@Vitupero
I santi di oggi 12 ottobre:
nome Beato Carlo Acutis- titolo Laico- nascita 3 maggio 1991, Londra, Inghilterra- morte 12 ottobre 2006, Monza, Monza e Brianza- ricorrenza 12 ottobre- Beatificazione
10 ottobre 2020 da papa Francesco
Santuario principale Santuario della Spogliazione, Assisi- Attributi Ostensorio, rosario, computer- Patrono di Gioventù e Internet- Carlo Acutis nacque a Londra il 3 maggio 1991 da Andrea Acutis e Antonia Salzano, milanesi provvisoriamente in città per lavoro. Carlo fin da piccolo manifesta un'indole particolarmente devota tanto che tornati in Italia a soli 7 anni chiese di poter ricevere la Prima Comunione.
Richiesta insolita ma che venne accolta dopo averla sottoposta a Monsignor Pasquale Macchi il quale diede il suo benestare dopo aver interrogato il ragazzo, ritenendolo idoneo. Carlo ricevette così l'Eucaristia il 16 giugno 1998, giovanissimo, e restò un punto fermo nella sua breve vita assieme alla messa quotidiana alla quale assisteva.
La sua esistenza si svolgeva come quella di tutti i ragazzi della sua età, ma sempre caratterizzata dalla sua voglia di aiutare gli altri e dalla sua gioia, diceva infatti “La tristezza è lo sguardo rivolto verso se stessi, la felicità è lo sguardo rivolto verso Dio. La conversione non è altro che spostare lo sguardo dal basso verso l’alto. Basta un semplice movimento degli occhi”. La sua fede fu talmente coinvolgente da spingere il collaboratore domestico di casa, un bramino induista, a convertirsi al cristianesimo, colpito proprio da “la sua profonda fede, la sua carità e la sua purezza”.
Carlo era anche bravo in informatica tantochè è stato proclamato patrono del web, e così dopo aver assistito ad un incontro di presentazione del Piccolo Catechismo eucaristico decise di dare vita ad una mostra sui miracoli eucaristici, per testimoniare la vera presenza di Gesù nell'ostia. Dopo tre anni di ricerche in giro per l'Europa con in genitori la mostra era pronta e talmente ben fatta da essere richiesta dalle diocesi di tutto il mondo.
Il sogno di Carlo era di farsi sacerdote, ma purtroppo all'età di 15 anni fu stroncato da una leucemia fulminante, e dopo aver dedicato la sua vita “al suo amico Gesù” torna alla casa del Padre il 12 ottobre 2006. Fu sepolto ad Assisi su sua richiesta, per il grande amore che nutriva per San Francesco e successivamente dal cimitero viene traslato nel Santuario della Spogliazione: attraverso una speciale procedura di imbalsamazione viene esposto alla visita dei pellegrini.
Dichiarato venerabile nel 2008 è stato beatificato il 10 ottobre 2020 dopo averne accertato almeno un miracolo, ovvero la guarigione di un ragazzo brasiliano avvenuta dopo averne toccato le reliquie.
La madre: «Vi racconto il suo miracolo»
Intervista realizzata da Stefano Lorenzetto alla madre di Carlo, Antonia Salzano, e pubblicata dal Corriere
Intercede. Salva. Guarisce. Converte. Appare. I devoti di quello che già viene chiamato il patrono di Internet, almeno 1 milione nei cinque continenti, vedono la sua presenza ovunque. L’ultimo segno, il 15 agosto. Scrivono i fan su Facebook: Questa notte, nella solennità della Santissima Vergine Maria Assunta, Carlo venuto a prendersi la sua cagnolina Briciola di quasi 17 anni. Ora corre e gioca anche lei nei meravigliosi giardini del Paradiso assieme agli altri animali di Carlo che l’hanno preceduta, i cani Poldo, Stellina e Chiara, i gatti Bambi e Cleopatra. Non le pare eccessivo che associno l’Assunzione alla morte di una bestiola? Sorride indulgente Antonia Salzano, mamma di Carlo Acutis, stroncato a 15 anni da una leucemia fulminante nel breve volgere di 72 ore.
Prima che ci lasciasse, gli dissi: se in cielo troverai i nostri amici a quattro zampe, compari con Billy, il cane della mia infanzia. Lui non lo conosceva. Un giorno zia Gioia, ignara del nostro accordo, mi telefonò: “Stanotte in sogno ho visto Carlo. Teneva fra le braccia Billy”.
