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19/03/2024 alle 11:05

I santi di oggi 19 marzo:

I santi di oggi 19 marzo:

nome San Giuseppe- titolo Sposo della Beata Vergine Maria, Custode della Santa Famiglia di Nazaret e Patrono della Chiesa Universale- nascita I sec. a.C., Betlemme- morte I sec. d.C., Nazaret- ricorrenza 19 marzo, 1° maggio (ricordato con il titolo di lavoratore)* Negli anni in cui la solennità cade nella domenica di Quaresima la festa viene spostata il 20 marzo-Attributi

Bastone fiorito, Bambin Gesù, Giglio, Strumenti da falegname.

Patrono di Chiesa cattolica, Regno di Napoli, Diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, Diocesi di Capodistria, Diocesi di Orvieto-Todi,San Marzano di San Giuseppe, Associazione Cristiana Lavoratori Italiani (ACLI), Azione Cattolica Italiana: Unione Uomini, Missioni Cattoliche in Cina, Monti di Pietà, Associazione Cristiana Artigiani Italiani (ACAI), Agonizzanti, Artigiani, Buona morte, Carpentieri, Contro le tentazioni carnali e sessuali, Ebanisti, Economi, Esiliati, Falegnami, Lavoratori, Moribondi, Operai, Padri di famiglia, Pionieri, Procuratori legali, Senzatetto, della Boemia, dei Länder austriaci della Stiria, del Vorarlberg, della Carinzia del Tirolo, del Canada, della Croazia, del Messico, del Perù e del Vietnam- Giuseppe, il più grande dei Santi che la Chiesa veneri dopo la SS. Vergine, era di stirpe reale, ma decaduta. La sua vita sublime rimase nascosta e sconosciuta: nessuno storico scrisse le sue memorie, ma della santità di lui abbiamo le più belle testimonianze nella Sacra Scrittura. Iddio nei suoi arcani disegni aveva destinato Giuseppe ad essere il nutrizio del Salvatore Gesù Cristo, e sposo e custode della Vergine Madre. Maria trovò in Giuseppe il compagno fedele che l'assistette, la consolò, la difese. Il Vangelo ci fa vedere come da S. Giuseppe fosse ignorato il grande prodigio che lo Spirito Santo aveva operato in Maria. Di fronte a questo fatto si trovò fortemente angustiato. E poiché tanta era la carità e la venerazione che egli nutriva per la sua santa sposa, aveva divisato in cuor suo di rimandarla occultamente. E già stava per eseguire il suo proposito, quando al Signore piacque rivelare per mezzo di un Angelo al suo servo fedele il grande mistero dell'Incarnazione. E quando il desiderato delle genti, il figlio di Dio venne ad abitare fra gli uomini, S. Giuseppe, con la SS. Vergine, fu il primo ad adorarlo. Quando il triste re di Giudea, Erode, ordinò che tutti i bambini del territorio di Betlemme al di sotto dei due anni fossero uccisi senza eccezione, Giuseppe, avvertito dall'Angelo in sogno, sorse prontamente, e presi Maria e il Bambino, fuggì in Egitto. Morto Erode, S. Giuseppe fu avvertito nuovamente dall'Angelo di far ritorno, ed egli, premuroso, rimpatriò. Temendo però di Archelao, succeduto nel trono al padre Erode, fu da Dio avvertito di stabilirsi in Galilea. Si ritirò a Nazaret, dove ricco di meriti, si spense fra le braccia di Gesù e di Maria. Per questo S. Giuseppe è il grande protettore dei moribondi e dei padri. PRATICA. Impariamo da S. Giuseppe la fedeltà a Dio. PREGHIERA. Dio, che con ineffabile provvidenza, ti sei degnato eleggere il beato Giuseppe a sposo della tua Santissima Madre, fa' che venerandolo in terra qual nostro protettore meritiamo di averlo intercessore in cielo. MARTIROLOGIO ROMANO. Nella Giudèa il natale di san Giuséppe, Sposo della beatissima Vergine Maria, Confessore, il quale dal Sommo Pontefice Pio nono, secondo i voti e le preghiere di tutto l'Orbe cattolico, fu dichiarato Patrono della Chiesa universale.

