso Hioji Rokuzayemon, domenicano giapponese, e Marina di Omura, terziaria domenicana giapponese; P. Antonio Gonúlez, domenicano spagnolo, tra il 24 e il 29 settembre 1637, con p. Michele (Miguel) de Aozoaza, domenicano spagnolo; p. Guglielmo (Guillaume) Courtet, domenicano francese; p. Vincenzo Shiwozuka, domenicano giapponese; Lazzaro di Kyoto, laico giapponese. Questi santi si aggiungono agli altri duecentotrentuno cattolici martirizzati in Giappone nel XVI e XVII secolo, e canonizzati in precedenza. MARTIROLOGIO ROMANO. Santi Lorenzo da Manila Ruiz e quindici compagni, martiri, che, preti, religiosi e laici, dopo aver seminato la fede cristiana nelle isole Filippine, a Taiwan e nel Giappone, per ordine del comandante supremo Tokugawa Yemitsu subirono in giorni di versi a Nagasaki in Giappone il martirio per amore di Cristo, ma vengono oggi celebrati tutti in un’unica commemorazione.

nome Santa Eustochio- titolo Vergine- nome di battesimo Giulia Eustochio- nascita 360 circa, Roma- morte 419, Betlemme- ricorrenza 28 settembre- Tutte le informazioni su Eustochio Giulia provengono dalle lettere di S. Girolamo (30 set.): terza delle quattro figlie di S. Paola (26 gen.) e del marito Tossozio, aveva circa dodici anni quando il padre morì nel 379. Trascorso un periodo di lutto profondo, Paola, che aveva a quel tempo trentadue anni, intraprese una profonda conversione religiosa, entrando nel cenacolo di una vedova cristiana influente chiamata Marcella (31 gen.) («gloria delle signore di Roma» come Girolamo la chiamava) e cominciò a dedicarsi esclusivamente alla preghiera, alla penitenza, e alle opere di carità. Eustochio fu l'unica della quattro figlie a emulare il nuovo stile di vita della madre, e rimasero insieme fino alla morte di Paola. L'arrivo a Roma nel 382 di Girolamo cambiò il corso della loro vita, giacché lo scelsero come guida spirituale. I parenti si preoccuparono che le austerità che incoraggiava fossero troppo dure per Eustochio, che aveva ancora solo quattordici o quindici anni circa, e una coppia di zii, Hymettius e Praetextata, tentò di persuaderla a godere alcuni piaceri mondani comuni, tuttavia non ottennero risultati, poiché molto tempo prima Eustochio aveva pronunciato un voto di verginità perpetua, prima tra le donne romane a farlo. Per sottolineare l'occasione Girolamo le indirizzò la sua famosa lettera «sulla preservazione della verginità» (sebbene chiaramente destinata a un pubblico più ampio, con i suoi brani satirici e la sua critica feroce di alcune vergini e sacerdoti consacrati). E stata conservata un'altra lettera, più personale, datata 29 giugno 384, in cui la rimprovera aspramente per avergli mandato ciliegie, colombe e altre cose, che chiaramente giudicava futili. Non sembra che Eustochio sia stata perennemente scoraggiata da tutto ciò. La sua educazione era stata affidata a Marcella, che aiutò Paola a sopportare il dolore e che esercitò una forte influenza su di lei, oltre che su sua figlia, ma quando Paola, con alcune altre donne che aspiravano alla vita religiosa, decise di accompagnare Girolamo in Palestina, Eustochio scelse di seguire la madre. Il gruppo raggiunse Girolamo ad Antiochia, che si dimostrò una guida avvincente, offrendo dettagli su tutti i luoghi che visitavano. Trascorso un periodo di spostamenti, durante il quale si recarono a Gerusalemme e si spinsero persino in Egitto per far visita ai monaci del deserto di Nitria, si stabilirono a Betlemme nel 386, fondando tre congregazioni femminili, dirette da Paola, con l'aiuto di Girolamo. Eustochio, seguendo l'esempio della madre, imparò il greco e l'ebraico, e quando la vista di Girolamo cominciò a indebolirsi, fu in grado di aiutarlo a tradurre della Bibbia. Per loro richiesta, Girolamo scrisse alcuni commentari sulle lettere di Paolo ai Galati, agli Efesini, a Tito e a Filemone, e riconobbe la loro erudizione genuina, dedicando loro altre sue opere (erano, secondo lui, «più capaci di formulare un giudizio su tali opere degli uomini»). Nel 403, Paola si ammalò ed Eustochio si dedicò alla sua assistenza e alla preghiera nella grotta della Natività. Alla morte della madre il 26 gennaio 404, il dolore della separazione e della perdita fu terribile per Eustochio. Girolamo affermò che era «una bambina svezzata dalla sua balia» aggiungendo che «si riuscì a malapena a tirarla via da sua madre», ma che riuscì, in ogni caso, a superare la crisi, e ad assumere il ruolo della madre come guida della congregazione, che però trovò vessata da gravi debiti. La situazione si risolse in parte grazie all'incoraggiamento di Girolamo, in parte al suo fiducioso coraggio, oltre che ai fondi ricevuti dalla nipote, chiamata Paola come la madre, giunta da Roma per entrare nella congregazione. Nel 416, i monasteri furono incendiati e le consorelle attaccate da un gruppo di predoni. Girolamo, Eustochio e Paola scrissero a papa S. Innocenzo I (401-417; 28 lug.) per avvisarlo, e questi a sua volta rimproverò il vescovo di Gerusalemme per non essere riuscito a garantire una miglior sicurezza, ma la situazione di Eustochio ormai era peggiorata: non si riprese più dal trauma e morì nel 419 circa, poi fu seppellita nella stessa tomba della madre, vicino alla grotta della natività. Il dolore di Girolamo traspare da almeno tre lettere. La tomba è tuttora conservata in quel luogo, ma è vuota.<br /> Non esisteva un culto primitivo, e il nome di Eustochio compare solo in alcuni martirologi. L'interesse per lei fu rinnovato nel XVI secolo, quando S. Angela Merici (27 gen.) fondò la Congregazione delle orsoline (Paola ed Eustochio sono ritratte sulle mura dell'oratorio del convento delle orsoline a Roma). MARTIROLOGIO ROMANO. A Betlemme di Giuda, commemorazione di santa Eustochio, vergine, che, insieme a sua madre santa Paola, partì da Roma per raggiungere il presepe del Signore e non privarsi del consiglio del suo maestro san Girolamo e in questa terra passò al Signore rifulgendo di meriti insigni.