Ma sono ben altri i segni per cui lo studente milanese, già venerabile dal 2018, verrà proclamato beato dalla Chiesa il 10 ottobre ad Assisi, ultima tappa prima di diventare santo. Quando il 23 gennaio 2019 si eseguì la ricognizione canonica sulle spoglie mortali del giovanissimo servo di Dio, la sua salma fu trovata intatta.
Io stavo lì, mio marito non volle vedere. Era ancora il nostro ragazzone, alto 1,82, solo la pelle un po’ più scura, con tutti i suoi capelli neri e ricci. E lo stesso peso, quello che si era predetto da solo. Pochi giorni dopo il funerale, all’alba fui svegliata da una voce: “Testamento”. Frugai in camera sua, pensavo di trovarvi uno scritto. Nulla. Accesi il pc, lo strumento che preferiva. Sul desktop c’era un filmato brevissimo che si era girato da solo ad Assisi tre mesi prima: “Quando peserò 70 chili, sono destinato a morire”. E guardava spensierato il cielo.
La vita di Carlo durò solo 5.641 giorni.
In realtà 5.640. Entrò in coma alle 14 dell’11 ottobre 2006, con il sorriso sulle labbra. Credevamo che si fosse addormentato. Alle 17 fu dichiarata la morte cerebrale, la mattina del 12 quella legale. Avremmo voluto donare i suoi organi, ma non fu possibile, ci dissero che erano compromessi dalla malattia. Un bel paradosso, perché il cuore, perfetto, ora sarò esposto in un ostensorio nella basilica papale di San Francesco ad Assisi.
Quand’ stato prelevato?
Durante la ricognizione del 2019. Con atto notarile abbiamo voluto donare il corpo al vescovo di Assisi. Era giusto che appartenesse alla Chiesa universale.
In che modo Carlo scoprì la fede?
Non certo per merito di noi genitori, lo scriva pure. In vita mia ero stata in chiesa solo tre volte: prima comunione, cresima, matrimonio. E quando conobbi il mio futuro marito, mentre studiava economia politica a Ginevra, non che la domenica andasse a messa.
Allora come spiega questa religiosità?
Un ruolo lo ebbe Beata, la bambinaia polacca, devota a papa Wojtyla. Ma c’era in lui una predisposizione naturale al sacro. A 3 anni e mezzo mi chiedeva di entrare nelle chiese per salutare Gesù. Nei parchi di Milano raccoglieva fiori da portare alla Madonna. Volle accostarsi all’eucaristia a 7 anni, anziché a 10. Lo lasciammo libero. Ci pareva una cosa bella, perciò chiedemmo una deroga. Per me fu una “Dio-incidenza”. Carlo mi salvò. Ero un’analfabeta della fede. Mi riavvicinai grazie a padre Ilio Carrai, il padre Pio di Bologna, altrimenti mi sarei sentita screditata nella mia autorità genitoriale. un percorso che dura tuttora. Spero almeno di finire in purgatorio.
Carlo fu precoce solo nella preghiera?
In tutto. Era un mostro di bravura. A 6 anni già padroneggiava il computer, girava per casa con il camice bianco e il badge “Scienziato informatico”. A 9 scriveva programmi elettronici grazie ai testi acquistati nella libreria del Politecnico.
Non era troppo piccolo per usare il pc?
I promotori della causa di beatificazione hanno analizzato in profondità la memoria del suo computer con le tecniche dell’indagine forense, senza riscontrare la minima traccia di attività sconvenienti. Sognava di adoperare il pc e il web per diffondere il Vangelo. Papa Francesco nella Christus vivit cita Carlo come esempio per i giovani. “Sapeva molto bene”, spiega, “che questi meccanismi della comunicazione, della pubblicità e delle reti sociali possono essere utilizzati per farci diventare soggetti addormentati”, ma lui ha saputo uscirne “per comunicare valori e bellezza”. Il suo sguardo spaziava ben oltre Internet. Alle mense dei poveri, quelle delle suore di Madre Teresa di Calcutta a Baggio e dei cappuccini in viale Piave, dove prestava servizio come volontario. La sera partiva da casa con recipienti pieni di cibo e bevande calde. Li portava ai clochard sotto l’Arco della Pace, per i quali con i risparmi delle sue mance comprava anche i sacchi a pelo. Lo accompagnava il nostro cameriere Rajesh Mohur, un bramino della casta sacerdotale indù, che si convertì al cattolicesimo vedendo come Carlo aiutava i diseredati.
Avrebbe mai detto che un giorno sarebbe salito all’onore degli altari?
