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I santi di oggi 13 dicembre:
nome Santa Lucia- titolo Vergine e martire- nascita 281, Siracusa- morte 13 dicembre 304, Siracusa- ricorrenza 13 dicembre- Canonizzazione Precanonizzazione- Santuario principale Santuario di Santa Lucia al Sepolcro- Attributi Palma del martirio, occhi su un piatto, giglio, libro dei Vangeli, torcia o candela accesa, pugnale- Patrona di Siracusa, ciechi, oculisti, elettricisti, contro le malattie degli occhi e le carestie- Lucia nacque a Siracusa nell'anno 281 da nobilissima e ricchissima famiglia. Rimasta orfana di padre all'età di cinque anni venne educata nella religione cristiana dalla pia e saggia Eutichia, sua madre. Fatta grandicella e accesa di puro amore di Dio, decise all'insaputa della madre di mantenere perpetua verginità. Ignorando questo segreto la buona Eutichia, come allora usavasi universalmente, non tardò d'interessarsi per trovare alla figliuola uno sposo che convenisse. Era questi un giovane nobile, ricco e di buone qualità, però non cristiano. Lucia si turbò: ma non volendo manifestare il suo segreto alla madre, cercò pretesti per tramandare le nozze; ed intanto confidava nella preghiera e nella grazia. Ed ecco quanto avvenne: Eutichia fu presa da una grave malattia, per cui non bastando né medici nè medicine, per consiglio di Lucia, mamma e figlia decisero di portarsi in pellegrinaggio a Catania, alla tomba di S. Agata, per ottenere la guarigione. Giunte a Catania, e prostratesi in preghiera presso quelle sacre reliquie, Lucia fece intendere a Agata di rimanere fedele al voto fatto e di accettare, se necessario, anche il martirio per amor di Gesù. La madre ottenne la guarigione, ma una grazia maggiore ebbe Lucia: il suo avvenire era irrevocabilmente deciso. Tornate a Siracusa, Lucia si confidò con la madre ed ottenne che la lasciasse libera nella scelta del suo stato. Così lucia con una lampada fissata sul capo, percorse gli angusti cunicoli delle catacombe per distribuire ai bisognosi il denaro ricavato dalla vendita della sue ricchezze. Il pretendente deluso, montò subito sulle furie e giurò vendetta, appena seppe che il rifiuto di Lucia proveniva dal fatto di essere cristiana. Si presentò quindi al proconsole romano Pascasio e accusò la giovane come seguace della religione cristiana e perciò ribelle agli dèi ed a Cesare. Condotta davanti al proconsole, si svolse un dialogo drammatico, nel quale rifulsero la fermezza e costanza della martire. Neppur la forza valse a smuoverla, poiché Gesù rese impotenti i suoi nemici: invano i soldati la spingevano cadendo sfiniti a terra, invano la trascinavano legata a mani e piedi o trainata da molti buoi. Fu martirizzata il 13 dicembre del 304. Lucia fu cosparsa di olio, posta su legna e torturata col fuoco, ma le fiamme non la toccarono. Fu infine messa in ginocchio e finita con la spada per decapitazione. La festa cade in prossimità del solstizio d'inverno (da cui il detto "santa Lucia il giorno più corto che ci sia"). Rese il suo spirito solamente dopo aver ricevuto l'Eucarestia, la salma fu posta nelle Catacombe, dove sei anni dopo sorse un maestoso tempio a lei dedicato. PROTETTRICE DELLA VISTA Si dice che a S. Lucia venissero cavati gli occhi poiché “portatrice di luce”, ossia di speranza, di spirituale visibilità e cambiamento e che le fossero immediatamente restituiti dal Signore. Per questa ragione e per lo stesso suo nome che significa Luce, essa è invocata come protettrice degli occhi e della vista. Inoltre, il suo nome stesso, Lucia, deriva dal latino lux, che significa "luce", rafforzando ulteriormente il suo ruolo come protettrice della vista. PRATICA. Recitiamo un atto di dolore per i nostri peccati. PREGHIERA. Esaudiscici, o Dio, nostro Salvatore, affinchè, come ci rallegriamo per la festa della tua beata Lucia vergine e martire, così siamo ammaestrati nel'affetto della pia devozione. MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di santa Lucia, vergine e martire, che custodì, finché visse, la lampada accesa per andare incontro allo Sposo e, a Siracusa in Sicilia condotta alla morte per Cristo, meritò di accedere con lui alle nozze del cielo e di possedere la luce che non conosce tramonto.