nome Beato Marcello Callo- titolo Laico, martire- nome di battesimo Marcel Callo- nascita 6 dicembre 1921, Rennes, Frncia- morte 19 marzo 1945, Mauthausen, Austria- ricorrenza 19 marzo- Beatificazione 4 ottobre 1987 da papa Giovanni Paolo II- Marcello Callo nacque a Rennes nella Bretagna il 6 dicembre 1921, secondo di nove figli nati a Marcello e Felicita Maria Giuseppina, una famiglia modesta. La madre sperava che il primogenito, Giovanni, diventasse prete ed egli, nel 1943, fu effettivamente ordinato a Rennes, poco dopo che Marcello era stato portato in Germania.<br /> Marcello non era uno studente brillante. Era intelligente ma non costante. Nonostante la poca applicazione riuscì a ottenere i titoli necessari per essere in seguito apprezzato dalla città. Era un gran burlone e ogni giorno in classe veniva punito. Chierichetto per sette anni, divenne membro della crociata eucaristica, che segnò la sua personalità. L'eucarestia rimase sempre al centro della sua vita. All'età di dieci anni e mezzo fece la prima comunione e la cresima un anno dopo. A casa era affettuoso e fedele, soprattutto verso la madre, la cui fede e comprensione lo guidarono alla maturità spirituale. I1 movimento scout, in cui entrò nel 1933, lo entusiasmò e nell'animo rimase scout tutta la vita. Apprendista presso uno stampatore locale nel 1934, Marcello si trovò in un ambiente che lo turbò molto: una vita familiare retta e pia e l'atmosfera sana degli scout non lo avevano preparato alla conversazione salace e volgare del duro mondo degli adulti, Grazie alla confessione regolare e alla Messa quotidiana, gradualmente riuscì a inserirsi nell'ambiente circostante. Le ore di lavoro nella stamperia erano molte, eppure continuò a svolgere il duro lavoro di casa per aiutare la madre, e a lei consegnava anche il suo salario per mantenere la famiglia. A quattordici anni, prese una decisione importante: l'abate Martinais, che stava cercando membri per la Jeunesse Ouvriére Chrétienne (Giovani lavoratori cristiani), invitò Marcello a unirsi alla sua sezione. Marcello, che era realmente soddisfatto del suo cammino scout, era abbastanza restio ma sia il prete che la madre, scontenta delle frequenti assenze del figlio per le riunioni e le uscite di gruppo, ebbero la meglio. Incapace di distaccarsi totalmente, Marcello decise di essere sia scout che jociste. Col tempo, crescendo negli ideali della J.O.C. e diventando sempre più impegnato, il suo legame con gli scout si affievolì. Da quel momento il suo primo desiderio fu quello di portare i compagni di lavoro a Cristo e Cristo a loro. Le vicende drammatiche della sua vita e la morte nel campo di concentramento di Mauthausen furono la conseguenza del suo zelo apostolico e della devozione al suo impegno. Diventando presidente del gruppo, Marcello riuscì ad appagare il suo zelo e a esprimere il suo indubbio carisma di leader. Divenne l'amico e il confidente di tutti i membri e l'anima delle loro attività. L'abate Martinais testimoniò la totale riorganizzazione dell'associazione da parte di Marcello: «Sotto la sua presidenza la sezione divenne un centro di intensa vita jociste, un gruppo di giovani uomini impegnati», anche se non era facile raggiungere il modello evangelico in un contesto che considerava i lavoratori cristiani dei traditori. La formula di consacrazione di Marcello mostra come fosse l'amore il fondamento sottostante tutte le sue attività: «O Cristo, voglio diventare sempre più una guida J.O.C., un combattente in prima linea puro e gioioso. Nel mio grande amore per i miei fratelli, voglio conquistare giovani lavoratori. Voglio vivere in te, Gesù. Voglio pregare con te. Per la tua gloria voglio donare tutta la mia forza e tutto il mio tempo, in ogni momento della mia vita». Durante otto anni di attività jociste, dal 1935 al 1943, Marcello Callo diede il massimo, ma ricevette anche molto dal movimento. L'aiuto