nome San Simon de Rojas- titolo Religioso Trinitario- nome di battesimo Simón de Rojas- nascita 28 ottobre 1552, Valladolid, Spagna- morte 29 settembre 1624, Madrid, Spagna- ricorrenza 28 settembre- Beatificazione 19 maggio 1766 da papa Clemente XIII- Canonizzazione 3 luglio 1988 da papa Giovanni Paolo II- Simone de Rojas nacque a Valladolid il 28 ottobre 1552 da Grego-rio Ruiz dc Navamuel e Costanza de Rojas. Si afferma che sia stato precocemente devoto da bambino, e all'età di sedici anni (in alcune fonti dodici) sia entrato nell'Ordine dei Trinitari. Nel 1579, dopo aver portato a termine gli studi ed essere stato ordinato sacerdote, si recò a Toledo, a insegnare filosofia e teologia; a quel tempo la sua fama di erudito e santo era già estesa, e nei successivi anni fu superiore di differenti case dell'ordine. Alla fine il re spagnolo Filippo III (1598-1621), lo chiamò a corte come confessore di sua moglie, Margherita. Simone, come B. Alfonso de Orozco (19 set.) che si trovò in una simile situazione, influenzò in modo rilevante i valori e i costumi della corte, ma nonostante la sua lealtà al re, rimase indipendente. Durante il suo soggiorno a Madrid, vi fu una grave epidemia di peste, e istintivamente sentì il desiderio di andare ad aiutare le vittime e le loro famiglie, ma il re, temendo che l'infezione potesse estendersi a palazzo, gli proibì di farlo. Simone replicò: «I letti degli ammalati sono a me più adatti dei palazzi reali, e se devo scegliere, preferisco rinunciare alla corte». Oltre al suo incarico a corte, guidò alcune missioni con molti risultati, fondando una congregazione devota alla Madonna, e scrivendo un Ufficio per la festa del Santo Nome di Maria, cui il suo ordine era molto devoto. Rifiutando i vescovadi di Jaén e Valladolid, alla fine ritornò in quest'ultima città. Nel 1624, dopo aver svolto una serie d'incarichi di responsabilità all'interno dell'ordine, fu nominato provinciale di Castiglia. Morì il 29 settembre dello stesso anno; si afferma che le cerimonie funebri siano durate tredici giorni. Simone fu beatificato nel 1766.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Madrid in Spagna, san Simone de Rojas, sacerdote dell’Ordine della Santissima Trinità per la liberazione degli schiavi, che, membro del seguito della regina di Spagna, non accettò mai né carro né compenso, ma tra i regali splendori si mostrò sempre umile, povero, misericordioso verso i miseri e ardente di devozione per Dio.

