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I santi di oggi 12 febbraio:
nome Santi Martiri di Abitina- titolo Cristiani- ricorrenza 12 febbraio- Il primo editto imperiale emanato da Diocleziano contro i cristiani ordinava il rogo di tutte le copie delle Scritture e segnava l'inizio della persecuzione che avrebbe causato numerosi martiri. Se molti cristiani obbedirono, altri resistettero e tra questi Saturnino, sacerdote in Abitina, nell'Africa settentrionale proconsolare. Una domenica i magistrati del luogo accompagnati dai soldati catturarono lui e il suo gruppo; Saturnino, i suoi quattro figli e un senatore di nome Dativo guidarono gli altri della comunità all'interrogatorio dei magistrati. Risposero tutti così coraggiosamente che persino i loro inquisitori li elogiarono; furono però inviati in ceppi a Cartagine per essere esaminati dal proconsole. L'interrogatorio è stato conservato in Atti che sono senza dubbio genuini nella sostanza, ma che nella forma sembrano finalizzati a sostenere la rigida posizione donatista, quale emerse nella controversia esplosa un secolo dopo le loro morti. Questa avrebbe enfatizzato che tutti i martiri parteciparono al culto nel giorno del Signore, compreso il bimbo Ilarione (rara testimonianza della partecipazione di bimbi alla Messa). Il primo a essere interrogato fu Dativo, il quale si professò cristiano e adoratore del Dio dei cristiani. Fu condotto via per essere torturato persino prima che avesse detto dove avevano luogo le assemblee per il culto, perché il proconsole credeva che ne fosse l'organizzatore. Allora il martire Telica affermò che «il presbitero Saturnino e tutti noi» erano le guide dei cristiani. Le donne si dimostrarono coraggiose quanto gli uomini: una giovane donna di nome Vittoria, che era sfuggita a un fidanzamento combinato, saltando fuori da una finestra e rifugiandosi in una chiesa, rifiutò l'offerta di ritornare sotto la tutela del fratello pagano, dicendo che nessuno che non conoscesse Dio poteva essere suo fratello. Il bimbo Ilarione rise persino alle minacce del giudice di tagliargli orecchie e naso se non avesse ritrattato. Saturnino e i suoi cc. non furono giustiziati, ma pare che morirono in prigione, o per durezza della carcerazione o come conseguenza delle torture subite. MARTIROLOGIO ROMANO. A Cartagine, commemorazione dei santi martiri di Abitene, in Tunisia: durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, essendosi come di consueto radunati contro il divieto imperiale di celebrare l’Eucaristia domenicale, furono arrestati dai magistrati della colonia e dal presidio militare; condotti a Cartagine e interrogati dal proconsole Anulino, anche tra le torture tutti si professarono cristiani, dichiarando di non poter tralasciare la celebrazione del sacrificio del Signore; per questo versarono in diversi luoghi e tempi il loro beatissimo sangue.
nome Sant'Eulalia di Barcellona- titolo Vergine e Martire- nascita 290, Barcellona, Spagna- morte 12 febbraio 303, Barcellona, Spagna- ricorrenza 12 febbraio- Canonizzazione 663-Santuario principale Cattedrale di Barcellona- Attributi Croce ad X, oche, palo, colombe- Patrona di Barcellona, marinai, contro le siccità-Sant'Eulalia patrona di Barcellona fu una fanciulla che subì il martirio all'età di tredici anni sotto Diocleziano. Poiché rifiutava di rinnegare la sua fede cristiana, Eulalia fu sottoposta dai romani a 13 torture fra cui: fu chiusa in un barile pieno di chiodi e fatta rotolare in una strada identificata dalla tradizione con l'attuale Baixada de Santa Eulalia ("discesa di Sant'Eulalia"); le furono tagliati i seni; fu crocifissa su una croce a forma di X; alla fine fu decapitata. Si narra che una colomba volò dal suo petto alla fine del martirio a simbolo della sua anima. Questa è un'altra somiglianza con la storia di Eulalia di Mérida, di cui però si narra che la colomba spiccò il volo dalla bocca. Esistono inoltre delle sovrapposizioni fra le torture attribuite all'una ed all'altra santa. Il suo corpo fu sepolto originariamente a Santa Maria de Les Arenes poi fu nascosto durante la conquista araba della Spagna nel 713 e ritrovato solo nel 878. Nel 1339 fu collocato in un sarcofago d'alabastro nella cripta della nuova Cattedrale di Sant'Eulalia.