e la guida dell'abate Martinais non mancarono mai: vi erano ritiri regolari e giorni di raduno, ma soprattutto vi era la dottrina del Corpo mistico di Cristo che sosteneva il movimento e ispirava i suoi migliori lavoratori. Che Marcello fosse tra questi non vi era alcun dubbio, e anche i suoi compagni erano i primi a dichiarare: «Non ho mai sentito nessuno parlar male di lui», «nessuno gli ha mai rimproverato nulla», «era un modello per noi», «non ho mai trovato alcuna mancanza in lui. È vero, era vivace e si faceva trasportare. Ma era il primo a riconoscere se aveva esagerato». A vent'anni Marcello si fidanzò con Margherita, una compagna della J.O.C., e più tardi programmarono di annunciare il loro fidanzamento in occasione dell'ordinazione di suo fratello Giovanni. Nel frattempo, con l'anno 1943, la guerra era arrivata fino a Rennes, con gli alleati che bombardavano fabbriche di munizioni, magazzini e le linee ferroviarie. La prima disgrazia che colpì la famiglia Callo fu la morte di Maddalena, la terza figlia, durante un'incursione aerea. Contemporaneamente, Marcello fu chiamato per andare a lavorare in Germania. Avrebbe potuto nascondersi ed evitare la chiamata, ma questo avrebbe esposto il padre e il fratello, che stava per essere ordinato prete, a rappresaglie. Alla fine decise che Dio lo stava chiamando a compiere un'opera missionaria in Germania. Partì il 19 marzo per la Turingia. Vi erano circa ottanta bretoni in un gruppo di francesi alloggiati nelle baracche nel campo più grande a Zella-Mehlis. I francesi vennero assegnati alla fabbrica di armi Walther, dove erano impiegati circa tremila lavoratori per dieci o undici ore al giorno. Trascorrevano il resto del tempo nelle baracche, affamati e infreddoliti. I deportati e i prigionieri, qualunque fosse la loro nazionalità, erano trattati ín maniera disumana dalle guardie. Nell'anno precedente all'arrivo di Marcello vi era stata una sola Messa e un'unica assoluzione collettiva. Oltre a questo dispiacere c'erano le prostitute francesi che avevano seguito i deportati. Marcello arrivò fisicamente e moralmente provato in seguito a una intossicazione alimentare. Si era ferito un dito in una macchina, soffriva di mal di denti, emicranie e coliche. Gli avevano rubato il portafoglio e gli avevano detto che la sua famiglia era stata bombardata. I primi tre mesi furono molto difficili, poi però si risollevò e ritornò quello di un tempo, ritrovando il suo fervore e la determinazione per portare gli altri a Cristo. Parlò di questo periodo di prova in una delle sue lettere successive: «I due mesi dopo il mio arrivo furono estremamente duri. Non avevo voglia di far niente. Non provavo sentimenti. Mi rendevo conto che mi stavo dissociando a poco a poco. Improvvisamente Cristo mi scosse e mi fece capire che ciò che stavo facendo non era buono. Mi disse di andare e di prendermi cura dei miei compagni. Allora la mia gioia di vivere ritornò». Tra i deportati e in altri campi nella regione vi erano altri jocistes. Presto si misero in contatto per programmare il loro apostolato. Marcello iniziò organizzando messe con un prete tedesco che conosceva il francese e poteva confessare. Convinse altri ad adempiere al precetto pasquale e presto riuscì a organizzare una Messa mensile alla quale potevano partecipare deportati e prigionieri. Il suo gruppo jociste si incontrava nelle foreste. Vi erano altri gruppi e altre attività: l'Amicale franQais de Zella-Melhis, del cui gruppo teatrale Marcello faceva parte, e la squadra di calcio in cui giocava. Insegnò ai suoi compagni altri giochi, allo scopo di fornire distrazioni salutari e di costruire una rete di contatti per far circolare le informazioni sulla Messa. Nel frattempo la Gestapo stava seguendo gli eventi e leggendo probabilmente le sue numerose lettere. Le associazioni clandestine erano state proibite e inevitabilmente arrivò il giorno nel