nome San Fausto di Riez- titolo Vescovo- nascita 405 circa, Britannia- morte 495 circa, Riez, Francia- ricorrenza 28 settembre- Fausto nacque forse in Britannia come affermano i suoi contemporanei S. Avito e S. Sidonio Apollinare (21 ago.), ma più probabilmente in Bretagna nei primi anni del V secolo. Si dice abbia iniziato la sua vita adulta intraprendendo la carriera d'avvocato, ma non deve aver proseguito in quella professione, giacché diventò monaco a Lérins prima che il suo fondatore, S. Onorato (16 gen.) lasciasse il monastero, nel 426. Fausto fu ordinato sacerdote, e dopo otto anni circa di vita monastica senza eventi particolari, fu nominato abate al posto del successore di Onorato, S. Massimo (27 nov.), che era stato eletto vescovo di Riez. In questo periodo probabilmente difese l'autonomia dell'abate nelle decisioni interne al convento, contro Teodoro, vescovo di Fréjus. Fausto si distinte per l'osservanza della regola, che gli valse il rispetto di molti, inclusi Onorato e Sidonio Apollinare, oltre a essere famoso come brillante predicatore estemporaneo. In una delle sue lettere, Sidonio racconta come diventasse rauco a forza di gridare durante le sue omelie (approvazione e dissenso vocale erano comuni in chiesa a quel tempo). Fausto, dopo essere stato abate di Lérins per circa venticinque anni, fu eletto come successore di Massimo nella sede di Riez, svolgendo l'incarico di vescovo con la stessa diligenza con cui era stato abate, mantenendo il suo stile di vita austero e nello stesso tempo occupandosi delle necessità della diocesi a lui affidata. Il suo principale interesse fu in particolare la purezza della dottrina, e si oppose energicamente sia all'arianesimo, sia gli insegnamenti di «quel pestifero insegnante, Pelagio» che negava l'esistenza del peccato originale e insegnava agli uomini che si può ottenere la salvezza senza l'aiuto della grazia o della Chiesa. Fausto fu coinvolto personalmente nella controversia teologica relativa alle dichiarazioni eretiche di un sacerdote di nome Lucido, che affermava che la salvezza c la dannazione dipendevano interamente dalla volontà di Dio, a prescindere dalle azioni dell'individuo: quando Fausto persuase Lucido delle lacune della sua posizione, i vescovi, riuniti in concilio ad Arles e poi a Lione nel 475, per trattare questa questione, invitarono Fausto a scrivere un trattato contro la dottrina della predestinazione, e, in effetti, quest'ultimo scrisse due trattati sul libero arbitrio e la grazia. Nella confutazione del pelagianesimo e della teoria della predestinazione, terminò il suo intervento mettendo in rilievo il cosiddetto errore semipelagiano: sebbene abbiamo bisogno della grazia per compiere opere buone, tuttavia non è necessaria per dar loro inizio. Alla pubblicazione dei trattati, fu violentemente criticato, anche se le opinioni che contenevano non furono condannate fino al concilio d'Orange del 529. Un'opposizione di tipo diverso, più crudele, fu quella d'Eurico, re dei visigoti ariani, che si opposero alla condanna dell'arianesimo da parte di Fausto, e, sebbene avesse in parte appoggiato Eurico politicamente, Fausto fu scacciato dalla sua sede nel 478 e costretto a vivere in esilio fino alla morte d'Eurico qualche anno dopo, poi tornò e riassunse il suo incarico pastorale che aveva dovuto abbandonare. Alla sua morte, all'età di circa novant'anni, fu sinceramente compianto dal popolo, e fu eretta una basilica in suo onore. Fausto fu uno degli scrittori che contribuirono a rendere famosa Lérins, e parte della sua produzione letteraria, lettere, sermoni, e altre opere, è stata conservata. Fausto non compare nel Martirologio Romano, ma il culto è ritenuto molto antico. MARTIROLOGIO ROMANO. A Riez in Provenza in Francia, san Fausto, vescovo, che, già abate di Lérins, fu esiliato dal re Eurico per aver scritto contro l’arianesimo in merito all’incarnazione del Verbo di Dio e alla consustanzialità dello Spirito Santo con il Padre e alla sua coeternità con il Figlio.