Ero certa che fosse santo gi in vita. Fece guarire una signora da un tumore, supplicando la Madonna di Pompei.
Il miracolo riconosciuto dalla Chiesa?
No, solo uno dei tanti che nemmeno sono entrati nel processo di canonizzazione. Quello che lo far proclamare beato accadde in Brasile nel settimo anniversario della morte, il 12 ottobre 2013, a Campo Grande. Matheus, 6 anni, era nato con il pancreas biforcuto e non riusciva a digerire alimenti solidi. Padre Marcelo Tenrio invitò i parrocchiani a una novena e appoggi un pezzo di una maglia di Carlo sul piccolo paziente, che l’indomani cominci a mangiare. La Tac dimostrò che il suo pancreas era divenuto identico a quello degli individui sani, senza che i chirurghi lo avessero operato. Una guarigione istantanea, completa, duratura e inspiegabile alla luce delle attuali conoscenze mediche.
Suo figlio come si ammalò?
Sembrava una banale influenza. Dopo alcuni giorni comparvero forte astenia e sangue nelle urine. Lui se ne uscì con una delle sue frasi: “Offro queste sofferenze per il Papa, per la Chiesa e per andare dritto in paradiso senza passare dal purgatorio”, ma in famiglia non vi demmo troppo peso. Chiamai il professor Vittorio Carnelli, che era stato il suo pediatra. Ci consigli l’immediato ricovero nella clinica De Marchi. E l avemmo la diagnosi infausta: leucemia mieloide acuta M3. Carlo ne fu informato dagli ematologi. Reagì con dolcezza e commentò: “Il Signore mi ha dato una bella sveglia”. Fu trasferito all’ospedale San Gerardo di Monza. Appena giuntovi, scosse la testa: “Da qui non esco vivo”.
Lei invocò un miracolo per suo figlio?
Sì, da Gesù, dalla Madonna e dal venerabile fra Cecilio Maria, al secolo Pietro Cortinovis, il cappuccino fondatore dell’Opera San Francesco per i poveri di Milano. Ma i piani di Dio erano altri. Quelli che avevo proposto a Carlo prima che spirasse: chiedi al Signore di manifestarci un segno della sua presenza.
E suo figlio che cosa le rispose?
“Non preoccuparti, mamma. Ti darò molti segni”. Nove giorni dopo la sua morte, a Tixtla, in Messico, un’ostia si arrossì di sangue. Una commissione composta anche da scienziati non credenti accertò che era del gruppo AB, lo stesso presente nella Sindone e nel miracolo di Lanciano, e che si trattava di cellule del cuore. A distanza di quattro anni, negli strati sottostanti alla coagulazione restava ancora presente del sangue fresco.
Suo figlio aveva allestito Segni, una mostra sui miracoli eucaristici.
Sì, sta girando tutti i santuari del mondo. Negli Stati Uniti l’hanno ospitata 10.000 parrocchie. Sono eventi soprannaturali come quello accaduto il 12 ottobre 2008, nel secondo anniversario della sua morte, a Soklka, in Polonia. Un’ostia caduta a terra durante la comunione, e conservata in cassaforte, una settimana dopo divenne un pezzo di carne di origine miocardica, gruppo sanguigno AB.
Ha avuto solo questi, di segni?
Anche altri. Carlo mi predisse che sarei diventata di nuovo madre, benché stessi per compiere 40 anni. E nel 2010, quando gi ne avevo 43, diedi alla luce due gemelli, Michele e Francesca.
Perché fu sepolto ad Assisi?
Abbiamo una casa in Umbria. Un cartello avvertiva che c’erano in vendita nuovi loculi nel cimitero comunale. Chiesi a Carlo che cosa ne pensasse. “Sarei felicissimo di finire qua”, rispose. Il suo corpo intatto stato poi traslato nel santuario della Spogliazione, dove ora i fedeli potranno venerarlo per sempre.
Che cosa le manca di più di suo figlio?
L’allegria. Appena morì, ricordo d’aver pensato: e ora chi mi far ridere? e chi mi aiuterò con il computer? Mi restano i suoi pensieri, detti e scritti: “Non io, ma Dio!”. “Da qualunque punto di vista la si guardi, la vita sempre fantastica”. “Tutti nascono originali, ma molti muoiono come fotocopie”.
L’ultimo rende bene l’idea dei social.
Così, gli uomini d’oggi sono ripiegati su sè stessi. La loro felicità fatta solo di like. Ma Carlo l’influencer di Dio.
Non vorrebbe che fosse ancora qui con lei, anziché avere un santo in cielo?