quale la Gestapo piombò su di lui. L'occasione venne fornita dalla lista dei leader jocistes trovata presso i fratelli Vallée, anche loro jocistes, che erano stati arrestati. Il nome di Marcello era lì riportato. Quando fu chiesto agli agenti della Gestapo il motivo del suo arresto, essi risposero: «È troppo cattolico». Marcello chiese a un compagno di scrivere ai suoi familiari per dir loro che era stato arrestato a causa della sua opera cattolica, ed egli stesso scrisse: «Sapete anche voi che poteva accadere, e io me lo aspettavo». Con altri undici jocistes fu mandato nell'aprile 1944 nella prigione di Gotha, dove rimase fino a ottobre. Fu obbligato a lavorare duramente, ma vi furono anche momenti di gioia come quando seppero dell'invasione della Normandia o quando riuscirono a ricevere l'eucarestia. Marcello esclamò: «Comunione. Gioia immensa!». Dal luglio 1944 non vi furono più lettere. Nell'ultima che scrisse alla famiglia la sua fede è ancora luminosa: «Fortunatamente ho un Amico che non mi abbandona mai e mi aiuta quando le cose sono difficili o troppe. Con lui tutto può essere sopportato. Sono riconoscente a Cristo per avermi mostrato la via che adesso percorro. Quanti bei giorni ho da offrirgli. Offro le mie sofferenze e le mie difficoltà per tutti voi, miei amati genitori, la mia piccola fidanzata, per Giovanni, peìché il suo ministero possa portare frutti e per tutti i miei amici e compagni. Sì, è una buona cosa, è una fonte di forza stare soffrendo per quelli che si amano». Il pensiero che avrebbe dovuto patire le ultime sofferenze non appare evidente nelle lettere di Marcello. Al contrario, egli spesso parla di un suo ritorno e della prospettiva di avere una famiglia propria. Il trasferimento ai campi di concentramento di Flossenburg e Mauthausen, nell'ottobre del 1944, tuttavia, non avrebbe dovuto lasciargli alcun dubbio. Nel primo campo centinaia di corpi venivano bruciati ogni giorno, e l'odore della carne bruciata pervadeva l'aria, mentre i vivi non erano altro che scheletri ambulanti. Il 26 ottobre venne mandato a Giissen I, un campo di ventun ettari che alloggiava ventimila prigionieri, dove trascorreva dieci ore al giorno smistando rivetti per aeroplani, in una soffocante fabbrica sotterranea. A novembre fu trasferito a Giissen II, dove le condizioni erano ancora più dure. Un breve intervallo di quattro o cinque ore per dormire veniva interrotto a frustate. Seguiva un'attesa di due ore per ricevere un liquido nerastro e sottostare all'interminabile appello al freddo pungente. A tutto ciò seguiva un turno di dodici ore in una fabbrica sotterranea. Marcello aveva perso gli occhiali, non riusciva neanche a vedere dove andava. Ogni goffaggine era guardata come un tentativo di sabotaggio e veniva punita con venticinque frustate. La maggior parte delle vittime si accasciava dopo quattro o cinque frustate e veniva picchiata senza pietà. Marcello sopportò questa punizione quattro volte, ma non insultò mai le sue guardie come la maggior parte degli altri faceva. Da dicembre in poi il cibo era costituito solamente da foglie di barbabietole e bucce di patate non lavate, una gavetta di zuppa doveva bastare per sei persone. Marcello iniziò a soffrire di edema e di pustole oltre ai dolori di stomaco ormai cronici. Pregava continuamente ed era sempre disposto a condividere la sua misera razione con gli altri. Tentava di confortare i suoi compagni: «Cristo è con noi. Non dobbiamo arrenderci. Dio si prende cura di noi». A causa di dolori al petto, Marcello venne accolto in infermeria per un primo ricovero dal 5 al 20 gennaio del 1945. Tra le cinque persone assegnate a ogni letto vi potevano essere dei cadaveri non notati; c'erano dai quaranta ai cinquanta morti al giorno. Vi sarebbe dovuto ritornare in seguito, questa volta per morirci. I malati venivano lasciati nudi, in un clima gelido, sofferenti per il tifo e la