nome Santa Lioba- titolo Venerata a Fulda- nascita 700 circa, Wessex, Inghilterra- morte 782, Fulda, Germaia- ricorrenza 28 settembre- La Vita scritta da Rodolfo di Fulda, su cui si fonda la maggior parte delle notizie su S. Lioba a nostra disposizione, fu compilata in base ai ricordi di quattro delle sue compagne più intime, Agata, Tecla, Maria e Eoliba, e presenta un ritratto vivo e affascinante, scevro delle molte esagerazioni che normalmente si trovavano nelle opere agiografiche del periodo, oltre a demolire forse definitivamente qualunque idea che la partecipazione delle religiose all'attività missionaria sia un fenomeno peculiare del XIX e XX secolo. Lioba, di buona famiglia, nacque nel Wessex, e sua madre, Ebba, era parente di S. Bonifacio (5 giu.); fu battezzata Trhtgeba, ma diventò famosa come Liobgetha (Leofgyth), abbreviato in Lioba (la cara). Sin da giovane fu educata dalle monache, prima a Min-ster-in-Thanet, e poi a Wimborne, nel Dorset, dove alla fine fu accettata, per sua richiesta, come membro della congregazione a tutti gli effetti. Le sue qualità che il popolo ammirava di più in lei, a questo punto, furono la semplicità e la passione per i libri e la cultura. Non è esattamente chiaro che età avesse nel 722, o da quanto tempo avesse pronunciato i voti, ma in quell'anno Bonifacio fu consacrato vescovo da papa S. Gregorio II (11 feb.) e inviato a predicare il Vangelo presso i sassoni e i turingi, e quando a Wimborne giunsero le notizie sui risultati della sua missione, Lioba si sentì stimolata a scrivergli come a un suo parente:<br /> Vi chiedo la gentilezza di ricordare la vostra passata amicizia in Occidente con mio padre, Dynna, morto otto anni fa, e per la cui anima, perciò, vi prego di non smettere di pregare; raccomando anche a voi mia madre Ebba, che vive ancora, anche se dolorosamente, e che, come sapete, è vostra parente. Sono figlia unica e, per quanto sia indegna, vorrei considerarvi come un fratello, perché posso confidare in voi come chiunque altro della mia famiglia. Vi mando questo piccolo dono [la lettera stessa o uno dei componimenti che allegai'], non perché valga la vostra considerazione ma semplicemente per ricordarvi di quest'umile amica, e affinché non vi dimentichiate di me mentre siete così lontano; possa questa lontananza rafforzare per sempre quel vincolo di vero amore che esiste tra noi. Vi prego, caro fratello, aiutatemi con le vostre preghiere a sostenere gli attacchi del nemico nascosto. Vorrei anche chiedervi di essere così gentile da correggere questa lettera piena d'errori e di rispondermi con qualche riga, che attendo con ansia come pegno della vostra buona volontà. Chiaramente commosso dal suo appello, Bonifacio cominciò a inviarle delle lettere, corrispondenza che continuò con il trascorrere del tempo, poi nel 748 scrisse anche alla badessa di Wimborne, S. Titta (12 ago./12 dic.), chiedendole di inviarle Lioba e un gruppo di compagne che avrebbero collaborato all'evangelizzazione dei paesi germanici, con la fondazione di alcuni monasteri femminili. Titta gli mandò non meno di trenta monache, tra cui S. Tecla (15 ott.), parente di Lioba, S. Valburga (25 feb.) e Lioba stessa. Bonifacio le accolse in un monastero che chiamarono Tauberbischofsheim, che suggerisce l'ipotesi che forse rinunciò alla propria casa per darla a loro. Il convento prosperò, sotto la guida di Lioba, che presto fu in grado di inviare gruppi di monache a fondare altri monasteri; persino i conventi che non dipendevano direttamente da Tauberbischof-sheirn chiesero come badessa una delle monache di Lioba. Rodolfo di Fulda la descrive, in questo periodo, così impegnata nel suo lavoro tanto da dare l'impressione di aver completamente dimenticato il Wessex. Fisicamente sembra sia stata molto bella, e la sua personalità altrettanto attraente (in particolare per la pazienza, l'intelligenza, e la gran cordialità e gentilezza). Tutti i conventi seguivano la regola di S. Benedetto: ogni giorno era un'equilibrata alternanza di preghiera, in particolare la celebrazione del culto pubblico in chiesa, di lavoro manuale in cucina, al forno, nella fabbrica di birra, o nel giardino, e d'attività intellettuale (tutte le monache dovevano imparare il latino, e lo scriptorium era sempre affollato). Non era permesso a nessuna di infliggersi penitenze o privazioni imprudenti, e Lioba insistette che tutte a mezzogiorno si riposassero, come prescritto nella regola, «poiché sosteneva che la mancanza di sonno provocava un indebolimento delle facoltà intellettuali, specialmente nella lettura», e lei stessa sembra trascorresse quell'ora sdraiata, mentre una novizia le leggeva brani tratti dalla Bibbia, ma rimanendo sempre sufficientemente sveglia per riprendere quelle che, pensando stesse dormendo, non badavano più alla pronuncia. Nel complesso, il fine della congregazione era di fornire un appoggio spirituale ai monaci che lavoravano nelle campagne circostanti, ma quando il popolo conobbe Lioba, la cercò costantemente formando lunghe file per chiederle aiuto e consiglio, sia l'e autorità ecclesiastiche sia quelle civili, oltre a uomini e dorme del luogo. Prima di iniziare la sua ultima missione, in Olanda nel 754, Bonifacio, che deve essere stato consapevole dei pericoli che avrebbe dovuto affrontare, andò a salutare Lioba e le diede la sua tonaca; aveva già raccomandato Lioba a S. Lull (16 ott.), un monaco di Malmesbury suo braccio destro e successore nell'incarico di vescovo, e ai monaci di Fulda, cui aveva chiesto in particolare di seppellirla, quando fosse morta, vicino a lui, per aspettare insieme la risurrezione. Alla morte di Bonifacio, le fu concesso il permesso speciale di entrare nell'abbazia per far visita al suo sepolcro e partecipare a funzioni e simposi. Dopo essere stata badessa di Tauberbischofsheim per ventotto anni, ormai molto vecchia, si accertò che tutto fosse in ordine nei monasteri a lei affidati e poi si ritirò nel monastero di Schornsheim, a circa sei chilometri da Magonza. Si recò brevemente ad Aachen per far visita all'amica la B. Ildegarda, moglie di Carlo Magno, e sulla via del ritorno a Schornsheim, disse alla regina: «Addio, parte preziosa della mia anima! Che il nostro creatore e redentore Gesù Cristo faccia in modo che possiamo riconoscerci con facilità, nel giorno del giudizio, poiché in questa vita non ci vedremo mai più». Poco dopo, nel 782, morì e fu sepolta nella chiesa dell'abbazia a Fulda. Le reliquie furono trasferite nel 819 e poi nel 838, questa volta nella chiesa di Monte S. Pietro. Il suo nome compare nel Martirologio di Rabano Mauro, oltre che in un certo numero di litanie del IX secolo; nonostante le origini inglesi della santa, il culto è sempre stato ragguardevole in Germania. MARTIROLOGIO ROMANO. Presso Magonza in Renania, in Germania, santa Lioba, vergine: chiamata dall’Inghilterra in Germania da san Bonifacio, suo parente, fu messa a capo del monastero di Tauberbischofsheim, dove guidò le ancelle di Dio sulla via della perfezione con la parola e l’esempio.

