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08/02/2024 alle 14:08

I santi di oggi 8 febbraio:

I santi di oggi 8 febbraio:

nome San Girolamo Emiliani- titolo Fondatore dei Chierici Regolari di Somasca- nascita 1486, Venezia- morte 8 febbraio 1537, Somàsca- ricorrenza 8 febbraio- Beatificazione 23 aprile 1747 da papa Benedetto XIV- Canonizzazione 16 luglio 1767 da papa Clemente XIII- Santuario principale Santuario di San Girolamo Emiliani- Attributi crocefisso, bambino, ceppi e catene della prigionia- Patrono di orfani, gioventù abbandonata- Dalla nobile famiglia degli Emiliani, nasceva in Venezia nel 1486 S. Girolamo. L'infanzia e la giovinezza sua ci sono quasi totalmente ignote e solo nel 1511, quand'ormai ha trent'anni, lo troviamo capitano della repubblica di Venezia. alla difesa di Castelnuovo, importante fortezza trevisana. Quivi esplicO tutto ii suo valore e tutta la sua arte di avveduto capitano, ma assalito da forze francesi di gran lunga superiori dovette arrendersi. I vincitori, avuto Girolamo nelle mani, lo caricarono di catene e lo gettarono in prigione. Perduta ormai ogni speranza negli aiuti umani, ii poveretto si rivolse fiduciosamente a Maria, promettendole con voto di recarsi scalzo al suo santuario di Treviso per ivi deporre ai suoi piedi le catene e la spada qualora fosse stato liberato. La Madonna l'ascoltò, e Girolamo riconoscente corse a soddisfare la promessa, tornando in patria totalmente mutato. All'ardor bellicoso di prima aveva sostituito una grande carità verso Dio ed amore verso i poveri. Morto suo fratello Luca, egli si prese cura dei tre nipotini rimasti orfani e da qui gli venne l'idea di fondare i Chierici Regolari Somaschi per soccorrere gli orfani. Vedendo infatti tanti piccoli abbandonati, perché privi di genitori e di aiuto, pensò di erigere un istituto per soccorrerli nei loro bisogni corporali e spirituali. Ben presto però l'edificio fu troppo angusto per ospitare tutti gli orfani che accorrevano, e Venezia, Verona, Bergamo, Brescia ed altre città dovettero alla carità del Santo se le loro vie furono sgombre di tanti bambini che prima imparavano il vizio. Anime generose, attirate da si nobili virtù, vollero seguire S. Girolamo e così nel paesello di Somasca (Bergamo) egli iniziò la sua Congregazione di Chierici Regolari detti Somaschi. Poi si diede a visitare importanti città per fondare altri istituti e sollevare quanti più potesse: così fu a Milano, a Pavia ed altrove. Prima di morire volle ancora una volta visitare i suoi istituti, e le popolazioni in massa accorsero per vederlo, per potergli baciare l'abito e ricevere la sua benedizione. Così, l'umile istitutore che aveva voluto fuggire la gloria del mondo, passava ammirato e benedetto da tutti. Si ritirò poi definitivamente in Somasca ove terminò la sua beata vita l'8 febbraio del 1537 a 55 anni. PRATICA. Rispettiamo il candore e la semplicità dei piccoli e cerchiamo di incitarli al bene. PREGHIERA. Dio, padre delle misericordie, pei meriti e l'intercessione del beato Girolamo, che volesti fosse agli orfani padre e sostegno, concedi che noi possiamo sempre essere tuoi figli. MARTIROLOGIO ROMANO. A Somàsca, nel territorio di Bérgamo, il natale di san Girólamo Emiliàni Confessore, che fu Fondatore della Congregazione Somàsca, e, illustre per molti miracoli in vita e dopo morte, dal Sommo Ponteif ce Clemènte decimoterzo fu ascritto nel catalogo dei Santi, e dal Papa Pio undecimo fu eletto e dichiarato Patrono universale presso Dio degli orfani e della gioventù derelitta. La sua festa però si celebra il venti Luglio.