Ho fatto mia l’invocazione di Giobbe: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!”. I figli non ci appartengono, ci sono affidati. Sento Carlo più presente di quando era in vita. Vedo il bene che fa. Mi basta.
nome San Serafino da Montegranaro- titolo Religioso- nome di battesimo Felice Piampiani- nascita 1540, Montegranaro- morte 12 ottobre 1604, Ascoli Piceno- ricorrenza 12 ottobre- Beatificazione 18 luglio 1729 da papa Benedetto XIII- Canonizzazione 16 luglio 1767 da papa Clemente XIII- Santuario principale Santuario di San Serafino da Montegranaro in Ascoli Piceno- Attributi crocefisso, saio- Figlio di contadini, Serafino nacque a Montegranaro nelle Marche nel 1540. Non ebbe possibilità di studiare dovendo, per vivere, condurre al pascolo il gregge di un contadino. Morto il padre, assieme al fratello maggiore, andò a lavorare in un cantiere di Loro Piceno. Serafino, attratto dalla voglia di imparare, divenne amico della figlia dell'impresario, avendola udita leggere ad alta voce. Fu proprio la ragazza ad avvicinarlo al locale convento dei francescani cappuccini, dove il giovane chiese poi di essere accolto. Fatto il noviziato a Jesi, venne inviato ad Ascoli Piceno, dove trascorse quasi tutta la vita adattandosi ai lavori più umili in casa e nell'orto. Il suo motto era «La via per andare in su è quella di scendere in giù». Semianalfabeta e un tantino maldestro, ebbe però il dono di saper dialogare con la gente, trovando per tutti la parola giusta, condita dalla sapienza divina che gli veniva dalla frequente orazione. Non solo, ma anche quello di far fruttar l'orto in modo quasi... sospetto: il suo lavoro seppure assiduo, non giustificava tanta messe: attorno c'era aria di miracolo... Ascoli, che ormai lo amava come padre e amico, pianse a lungo la sua morte, che avvenne all'età di sessantaquattro anni, nel 1604. La voce del popolo che lo voleva santo giunse anche all'orecchio di Paolo V, il quale autorizzò l'accensione di una lampada votiva davanti alla sua tomba, prima ancora che fosse ufficialmente riconosciuto santo. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Ascoli, san Serafino da Montegranaro (Felice) de Nicola, religioso dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che, vero povero, rifulse per umiltà e pietà.
nome Nostra Signora del Pilar- titolo Protettrice degli ispanici- ricorrenza 12 ottobre- La parola pilar nella lingua spagnola significa letteralmente pilastro. Il 2 gennaio del 40 a Saragozza la Vergine apparve all'Apostolo Giacomo deluso dall'inefficienza della sua predicazione, vicino alle sponde del fiume Ebro. Maria venne a Saragozza "in carne e ossa" - prima della sua Assunzione - e come testimonianza della sua visita avrebbe lasciato una colonna di diaspro popolarmente conosciuto come "il pilar" (il pilastro) e chiedendo a Giacomo di edificare un tempio in suo onore nelle vicinanze. La Madonna fu trasportata dagli Angeli in anima e corpo mortale fino a Saragozza, dove così si manifestò a Santiago (San Giacomo) accompagnata da una musica celestiale. Da quel momento, il luogo venne chiamato "casa di Dio". Questa fu l'origine del Santuario di Nostra Signora di Saragozza. Gli Angeli poi riportarono Maria a Gerusalemme nel medesimo modo in cui arrivò. Uno di essi, per comando divino, restò a custodia del Santo luogo, dal quale cominciarono a emanarsi grazie e miracoli per il popolo aragonese, di cui si conserva ancora documentazione. Il pilastro fu quindi posto da San Giacomo nello stesso punto nel quale si trova oggi, e che nonostante la chiesa abbia subito vari cambiamenti e vicissitudini, tra cui un incendio, il pilastro si sia conservato nei secoli. Si tratta di una colonna di diaspro, attualmente ricoperta completamente di bronzo ed argento; solo nella parte posteriore della cappella vi è un oculo che permette di toccare, baciare e venerare la colonna originale. In seguito la tradizione popolare ha dato al nome "pilar", l'ulteriore significato di colonna portante e guida della famiglia. Pilar è inoltre un nome femminile comune in tutta la Spagna e in particolar modo in Aragona. Nel 1730 il Papa Clemente XII concesse di commemorare il 12 Ottobre in tutto il regno coloniale spagnolo; la coincidenza della festa del 12 Ottobre con la scoperta dell' America fece si che più tardi fosse nominata la Vergine del Pilar " Patrona de la Hispanidad ".