nome San Benedetto d'Aniane- titolo Religioso- nascita 750 circa, Maguelonne, Francia-morte 12 febbraio 821, Cornelimünster, Aquisgrana, Germania- ricorrenza 12 febbraio- Il nuovo Martirologio Romano ha spostato la ricorrenza di Benedetto dal giorno precedente: la data della sua morte è generalmente fissata all'11 febbraio, ma il suo funerale, avvenuto il giorno successivo, è comunemente commemorato come suo giorno di festa. Benedetto fu probabilmente il più significativo riformatore dell'osservanza della regola benedettina in Occidente. Egli visse in un tempo in cui diverse pratiche e molti abusi si erano insinuati nel monachesimo occidentale, e in uno spazio — l'impero franco nel quale si doveva agire in stretta concertazione con l'imperatore. Forse per queste ragioni, nonostante la propria santità e austerità di vita, Benedetto esercitò un'influenza più strutturale che spirituale. Suo padre era il conte Aigulfo di Linguadoca; Benedetto, il cui nome originario era Vitiza, discendeva dunque da una nobile famiglia visigota. In gioventù prestò servizio a corte come paggio sia di Pipino che di suo figlio Carlo Magno, e rivestì la carica di coppiere della regina Bertrada. A vent'anni maturò una profonda conversione religiosa, pur rimanendo a prestare servizio come soldato nella campagna longobarda e distinguendosi nell'assedio di Pavia del 774. Egli decise in seguito di ritirarsi dal mondo spinto anche da un episodio in cui, cercando di salvare il proprio fratello dall'annegamento, per poco non morì lui stesso. Su consiglio di un eremita di nome Vidmar, si fece monaco a Saint-Seine, vicino a Digione, nel 780. A causa dei suoi legami con la corte ciò non fu però facile: per riuscirvi infatti dovette inventare il pretesto che si sarebbe recato a visitare la corte a Aix-la-Chapelle. Benedetto adottò uno stile di vita estremamente austero, influenzato dalle antiche regole di Pacomio (14 mag.) e Basilio (2 gen.), che aveva fatto oggetto di particolare studio, più che da quella di S. Benedetto stesso (11 lug.). Non accettò neanche l'incarico di guidare l'abbazia alla morte dell'abate in carica, sapendo che i monaci non sarebbero stati capaci o non avrebbero voluto seguire il severo stile di vita da lui adottato. Si ritirò invece in un appezzamento di proprietà dei suoi antenati presso la riva del ruscello Aniane, in Linguadoca, vivendo per alcuni anni da solo come eremita. Fu quindi raggiunto da altri che si posero sotto la sua direzione, conducendo tutti una vita semplice di lavoro manuale, trascrizione di manoscritti e duri digiuni. Egli usava solo i materiali più semplici, persino nella celebrazione della Messa (modificò successivamente, in parte, la propria posizione su tale questione). Il numero dei discepoli crebbe a tal punto che la comunità dovette lasciare la riva dell'Aniane per un luogo più spazioso dove poter costruire un monastero. Qui egli edificò una chiesa, permettendo che nella liturgia si utilizzassero vasi e ornamenti preziosi. Essendo cresciuta la sua influenza, fu nominato visitatore di tutti i monasteri della Provenza, Linguadoca e Guascogna. Il nuovo stile del monachesimo di Benedetto attirò l'attenzione del margravio Guglielmo di Tolosa; la sua amicizia con il cancelliere della corte reale di Aquitania, Helisachar, favorì l'ulteriore diffusione della sua influenza. Carlo Magno, che era stato incoronato imperatore dal papa nell'800, ne approvò infatti le riforme. Il sacro romano impero franco assunse nelle vicende della Chiesa un ruolo più significativo rispetto al regno che lo aveva preceduto. Alla morte di Carlo Magno (814) salì al trono Ludovico il Pio, i cui principali interessi riguardavano la teologia e la riforma della Chiesa e con il quale Benedetto instaurò un rapporto ancora più stretto. Carlo Magno aveva costruito la prima capitale imperiale ad Aquisgrana, strategicamente situata vicino al confine orientale dell'impero, e Ludovico volle che Benedetto si trasferisse nelle sue vicinanze. Convocatolo alla corte imperiale, lo fece accogliere dapprima nell'abbazia di Maurmiinster in Alsazia, e poi lo avvicinò maggiormente trasferendolo in un monastero che aveva fatto costruire per lui sul piccolo fiume lnde. Questa abbazia, divenuta in