nome Sant'Essuperio di Tolosa- titolo Vescovo- nascita IV secolo, Tolosa, Francia- morte V secolo, Tolosa, Francia- ricorrenza 28 settembre- Un contemporaneo, S. Paolino di Nola (22 giu.), definì Essuperio uno dei vescovi più illustri della Chiesa di Gallia, che a metà del vi secolo era venerato al pari di S. Saturnino di Tolosa (29 nov.). Essuperio nacque probabilmente nel Di secolo ad Arreau, negli Alti Pirenei, dove esiste una cappella in suo onore. Sono stati tramandate poche notizie sulla sua carriera, tutto ciò che si sa per certo è che occupò la sede di Tolosa nel 405 circa, e che completò la costruzione della grande chiesa di Saint-Sernin, iniziata dal predecessore, S. Silvio. Ciò che resta è l'impressione di una personalità forte e in particolare di una generosità che sembra essere stata una sua caratteristica saliente. Le sue opere di carità riguardarono non solo la patria (la Gallia fu invasa dai vandali, mentre era vescovo), ma anche l'estero. S. Girolamo (30 set.), che dedicò a Essuperio il suo commentario sul libro di Zaccaria, per contraccambiare i doni inviati ai monaci d'Egitto e Palestina, scrisse di lui: «Per alleviare la fame dei poveri, digiunò lui stesso [...] dando tutto ciò che possedeva ai poveri di Cristo. 1...] La sua carità non conosceva limiti, rivolgendo l'attenzione anche alle regioni più remote, e gli eremiti egiziani ne ricavarono beneficio». È noto per aver chiesto consiglio a papa S. Innocenzo I (401-417; 28 lug.) su alcune questioni, incluso il canone della Scrittura. L'elenco che il papa gli inviò come risposta era identica a quella che possediamo oggi. Non si conosce con certezza il luogo e la data della morte, tuttavia è probabile che sia stato costretto all'esilio verso la fine della vita. MARTIROLOGIO ROMANO. A Tolosa in Aquitania, ora in Francia, sant’Esuperio, vescovo, che dedicò una basilica in onore di san Saturnino e, al momento dell’invasione dei barbari, si mostrò strenuo difensore della sua città; san Girolamo racconta quanto fosse parco verso se stesso e generoso, invece, con gli altri.