dissenteria. Così testimoniò il colonnello Tibodo, che lo vegliò durante le sue ultime ore: Conobbi Marcello Callo solo per poche ore, prima della sua morte, che furono sufficienti per constatare che quel giovane uomo era superiore al livello medio dei giovani. Egli era ancora cosciente quando lo conobbi. C'erano delle latrine nelle baracche. Lui vi cadde dentro, ma io riuscii a tirarlo fuori senza che nessuno vedesse. Fu allora che compresi che non era come gli altri giovani, conobbi il suo nome perché me lo disse, ma sfortunatamente non ricordo null'altro di quel che disse. Se me lo ricordo, e sono stato in molti campi e ho conosciuto molte persone, fu perché Marcello Callo aveva una espressione davvero sovrannaturale. Ciò che sto dicendo non riesce a rendere l'idea: il suo aspetto era piuttosto una visione di speranza, speranza in una nuova vita [...]. Esprimeva la profonda convinzione di andare verso una fine beata. Era un atto di fede e sperava in una vita migliore. Non ho mai visto sul volto di un uomo un'espressione simile a quella. Egli aveva la faccia dei santi. Marcello Callo morì il 19 marzo 1945, due anni dopo la partenza per la Germania. Secondo le affermazioni del dottore del campo perì per tubercolosi seguita da dissenteria, causata dalla debolezza e dal digiuno. Poiché dal mese di maggio non vi era più carbone da bruciare nell'inceneritore si può dedurre che il suo corpo fu sepolto in una fossa comune vicino al campo dove fu piantata una croce. È stato beatificato da Giovanni Paolo II i14 ottobre 1987. MARTIROLOGIO ROMANO. A Mauthausen in Austria, beato Marcello Callo, martire, che, giovane originario di Rennes in Francia, durante la guerra confortava con spirito cristiano nella fede i compagni di prigionia sfiniti dai lavori forzati e per questo fu ucciso nel campo di sterminio.

nome Beato Marco da Montegallo- titolo Frate Francescano- nascita 1425, Montegallo, Ascoli Piceno- morte 19 marzo 1496, Vicenza- ricorrenza 19 marzo- Beatificazione 20 settembre 1839 da papa Gregorio XVI- Santuario principale Chiesa di San Giuliano a Vicenza- Marco, figlio di Chiaro de Marchio, nacque a Fonditore, un villaggio del comune di Montegallo (Ascoli Piceno). Studiò sotto l'umanista Enoch d'Ascoli e in seguito all'università di Perugia e di Bologna, laureandosi come dottore in legge e medicina. Dal 1448 fu medico ad Ascoli. Spinto dal padre, sposò Chiara de' Tibaldeschi nel 1451, ma vissero in castità e un anno dopo, alla morte del padre, si separarono di comune accordo per seguire le rispettive vocazioni religiose. La giovane entrò nel convento delle clarisse e Marco nei francescani osservanti. Marco fece il noviziato a Fabriano e dopo pochissimo fu nominato superiore di Santa Maria di San Severino. Fu lì che udì una voce che gli diceva: «Vai, frate Marco, e predica l'amore». Questo divenne il suo tema dominante mentre percorreva in lungo e in largo il paese e per quarant'anni si spostò dalla Sicilia alle valli del Po. Il suo zelo era inesauribile e spesso univa guarigioni del corpo a quelle delle anime. Ovunque si recò tentò di porre pace tra le diverse fazioni che stavano dividendo la nazione. Soprattutto era impegnato con i poveri. Insieme a frate Bernardino da Feltre (28 set.) promosse i Monti di Pietà, in origine piccoli negozi che facevano prestiti in cambio di oggetti dati in pegno, ma che più tardi sarebbero diventati vere banche per il prestito di de: naro a tassi di interesse nulli o bassissimi. Per erigere questi istituti di credito a Vicenza, Marco predicò con tale eloquenza che il denaro necessario fu raccolto in un giorno e l'ufficio fu costruito e reso operativo entro l'anno. Oltre al Monte di Vicenza, altre banche di prestito e ostelli sorsero sotto la sua spinta (da ricordare uno a Fabriano che un suo amico costruì e un altro a Perugia, fondato da S. Giacomo delle Marche, 28 nov.). Tanto era gentile con gli