nome Santa Giuseppina Bakhita- titolo Vergine, Suora canossiana- nascita, Olglossa, Darfur, Sudan- morte 8 febbraio 1947, Schio, Vicenza- ricorrenza 8 febbraio- Beatificazione 17 maggio 1992 da papa Giovanni Paolo II- Canonizzazione 1º ottobre 2000 da papa Giovanni Paolo II- In nessun tempo i bambini hanno interamente goduto del rispetto e dell'amore che la loro condizione e la loro fragilità richiedono. Nonostante le apparenze. Si pensi a Erode che ne fa strage per salvaguardare il proprio trono o ai pedofili le cui turpi vicende ammorbano le cronache dei nostri giorni. Bakhita, la suora di colore che il primo ottobre del 2000 Giovanni Paolo II ha proclamato santa, ha sofferto pene indicibili per la crudeltà degli adulti. Era nata nel 1869 a Olglossa, nel Darfur, una regione a sudest del Sudan. La sua era una famiglia ricca, possedeva terreni con piantagioni c bestiame. E lei viveva felice, assieme ai genitori, tre fratelli e tre sorelle. «Non sapevo che cosa fosse il dolore», ricordava. Ma quella stagione di felicità durò poco. Nel 1874 dei mercanti di schiavi rapirono sua sorella maggiore, due anni dopo toccava a lei identica sorte. I rapitori, due arabi, le diedero il nome di Bakhita, che significa «fortunata» e la rivendettero a un mercante di schiavi. Iniziava così una lunga drammatica odissea "alla quale tentò invano di sottrarsi, fuggendo" sballottata da un paese all'altro, da un padrone all'altro. Ne ebbe ben sei di padroni, e nessuno ebbe compassione di lei. Il più cattivo fu un generale turco, che la sottopose a un vasto tatuaggio che le lasciò libero solo il volto: 114 tagli inferti con un rasoio, trattati poi con il sale per evidenziarne i segni. Un vero supplizio, e fu un miracolo se Bakhita ne uscì viva. «Il Signore mi voleva per cose migliori», commentava lei stessa. Poi le cose cambiarono. Il generale turco vendette la ragazzina, che era tra l'altro di una struggente bellezza, a un italiano, il console Callisto Legnani, che la trattò bene. L'avrebbe anzi riportata al suo villaggio, dai suoi, solo se Bakhita, rapita piccolissima, si fosse ricordata quale fosse. Quando il Legnani lasciò l'Africa, Bakhita ottenne di seguirlo in Italia, al seguito di un amico del console, Augusto Michieli, ricco commerciante di Venezia, che la portò con sé nella villa di Zianigo di Mirano Veneto, perché facesse da babysitter alla figlioletta Alice. I coniugi Michieli erano buona gente: lui cattolico ma assai poco praticante; lei, la signora Turina, ortodossa ma poco convinta. Alla bella ragazza di colore venne proibito di frequentare la chiesa. Con grande disappunto dell'amministratore di casa Michieli, Illuminato Cecchini, il quale, fervente cattolico, s'era, messo in testa di «convertirla». E approfittava di tutte le occasioni migliori per poterle parlare di Dio, di Gesù e della chiesa. Era a metà del suo cammino quando i Michieli ritornarono in Africa con Bakhita al seguito. Cecchini, amareggiato per non avere completato la sua opera, si affidò a Dio, e nelle mani della giovane nera partente che lo salutava aveva messo un piccolo crocifisso: «Pensaci tu, Signore». Il Signore ci pensò. Infatti i Michieli, alla vigilia di uno dei loro frequenti viaggi d'affari in Africa, decisero di ritornare in Italia ad affidare la figlia Alice e la bambinaia all'istituto delle suore canossiane di Venezia. «Solo per qualche mese "avevano detto i Michieli", poi passeremo a riprenderle per trasferirci definitivamente in Africa». Ma quando andarono a riprenderle trovarono una sorpresa: Bakhita, che nel frattempo aveva studiato catechismo e si stava preparando a ricevere il battesimo, con dolcezza, ma decisione, comunicò che non li avrebbe seguiti in Africa: «Non potrei professarvi la mia fede nel Signore», si giustificava Bakhita con la signora che insisteva considerando la ragazza «sua schiava». Ma Bakhita