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I santi di oggi 28 gennaio:
nome San Tommaso d'Aquino- titolo Sacerdote e dottore della Chiesa-nascita 1227, Aquino- morte 7 marzo 1274, Fossanova- ricorrenza 28 gennaio, 7 marzo (messa tridentina)- Canonizzazione 18 luglio 1323 da papa Giovanni XXII- Santuario principale Chiesa dei Giacobini, Tolosa- Attributi Abito domenicano, libro, penna, calamaio, modellino di chiesa, sole raggiato sul petto e colomba- Patrono di Compatrono di Napoli, teologi, accademici, librai, scolari, studenti, fabbricanti di matite, comuni di Aquino, Belcastro, Falerna, Grottaminarda, Monte San Giovanni Campano, Priverno, San Mango d'Aquino e diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo- Un astro di luce particolare e inestinguibile brilla nel cielo del secolo XIII; luce che attraversa i secoli, che illumina le menti: l'Angelico Dottore S. Tommaso. Nacque ad Aquino nell'anno 1227 dal conte Landolfo e dalla contessa Teodora, parente di Federico Barbarossa, signori fra i più illustri di quei tempi. Educato cristianamente fin dalla più tenera età, diede molti segni della sua futura scienza e grandezza.
A cinque anni fu affidato per l'educazione ai monaci benedettini di Montecassino. Vi rimase fino ai quattordici anni, fino a quando cioè i torbidi politici non decisero i genitori a riprenderlo entro le mura del proprio castello. Più tardi fu mandato all'Università di Napoli, ove, sebbene assai giovane, manifestò il suo potente ingegno, acquistandosi fama presso i condiscepoli e stima presso i maestri. Già si concepivano su di lui le più lusinghiere speranze, già i conti d'Aquino ed altri vedevano in lui il futuro campione del foro napoletano o romano, quando egli di colpo fece crollare tutti questi sogni, annunciando la sua decisione di entrare nell'Ordine di S. Domenico. Da Napoli, per timore della famiglia che gli si opponeva decisamente, fu mandato a Parigi, ma nel viaggio, raggiunto dai fratelli, venne arrestato e ricondotto nel castello paterno di S. Giovanni a Roccasecca. Rimase prigioniero per circa un anno, vincendo tutte le difficoltà e le lusinghe. Per il suo angelico candore ed in premio della sua fortezza contro una grave tentazione, meritò d'essere cinto del cingolo di purezza da due Angeli, così che dopo d'allora mai più ebbe a subire tentazioni contro la bella virtù. Aiutato dalle sorelle riuscì a fuggire, e tosto rientrò nel convento da cui era stato strappato. All'Università di Parigi studiò filosofia e teologia sotto il celeberrimo S. Alberto Magno e a 25 anni cominciò con somma lode a interpretare filosofi e teologi. Passò indi col suo maestro a Colonia, e qui ricevette la sacra ordinazione. Ritornato a Parigi come insegnante universitario sostenne lotte coi maestri secolari. Chiamato poi alla Corte Pontificia in qualità di teologo della curia romana vi rimase qualche anno, poi tornò a Parigi. È questo il tempo più fecondo del suo insegnamento. Da Parigi entrò in Italia e fu inviato da Gregorio X al Concilio di Lione. Ma nel viaggio mori a Fossanova, il 7 marzo 1274. Raccolse, sistemò ed espose tutto lo scibile antico, e segnò le vie alle scienze nuove, tanto che non si esita a chiamarlo uno dei più grandi ingegni dell'umanità. Mirabili ed eccelse furono le sue virtù. Tale e tanta fu la sua umiltà che ricusò l'arcivescovado di Napoli ripetutamente offertogli dal Sommo Pontefice. Il suo confessore ebbe a dire: « Fra Tommaso a 50 anni aveva il candore e la semplicità di un bambino di cinque anni ». PRATICA. Impariamo da questo santo la fermezza nell'eseguire la volontà di Dio.