seguito nota come Cornelimiinster (a soli otto chilometri a sud est di Aquisgrana), fu consacrata nell'817, insieme a una scuola di palazzo, come fondazione imperiale; da lì Benedetto guidò il processo di riforma monastica in tutto l'impero, divenendo uno dei più fidati consiglieri di Ludovico anche per gli affari secolari e presiedendo assemblee convocate per l'esame di parecchie questioni delicate. Nell'agosto dell'816, Ludovico indisse ad Aquisgrana un concilio ecclesiastico, presieduto da Benedetto, per esaminare alcune riforme e qui furono stilate le norme che avrebbero guidato la riforma della disciplina monastica: tutti i monasteri dell'impero dovevano assumere la Regola di S. Benedetto, lasciando le diverse tradizioni precedenti, come quella romana, la laus perennis (celebrazione continua dell'Ufficio divino, che aveva preso il via nel vi secolo dall'abbazia reale di Saint-Maurice in Borgogna), e il cursus S'cotorum, o rito irlandese. I monaci dovevano vivere separati dal mondo e i laici essere banditi dalla clausura monastica, includere il lavoro manuale nelle attività quotidiane, non reggere delle scuole (eccettuati gli oblati) e osservare le ore liturgiche prescritte. Anche le quantità di cibo e bevande dovevano essere regolate. Apposite commissioni, guidate da Benedetto, dovevano recarsi nei monasteri a partire dall'1 settembre 817, per controllare che le riforme fossero messe in atto. Tali provvedimenti vennero codificati nei Capitola di Aquisgrana, allegati come appendice alla Regula di S. Benedetto, e imposti a tutti i monaci dell'impero. Benedetto approvò le pratiche extraliturgiche, insistendo molto sull'importanza della lectio divina e sulla crescita intellettuale, attraverso lo studio della Bibbia, di Origene, Agostino, Girolamo e soprattutto Gregorio Magno. Ma poiché tutto questo, se osservato alla lettera, avrebbe dato luogo a una giornata inverosimilmente lunga, il lavoro manuale fu in parte abolito e sostituito con l'insegnamento, ritenuto più idoneo a un ordine ampiamente clericale. Lo scopo delle sue riforme era quello di portare i monaci, attraverso la preghiera, lo studio, la meditazione e la lettura, "dalla fede alla visione", in modo che la comprensione potesse sfociare nell'amore contemplativo di Dio. Questo ambizioso e particolareggiato progetto, inutile dirlo, trovò raramente applicazione in tutti i suoi aspetti. Benedetto dovette rinunciare a molti dettagli per far sì che le riforme principali fossero accolte da tutti gli abati; i suoi decreti segnarono tuttavia il più importante punto di svolta nella storia del monachesimo benedettino dal tempo della sua nascita. Ne rimase infatti il principale ispiratore intellettuale, almeno fino al x secolo, influenzando nella sostanza le riforme di Cluny, di Gorze nonché quelle di S. Dunstan (19 mag.) e S. Etelwold (1 ago.) in Inghilterra. Ma l'unificazione che egli imponeva dipendeva dall'unità dell'impero, che in realtà cominciò a vacillare proprio intorno agli anni della sua morte. Le mortificazioni e il lavoro indefesso a cui Benedetto si era sottoposto fecero sentire il proprio peso, ed egli trascorse gli ultimi tempi malato e morì in pace nel suo monastero a settantun'anni. Oltre ai provvedimenti codificati nei Capi/ti/a di Aquisgrana, Benedetto compilò il Codex Regularum, una raccolta di regole monastiche dell'Oriente e dell'Occidente, a cominciare da quella di S. Basilio, e la Concordia Regularum, che mette in relazione il testo della Regula di S. Benedetto con testi di regole compilate da altri padri del monachesimo. La sua attenzione si volgeva più alla regolamentazione e alle "pratiche" che direttamente alla spiritualità; anche Cluny avrebbe però ereditato la sua preoccupazione per elementi della vita monastica come la maggiore osservanza del silenzio, il prolungamento dell'Ufficio corale, il predominio della liturgia sul lavoro manuale, elaborando quel rituale e quella magnificenza dell'ambiente sacro che tali attenzioni comportano. MARTIROLOGIO ROMANO. A Kornelimünster in Germania, transito di san Benedetto, abate di Aniane, che propagò la regola di san Benedetto, affidò ai monaci le consuetudini da osservare e si adoperò molto per il rinnovamento della liturgia romana.