la spuntò, sostenuta anche dal patriarca di Venezia, il cardinale Agostini, e dal procuratore del re, che la dichiarò libera perché la legge italiana vietava ogni forma di schiavitù. E rimase. Era il 29 novembre 1889. Per la giovane di colore iniziava una nuova vita. Il 9 gennaio dell'anno seguente riceveva dal patriarca il battesimo con i nomi di Giuseppina, Margherita e Fortunata, e insieme la cresima e la prima comunione. Fu per lei una giornata memorabile, incredibile. La consapevolezza di essere diventata, da schiava che era e per di più nera e ignorante, figlia di Dio la sgomentava e insieme la colmava di gioia. Si rammaricava per non avere nulla da offrirgli in cambio. «Ma tu lo ami il Signore "la consolava la sua catechista". Questo basta». Intanto, vivendo e approfondendo la sua esperienza religiosa, Bakhita maturava il desiderio di consacrarsi al Signore nella vita religiosa canossiana. Temeva però di manifestarlo ritenendo che la sua condizione di nera non avrebbe giovato alla congregazione. Quando lo fece, fu accolta a braccia aperte. Dopo tre anni di noviziato, l'8 dicembre 1896, a Verona, pronunciava i voti. Era felice. Lo stesso patriarca di Venezia, il cardinale Sarto, futuro Pio X, dopo averla esaminata, l'aveva incoraggiata nella sua scelta: «Pronunciate pure i voti "le aveva detto". Gesù vi vuole. Gesù vi ama; voi amatelo e servitelo sempre così». Dopo la professione venne mandata nel convento delle canossiane a Schio, Vicenza, dove rimarrà per quarantacinque anni, edificando le consorelle per la sua umile disponibilità ad accettare e svolgere qualsiasi incombenza le venisse richiesta: in cucina, in guardaroba, in portineria, a ricamare... E guadagnandosi la stima di tutti, fuori dal convento, per la sua bontà, dolcezza, cordiale accoglienza, soprattutto dei poveri e dei bambini che frequentavano le scuole dell'istituto, i quali ascoltavano incantati i racconti della «madre moretta». Seppe essere per tutti una vera testimone dell'amore di Dio, che lei con un misto di familiarità e riverenza chiamava alla veneta «el me Paron». Si occupò anche delle missioni. Per un paio d'anni fu nel noviziato missionario di Vimercate, dal quale partiva con una consorella reduce dalla missione in Cina per recarsi in varie città d'Italia a promuovere lo spirito missionario. E la sua storia «meravigliosa», di piccola schiava, di convertita, di amata da Dio a tal punto da farla tutta sua, costituiva il nucleo centrale di ogni incontro. Due anni di viaggi, su e giù per l'Italia, che le costarono molta fatica ma durante i quali ha lasciato una scia di bontà. Lasciava a tutti questo semplice messaggio: «Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio». E avrebbe voluto lei stessa poter volare presso la sua gente, per far conoscere a tutti l'amore di Dio.<br /> Visse le drammatiche esperienze di due guerre. Dalla prima ne era uscita rinvigorita nello spirito per il grande bene che aveva fatto tra i soldati feriti ricoverati negli ospedali militari, e tra la gente, per alleviarne le sofferenze fisiche e le angustie morali. Dalla seconda, invece, uscì fortemente provata nel fisico. Gli anni ormai erano tanti. Nel dicembre del 1943 con la comunità religiosa e i cittadini di Schio aveva festeggiato (nei limiti concessi dai difficili tempi di guerra) il cinquantesimo di vita religiosa. Un bel traguardo che porta inevitabilmente con sé un bel po' di acciacchi, per lei in particolare un'artrite deformante che la obbligò prima ad aggrapparsi al bastone per muoversi e poi a ricorrere alla sedia a rotelle, e una bronchite asmatica con la tosse che le squassava il petto. Stava male, ma non si lamentava mai. Accettava tutto con coraggiosa pazienza. Il suo pensiero andava a Gesù in croce, alla Madonna addolorata e ogni guaio diventava sopportabile. «Come sta?», le chiedeva chi andava a farle visita. «Come volo el Paron, come vuole il Padrone», rispondeva con un tono che non sapeva di rassegnazione, ma era testimonianza di fede, di bontà e di speranza cristiana.