nome Sant'Annemondo- titolo Vescovo e martire- nascita VI secolo, Lione, Francia- morte 29 settembre 658, Francia- ricorrenza 28 settembre- Annemondo, che apparteneva a una famiglia gallo-romana e il cui padre, Sigon, era prefetto di Lione, prestò servizio alla corte del re dei franchi Dagoberto I (629-639) e fu consigliere di suo figlio, Clodoveo II (639-657). A un certo punto diventò sacerdote, e poi vescovo di Lione, e si trovava già in quella città quando S. Benedetto Biscop (12 gen.) l'attraversò durante il suo primo viaggio a Roma, accompagnato da un giovane che, secondo Beda, affascinò Annemondo con la sua «saggia conversazione, la grazia dell'aspetto, i modi energici e la maturità intellettuale»: si trattava di Vilfrido (12 ott.), che successivamente diventò vescovo di York. Annemondo, che li ospitò nella sua casa durante il loro soggiorno a Lione, si offrì anche di adottare Vilfrido, di dargli in sposa sua nipote, e di trovargli un lavoro. Il giovane lo ringraziò, ma rifiutò informandolo della sua intenzione di diventare sacerdote, motivo della visita a Roma. A questo punto, Annemondo li rifornì di tutto il necessario per il resto del viaggio e chiese a Vilfrido di passare di nuovo da Lione sulla via del ritorno, il quale non solo accettò, ma si fermò tre anni, durante i quali ricevette la tonsura da Annemondo, e sarebbe restato ancora se il vescovo non fosse morto improvvisamente. Il 29 settembre 658, Annemondo fu ucciso da alcuni soldati a Màcon, o forse a Chàlon-sur-Sàone, nei tumulti successivi alla morte di Clodoveo II. Vilfrido, che si trovava con lui, si offrì di morire con lui, ma i soldati, appreso che era uno straniero, lo lasciarono andare. Secondo il biografo di Vilfrido, Eddio, la persona veramente responsabile della morte di Annemondo e di altri nove vescovi francesi fu la regina reggente, S. Batilde (30 gen.), affermazione che non è provata, ed è molto improbabile. Vilfrido partecipò alla sepoltura del corpo di Annemondo a Lione, poi partì per l'Inghilterra, e Annemondo fu subito venerato come martire. MARTIROLOGIO ROMANO. A Lione in Francia, sant’Annemondo, vescovo e martire.

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4 commenti

@eliminato

3 mesi fa

No dai, oggi non ti metto fretta.

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