altri, tanto era intransigente verso se stesso. Anche durante i viaggi non dimenticava nessuna delle penitenze abituali, spesso trascorrendo la maggior parte della notte in preghiera. A Camerino, dove stava prendendo piede la peste, promise alla gente che sarebbe finita se si fossero pentiti. Essi si confessarono tutti e la peste finì. Durante il suo incarico di padre provinciale delle Marche incorporò nella provincia il nuovo monastero delle clarisse, fondato a Camerino da Giulio Cesare Varano, comandante in capo dell'esercito pontificio. Là insediò la figlia del notabile, B. Camilla Battista da Varano (7 giu.), e altre suore del convento di Urbino. È probabile, dal tono di una lettera di Camilla a lui, che ne sia diventato direttore spirituale alla morte del B. Pietro di Mogliano (25 lug.), che lo aveva succeduto come provinciale. Ella gli dedicò la sua autobiografia spirituale e il suo Trattato sulle sofferenze mentali di Nostro Signore. Frate Marco predicò i sermoni quaresimali per la seconda volta a Vicenza nel 1496 con particolare fervore. Circa a metà Quaresima fu visto raccogliere tutti i suoi pochi averi in una sacca, quasi stesse partendo per un viaggio, e quella stessa notte si ammalò. Mentre stava per morire chiese che gli leggessero la passione, e alle parole «chinato il capo spirò», rese l'anima a Dio. Era la festa di S. Giuseppe. Fu sepolto nella chiesa del convento di S. Biagio. Quando la comunità lasciò la città, í suoi resti furono trasportati nella nuova chiesa a lui dedicata. MARTIROLOGIO ROMANO. A Vicenza, beato Marco de Marchio da Montegallo, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che per sovvenire alle necessità dei poveri creò l’opera chiamata Monte di Pietà.

nome Beato Giovanni Buralli da Parma<br /> titolo Sacerdote- nome di battesimo Giovanni Buralli- nascita 1208, Parma- morte 19 marzo 1289, Camerino- ricorrenza 19 marzo- Beatificazione 1777 da papa Pio VI- Giovanni Buralli, il sesto ministro generale dei francescani dopo Francesco, nacque da una famiglia povera di Parma nel 1208 e fu istruito dallo zio prete. Insegnava logica in una scuola della città quando, all'età di venticinque anni, divenne un seguace di S. Francesco (4 ott.), i cui ideali di semplicità e povertà mise in pratica per tutta la vita. Fu mandato a Parigi per ulteriori studi e, ordinato prete, iniziò a insegnare e a predicare a Bologna, Napoli e Roma. Molti seguaci di Francesco, anche mentre egli era ancora in vita, non aderirono a una realizzazione concreta dell'ideale del fondatore relativo a una vita di povertà come via di imitazione del Povero di Nazareth. Per alcuni, specialmente tra i suoi primi discepoli, non vi era dubbio che la povertà doveva essere perseguita letteralmente nella vita di un frate, insieme a una preghiera spesso praticata in forma eremitica benché aperta alla predicazione del Vangelo; per altri, invece, la povertà era ugualmente importante, ma in fin dei conti considerata improponibile nella forma radicale vis suta da Francesco. Se la preghiera era importante, anche gli studi erano fondamentali, e se bisognava studiare, una grotta o una capanna erano sicuramente inadatte. La vita francescana si evolse verso il convento, nel quale una comunità di frati poteva perseguire i suoi studi e per il quale alcune entrate, anche se sotto forma di regalie, erano necessarie. Tuttavia ogni tanto la nostalgia per ciò che sembrava l'autentico ideale francescano prendeva alcuni individui o alcuni gruppi di frati. All'epoca di Giovanni Buralli, questo gruppo esisteva ed era conosciuto come quello degli "spirituali". Essi erano stati trattati duramente da Crescenzio di lesi, ministro generale, che non convocò il prescritto capitolo generale nel 1247, forse per evitare un confronto, e papa Innocenzo IV intervenne convocando il capitolo a Lione. Crescenzio non si presentò e Giovanni Buralli, benvoluto da entrambe