PREGHIERA. Dio, che illustri la Chiesa con la meravigliosa erudizione del tuo beato confessore Tommaso e la rendi feconda di tante opere, dacci, te ne preghiamo, d'intendere ciò ch'egli ci ha insegnato e di compiere, a suo esempio, ciò che ha fatto. MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di san Tommaso d’Aquino, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e dottore della Chiesa, che, dotato di grandissimi doni d’intelletto, trasmise agli altri con discorsi e scritti la sua straordinaria sapienza. Invitato dal beato papa Gregorio X a partecipare al secondo Concilio Ecumenico di Lione, morì il 7 marzo lungo il viaggio nel monastero di Fossanova nel Lazio e dopo molti anni il suo corpo fu in questo giorno traslato a Tolosa.
IL PENSIERO DI SAN TOMMASO
Uomo di fede e grande pensatore, San Tommaso d'Aquino diede vita a quello che viene chiamato tomismo, ed è considerato l'esponente più importante della filosofia scolastica nonché uno dei più grandi teologi cristiani. Varie le sue opere e i suoi trattati sugli argomenti più disparati; tra le più importanti vi sono certamente la Summa Contra Gentiles, attraverso la quale cerca di convincere gli intellettuali musulmani della verità del cristianesimo, e la Summa theologiae, rimasta incompiuta. Essa tratta di Dio, della creazione e dell'azione umana. Alla base del suo pensiero troviamo la non contraddizione tra fede e ragione, che possono coesistere ed anzi supportarsi l'un l'altra. Se la prima infatti eleva quest’ultima alla certezza e alla perfezione, attraverso la ragione possiamo spiegare e rendere accessibili le verità della fede, difendendola dalle critiche e dalle obiezioni. In pratica sia filosofia che teologia parlano dello stesso Dio ma in maniera diversa. La filosofia risale dal basso, dalla creazione, la teologia discende dall'alto, da Dio, entrambe radicate nella loro verità si sostengono a vicenda. Tra tutti i suoi insegnamenti, molti dei quali riprendono quelli di Aristotele, ci soffermiamo proprio sulla dimostrazione dell'esistenza di Dio attraverso cinque vie: la prova cosmologica, che riprende il principio aristotelico secondo cui tutto ciò che si muove è mosso da altro; dovendo dunque individuare un primo motore immobile, esso non può che essere Dio. La prova causale: se ogni fenomeno ha una causa, da questa concatenazione si risale alla causa prima identificata con Dio; la prova del contingente e del necessario, che individua in Dio quel qualcosa di necessario da cui tutte le cose non necessarie discendono, la via dei gradi di perfezione: la qualità ha vari gradi di perfezione, e in Dio risiedono i più alti;
e infine la prova della finalità delle cose: tutto in natura mostra di avere un suo fine ed ordine, ci deve essere una intelligenza superiore a stabilirlo.
Nel campo della teologia Tommaso fa una distinzione tra teologia naturale, che cerca di approdare a Dio attraverso l’utilizzo della ragione nell’osservazione e nella comprensione della creazione, e teologia rivelata, che si rivolge direttamente a Dio attraverso la fede.
Per quanto riguarda l'anima, immortale in quanto immateriale e quindi incorruttibile, egli sostenne che fosse indipendente dal corpo e derivante direttamente da Dio. Come sostenne che tutti gli esserei viventi siano guidati da una “legge morale”, secondo la propria natura. Nelle creature definite irragionevoli essa si manifesta col carattere della necessità e ineluttabilità, in quelle ragionevoli invece esiste il libero arbitrio, la libertà di scelta sebbene l'individuo, una volta capito dove è il bene, tende naturalmente verso di esso. L'uomo, insomma, ha un'attitudine innata fare il bene e fuggire il male. Ma il pensiero di una mente tanto eccelsa ha spaziato in vari ambiti, e non poteva non chiedersi cosa sia la felicità e come raggiungerla, approdando quasi nell'economia. Ad esempio se da un lato, asseriva, il commercio è necessario, dall'altro cercare l'arricchimento a scapito degli altri è sbagliato; la condivisione evita i conflitti e le diseguaglianze. Anche perché in fondo tutto appartiene a Dio, non a noi.