nome Sant'Ottilia di Hohenbourg- titolo Badessa- nascita 660 circa, Obernai, Francia- morte 720 circa, Hohenbourg, Francia- ricorrenza 13 dicembre- Patrona di Alsazia- Esistono diverse leggende su Odilia (conosciuta anche come Ottilia, Ottilia, o Odile); pare sia nata in Alsazia verso la fine del VII secolo, figlia di un nobile franco di nome Adalrico e della moglie Bersvinda. Il padre, che aveva un illustre lignaggio, desiderava ardentemente un figlio maschio, ma nacque una femmina, cieca. Adalrico si spaventò e fu totalmente incapace di affrontare quel problema, considerandola prima con irritazione, poi con irragionevole furia. Anche se sua moglie tentò di persuaderlo che la cecità di Odilia era voluta da Dio, lo considerò come un affronto personale e una macchia sull'onore della sua famiglia. Deciso a far uccidere la bambina, le risparmiò la vita solo grazie alle suppliche della madre, a condizione che abbandonasse la casa e che le sue origini rimanessero celate. Bersvinda affidò la bambina a una contadina che precedentemente era stata a suo servizio, poi ne fece trasferire la famiglia a Bau-me-les-Dames, vicino a Besangon, dove sua zia era badessa di un monastero. Adalrico non sapeva che fine avesse fatto sua figlia, e nessuno osava nominarla in sua presenza. Odilia fu allevata dalle suore fino all'età di dodici anni, ma a quel tempo non era ancora stata battezzata. Il vescovo Erhard di Regensburg (8 gen.) fece un sogno, in cui si recava al monastero vicino a Besangon per battezzare una bambina, con il nome di Odilia, che avrebbe riacquistato la vista. Consultò il fratello Idulfo (11 lug.), e assieme si recarono a Baumc-les-Da-mes, dove celebrò il battesimo con l'immersione totale: la immerse nell'acqua santa, e la sollevò di nuovo, poi le unse il capo, e le toccò gli occhi, recitando queste parole: «Nel nome di Gesù Cristo, possano i tuoi occhi, quelli del corpo e quelli dell'anima, ricevere la luce». La bambina guarì e recuperò la vista, poi fu battezzata con il nome di Odilia, che significa "figlia della luce".<br /> Idulfo, che viveva non lontano dal castello di Adalrico a Hohenburg (pochi chilometri a ovest di Strasburgo, in un luogo chiamato attualmente Obernai), fece visita al padre di Odilia e gli raccontò il miracolo. Adalrico fece una donazione al monastero di Baume, ma rifiutò di rivedere la figlia, affermando che sarebbe stato troppo penoso, per il rimorso di averla rifiutata. Adalrico e Bersvinda avevano quattro figli maschi, perciò le sue ambizioni dinastiche erano al sicuro: Ugo era il più distinto, il più generoso e cortese, e teneva una corrispondenza con Odilia. In una lettera ella gli chiese di fare in modo che avvenisse una riconciliazione con il padre, così Ugo domandò al padre di ricondurla a casa; Adalrico replicò laconicamente che aveva le sue ragioni per lasciarla a Baume, perciò Ugo non insistette oltre. Con una certa avventatezza, Ugo mandò una carrozza di nascosto a prendere Odilia, credendo che il padre avesse cambiato idea, che partì volentieri; l'incontro tuttavia fu violento, e Adalrico alzò il suo scettro pesante colpendo Ugo fino a farlo stramazzare al suolo (secondo alcune fonti, ne causò addirittura la morte). All'improvviso, però si rivolse alla figlia e fu con lei tenerissimo, nella stessa misura in cui stato crudele in passato.<br /> Odilia si trattenne con lui per un po', ma Adalrico era deciso a farle sposare un duca germanico, perciò la figlia scappò, accettando di ritornare solo a patto che le donasse il suo castello di Hohenburg, da trasformare in un monastero, dotandolo di ogni cosa. Questo castello, che sovrasta la città di Obernai, sorge su un picco che una volta era chiamato Odilienberg, oggi Mont-Sainte-Odile.