<br /> Alla fine sopraggiunse una polmonite, che le fu fatale. Durante l'agonia rivisse i terribili giorni in cui, bambina, era prigioniera. Tanto da supplicare l'infermiera di «allargare le catene perché pesano». Poi venne la Madonna a liberarla da quegli incubi oppressivi. Si spense infatti mormorando: «La Madonna, la Madonna...», mentre il sorriso le illuminava e le distendeva il volto prima contratto dalla sofferenza. Era l'8 febbraio 1947. La comunità religiosa e la gente di Schio si raccolsero attorno a lei in preghiera. Ognuno voleva vedere per l'ultima volta la madre moretta. La fama della sua santità, testimoniata da più di un fatto prodigioso, diede subito il via a una devozione sentita e vasta. Giovanni Paolo II l'ha iscritta nell'albo dei santi l'1 ottobre 2000. MARTIROLOGIO ROMANO. Santa Giuseppina Bakhita, vergine, che, nata nella regione del Darfur in Sudan, fu rapita bambina e, venduta più volte nei mercati africani di schiavi, patì una crudele schiavitù; resa, infine, libera, a Venezia divenne cristiana e religiosa presso le Figlie della Carità e passò il resto della sua vita in Cristo nella città di Schio nel territorio di Vicenza prodigandosi per tutti.

nome Beata Speranza di Gesù- titolo Fondatrice- nascita 30 settembre 1893, Murcia, Spagna- morte 6 febbraio 1983, Collevalenza- ricorrenza 8 febbraio- Beatificazione 31 maggio 2014 da papa Francesco- Santuario principale Santuario dell'Amore Misericordioso- Madre Speranza di Gesù al secolo Alhama Valera nacque a Santomera situato nella comunità autonoma di Murcia in Spagna il 30 settembre 1893. Il 15 ottobre 1915 entrò religiosa nel convento di clausura delle "Figlie del Calvario" a Villena (Spagna). Questa Congregazione nel 1920 venne aggregata all'Istituto delle Missionarie Claretiane". La notte di Natale del 1930 uscita da questo Istituto, fondò, a Madrid, la Congregazione delle Ancelle dell'Amore Misericordioso. Il 15 agosto 1951 fondò, a Roma, la Congregazione dei Figli dell'Amore Misericordioso.<br /> Consacrò e dedicò tutta la sua vita al Signore e alla missione di farlo conoscere ad ogni persona come un Padre e una tenera Madre. Al termine di una vita consumata nel servizio a Dio, ai sacerdoti e ai più bisognosi, morì a Collevalenza (Italia) il giorno 6 febbraio 1983. Il 23 aprile 2002, la Chiesa, avendo riconosciuto l'eroicità delle virtù, l'ha dichiarata Venerabile. Il processo di canonizzazione continua il suo corso.

nome Beata Giuseppina Gabriella Bonino- titolo Vergine- nome di battesimo Anna Maria Maddalena Giuseppina Bonino- nascita 5 settembre 1843, Savigliano, Cuneo- morte 8 febbraio 1906, Savona- ricorrenza 8 febbraio- Beatificazione 7 maggio 1995 da papa Giovanni Paolo II- Cresciuta ed educata in una famiglia benestante profondamente religiosa, G. visse i suoi primi anni accanto ai genitori, maturando gradualmente la sua vocazione alla vita consacrata, coltivando una intensa vita spirituale e attivandosi in opere di assistenza sociale e caritativa nella sua parrocchia. Colpita da una neoplasia alla colonna vertebrale, vide nella sua guarigione la protezione celeste della Vergine Maria e un segno della sua definitiva consacrazione a Dio nel servizio ai poveri. Sebbene attratta dalla vita di clausura, nel 1880 fondò una nuova famiglia religiosa, la congregazione delle Suore della S. Famiglia di Savigliano cui affidò il compito di assistere i più bisognosi, attivando in loro favore numerose opere di carattere sociale. Eletta superiora, mantenne il suo ufficio fino alla morte, prodigandosi per la diffusione dcl suo carisma, oggi vivo anche in terra di missione, oltre che in Italia. È stata beatificata da Giovanni Paolo II il 7 maggio 1995.