nome San Giacomo- titolo Eremita in Palestina- nascita, Haifa, Israele- morte, Haifa, Israele- ricorrenza 28 gennaio- L'antico Martirologio diceva: "In Palestina, commemorazione di San Giacomo l'Eremita che, dopo aver mancato di credere, per penitenza visse in una tomba e, riconosciuto per i suoi miracoli, marciò al Signore". Una leggenda successiva interpretò la "mancanza di fede" come un omicidio commesso in circostanze romantiche.<br /> Si narra che Giacomo visse per circa 15 anni in una grotta vicino alla città di Porfirion (forse l'attuale Haifa), praticando l'ascetismo. In quel periodo compì molti miracoli e convertì molti uomini alla vera fede. Nonostante fosse conosciuto e apprezzato dagli abitanti del luogo, un santo non è sempre apprezzato da tutti. Una volta gli fu portata una giovane donna posseduta da un demone. Il santo la guarì e voleva restituirla alla famiglia, ma il santo fu tentato e cadde in tentazione abusando della giovane donna e accecato dalla passione e disperato per la propria caduta, la uccise e gettò il suo corpo in un fiume vicino. Quando pensò al suo gesto, si sentì disperato e decise di tornare al mondo poiché pensava non avesse più la salvezza. Durante la sua disperazione, alcuni monaci gli consigliarono di tornare a una vita di penitenza ed espiazione. Lo fece: si nascose per anni in una tomba, come se fosse morto in vita, per piangere i suoi peccati e implorare misericordia.<br /> Molti anni dopo, il vescovo del luogo, a causa di un miracolo, e dopo aver appreso della sua esistenza, lo assolse da ogni colpa. Così a 75 anni, morì in pace, e fu sepolto nella stessa tomba che fu il luogo della sua penitenza e guarigione della sua anima, circondato dal vescovo e dal clero del luogo. In quello stesso luogo fu poi edificata una chiesa, dove venivano venerate le preziose reliquie del santo. MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di san Giacomo, eremita in Palestina, che per penitenza si rinchiuse a lungo in un sepolcro.
nome San Giuseppe Freinademetz-titolo religioso Missionario- nascita 15 aprile 1852, Oies, Val Badia, Bolzano- morte 28 gennaio 1908, Taickianckwang, Cina- ricorrenza 28 gennaio- Beatificazione Città del Vaticano, 19 ottobre 1975 da papa Paolo VI-Canonizzazione Città del Vaticano, 5 ottobre 2003 da papa Giovanni Paolo II- Giuseppe nacque il 15 aprile 1852 nel piccolo villaggio di Ajes in Alto Adige. Il suo cognome significa, nel locale dialetto ladino "a metà strada sulla montagna". I suoi genitori, Giovanni Mattia e Anna Maria, piccoli proprietari terrieri industriosi, lo fecero battezzare poche ore dopo la nascita. Dei loro tredici figli quattro morirono durante l'infanzia. Giuseppe, conosciuto con il diminutivo dialettale Seppl, frequentò la scuola locale, dove studiò in ladino dai sei ai dieci anni. Era evidentemente un bambino molto sveglio e fu posto sotto la custodia di un tessitore chiamato Mattia Taler, che lo portò alla cattedrale di Bressanone e lo iscrisse a una scuola tedesca, convincendo dame di cuore a fornirgli vitto e alloggio. Dopo due anni si trasferì all'Imperia) Regio Liceo Classico; vinse anche una borsa di studio per la scuola corale della cattedrale, nella quale poi cantò da solista. Rapidamente completò il suo bagaglio culturale con la conoscenza del latino, dell'italiano e di un po' di francese, concludendo con lode gli studi nel 1872 ed entrando direttamente nel seminario diocesano, per altri quattro anni di formazione; venne così ordinato prete il 5 agosto 1875. Il suo primo incarico fu quello di curato della parrocchia di S. Martino, a pochi chilometri da casa sua, dove rapidamente si fece notare per la sua indefettibile gentilezza e per la qualità della sua predicazione e del suo insegnamento. Tuttavia, trovando la vita parrocchiale troppo facile, chiese ai suoi genitori il permesso di farsi missionario. Scrisse ad Arnoldo Janssen (15 gen.), il quale venne a Bressanone per incontrarlo e subito si assicurò