nome Nostra Signora Aparecida- titolo Il miracolo dei pesci- ricorrenza 12 ottobre- Il santuario principale, considerato come il simbolo della nazione e la Lourdes del Brasile, è quello di Nostra Signora Aparecida. Le sue origini risalgono all'ottobre del 1717: tre pescatori trovarono nel fiume Paraiba una bella immagine della Madonna della Concezione, in terracotta, nera ed alta 40 cm. La chiamarono Aparecida, perché era "apparsa" nell'acqua e trovata dentro una rete al posto dei pesci. Uno dei pescatori, Filippo Pedróso, conservò per 15 anni l'immagine a casa sua, poi la consegnò a suo figlio Atanasio, il quale la donò a Itaguacu, un piccolo oratorio dove si raccoglievano, ogni sabato, i vicini per recitare il santo Rosario ed altre preghiere. In seguito a fatti miracolosi, scrupolosamente controllati dal parroco della vicina città di Guaratingueta, José de Vilela, e riportati nel suo Livro do Tombo, la fama della statuetta si divulgò dovunque. Nel 1745 fu costruita una cappellina e in seguito, con il permesso del vescovo di Rio de Janeiro e con la generosità dei pellegrini, ne fu edificata un'altra più grande sulla collina. Un secolo dopo, l'8 settembre 1822, l'imperatore Pedro I proclamava in forma solenne Nostra Signora Aparecida Padroeira do Brasil . Nel 1834 si gettarono le fondamenta di una nuova chiesa capace di accogliere i devoti che aumentavano con ritmo sempre crescente. Dopo varie forzate interruzioni, finalmente 1'8 dicembre 1888 il nuovo santuario fu consacrato dal vescovo di San Paolo e da allora ebbe un rapido ed inimmaginabile sviluppo. Nonostante le distanze e le difficili comunicazioni, i pellegrini d'ogni razza, d'ogni età e d'ogni condizione sociale, chi in abito elegante, chi in poveri arnesi e chi persino scalzo, affluivano dalle coste atlantiche, discendevano dalle sierre e arrivavano dalle sterminate pianure battute dal sole equatoriale per baciare la miracolosa immagine, attingere sollievo e ritemprare le affievolite speranze. S. Pio X, l'8 settembre 1904, autorizzò la solenne incoronazione dell'immagine e il 29 aprile 1908 innalzava il santuario alla dignità di Basilica. Pio XI, il 16 luglio 1930, dichiarò la Madonna di Aparecida Patrona principale del Brasile. L'anno successivo, per iniziativa del card. Leme, l'immagine fu trasportata, in un trionfo spettacolare, sopra un treno speciale, a Rio de Janeiro, per ricevere nella immensa "Esplanada do Castelo" l'omaggio di oltre un milione di persone, di tutte le autorità civili e militari, e del presidente della Repubblica. Il 14 luglio 1945 la Padroeira do Brasil fu portata a San Paolo, durante la notte fu vegliata da un continuo susseguirsi di fedeli, e l'indomani una folla immensa, alla celebrazione della santa Messa all'aperto, era serrata intorno alla venerata statua. Il 10 giugno 1962 ancora una volta l'Aparecida si fece pellegrina per visitare e benedire Brasilia, la nuova capitale, e fu accolta da una marea di gente osannante sotto una pioggia luminosa di petali di rosa, d'orchidee e di opulenti fiori tropicali. Nel 1954 si svolse in Aparecida un Congresso nazionale mariano che si concluse con un meraviglioso radiomessaggio di Pio XII. Nel 1967, 250 anni dopo il ritrovamento dell'immagine, Paolo VI decretò un giubileo commemorativo e assegnò al santuario la "Rosa d'oro". Nel 1972, in occasione del 150° anniversario dell'indipendenza nazionale, la Chiesa brasiliana celebrò l'anno mariano e scelse come centro delle manifestazioni religiose il santuario di Nostra Signora Aparecida, dove confluirono migliaia e migliaia di pellegrinaggi, organizzati da tutte le diocesi e parrocchie del Brasile. Il santuario di Aparecida dista 168 km da San Paolo e si raggiunge attraverso un paesaggio pittoresco, dalla vegetazione esuberante e ricca di piante di banane e di caffè. La basilica, a tre navate, si presenta con una facciata sobria e solida, racchiusa tra due torri terminanti in capitelli a punta. Le pareti dell'interno sono decorate con 50 quadri di Storia Sacra: dietro l'altare maggiore, su una nicchia, troneggia la statua miracolosa ai cui piedi, in una lastra di marmo, si legge la seguente scritta: "O Signora della Concezione - Aparecida