nome Santa Quinta (Cointa) d'Alessandria- titolo Martire- morte 259, Alessandria d’Egitto- ricorrenza 8 febbraio- Canonizzazione Precanonizzazione- Eusebio, citando una lettera di S. Dionigi (17 nov.), vescovo di Alessandria dal 247 a ca. il 265, al vescovo Fabio di Antiochia sui martirii avvenuti in Alessandria sotto Decio, imperatore romano dal 249 al 251, afferma: «Condussero in un tempio pagano una donna cristiana chiamata Quinta e la costringevano ad adorare il nume. Quella ne ebbe orrore e oppose resistenza. Allora la legarono per i piedi, la trascinarono attraverso la città sull'aspro selciato, la fecero sbattere contro grosse pietre, la flagellarono e, ritornati infine al tempio di Metra, la finirono sotto una grandine di sassi». Secondo altri racconti, Quinta fu legata all'estremità di un cavallo e trascinata in questo modo finché non morì. Il resoconto che si trova nel nuovo Martirologio Romano (in cui è chiamata Cointha) pare basato su quello di Eusebio. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Alessandria d’Egitto, commemorazione di santa Cointa, martire, alla quale i pagani sotto l’imperatore Decio volevano imporre di adorare gli idoli; e poiché ella, detestan-doli, si rifiutava di farlo, le legarono i piedi e così costretta la trascinarono per le piazze della città, straziandola in un orrendo supplizio.

nome Santo Stefano di Muret- titolo Eremita- nascita 1046, Thiers (Alvernia)- morte 8 febbraio 1124, Muret (Limoges)- ricorrenza 8 febbraio-Canonizzazione 1189- Questo santo è chiamato anche "Stefano di Grandmont", in riferimento all'ordine dei grandmontinev da lui fondato, ma l'associazio ne con il monastero di Muret, situato in una vallata nei pressi di Limoges, è più diretta. La sua Vita, compilata dal settimo priore di Grandmont, lo descrive come figlio di un visconte (in seguito identificato con il visconte di Thiers) dell'Alvernia, recatosi con il padre a Roma: qui decise di farsi monaco, ottenendo direttamente dal papa l'autorizzazione per fondare un ordine separato. Questa è in realtà una cornice molto convenzionale (disprezzo per i privilegi dell'alto rango a favore della vita religiosa, esaltazione delle origini di un ordine, ecc.) ma nel suo caso i vari elementi potrebbero essere storicamente esatti. Dopo la visita a Roma Stefano si recò in Calabria, rimanendovi per un certo periodo e imbattendosi in quelle comunità eremitiche che erano state tipiche del Medio Oriente; decise quindi di introdurre nel proprio paese quel particolare stile di vita. Nel 1076 rinunciò alla propria eredità per andare a vivere come eremita sulle montagne di Ambazac, a nord est di Limoges, nella Francia centrooccidentale. Stefano vi rimase per quarantasei anni, conducendo una vita di estrema austerità. Giunsero anche dei discepoli, e verso la fine della sua vita la comunità si trasferì in un monastero a Muret, consacrato all'estrema povertà, simile per regola di vita ai certosini e ai camaldolesi. Ciò fece sì che i monaci diventassero popolarmente noti come i Bons hornmes (buoni uomini). Stefano stesso affermò che non c'era alcun bisogno di una regola scritta dal momento che «non c'è altra regola se non il Vangelo di Cristo» e considerava le regole, come quella di S. Agostino (28 ago.) o di S. Benedetto (11 lug.), funzionali all'obbedienza al Signore Gesù; esiste invero una regola redatta nel 1143 dal suo discepolo Ugo di Lacerta, il Liber sententiarum seu rationum, e attribuita a lui, ma in realtà fu composta dal quarto priore, Stefano di Liciac. Il Martirologio Romano lo elogia per aver favorito le conversione «non attraverso il potere, ma con la carità»; la regola tuttavia è caratterizzata da estrema severità e paragona il tipo di vita monastica da lui voluto a una prigione: «Se vieni qui», diceva agli aspiranti, «sarai inchiodato alla croce e perderai il tuo potere sopra gli occhi, sopra la bocca e sopra le altre tue membra L...] se vai in un grande monastero, con graziosi edifici, vi troverai animali e ampie proprie tà, ma qui avrai solo povertà e la croce». I suoi monaci dovevano essere "eremiti" che vivevano nel "deserto", sul modello di S. Giovanni Battista. Essi rinunciavano a tutto, persino a chiedere l'elemosina e a predicare o ascoltare meditazioni spirituali, e consacravano la loro vita esclusivamente alla preghiera liturgica e privata. Si attribuiva grande importanza alla povertà materiale e proprio questo può essere stato il motivo per cui nell'ordine non si ammisero donne, che avrebbero inevitabilmente portato con sé doti. Il fine di tutto era "l'interiorità", un rapporto diretto con Dio attraverso la pratica dell'umiltà e dell'abbandono e una preghiera di sottomissione e di lode. In questo Stefano era totalmente in sintonia con la spiritualità dell'epoca.<br /> Dopo la morte di Stefano, i suoi discepoli si trasferirono a Grandmont in Normandia, da cui prese nome l'ordine. Esso inizialmente crebbe con rapidità, in un'età ricca di entusiasmo per l'austerità, ma non si diffuse mai molto, cominciando a declinare già cinquant'anni dopo, a causa di dissensi tra i monaci e i fratelli conversi, a cui era affidata la responsabilità di tutta l'organizzazione e delle relazioni col mondo esterno. Questa struttura mirava chiaramente a mantenere i monaci in un isolamento totale: i fratelli conversi dovevano seguire l'esempio di Marta e i monaci quello di Maria. La disputa alla fine si placò, ma la disciplina gradualmente si allentò. Nel 1646 si ebbe una riforma con la formazione di un ramo di stretta osservanza che però non durò a lungo, e l'ordine si estinse completamente con la Rivoluzione francese. In Inghilterra l'ordine ricevette il sostegno del re Enrico, su richiesta del quale nel 1189 papa Clemente III canonizzò Stefano. MARTIROLOGIO ROMANO. Presso Muret nel territorio di Limoges in Aquitania, in Francia, santo Stefano, abate, che, fondatore dell’Ordine di Grandmont, affidò ai chierici la lode divina e la contemplazione e ai soli fratelli laici la gestione delle incombenze temporali da compiere secondo carità.

nome San Paolo di Verdun- titolo Vescovo- nascita Verdun, Francia- morte 8 febbraio 648, Verdun, Francia-ricorrenza 8 febbraio- Dopo essere stato uomo di corte, Paolo si fece monaco. Ritiratosi inizialmente come eremita sul monte Voge (ora chiamato Paulsberg in suo onore) vicino a Treviri, entrò poi nel monastero di Tholey, dove per un certo periodo svolse la funzione di fornaio, divenendo poi direttore della scuola del convento. In precedenza Paulsberg era conosciuta anche come Monte d'Apollo per via di un'antica usanza pagana (i macellai di Treviri, per esorcizzare le potenze negative, gettavano una ruota infuocata dalla cima della montagna nel sottostante fiume Mosella), e la nuova denominazione servì a sostituire tale tradizione pagana con una cristiana. Intorno al 630 il re Dagoberto I (che regnò dal 629 al 639) nominò Paolo vescovo di Verdun, donandogli terre le cui rendite gli consentirono di avere alcuni chierici come collaboratori. In questo modo egli divenne parte di quel movimento missionario che sostenne l'espansione verso est del regno franco (v. S. Amando, 6 feb.). Modellando se stesso sull'apostolo omonimo, Paolo fu un insigne vescovo, buon pastore e abile amministratore. Ricostituì la comunità ecclesiale di Verdun, che aveva passato momenti difficili, riuscì a far osservare alla gente il precetto domenicale e si adoperò molto per promuovere la dignità della liturgia e della vita dei canonici. Alcuni hanno sostenuto che Paolo fosse fratello di S. Germano di Parigi (t 576; 28 mag.), ma ciò pare improbabile dal momento che vi è tra loro una differenza d'età di circa sessant'anni. Fu amico di S. Deodato di Nevers (t ca. 679; 19 anch'egli per un certo periodo eremita sui Vosgi e poi eletto vescovo nel 655. Nelle rappresentazioni artistiche Paolo è raffigurato con una candela in mano o in piedi presso un forno, a ricordo del periodo in cui servì come fornaio nel monastero di Tholey. MARTIROLOGIO ROMANO. A Verdun in Francia, san Paolo, vescovo, che, divenuto monaco, eletto poi alla Chiesa di Verdun, promosse il decoro del culto divino e la vita comunitaria dei canonici.