nome Beata Ombelina- titolo Badessa- nascita 1092 circa, Dijon, Francia- morte 1136 circa, Jully-les-Nonnais, Francia- ricorrenza 12 febbraio- Sorella di S. Bernardo di Clairvaux (20 ago.), Ombelina è conosciuta per i rapporti che quest'ultimo ebbe con lei, narrati in tutte le Vile di Bernardo. Il legame tra í fratelli era stretto e affettuoso, come testimoniato dal dolore di Bernardo per la morte del fratello Gerardo (13 giu.) e poi della stessa Ombelina. Di un anno più giovane del fratello, si dice che Ombelina gli assomigliasse quanto a bellezza fisica, ma probabilmente anche il ruvido carattere di Bernardo le può essere attribuito. Sposatasi con Guido de Marcy, nobile della casa di Lorena, Ombelina ebbe occasione di far visita a Bernardo a Clairvaux, abbigliata in conformità al suo rango sociale e accompagnata da numerosa scorta. Bernardo si rifiutò di vederla se ella non gli avesse promesso di fare ciò che le aveva raccomandato, in sostanza cioè di fare ammenda per la propria vita e di spogliarsi di ogni lusso. Ella scoppiò in lacrime, con la forza però di rispondergli: «Io posso essere una peccatrice, ma è per quelli come me che Cristo è morto, ed è perché sono peccatrice che ho bisogno dell'aiuto di uomini pii». Ancora memore, forse, del rimprovero di Bernardo, qualche anno dopo Ombelina chiese e ottenne il permesso dal marito di entrare in monastero, unendosi alle monache di Jully-les-Nonnais, vicino a Troyes, dove divenne poi badessa. Le mortificazioni divennero per lei il modo di cancellare gli anni di vanità e vita lussuosa, e morì alla presenza di tre dei suoi fratelli: Bernardo (che la tenne tra le braccia), Andrea e Nivardo. 11 suo culto fu confermato nel 1703. In precedenza veniva commemorata il 21 agosto, ma il nuovo Martirologio Romano ne ha trasferito la festa al giorno di oggi. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Juilly nel territorio di Troyes in Francia, beata Ombelina, priora dello stesso cenobio, che, felicemente convertita dai piaceri del mondo ad opera di suo fratello san Bernardo abate di Chiaravalle, con il consenso del coniuge, si diede alla vita monastica.
nome San Ludano- titolo Religioso- nascita XII secolo, Scozia- morte 1202, Alsazia, Francia- ricorrenza 12 febbraio- San Ludano è uno dei patroni dell'Alsazia. Discendeva da principesca famiglia scozzese, e per la morte dei genitori si trovò straricco di beni; ma tutto vendette per farne dono ai poveri, giusta il consiglio evangelico e si fe' romèo per visitare la tomba dei santi Apostoli. Viaggiava a piedi, dormiva negli atrii delle chiese; epperò le eccessive macerazioni e le fatiche dei lunghi viaggi lo estenuarono tanto, che nel ritorno, sulla via di Colmar a Strasbord, dolcemente morì. Da uno scritto ritrovato nel suo abito si seppe la sua origine e la santa sua vita. I fedeli incominciarono ad invocarlo per santo; giacchè Dio onorò la sua tomba con molti miracoli: fu edificata una chiesa che è tuttavia un luogo di frequenti pellegrinaggi. Morì l'anno 1202. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel villaggio di Northeim sulla riva dell’Ill in Alsazia, san Ludano, che, scozzese di origine, passò al Signore mentre era in viaggio per visitare le basiliche degli Apostoli.
nome San Melezio di Antiochia- titolo Vescovo- nascita IV secolo, Melitene- morte 381, Costantinopoli- ricorrenza 12 febbraio- Melezio svolse una parte importante nelle ingarbugliate vicende della Chiesa d'Oriente durante le lunghe controversie ariane e le conseguenti lotte di potere. Oltre al fatto che nacque a Melitene da una distinta famiglia dell'Armenia minore, non si conosce in pratica nulla della prima parte della vita di Melezio, ma dal momento in cui divenne un eminente ecclesiastico fu celebre per i modi concilianti con cui cercò di guadagnarsi la fiducia sia degli ortodossi — sostenendo il Credo del concilio di Nicea (325) — sia degli ariani. Nominato vescovo di Sebaste in Armenia, incorse qui nel primo dei numerosi conflitti che lo avrebbero portato a condurre una vita episcopale straordinariamente instabile. Messo in fuga da una fazione avversaria, dapprima si ritirò nel deserto e poi fu trasferito a Berea, in Siria (di cui, secondo lo storico ecclesiastico Socrate, fu vescovo). Da molti decenni la Chiesa di Antiochia era in mano all'arianesimo, forte del sostegno imperiale. Il suo vescovo, Eustazio, celebre teologo e saldo oppositore dell'arianesimo, era stato costretto all'esilio in Tracia (331) da una fazione guidata da Eusebio di Nicomedia; sulla sede di Antiochia si era quindi imposta una serie di vescovi favorevoli alla posizione ariana. Quando sorsero diverse fazioni all'interno dell'arianesimo e si giunse all'espulsione dell'ultimo vescovo ariano della città, Eudossio, alcuni tra ortodossi e ariani si accordarono sulla scelta di Melezio come successore: era il 361, ultimo anno dell'imperatore d'Oriente Costanzo II, figlio di Costantino e fermo sostenitore dell'arianesimo. Le