le parti, anche se ritenuto dagli spirituali uno dei loro, fu eletto al suo posto. Le posizioni di Giovanni erano moderate, anche se tendeva ad avvicinarsi a quelle dei riformatori. Una delle sue prime mosse fu di avvicinare il gruppo e di invitarli a uniformarsi. A essi appariva come un liberatore dalla tirannia di Crescenzio e come colui che poteva riportarli al francescanesimo originale ma, come uno degli spiritualisti disse con un certo realismo, era arrivato decisamente troppo tardi. I conventi erano già stati costruiti e il rilassamento e i privilegi erano diventati troppo radicati. Giovanni trovò subito una soluzione a una questione da lungo dibattuta: dal momento che i frati non potevano possedere terreni, quelli legati all'ordine dovevano essere passati in proprietà alla Santa Sede e amministrati da procuratori (una mossa, questa, che venne autorizzata da papa Innocenzo IV). Giovanni Buralli decise di visitare tutti i conventi per vedere con i propri occhi come veniva osservata la regola, come poter reinstaurare la disciplina dove necessario e come sanare la divisione. Partì nel 1248 a piedi, vestito con il suo abito liso, con alcuni compagni. Fuori dal convento non avrebbe mai permesso che fosse rivelata la sua posizione. Era così umile che quando arrivavano ín una casa aiutava spesso i fratelli a fare i più piccoli lavori. Fra' Salimbene, che era molto intimo, lo descrive come fisicamente robusto, con un'espressione dolce, maniere gentili e pieno di carità. Il ministro iniziò la sua visita generale in Inghilterra, poi passò attraverso la Francia, visitando Burgundia e Provenza, e andò a sud in Spagna. Nel 1249 presiedette al suo primo capitolo generale a Metz, nel quale insistette sull'osservanza delle costituzioni e sull'accettazione del breviario romano e del messale. Non voleva aggiungere nulla alle costituzioni, pensando che le regole esistenti fossero abbastanza adeguate. Cercò piuttosto di proteggere i francescani dalle autorità esterne come i legati papali o i capitoli delle cattedrali che eleggevano frati a posti episcopali senza rispettare il potere giurisdizionale dell'ordine. Il suo lavoro venne interrotto nel 1249 da un ordine di papa Innocenzo IV di andare a est per aiutare la causa di riunione con la Chiesa ortodossa. Dopo due anni a Costantinopoli ritornò per trattare le faccende dell'ordine, in particolare un'ondata di ostilità che era scoppiata a Parigi. Guglielmo di Saint-Amour, un laico che insegnava all'università, aveva aizzato gli animi contro gli ordini mendicanti e la loro particolare concezione della povertà, attaccandoli nel suo volantino De novissimorum temporum periculis. Suggerì che i frati fossero i falsi profeti precorritori dell'Anticristo. Il ministro generale dei francescani si rivolse ai professori universitari, disarmandoli con la sua gentilezza e persuasione; i suoi avversari, da cui ci si attendeva una risposta, mormorarono solo un «Dio ti benedica». Due regole ottenute da Giovanni Buralli presso papa Innocenzo IV contribuirono grandemente all'influenza spirituale dei frati nel Medio Evo. Gli oratori francescani vennero da quel momento in poi trasformati in chiese collegiali, e questo significò che i frati potevano esercitarvi un ministero sacerdotale autonomo, attraendo i devoti laici per incoraggiarli e volgerli alla ricerca della santità; i benefattori affiliati ai frati potevano essere nominati nei suffragi dell'ordine, divenendo così un incentivo alla loro generosità. Giovanni governò l'ordine per dieci anni. La sua integrità personale, la trasparenza e la semplicità lo resero gradito alla maggioranza, ma a lungo andare le sue simpatie verso gli spiritualisti giocarono a suo sfavore. L'"osservanza larga" riteneva che con lui l'ordine non si sarebbe sviluppato nella direzione desiderata. Intenzionalmente o no, fu diffamato presso il papa come un millenarista. Egli forse fu