nome Beato Pietro Igneo- titolo Monaco e Cardinale- nascita XI secolo, Firenze-Creato cardinale 1072 da papa Alessandro II- morte 8 febbraio 1089, Albano Laziale- ricorrenza 8 febbraio- Santuario principale Abbazia di Vallombrosa- Incarichi ricoperti Cardinale vescovo di Albano- Il nuovo Martirologio Romano attribuisce la ragione per cui Pietro ha ricevuto il soprannome di Igneus al fatto che egli «passò illeso attraverso il fuoco». La storia, che pare ben attestata da una lettera coeva tuttora esistente, narra che i cittadini di Firenze, indignati per il fatto che Pietro di Pavia avesse ottenuto con simonia la nomina alla loro sede, pretesero che la questione fosse decisa dalla prova del fuoco. Si appellarono quindi ai monaci di Vallombrosa: tra essi si offrì. come volontario per l'impresa Pietro Aldobrandini. Furono preparati c accesi due grandi mucchi di legno, separati tra loro da uno stretto passaggio di appena sessanta centimetri. Mentre il fuoco prendeva vigore, osservato da una folla di tremila persone, Pietro Aldobrandini disse Messa; quindi si tolse la casula e camminò con tranquillità tra i due roghi fiammeggianti, ciascuno lungo tre metri e alto quasi un metro e mezzo, «intrepido nella mente e allegro nel volto, avendo fatto il segno di croce e tenendo in mano il crocifisso. Non riportò alcun danno né alla propria persona né a ciò che aveva con sé». Alla fine si volse indietro, pronto a compiere a ritroso il percorso, ma la folla non glielo permise, convinta che Dio avesse già parlato chiaramente. La storia non riporta se Pietro di Pavia fu invitato a sottoporsi alla medesima prova, e quale sia stata la risposta. Sappiamo, tuttavia, che fu deposto dalla sede di Firenze. Thurston, nella scheda dedicata a Pietro Igneo in B.T.A., sottolinea l'esistenza di innumerevoli racconti provenienti da tutto il mondo relativi ad asceti che hanno compiuto questa stessa impresa (anche se è più comune la pratica orientale di camminare sui carboni ardenti, mentre la vicenda di Pietro pare piuttosto riferirsi a quella dei «tre giovani nella fornace» da Dn 3, 19-50). Egli ipotizza inoltre che sia stato proprio l'esempio di Pietro Igneo a spingere Francesco di Puglia, circa quattro secoli dopo, a proporre la stessa prova al predicatore riformatore Savonarola. La prova del fuoco era una pratica comune nelle società medievali, un residuo di usanze precristiane. In pratica, essa chiamava Dío come testimone dell'innocenza dell'accusato contro le imputazioni mosse spesso dai ricchi e dai potenti. Il resto della storia di Pietro narra che papa S. Gregorio VII (25 mag.) lo convocò a Roma e lo nominò vescovo di Albano, carica che implicava il rango di cardinale. Inviato come legato papale in missioni negli stati italici, in Francia e in Germania, fece infine ritorno a Vallombrosa, morendo in una data generalmente accettata come l'8 febbraio 1089. Baronio introdusse il suo nome nel Martirologio Romano nel 1673.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Albano nel Lazio, beato Pietro, detto Igneo perché passato illeso nel fuoco, monaco di Vallombrosa e poi vescovo di Albano, che si dedicò senza posa al rinnovamento della disciplina ecclesiastica.<br />