mostra che sei la Patrona della nostra Patria, la Madre cara al popolo brasiliano; benedici, difendi e salva il tuo Brasile". Ogni anno, milioni di pellegrini vengono al santuario da ogni parte del Brasile: dalle rigogliose colline del Sud alle assolate pianure del Nord-Est; dalle modeste alture del Mato Grosso e del Gois ai superbi altipiani della Mantiqueira; dalla Serra do Mar alle lande del Parò. Le statistiche ufficiali mostrano che nel 1968, nei soli giorni festivi, i pellegrini sono stati 903.050, con una media di 993 macchine e 310 pullmans. Nel 1970 se ne sono contati, sempre nelle domeniche, 1 milione 87 mila 285, e nel 1971, 1 milione 171 mila 60. Attualmente il numero è incalcolabile e va dai cinque agli otto milioni. I Padri Redentoristi hanno la direzione del santuario, dove 15 sacerdoti nei giorni feriali, 30 nelle domeniche e 40 nelle feste più solenni sono, senza tregua, occupati nei vari servizi religiosi. In ogni settimana vengono distribuite circa dalle cinquemila alle seimila comunioni. La festa del santuario si celebra il 12 ottobre e trova rispondenza in tutto il Brasile, dal nord al sud, nelle città e nelle campagne, dove, a mezzogiorno preciso, si verifica una gigantesca esplosione di fuochi d'artificio. Dopo il Concilio Vaticano II il servizio religioso si è fatto più consistente ed opportuno, poiché tutti i giorni si tengono ben 6 istruzioni catechistiche di pellegrini. Alla domenica si celebrano ininterrottamente ss. Messe dalle ore 5 del mattino fino alle 8 di sera. Nel santuario è installata una stazione-radio che trasmette programmi religiosi per tutto il territorio del Brasile. L'attuale santuario, iniziato nel 1952 e consacrato il 4 luglio 1980 dal papa Giovanni Paolo II, è collegato al primo con un grande ponte sopraelevato. È a croce greca e dalle dimensioni gigantesche: occupa un'area di 17 mila 200 mq con una capienza interna di circa 30 mila persone. La cupola che s'innalza sull'incrocio delle navate è alta 60 metri ed ha un diametro di 34 metri, mentre la torre campanaria raggiunge i 100 m con una base di 20 per 20. Per le manifestazioni all'aperto il piazzale inferiore è largo 60 mila mq, è collegato col santuario mediante due rampe convergenti e può contenere circa 400 mila fedeli. Tale realizzazione dà al Brasile il santuario più grande ed importante dell'America Latina e un tempio della cristianità al secondo posto dopo S. Pietro. Quando si lamenta che in Brasile la gente è estremamente povera, ridotta in schiavitù senza catene, si deve trarre la conclusione che la fede cristiana e la devozione mariana sanno operare miracoli di tal genere. È questa una verità riscontrata dallo stesso pontefice Giovanni Paolo II che, in occasione del X Congresso Eucaristico Nazionale di Fortaleza, il 9 agosto 1980, volle "ringraziare l'Onnipotente per aver radicato così profondamente nel cuore del popolo brasiliano la Croce, l'Eucarestia e l' Aparecida" . E il 5 settembre 1995, nel discorso rivolto ai presuli delle Regioni "Nordeste 1 e 4" della Conferenza Episcopale del Brasile in visita "ad limina Apostolorum", proseguì con ardore: "Si capisce pertanto quanto piacciano al brasiliano i segni esteriori della fede. Egli vuole vedere le chiese con le loro caratteristiche religiose, con le espressioni autentiche dell'arte sacra in grado di risvegliare la pietà e d'invitare alla preghiera, al raccoglimento e alla contemplazione del mistero di Dio. Egli vuole udire con gioia il suono delle campane delle vostre chiese che convocano la gente alle celebrazioni liturgiche o alle preghiere del mattino o del pomeriggio per lodare la Vergine Maria! Una campana che suona - tanti la fanno tacere! - giunge a molte orecchie come un segno di vitalità ecclesiale. Il brasiliano vuole sentire nelle musiche delle vostre chiese l'invito a lodare Dio, a rendere grazie e a pregare umilmente e con fiducia". Dopo tali auguste considerazioni, il santuario di Nostra Signora di Aparecida, per la sua imponente mole e la sua vasta accoglienza di fedeli, risponde alla volontà religiosa popolare e può essere giustamente chiamato "capitale" della fede cristiana e della devozione mariana di tutto il popolo brasiliano.