divisioni non cessarono: da un lato altri ortodossi si opposero alla sua nomina, ritenendo che egli sarebbe stato troppo benevolo verso gli ariani che lo avevano eletto, dall'altro questi speravano effettivamente di venire da lui favoriti. Alla prova dei fatti Melezio disilluse i secondi: quando Costanzo visitò Antiochia, infatti, ordinò a lui e ad altri prelati di spiegare il versetto del libro dei Proverbi: «Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività» (8, 22) che, pur riferendosi alla "sapienza", era spesso invocato dai seguaci di Ario a dimostrazione della natura creata del Figlio. Melezio interpretò il testo in modo chiaramente contrastante, legandolo all'Incarnazione e non alla processione del Figlio dal Padre, cosicché gli ariani, adirati, persuasero Costanzo a esiliarlo nell'Armenia minore e ad assegnare la sede a Euzoio; scoppiava, così, il cosiddetto scisma di Antiochia, di fatto già sorto da quando, nel 331, aveva avuto luogo l'allontanamento di Eustazio. Secondo lo storico Socrate la spiegazione del testo non fu tenuta alla presenza dell'imperatore (come riportano invece Teodoreto ed Epifanio), ma «l'imperatore, venendo informato di questo, ordinò che Melezio venisse mandato in esilio, e fece sì che Euzoio, prima deposto insieme ad Ario, fosse insediato nella sede di Antiochia al suo posto. Tuttavia quanti erano legati a Melezio si allontanarono dal gruppo ariano, e tennero le loro assemblee a parte. Nondimeno, coloro che all'inizio avevano abbracciato l'opinione della consustanzialità (honwaisios) del Padre e del Figlio non comunicavano con loro, perché Melezio era stato ordinato dagli ariani, e i suoi seguaci erano stati battezzati da loro. Così la Chiesa di Antiochia si divise, separando persino coloro le cui opinioni in materia di fede corrispondevano esattamente». Alla morte di Costanzo gli succedette come imperatore il cugino Giuliano e, sotto il regno suo e dei successori, Melezio fu esiliato e richiamato numerose volte: prima Giuliano tentò di ripristinare il paganesimo; poi, morto questi (363), Gioviano riportò il cristianesimo nella posizione ricoperta sotto Costanza e tenne Melezio in alta considerazione; pochi anni dopo il suo successore Valente simpatizzò per gli ariani. Gli intrighi per il potere fluivano e rifluivano. Quando, alla morte di Valente nel 378, Melezio fu reinsediato come vescovo, trovò ad Antiochia un altro contendente ortodosso, Paolino, riconosciuto da Roma e da Atanasio (2 mag.), campione della linea ortodossa, mentre egli godeva del sostegno della maggior parte dei cristiani di Antiochia. Girolamo (30 set.) si appellò a papa Damaso perché imponesse una soluzione da Roma: «Non so nulla dí Vitale; respingo Melezio; non ho niente a che fare con Paolino. "Chi non raccoglie con te, disperde"». Basilio di Cesarea (Basilio Magno, 2 gen.) riteneva però che solo il riconoscimento di Melezio potesse mettere fine allo scisma e tentò di riconciliare quest'ultimo con Roma. Scrivendo a Terenzio, diceva: «Non riuscirò mai a convincermi [...] di ignorare Melezio, o a dimenticare la Chiesa che è sotto di lui, o a ritenere piccole, o di poca importanza per la verità della religione le questioni che hanno originato la divisione». Basilio morì nel 379, e Melezio rimase il maggiore esponente della fazione ortodossa. Nell'autunno di quello stesso anno convocò un sinodo ad Antiochia, in cui centocinquantadue vescovi dichiararono la loro comunione con Roma in materia di fede. La politica imperiale, intanto, spingeva nello stesso senso: Graziano, imperatore d'Occidente, emanò nel 380 un editto che riconosceva la dottrina cattolica della fede conforme al Credo niceno. L'idea di un secondo concilio ecumenico si era via via fatta strada fin dalla morte di Valente e nel 381 Teodosio I, imperatore d'Oriente, lo convocò a Costantinopoli e qui Melezio guidò i vescovi orientali e presiedette alla prima sessione. Morì inaspettatamente solo pochi giorni dopo l'apertura e tutti i padri conciliare e i fedeli di Costantinopoli parteciparono al funerale, perché Melezio si era reso caro a tutti grazie alla mitezza evangelica del proprio carattere conservatasi anche in circostanze estremamente logoranti. S. Gregorio di Nissa (10 gen.) pronunciò l'orazione funebre, ricordando il «dolce aspetto quieto» di Melezio e il «suo sorriso raggiante, la cui mano gentile assecondava la gentile voce». S. Giovanni Crisostomo (13 set.) tenne un altro elogio in suo onore nel quinto anniversario della morte. Entrambi i testi sono tuttora esistenti, mentre il nuovo Martirologio Romano ne menziona ancora un altro, opera di S. Gregorio Nazianzeno (2 gen.). MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di san Melezio, vescovo di Antiochia, che per la sua fede nicena fu ripetutamente mandato dall’esilio e poi, mentre presiedeva il Concilio Ecumenico Costantinopolitano I, passò al Signore; di lui san Gregorio di Nissa e san Giovanni Crisostomo celebrarono le virtù con somme lodi.