<br /> Odilia divenne badessa della nuova congregazione e le monache osservavano una regola severa. Lei stessa si cibava di pane e verdura, beveva solo acqua, e trascorreva molte ore di notte in preghiera, dormendo molto poco. Le monache si dedicavano a opere di carità, sfamavano i bisognosi e assistevano i malati e i portatori di handicap. Molti pellegrini giungevano a Hohenburg, e giacché la ripidezza del pendio rendeva difficile ai malati e ai vecchi l'ascesa, Bersvinda fece costruire un convento ausiliario, Niedermunster, più in basso, con un ospizio annesso. Dopo la morte dei genitori, Odilia assistette i pazienti da sola, servendoli personalmente. Pregò per la madre e il padre, infliggendosi, a quanto pare, penitenze speciali per suo padre. Visse fino in tarda età; in punto di morte disse alla sua congregazione che non vedeva l'ora che l'anima lasciasse il corpo, per godere della libertà dei figli di Dio. Anche se molti documenti relativi a S. Odilia sono storicamente inattendibili, esiste una salda tradizione locale che parla di una figlia devota e indulgente, e di una grande badessa. Il suo sepolcro e la sua abbazia furono grande oggetto di culto nel Medio Evo; Carlomagno e altri imperatori si recarono in pellegrinaggio a Hohenburg, oltre a papa S. Leone IX (19 apr.), quando era vescovo di Toul, e, a quanto pare, re Riccardo I d'Inghilterra. Questo pellegrinaggio era molto popolare, e S. Odilia fu scelta come santa patrona dell'Alsazia, prima del XVI secolo. Il sepolcro di S. Odilia e i resti del monastero alla fine vennero in possesso della diocesi di Strasburgo, e dalla metà del XIX secolo, Mont-Sainte-Odile è ridiventato meta di pellegrinaggi. Le reliquie di Odilia sono custodite nella cappella di San Giovanni Battista, una costruzione medievale ora chiamata spesso con il suo nome. Al tempo della battaglia di Verdun, durante la prima guerra mondiale, S. Odilia era celebrata in Francia, in quanto le era stata attribuita una profezia completamente apocrifa; ciò si ripeté nel 1939-1945, anche se in minor misura. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel territorio di Strasburgo nell’antica Burgundia in Francia, santa Ottilia, vergine e prima badessa del monastero di Hohenbourg fondato da suo padre, il duca Adalríco.
nome Santi Eustrazio, Aussenzio, Eugenio, Mardario ed Oreste- titolo Martiri- ricorrenza 13 dicembre- Secondo il Martirologio Romano, Eustrazia Eugenio, Mardario, Aussenio e Oreste subirono tutti il martirio in Armenia, durante la persecuzione di Diocleziano. Eustrazio era un armeno che proveniva da una famiglia ben nota, Eugenio era il suo servo, Mardario e Aussenio due amici che intercedettero per lui, e Oreste un soldato che si convertì vedendo la sua fermezza durante la tortura. Tutti furono torturati e uccisi; i corpi furono portati a Roma e sepolti nella chiesa di Sant'Apollinare, dove le loro reliquie sono ancora oggetto di culto. La passio di questi martiri è un buon esempio di come simili documenti fossero interpolati e persino riscritti successivamente a scopo didattico: Eustrazio viene descritto mentre discute con il magistrato brani tratti da Platone e dai poeti classici. La storia è basata in parte su quella dei Quaranta Martiri di Sebaste; questo gruppo di martiri occupa un posto importante nel calendario ortodosso. Alcuni frammenti della passio sono stati scoperti in un testo risalente al IX secolo, ma non abbiamo conferma dei nomi dei martiri o delle loro azioni, precedentemente. MARTIROLOGIO ROMANO. In Armenia, santi Eustrazio, Aussenzio, Eugenio, Mardario e Oreste, martiri.