nome San Massimiliano di Celeia- titolo Arcivescovo di Lorch- nascita 210 circa, Celeia, Slovenia- morte 281, Celeia, Slovenia- ricorrenza 12 ottobre- Patrono di Diocesi di Passavia, Diocesi di Linz- Secondo una Vita tarda di questo santo, scritta intorno all'anno 1300, Massimiliano nacque a Celeia (Celje, Slovenia) nel III secolo. Recatosi a Roma in pellegrinaggio, si vide affidare dal papa Sisto II (257-258) l'incarico di evangelizzare la provincia romana della Pannonia, dove operò per oltre vent'anni. Divenne vescovo di Lorch, a sud est della città austriaca di Linz, e morì martire a Celje nel 281. È considerato l'apostolo del Norico, nelle Alpi centro-orientali, ed è il patrono della diocesi di Passau, al confine tra Austria e Germania. Con certezza si sa solo che all'inizio dell'vtii secolo un vescovo di Salisburgo costruì una cappella sopra la tomba di un certo Massimiliano a Bischofshofen, a sud est di Salisburgo, e si deve supporre dunque che a quel tempo esistesse già in quell'area il culto del santo. Egli era forse un vescovo missionario, ma documenti del x secolo lo considerano ora un confessore, ora un martire oppure un vescovo. Le reliquie di un Massimiliano e di una martire romana di nome Felicita furono traslate nel 976 dal vescovo di Passati, il quale, intenzionato ad aumentare l'importanza della propria sede, sosteneva di essere il successore degli arcivescovi di Lorch, primo dei quali fu Massimiliano. Non è chiaro se questi due Massimiliano siano la stessa persona ed è invece probabilmente proprio il nostro santo quello venerato come vescovo di Capodistria. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel territorio dell’odierna Austria, san Massimiliano, che si ritiene sia stato vescovo di Lorch.
nome Santi Felice, Cipriano e 4964 compagni- titolo Martiri d'Africa- ricorrenza 12 ottobre- Il Martirologio Romano commemora oggi tutti coloro che morirono nell'Africa settentrionale sotto le persecuzioni di Unerico, l'ariano re dei vandali. Costui, infatti, intensificò gli sforzi compiuti dal suo predecessore Genserico per eliminare la religione cattolica all'interno del proprio regno, incendiando chiese e vietando assemblee di preghiera. Tutti gli storici che vissero in quel periodo concordano nel sottolineare la ferocia della persecuzione, che può essere datata a partire dall'anno 482. Pare che un enorme numero di cattolici (i racconti parlano di quattromilanovecentosessantasei persone), tra cui vescovi, sacerdoti, laici, giovani e vecchi, sani e malati, siano stati radunati insieme e convogliati a gruppi in diversi centri, dove si cercò invano di convincerli a professare il credo ariano. Di questi alcuni furono pertanto spinti nel deserto, dove trovarono la morte o per l'arsura o per la crudeltà delle tribù dalle quali furono attaccati; altri furono venduti come schiavi, mentre altri ancora furono mandati in esilio. Un testimone oculare, Vittore, vescovo di Vita, ne descrive le sofferenze, ma afferma che alcuni di loro, dopo essere stati rinchiusi in prigione in condizioni orribili, andarono incontro alla morte cantando salmi; aggiunge persino che alcuni cristiani si unirono volontariamente ai prigionieri per poter patire il martirio. Tra questi martiri vi era Felice, vescovo di Abbir, anziano e mezzo paralizzato, che Unerico non volle risparmiare e mandò, trasportato da altri, a morire nel deserto. Anche Cipriano era un vescovo: insieme a Vittore spese tempo e denaro per dare conforto a quelli che stavano soffrendo, finché non fu egli stesso arrestato e cacciato nel deserto, dove morì per le privazioni patite. MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione dei santi quattromilanovecentosessantasei martiri e confessori della fede: vescovi, sacerdoti e diaconi della Chiesa di Dio insieme a una folla immensa di fedeli, durante la persecuzione vandalica in Africa, per ordine del re ariano Unnerico, furono esiliati in odio alla verità cattolica in un orrendo deserto e celebrarono, infine, il martirio dopo varie torture. Erano tra loro Cipriano e Felice, vescovi, insigni sacerdoti del Signore.