il permesso del vescovo diocesano di aggregarlo ai missionari del Divin Verbo, che aveva appena fondato. A Steyl, dove trovò una situazione caotica ma piena di entusiasmo, scrisse: «Divenire missionario non è un sacrificio che io faccio per Dio, ma una grazia che Dio offre a me!». Janssen lo inviò nel 1879 in Cina (fu uno dei primi due missionari del Divin Verbo), indirizzando lui e Giovanni Battista von Anzer presso il vescovo di Hong Kong, che lo aveva sollecitato a fondare un seminario missionario. Al momento dei commiati Janssen disse che essi certo non sapevano ciò che li aspettava in Cina e che quindi li esortava «ad affrontare il futuro sconosciuto con fiducia». Aggiunse: «In questa notte scura voi camminate mano nella mano con un Dio affettuoso, accompagnati anche dalle nostre preghiere». Mentre erano per via ricevettero la benedizione di papa Leone XIII; imbarcatisi ad Ancona su una nave a vapore raggiunsero Hong Kong il 20 aprile. Giuseppe aveva studiato il cinese in Olanda, ma una volta arrivato in Cina scoprì di dover imparare un dialetto diverso; Anzer, da parte sua, trattò con il vescovo Cosi di Shantung per ottenere un territorio di missione affidato esclusivamente ai missionari del Divin Verbo, ricevendo una zona dello Shantung meridionale, che però doveva restare sotto la giurisdizione diocesana. Giuseppe lo raggiunse dopo un difficile viaggio, e scoprì di nuovo di dover imparare ancora un altro dialetto cinese, parlato in quella regione. La missione originaria gesuita, aperta da Adam Schall nel 1662, era stata ridotta dalla persecuzione a circa 150 cattolici, la maggior parte dei quali viveva vicino al paese di Puoli. Nel 1882 i due missionari, si misero a costruire una cappella e vennero raggiunti da altri due. Giuseppe dedicava, secondo gli accordi, la maggior parte del suo tempo alla predicazione itinerante. Assunse abiti cinesi, cominciando ad affezionarsi ai contadini: a essi infatti principalmente rivolgeva, a differenza di altri missionari che l'avevano preceduto, la propria predicazione, trascurando le classi più alte, immerse nel vizio. Trovò presso i cinesi un grande interesse per gli stranieri, non invece una altrettanto grande determinazione ad abbracciare prontamente la nuova fede; perseverò nella sua opera e il numero dei catecumeni pian piano aumentò, tanto che nel 1888, avendone già mille sparsi in trenta villaggi, era in grado di scrivere un resoconto della sua missione intitolato Il trionfo della Grazia. In quattro anni conosceva già abbastanza bene il cinese da stampare in questa lingua un volume di sermoni che servissero da guida ai nuovi missionari. In quel periodo si scatenarono a intermittenza diverse persecuzioni locali, che variavano d'intensità soprattutto a seconda dell'atteggiamento del mandarino locale; i cristiani, accusati di formare una setta segreta, venivano spesso picchiati e cacciati dalle loro missioni; tanto che Giuseppe stesso venne preso e picchiato quasi a morte da una folla sobillata contro di lui. Poiché i missionari stranieri erano posti sotto la protezione francese, la loro posizione si aggravò quando scoppiò la guerra tra Francia e Cina. La Germania si assunse la responsabilità della loro protezione ma non prima che a Buoliang (area missionaria dello Shantung meridionale) quindici cristiani fossero uccisi e molti altri feriti o cacciati dalle loro case, in seguito alla decisione di un magistrato locale di schiacciare la "religione degli europei". Dopo aver ricevuto la convocazione per un capitolo generale a Steyl, Anzer nominò Giuseppe amministratore della missione dello Shantung meridionale, il che significava che Preinademetz avrebbe dovuto passare la maggior parte del suo tempo a Puoli. A Natale del 1885 venne a sapere che Anzer era stato nominato vescovo. Giovanni Battista, ritornato a Puoli con un grande corteo, nominò Giuseppe pro-vicario e superiore di vari distretti, consentendogli così per un certo periodo di riprendere a