nome Sant'Antonio Cauleas- titolo Patriarca di Costantinopoli- nascita 826 circa, Costantinopoli, Turchia- Elezione<br /> 893- Fine patriarcato 901- morte 901 circa, Costantinopoli, Turchia- ricorrenza 12 febbraio- Antonio nacque nei pressi di Costantinopoli in una località dove i suoi genitori si erano ritirati per timore della persecuzione degli iconoclasti; alla morte della madre Antonio, che aveva dodici anni, entrò in un monastero a Costantinopoli e dopo pochi anni ne divenne abate (e come tale egli è detto più precisamente "Antonio II Cauleas", essendo stato preceduto da Antonio I Cassimatas, 821-837). 11 padre stesso, entrato più tardi nel monastero, ricevette l'abito dal figlio. La Chiesa bizantina viveva allora in uno stato di notevole confusione. Il patriarca Fozio era stato imposto sul soglio vescovile nell'867, quando l'imperatore aveva espulso Ignazio di Costantinopoli (23 ott.), ma era stato costretto per la seconda volta ad abdicare nell'886 (probabilmente solo perché il nuovo imperatore, Leone VI, voleva come patriarca il proprio fratello minore, Stefano). Se Fozio da parte sua si ritirò in un monastero e morì intorno all'891, i seguaci di Ignazio invece non vollero riconoscere Stefano, in quanto ordinato diacono da Fozio, e fu in questo contesto che, alla morte di Stefano nell'893, Antonio venne eletto patriarca. Egli compì molti sforzi nel tentativo di rappacificare le due fazioni, riuscendo infine a persuadere il capo degli ignaziani, il metropolita Stillano Mapas, a mettere fine alla divisione. Un punto di forza per Antonio derivò dall'aver egli ricevuto l'ordine sacro sotto Metodio (t 847; 14 giu.) o Ignazio, e dunque dal non potersi discutere la validità del suo ministero come era avvenuto invece per Stefano. Non è chiaro se l'intervento del papa abbia contribuito a risolvere la disputa o abbia semplicemente sanzionato la soluzione già ottenuta da Antonio, fatto sta che sia Roma che Costantinopoli riconobbero «Ignazio, Fozio, Stefano e Antonio» come un'autentica successione di patriarchi. La pace fu stipulata nell'899, e Antonio morì poco dopo. A parte il suo ruolo nella storia generale della Chiesa, così come è stato sopra descritto, non si sa molto di Antonio, nonostante i suoi contemporanei abbiano scritto del suo spirito di mortificazione, di preghiera e di penitenza. Aveva fondato e quindi restaurato uno splendido monastero in cui fu sepolto, e che fu successivamente ridenominato in suo onore tou koulea, o tou kyr antoniou. MARTIROLOGIO ROMANO. A Costantinopoli, sant’Antonio, detto Cauléas, vescovo, che al tempo dell’imperatore Leone VI fortemente si adoperò per rafforzare la pace e l’unità nella Chiesa.