veramente attratto da Gioacchino da Fiore, dato il suo amore per la semplicità e l'umiltà, l'aberrazione del legalismo e della ricerca del potere, ma il momento era difficile: il francescano Gerardo di Borgo San Donnino aveva scritto l'Introduzione al vangelo eterno, che andava ben oltre le posizioni sostenute dallo stesso Gioacchino, era appena stato condannato nel 1256 e la memoria della vicenda nel 1257 era ancora viva. Giovanni Buralli sentì di non avere più il supporto dell'intero ordine per poter continuare il suo compito di ministro generale, e inoltre la curia papale stava probabilmente facendo pressioni perché si dimettesse, e così rinunciò all'incarico durante il capitolo di quell'anno. Alla richiesta di dire il nome di un possibile suo successore, suggerì Bonaventura (14 lug.), che venne infatti eletto e fu poi noto come il secondo fondatore dei francescani. Buralli fu sottoposto a un interrogatorio riguardo al suo supposto gioachinismo e fu prosciolto dalle accuse. Visse ancora trent'anni, probabilmente i più felici della sua vita. Si ritirò in un eremitaggio di Greccio (dove S. Francesco aveva preparato il primo presepe vivente) abbandonandolo solo occasionalmente dietro richiesta del papa. Udendo che i greci avevano ricusato l'unione stipulata nel 1274, Giovanni, che aveva ottant'anni, con l'approvazione del papa Nicola IV, si offrì di andare a discutere la situazione con loro. Quando raggiunse Camerino comprese che non avrebbe potuto continuare. Morì là il 19 marzo 1289. Vennero ricordati molti miracoli sulla sua tomba e il suo culto fu approvato nel 1777. MARTIROLOGIO ROMANO. A Camerino nelle Marche, beato Giovanni Buralli da Parma, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che papa Innocenzo IV inviò come legato ai Greci, per tentare di ristabilire la loro comunione con i Latini.

nome Beato Andrea Gallerani- titolo Laico- nome di battesimo Andrea Gallerani- nascita Siena- morte 19 marzo 1251, Siena- ricorrenza 19 marzo- Beatificazione 13 maggio 1798- Santuario principale Chiesa di San Domenico a Siena- Nacque a Siena nella famiglia dei Gallerani, fu un coraggioso soldato che condusse i senesi alla vittoria contro gli orvietani. Uccidendo un uomo che bestemmiava apertamente Dio, fu costretto a fuggire dalla giustizia o dalla vendetta degli amici della sua vittima e si ritirò nella proprietà della sua famiglia sulla costa. Quando tornò nella sua città natale, non trovò pace se non facendo penitenza, dedicandosi alla carità, dove fondò un ospedale per i poveri, che servì con grande dedizione. Fondò i Fratelli della Misericordia, che si dedicavano alla cura dei malati e dei poveri, e si dedicavano alla cura dei malati e al conforto dei tristi, e non fu mai un'istituzione religiosa, ma una carità formata da laici. Il resto della sua vita fu diviso tra attività caritative e preghiera. La sua società, i cui membri indossavano una specie di mantello con una croce e la lettera M, continuò fino al 1308, quando si unì all'Ordine Domenicano. Molti miracoli furono attribuiti ad Andrea. In un'occasione guarì un piede che stava già iniziando a cancrena, ancora una volta camminava magro a piedi e senza bagnarsi per la pioggia per le strade di Siena, mentre cadeva un violento acquazzone. In un'altra occasione, tornando a tarda notte da una missione di beneficenza in un luogo lontano, la porta d'ingresso e le porte di casa sua si aprirono di propria iniziativa. Morì a Siena pieno di meriti per la sua grande carità. Il suo culto fu confermato il 13 maggio 1798 da Papa Pio VI. La sua festa si celebra a Siena il 20 giugno.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Siena, beato Andrea Gallerani, che visitò e consolò con premura gli infermi e gli afflitti e radunò i Fratelli della Misericordia, perché, come laici senza voti, servissero i poveri e i malati.

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