visitare i suoi amati villaggi, anche se ormai il suo compito stava gradualmente mutandosi da quello di missionario di "prima linea" a quello di animatore dei missionari stessi. Nominato "visitatore" da Arnoldo Janssen, nell'estate del 1896 incontrò tutti i membri della Società impegnati in missione. Giuseppe e Anzer sentivano entrambi la necessità di un clero indigeno e cominciarono a costruire un seminario; proprio a Freinademetz fu affidato l'incarico di istruire gli studenti più anziani del seminario, che venne trasferito da Puoli al centro più grande di Tsining. I primi due seminaristi cinesi vennero ordinati nel 1896; venne anche acquistato un edificio da adibire ai ritiri annuali di tutti i missionari. Lo scoppio della guerra tra Cina e Giappone nel 1894 condusse a nuove turbolenze e due preti del Divin Verbo furono uccisi. Una vasta persecuzione, fomentata dall'imperatrice madre, scoppiò con la rivolta dei Boxer del 1900, anche se lo Shantung meridionale ne uscì relativamente indenne; costretto in un primo momento a fuggire con altri preti, Giuseppe si risolse poi a ritornare dai suoi catecumeni riuscendo a riportare l'ordine a Puoli. Venne nominato dapprima padre provinciale con un mandato di sette anni, guadagnandosi fama per l'attenzione scrupolosa con cui affrontava ogni problema. Essendo responsabile della vita religiosa dei missionari della sua provincia, costruì una nuova casa per ritiri a Taikia. Con l'esaurirsi della rivolta dei Boxer e l'inizio dell'occidentalizzazione della Cina i cristiani vennero lasciati in pace e il numero dei convertiti crebbe, tanto che Giuseppe poteva scrivere a casa: «Nonostante le persecuzioni, abbiamo avuto una messe come non mai».<br /> Nella primavera del 1903 Anzer tornò nuovamente in Europa, lasciando Giuseppe come vicario a Yenchowfu; morì improvvisamente a Roma il giorno successivo a un'udienza pontificia. Tutti si aspettavano che Giuseppe venisse nominato vescovo al suo posto, ma egli non condivideva quest'idea: «una mitra non è adatta a una testa di legno» e infatti la scelta cadde su un altro missionario, padre Henninghaus. In realtà Giuseppe non gradiva più assumere grosse responsabilità: la sua salute stava venendo meno e la sua straordinaria pietà e umiltà venivano esercitate meglio nei rapporti interpersonali. Scrisse: «Sono giunto ad amare i miei cinesi, e considero la Cina con la sua gente e la sua lingua come la mia madre patria [.. .] Morirci più di mille volte per loro [...] In Paradiso voglio essere ancora cinese». Negli anni precedenti alla sua morte vide delinearsi la minaccia maggiore per il successo delle missioni con l'occidentalizzazione del paese: «Il più grande flagello per noi e per i cinesi sono le masse di questi europei, moralmente inferiori e privi di ogni religione, che sciamano in tutta la Cina E...] Non v'è dubbio che i nostri pagani cinesi siano cento volte migliori di questa feccia dell'umanità». Nel 1907 il vescovo Henninghaus andò in Europa, lasciando come provinciale e amministratore Giuseppe: stremato dal peso dei suoi compiti e dalle visite compiute durante un'epidemia di tifo, venne a sua volta colpito da questa malattia, morendo a Taickianckwau il 28 gennaio 1908. Intorno al 1935 in Tirolo nacque un movimento popolare di sostegno alla sua beatificazione e, nel 1947, il suo allievo di un tempo, il cardinal Tien, scrisse al vice postulatore della Causa: «Di tutti i missionari in Cina, non ne conosco nessuno più santo di padre Freinademetz; egli era tutto per tutti». La causa apostolica si aprì nel 1.951 e la beatificazione avvenne, insieme a quella di Arnoldo Janssen, il 19 ottobre 1975. Entrambi furono canonizzati il 5 ottobre 2003.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. Nella città di Daijiazhuang nella provincia meridionale dello Shandong in Cina, san Giuseppe Freinademetz, sacerdote della Società del Verbo Divino, che si adoperò instancabilmente per l’evangelizzazione di questa regione.