nome Beati Tommaso Hemmerford e compagni- titolo Sacerdoti e martiri- ricorrenza 12 febbraio- Tommaso Hemerford nacque nel Dorset nel 1554, figlio di Edoardo e Olivia Hemerford. Istruito a Hart Hall e al St John's College di Oxford, dove si laureò nel 1575, si recò a Reims per studiare da prete nel luglio 1580 e il mese successivo fu inviato nel Collegio inglese di Roma. Ordinato nel marzo del 1583, lasciò Roma diretto in Inghilterra in aprile, fermandosi a Reims lungo la strada e giungendo a destinazione in giugno. Prima della fine dell'anno fu catturato e imprigionato a Marshalsea. Il 5 febbraio 1584 fu accusato, insieme ad altri tredici, di essere sacerdote cattolico, e quindi imprigionato nella Torre di Londra. Per ragioni che rimangono sconosciute, solo cinque dei quattordici imputati furono condannati a morte e quindi giustiziati a Tyburn il 12 febbraio, venendo impiccati, sventrati e squartati. Tommaso è descritto come «un uomo basso con barba nera, dall'aspetto severo ma dal carattere dolce e molto piacevole, esemplare nella conversazione». Giacomo Fenn, nato intorno al 1540 e originario di Montacute nel Somerset, aveva due fratelli, Giovanni e Roberto, anch'essi divenuti preti ma sfuggiti all'esecuzione (Roberto, arrestato il giorno stesso in cui Giacomo fu giustiziato, venne poi costretto all'esilio). Corista a Oxford, Giacomo era entrato nel Corpus Christi College nel 1554, dal quale fu espulso nel 1560 per non aver voluto pronunciare il giuramento di supremazia. Divenne in seguito tutor al Gloucester Hall e magister nel Somerset. Sposatosi, ebbe due figli, Francesca e Giovanni, ma alla morte della moglie (1579) si recò a Reims per prepararsi al sacerdozio. Ordinato a Chàlons l'anno successivo, giunse in Inghilterra in maggio. Fu subito catturato, a Brimpton nel Somerset, e imprigionato dapprima nella vicina Ilchester e poi a Marshalsea. Qui trascorse due anni, durante i quali svolse il proprio ministero a favore dei compagni di prigionia, cattolici e non, riconciliando almeno un criminale con la Chiesa. Posto sul banco degli imputati insieme a Giorgio Haydock, fu accusato di aver cospirato con lui a Roma (dove non era mai stato) per uccidere la regina, nonostante i due non si fossero mai incontrati prima, e furono entrambi condannati. Successivamente il procuratore generale visitò Fenn in prigione offrendogli una sospensione della pena se avesse riconosciuto la regina come capo della Chiesa, ma di fronte al suo rifiuto, lo fece caricare sullo squallido carro dei condannati e condurre a Tyburn per l'esecuzione. La figlia Francesca, presente alla sua morte, gli chiese un'ultima benedizione prima che fosse ucciso. Giovanni Munden, nato nel 1543 a Mapperton nel Dorset, aveva studiato alla Winchester School e al New College di Oxford, divenendone membro nel 1562. Anch'egli era stato espulso dal collegio nel 1566, probabilmente per motivi di fede e, stando alla testimonianza data nel 1582 da un altro sacerdote, Giovanni Chapman, era stato maestro «a Dorchester e in altre diverse località di quella contea [llorset]; essendo ritenuto un papista, aveva avuto problemi dottrinali durante la sua permanenza in questi luoghi». Giovanni si recò a Reims nell'ottobre del 1580, dove ricevette gli ordini minori; l'anno successivo fu inviato a Roma, donde fece ritorno a Reims nel luglio 1582, probabilmente già sacerdote. Partito per l'Inghilterra il 6 agosto 1582, fu arrestato subito dopo lo sbarco a Dover. Il pagamento di quindici sterline gli assicurò una temporanea libertà, ma fu nuovamente arrestato mentre viaggiava da Winchester a Londra nel febbraio del 1583, venendo consegnato alle autorità da un avvocato di nome Hammond. Munden fu quindi rinchiuso nella Torre. Al processo fu accusato di aver complottato all'estero per uccidere la regina, un'accusa arbitraria e rivolta contro tutti gli imputati, cui faceva seguito un'apparentemente altrettanto arbitraria sentenza di morte o di esilio. Munden si mostrò così tranquillo quando fu emesso il verdetto che i presenti pensarono che fosse stato assolto. Fu l'ultimo dei cinque a morire. Giovanni Munden, nato nel 1543 a Mapperton nel Dorset, aveva studiato alla Winchester School e al New College di Oxford, divenendone membro nel 1562. Anch'egli era stato espulso dal collegio nel 1566, probabilmente per motivi di fede e, stando alla testimonianza data nel 1582 da un altro