nome San Felice IV- titolo 54º papa della Chiesa cattolica- nascita Sannio- Elezione 12 luglio 526- Fine pontificato 22 settembre 530 (4 anni e 72 giorni)-morte 530 circa, Roma- ricorrenza 12 ottobre- Santuario principale Basilica di San Pietro in Vaticano- A parte il fatto che era di origine sannita, non si sa nulla della prima parte della vita di Felice, che in veste di diacono fu membro di una delegazione inviata da papa Ormisda (6 ago.) a Costantinopoli nel 519 per sanare lo scisma Acaciano. Alla morte di papa S. Giovanni I (18 mag.) nel 526, la sede rimase vacante per cinquantotto giorni, e poi il 12 luglio fu eletto Felice come successore. Data l'inclusione postuma dell'antipapa Felice II (355-365) nell'elenco dei papi legittimi, fu chiamato Felice IV, anche se per precisione dovrebbe essere Felice III. Secondo il Liber Pontificalis, fu consacrato per ordine del re ostrogoto ariano, Teodorico il Grande (474-526), che governava l'Italia dal 493. Questa dichiarazione piuttosto ardita collima con l'affermazione che il lungo ritardo tra la morte di Giovanni I e l'elezione di Felice fosse dovuto a una lotta di potere in atto a Roma a quel tempo tra due fazioni distinte, i goti e i bizantini, che alla fine si risolse quando Teorico si schierò dalla parte del candidato che riteneva avrebbe appoggiato, se non favorito, i goti. Alla fine dell'agosto 526, Teodorico era già morto, ma la posizione di Felice fu al sicuro: era rispettato dal clero e dal popolo di Roma come persona moralmente integra, e i suoi rapporti con il nipote ed erede di Teodorico, Atalarico (526-534), e la sua vedova, Amalassunta, che agirono da reggenti mentre Atalarico era ancora minorenne, furono buoni, e Felice ne approfittò per promuovere gli interessi della Chiesa, ottenendo un decreto in base al quale il papa sarebbe stato giudice in ogni causa, civile e penale, contro i membri del clero, e che chiunque non avesse osservato questa legge avrebbe dovuto pagare una multa, che la Santa Sede avrebbe potuto distribuire tra i poveri. L'ultimo dettaglio era caratteristico di Felice, noto per il suo impegno verso i poveri, oltre che per la semplicità e l'umiltà. Felice è conosciuto per aver tenuto una corrispondenza in particolare con S. Cesario di Arles (27 ago.) (sono state tramandate alcune lettere in cui approva un suggerimento secondo cui i laici avrebbero dovuto affrontare una sorta di esame prima di essere ordinati sacerdoti, e si duole del fatto che alcuni sacerdoti ordinati siano ritornati alla vita secolare), oltre ad aver offerto a Cesario il suo totale appoggio nella disputa contro il semipelagianesimo. Quando le opinioni di Cesario sulla grazia furono criticate a un sinodo tenuto a Valenza, gli inviò venticinque proposte basate sulle opere di S. Agostino sulla grazia, riassunte al concilio d'Orange nel 529 e che contribuirono a far terminare questa controversia. L'altro suo gran contributo riguarda il campo dell'edilizia: fece ricostruire la basilica di S. Saturnino, danneggiata da un incendio, e trasformò diversi edifici nei Fori cristiani. In questo contesto, fu un fatto notevole che la biblioteca di Vespasiano divenisse la chiesa dei SS. Cosma e Damiano, in cui vi è un ritratto completo di Felice che regge il modellino di una chiesa, in uno dei mosaici più spettacolari della città, importante non per la somiglianza del soggetto, ma perché si trattava della prima raffigurazione di un papa vivente con i santi. Le stampe popolari generalmente raffigurano Felice che fa l'elemosina ai poveri, e questa generosità di spirito e interesse per le sofferenze umane sono riassunti nell'epitaffio: pauperihus largus, miseris solacia praestans. L'ultima azione di Felice, prima della sua morte avvenuta nel 530, fu controversa: dopo aver chiamato i suoi seguaci tra il clero e il senato accanto al suo letto di morte, Felice emise un "precetto", nominando il suo arcidiacono Bonifacio come successore, e ne fece circolare alcune copie a Roma e Ravenna. Inevitabilmente, forse, questa manovra essenzialmente anticostituzionale condusse, dopo la morte di Felice, all'elezione di un altro antipapa, ma bandì anche ogni discussione sulla scelta del successore di un papa, se questi era ancora in vita. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, san Felice IV, papa, che trasformò due templi del Foro romano in una chiesa in onore dei santi Cosma e Damiano e si adoperò molto per la retta fede.