nome San Giuliano di Cuenca- titolo Vescovo- nascita 1113 circa, Burgos- morte 1206 circa, Spagna- ricorrenza 28 gennaio- Canonizzazione 18 ottobre 1594 da papa Clemente VIII- Santuario principale Cuenca, Cattedrale di Santa Maria e San Giuliano di Cuenca- Patrono di Cuenca e relativa diocesi- Giuliano nacque a Burgos, probabilmente all'inizio del XII secolo (non si conosce la data precisa). Ricevuta la formazione completa per il sacerdozio, venne ordinato e predicò in tutta la Castiglia sia ai cristiani che ai musulmani conquistando una notevole fama. Nominato arcidiacono di Toledo, sede metropolitana, divenne nel 1179 il primo vescovo della nuova sede di Cuenca — a metà strada tra Madrid e Valencia — che era appena stata riconquistata agli arabi. Pur protestando la propria indegnità rimase vescovo per venti anni, durante i quali evangelizzò il suo gregge senza trascurare le necessità materiali. Si guadagnava da vivere con le proprie mani, forse intrecciando cesti, come avevano fatto tanti antichi anacoreti del deserto (ai quali la sua biografia tende chiaramente a paragonarlo), destinando tutti gli introiti della diocesi ai poveri. Questa biografia, scritta molti secoli dopo la sua morte, evidentemente in vista della causa di canonizzazione, fa in realtà ulteriori riferimenti agli antichi Padri del deserto e parla di interventi miracolosi che lo aiutarono nei suoi sforzi caritativi. Ricevette un sostegno sovrannaturale nelle tentazioni: si narra anche di una visita che avrebbe ricevuto in punto di morte da parte della Beata Vergine giunta per confortarlo. Morì il 28 gennaio 1206 o 1208. Le celebrazioni per il suo funerale durarono nove giorni, durante i quali si dice che molte persone inferme furono guarite. I suoi resti rimasero dimenticati per molti anni, ma alla fine del XVI secolo si riaccese l'interesse per lui, forse in relazione all'evento della costruzione di una nuova cattedrale. Nel 1578 furono quindi trasferiti in un sarcofago più degno. Nel 1589 venne scritta e approvata dal consiglio reale una biografia, atto che produsse rapidi effetti: il suo culto fu infatti confermato da Clemente VIII nel 1594. MARTIROLOGIO ROMANO. A Cuenca nella Nuova Castiglia in Spagna, san Giuliano, vescovo, che, secondo presule dopo la liberazione della città dai Mori, diede lustro alla Chiesa, donandone i beni ai poveri e procurandosi il vitto quotidiano con il lavoro delle proprie mani.
nome Beato Mosè Tovini- titolo Presbitero- nascita 27 dicembre 1877, Cividate Camuno, Brescia- morte 28 gennaio 1930, Brescia- ricorrenza 28 gennaio- Beatificazione 17 settembre 2006 da papa Benedetto XVI- Santuario principale Seminario Diocesano di Brescia- Mosè nacque a Cividate Camuno in Lombardia da una famiglia borghese. Il suo padrino battesimale fu il beato Giuseppe Tovini, suo zio paterno, che influenzò la sua vita spirituale. Studiò al seminario di Brescia. Fu ordinato sacerdote nel 1900, ampliando gli studi a Roma e Milano, dove ottenne dottorati in matematica, apologetica, dogmatica e filosofia e una laurea in teologia. Entrò negli Oblati diocesani della Sacra Famiglia, composti da sacerdoti secolari a disposizione del vescovo. A Brescia prestò servizio come superiore per diversi anni. Fu professore di seminario, vicario parrocchiale in vari luoghi e dedito alla cura spirituale dei seminaristi, soprattutto dopo la prima guerra mondiale. Fu parroco di Provglio d'Iseo e Tórbole. Il suo contributo all'Azione Cattolica, dal 1921 al 1926, come cappellano del consiglio diocesano, così come la sua dedizione al lavoro catechistico diocesano, fu particolarmente prezioso, contribuendo notevolmente alla formazione dei catechisti nelle parrocchie cittadine e all'emancipazione degli insegnanti di religione nelle scuole pubbliche.<br /> Nel 1923 fu nominato canonico della cattedrale e successivamente rettore del seminario. Furono anni difficili a causa di alcune incomprensioni con i suoi collaboratori, che lo consideravano troppo buono con i seminaristi, ma la sua dedizione all'opera educativa dei futuri sacerdoti è stata totale. Morì a Brescia dopo una breve malattia, sopportata con mitezza e umiltà. È stato beatificato a Brescia il 17 settembre 2006 da Benedetto XVI.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Brescia, Italia, Beato Mosè Tovini, sacerdote.