nome Sant'Invenzio- titolo Vescovo di Pavia- morte 397 circa, Pavia- ricorrenza 8 febbraio-Patrono di<br /> studenti e seminaristi; invocato per il buon esito di interrogazioni, esami e verifiche scolastiche- La tradizione afferma che sant'Ermagora, vescovo di Aquileia, discepolo di san Marco, inviò san Siro e Invenzio ad evangelizzare Pavia (Ticinum) e che quest'ultimo fu il primo vescovo della città. Ma in realtà svolse il suo ministero pastorale di vescovo nella città di Pavia, tra il 381 e il 397, e fu tra i vescovi nominati da sant'Ambrogio di Milano, dalla cui sede metropolitana dipendeva quella di Pavia. Nel 381 era presente al sinodo di Aquilea, e nel 390 a quello di Milano; il primo nome scritto nella lettera sinodale di quest'ultimo a papa Siricio è suo; questa lettera condannava gli errori di Gioviniano, secondo cui il battesimo e la fede sarebbero bastati per la salvezza, senza contare affatto il valore delle opere. Sant'Ambrogio cita San Invenzio nella sua opera “De Oficiis” come il coraggioso protagonista di un intervento a favore di una vedova per rivendicare i beni che le appartenevano. Il santo probabilmente morì nel febbraio del 397, pochi mesi prima di sant'Ambrogio. Fu sepolto nella chiesa dei Santi Nazario e Celso, che per il culto dato nel tempo al santo fu intitolata San Invenzio. Il suo corpo andò perduto per alcuni secoli, ma grazie all'iscrizione su una lapide fu ritrovato nel 1574. Nel 1789, a causa della demolizione della chiesa, le sue reliquie furono trasferite a quella del Gesù, all'interno della stessa Pavia. MARTIROLOGIO ROMANO. A Pavia, sant’Invenzio, vescovo, che si adoperò strenuamente per il Vangelo.

nome San Nicezio di Besançon - titolo Vescovo- morte Besançon, Francia- ricorrenza 8 febbraio- Canonizzazione 24 novembre 1900 da papa Leone XIII- I diversi racconti che abbiamo su Nicezio mostrano la difficoltà di verificare l'identità dei vescovi del periodo merovingio. La Vita stampata nel secondo volume di febbraio degli Acta Sanctorum lo descrive come intimo amico e corrispondente di papa Gregorio Magno (590-604; 3 set.) e di S. Colombano (t 615; 23 nov.). Il nuovo Martirologio Romano, pur senza offrire ulteriori dettagli, colloca la morte di Nicezio in un anno che potrebbe rendere queste relazioni possibili, mentre Duchesne afferma che ci fu un antico vescovo di Besangon di nome Nicezio venerato là come santo, ma che il S. Nicezio di oggi seppellì S. Valdeberto, abate di Luxeuil (2 mag.) nel 670, e questa data renderebbe impossibile un rapporto con Gregorio e Colombano. Se la Vita più antica è corretta, egli fu un uomo santo ed erudito e un forte oppositore dell'eresia: riportò la sede episcopale a Besangon trasferendola da Nyon, sul lago di Ginevra, dove era stata spostata in seguito al saccheggio della città da parte degli unni. Basandosi sulle Vie des saints du Franche-Comté e citandone i curatori (insegnanti del collegio S. Francesco Saverio), Guérin afferma che Besangon era ridotta a un cumulo di rovine dopo l'invasione di Attila e che Nicezio dovette ricostruire non solo le chiese ma anche la comunità ecclesiale, enorme lavoro di cui però si dimostrò all'altezza. È il santo titolare della chiesa di Mallcy nell'Haute-Saone. In tempi feudali i signori d'Angerans erano soliti organizzare un giorno di festa per i bambini in onore di "monsignor S. Nicezio". Il suo culto ricevette conferma ufficiale solo nel 1900. MARTIROLOGIO ROMANO. A Besançon in Burgundia, nell’odierna Francia, san Nicezio, vescovo.

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