sacerdote, Giovanni Chapman, era stato maestro «a Dorchester e in altre diverse località di quella contea [llorset]; essendo ritenuto un papista, aveva avuto problemi dottrinali durante la sua permanenza in questi luoghi». Giovanni si recò a Reims nell'ottobre del 1580, dove ricevette gli ordini minori; l'anno successivo fu inviato a Roma, donde fece ritorno a Reims nel luglio 1582, probabilmente già sacerdote. Partito per l'Inghilterra il 6 agosto 1582, fu arrestato subito dopo lo sbarco a Dover. Il pagamento di quindici sterline gli assicurò una temporanea libertà, ma fu nuovamente arrestato mentre viaggiava da Winchester a Londra nel febbraio del 1583, venendo consegnato alle autorità da un avvocato di nome Hammond. Munden fu quindi rinchiuso nella Torre. Al processo fu accusato di aver complottato all'estero per uccidere la regina, un'accusa arbitraria e rivolta contro tutti gli imputati, cui faceva seguito un'apparentemente altrettanto arbitraria sentenza di morte o di esilio. Munden si mostrò così tranquillo quando fu emesso il verdetto che i presenti pensarono che fosse stato assolto. Fu l'ultimo dei cinque a morire. Giovanni Nutter, nato a Clitheroe, vicino a Burnley nel Lancashire, aveva un fratello più giovane, Roberto, che dopo essere stato a Reims con lui, avrebbe più tardi patito ugualmente il martirio, nel 1600 (26 lug.). Nutter studiò al St John's College di Cambridge, laureandosi intorno al 1576; giunse con Roberto a Reims i123 agosto 1579 e, dopo due anni, fu inviato a Verdun a insegnare ai più giovani, ritardando di un anno l'ordinazione. Divenuto sacerdote nel settembre del 1582, Giovanni giunse in Inghilterra due mesi dopo, sbarcando a Dunwich nel Suffolk, ma qui rimase confinato a causa di una febbre alta fino al 15 gennaio 1583, giorno in cui fu arrestato. I suoi tentativi di farsi passare per un mercante di York erano falliti: la sua valigia conteneva cinquecento catechismi e quindici copie del Nuovo Testamento recentemente stampato a Rcims! Fu quindi mandato a Londra, rinchiuso a Marshaisea e, dopo il processo e la sentenza di morte, imprigionato nella Torre. Ritrovò così il fratello Roberto, arrestato a Oxford cinque giorni prima. Giorgio Haydock apparteneva a una nota famiglia del Lancashire. Anche il fratello Roberto era divenuto prete, insieme al loro padre Viviano, vedovo, ma entrambi sfuggirono alla persecuzione e morirono di morte naturale, rispettivamente nel 1605 e nel 1581. Suo zio era Guglielmo Allen (1532-1594), fondatore dei collegi inglesi a Douai, Roma e Valladolid, ispiratore della traduzione della Bibbia a Douai e in seguito cardinale. Giorgio giunse a Douai nel 1574, trasferendosi insieme al collegio nella nuova sede di Reims nell'aprile del 1578, recandosi poi a Roma circa tre mesi dopo. Ordinato diacono, dovette fare ritorno a Reims a causa della cattiva salute e qui fu ordinato, insieme a Roberto Nutter, il 23 dicembre 1581. Giunto in Inghilterra il mese successivo, seppe a Londra, da amici del Lancashire cui aveva fatto visita, della morte del padre. Arrestato il mese seguente, fu imprigionato nella Gatehouse, dopo essere stato spogliato dai famigerati "cacciatori di preti" Norris e Sledd di gran parte del poco denaro che possedeva. Prima di essere processato e condannato Giorgio trascorse due anni in prigione. Era solo ventisettenne quando morì; l'anno precedente era stato descritto così: «Non avendo la barba, pare ancora più giovane». Egli fu il primo a morire e si pensava di trattarlo con crudeltà maggiore, a monito per gli altri; l'esecuzione però fu eseguita "male", e morì prima di essere sventrato, a differenza dei quattro suoi compagni, squartati ancora in vita. MARTIROLOGIO ROMANO. A Londra in Inghilterra, beati martiri Tommaso Hemmerford, Giacomo Fenn, Giovanni Nutter, Giovanni Munden e Giorgio Haydock, sacerdoti, che, essendosi la regina Elisabetta I arrogata il primato nelle questioni spirituali, per aver mantenuto la fedeltà alla Chiesa di Roma furono condannati a morte e a Tyburn sventrati ancora vivi. MARTIROLOGIO ROMANO. A Londra in Inghilterra, beati martiri Tommaso Hemmerford, Giacomo Fenn, Giovanni Nutter, Giovanni Munden e Giorgio Haydock, sacerdoti, che, essendosi la regina Elisabetta I arrogata il primato nelle questioni spirituali, per aver mantenuto la fedeltà alla Chiesa di Roma furono condannati a morte e a Tyburn sventrati ancora vivi.