nome Beato Giuliano Maunoir- titolo Sacerdote gesuita- nome di battesimo Julien Maunoir- nascita 1 ottobre 1606, Saint-George de Reintembault, Francia- morte 28 gennaio 1683, Plévin, Francia-ricorrenza 28 gennaio- Beatificazione 4 marzo 1951 da papa Pio XII- Nato nella diocesi di Rennes nel 1606, Giuliano entrò nell'Ordine gesuita nel 1625. Nel 1640 cominciò a lavorare all'evangelizzazione della Bretagna, dedicandovi il resto della vita (altri quarantatré anni). Durante il ritiro che fece prima di essere ordinato sacerdote, scrisse: «Ho sentito un ardore straordinario per la salvezza delle anime e un bisogno travolgente di lavorare per questo fine in ogni modo possibile». Dedicò tutta la vita a mettere in pratica, questo desiderio. Egli fu una delle figure più importanti per l'opera di "ricristianizzazione" iniziata nell'Europa cattolica in seguito al Concilio di Trento, opera che fu compiuta in buona parte dagli ordini religiosi di più recente fondazione. La maggior parte del lavoro missionario di Giuliano si svolse nella diocesi di Quimper, una zona legata alla figura di S. Corentino (12 dic.), venerato come suo primo vescovo. Il suo nome è associato a quello di un prete bretone, Michele Le Nobletz, conosciuto come "l'ultimo dei bardi", che ideò una tecnica di educazione religiosa che Giuliano avrebbe seguito e perfezionato, facendone un sistema coerente. Il primo imperativo per tutti i sacerdoti coinvolti nella missione era quello di imparare il bretone, che Giuliano apprese in poco tempo, all'inizio della sua missione. La tecnica implicava l'uso di diversi "aiuti didattici": immagini dipinte (alcune delle quali sono tuttora conservate nel museo di Quimper) che descrivevano scene della vita di Cristo e soggetti più allegorici; processioni con la rappresentazione di scene della Via Crucis; canti, alcuni dei quali arrangiati su melodie popolari, altri composti dallo stesso Giuliano. I missionari dovevano fronteggiare una situazione nella quale i fedeli, specialmente nelle zone rurali, erano «cristianizzati soltanto superficialmente» (Delumeau), e rimanevano spiritualmente ancora molto dipendenti da elementi pre-cristiani. Le Nobletz parla di «disordini e superstizioni che lo fecero piangere», spesso legati all'ambiente marinaro locale: le donne spazzando i pavimenti delle cappelle gettavano la polvere in aria per assicurare vento favorevole; minacciavano le statue dei santi con bastoni se questi non garantivano il rapido rientro degli uomini; facevano offerte sia per placare gli spiriti cattivi sia per ottenere l'intercessione di quelli buoni. Il biografo di Giuliano, il suo contemporaneo padre Boschet, definì così la fede della Bretagna del xvii secolo: «Essa è come nell'età primitiva della Chiesa». Nel 1697 scriveva: «Non ci si deve sorprendere, vedendo nelle missioni qualcosa di simile a ciò che i pagani hanno provato quando gli apostoli predicavano, perché in molti luoghi della Bretagna inferiore i misteri della religione erano così poco conosciuti che il problema era più quello di gettare le fondamenta della fede piuttosto che quello di insegnare la dottrina cristiana». La stregoneria prosperava, i talismani abbondavano; Le Nobletz scoprì che alcuni rivolgevano preghiere alla luna; sorgenti sacre erano ovunque fonte di guarigione. Il cristianesimo, in molti modi e spesso inconsciamente, si era adattato alla mentalità pagana. L'ignoranza religiosa era, comunque, un fenomeno generale, non circoscritto alla sola Bretagna (la "fine del mondo", Finisterre). Le missioni del XVII secolo dei gesuiti e di altri ordini costituivano i primi sforzi consapevolmente pensati per introdurre nelle aree rurali, in particolare dell'Europa "cattolica", una spiritualità personale basata su una coscienza istruita. Le loro tecniche riprendevano per molti versi quelle dei riformatori protestanti di altri paesi: e in Bretagna essi si dovettero confrontare con un sostrato di fede celtica simile a quello che Giovanni Wesley trovò in Cornovaglia. Le processioni per la festa di maggio, i fuochi di S. Giovanni e altre manifestazioni popolari, considerate «vergognose e meri relitti del paganesimo» (A. van Gennep) furono soppresse; si fece uno sforzo considerevole per aumentare il livello di istruzione del clero e per eliminare il concubinato, l'alcolismo e l'assenteismo di molti dei suoi membri. Questo processo richiese però tempo: fu così sui missionari itineranti che ricadde il grosso del compito di evangelizzazione nel )(vi' secolo. Tra questi spiccavano i gesuiti, insieme ai lazzaristi fondati da S. Vincenzo de' Paoli (t 1600, 27 set.), agli oratoriani, rappresentati da S. Giovanni Eudes (t 1680, 19 ago.), e a molti altri. Quando Giuliano iniziò la sua missione in Bretagna, nella regione c'erano due soli missionari; erano diventati mille al tempo della sua morte. I ritmi delle missioni erano sensibilmente adattati a quelli della vita contadina. I preti della missione lavoravano a gruppi, parrocchia per parrocchia; non la lasciavano finché l'intera popolazione adulta non aveva fatto una confessione generale; di solito si fermavano fino a sei settimane in ogni parrocchia e la penitenza non veniva data senza una completa catechesi.<br /> La missione faceva ritorno nella stessa parrocchia dopo quattro o sei anni. L'arca coperta veniva scelta calcolando un raggio di circa cinque miglia tutto attorno al centro fissato. Durante i suoi quarantatré anni di apostolato nella Bretagna inferiore, Giuliano predicò in circa 375 missioni di questo tipo. Il suo scopo era insegnare alla gente quattro preghiere fondamentali: il Padre Nostro, l'Ave Maria, il Credo e il Confiteor, che dovevano essere memorizzate e recitate ogni mattina e ogni sera. Se la predicazione nelle missioni si mostrava energica, il ministero della confessione era esercitato con delicatezza. Personaggio di spicco del movimento evangelizzatore della controriforma cattolica, Giuliano contribuì a creare una forma di vita rurale cattolica che si accordava alle stagioni basandosi fortemente sui sacramenti e sulle festività ecclesiastiche; tale forma sarebbe durata fino alla metà del xx secolo. Morì il 28 gennaio 1683 nella zona della Cornovaglia vicino a Quimper. Folle di pellegrini giunsero per baciare quei piedi che avevano camminato così tanto e così a lungo sul suolo della Bretagna. Le sue gesta furono descritte in termini che rispecchiano la tradizionale enfasi celtica circa i miracoli degli eroici seguaci di Cristo. Fu beatificato nel 1951 proprio quando, ironia della sorte, era in pieno declino la tradizionale vita cattolica da egli diffusa con tanti sforzi e la Francia veniva ancora una volta dichiarata pays de mission. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel villaggio di Plévin nella Bretagna in Francia, beato Giuliano Maunoir, sacerdote della Compagnia di Gesù, che tanto in paesi e villaggi quanto nelle città di questa provincia per quarantadue anni si dedicò interamente alle missioni al popolo.