nome Beato Antonio Grassi- titolo Sacerdote- nome di battesimo Vincenzo Grassi- nascita 13 novembre 1592, Fermo, Ascoli Piceno- morte 13 dicembre 1671, Fermo, Ascoli Piceno- ricorrenza 13 dicembre- Beatificazione 30 settembre 1900 da papa Leone XIII- Vincenzo Grassi, nato a Fermo nella provincia delle Marche, entrò a far parte degli oratoriani all'età di diciassette anni, con il nome di Antonio. Era uno studente acuto, soprannominato "il dizionario vivente", e presto acquistò una buona reputazione per la sua conoscenza dei testi biblici e della teologia. Ebbe qualche scrupolo, prima dell'ordinazione sacerdotale, che gli scomparve quando celebrò la sua prima Messa, e anzi fu notato per la sua serenità. Nel 1621, a ventinove anni, era inginocchiato a pregare nella chiesa del convento di Loreto, quando fu colpito da un fulmine. Lasciò un racconto dettagliato della sua esperienza: Mi sentivo scosso, come se fossi fuori di me, e mi sembrava che l'anima si fosse distaccata dal corpo, e di trovarmi in un sonno profondo [.. Poi mi risvegliai quando udii un fragore di tuono, aprii gli occhi e scoprii che ero caduto con la testa, giù per i gradini. Vidi alcune macerie sul pavimento, e l'aria era piena di un fumo così denso che sembrava polvere. Pensai che si fosse staccato dello stucco dal soffitto, ma quando alzai gli occhi, vidi che era intatto, poi notai che un pezzo di pelle del mio dito era stata asportata; ricordai un sacerdote di Camerino che era stato ucciso da un fulmine, e sul suo corpo non vi erano segni, eccetto qualche escoriazione sulle mani, perciò, quando vidi il mio dito, pensai di essere prossimo alla morte, e una sorta di bruciore dentro di me mi faceva sentire sempre più vicino al trapasso. Cercai di muovere le gambe ma non k sentivo più; avevo paura che quel fuoco avrebbe raggiunto il mio cuore e mi avrebbe ucciso. Ero senza aiuto, e giacevo senza muovermi sui gradini, pensando che se non avessi potuto morire nell'oratorio, avrei potuto in ogni modo farlo in un santuario della Madre di Dio. Poi qualcuno si chinò sopra di me e io gli dissi che non riuscivo a muovermi; chiamarono aiuto, portarono una sedia, dove mi sistemarono, poi svenni di nuovo, anche se ero conscio che la testa, le braccia e le gambe stessero penzolando inerti, e che non riuscivo a vedere né a parlare, anche se il mio udito era acuto. Sapevo che qualcuno mi stava suggerendo i santi nomi di Gesù e Maria. Quando ritornò completamente in sé, Antonio pensava ancora di essere prossimo alla morte, perciò chiese gli ultimi sacramenti, poi fu condotto nel suo alloggio. «Poi scoprii che se crediamo che la morte sia vicina, diventiamo assai indifferenti verso questo mondo, e apprendiamo che tutte le cose terrene sono vacue.» Guarì in alcuni giorni, e scoprì che i suoi indumenti intimi erano bruciacchiati e che lo shock lo aveva fatto completamente guarire da un'indigestione. Giunse alla conclusione che la sua vita apparteneva a Dio in modo molto speciale: fece un'offerta quotidiana per la sua salute e ogni anno un pellegrinaggio speciale a Loreto con la stessa intenzione. Chiese la facoltà di poter confessare, che divenne una delle sue attività principali: era molto semplice, nell'udire i penitenti, diceva qualche parola d'incoraggiamento, imponeva una penitenza e dava l'assoluzione. Preferiva non dare ordini o regole da seguire, o trattare questioni non direttamente connesse alla confessione. Era solito affermare che nel valutare un individuo, bisogna prestare attenzione a non giudicare in conformità a una singola azione o caratteristica (nella maggior parte delle persone c'era più bene che male). Nel 1653 fu eletto superiore della congregazione dell'Oratorio di Fermo, e fu rieletto ogni tre anni per il resto della sua vita. Era un superiore molto cortese, e quando gli chiesero perché non mostrasse una maggiore severità, disse che non lo sapeva. Allo stesso modo, non praticava e non raccomandava mai pratiche insolite di penitenza. Quando gli chiesero se indossava una maglia di crine, disse di no. «Umiliare la mente e la volontà» diceva «ha più effetto di un cilicio sulla pelle.» Questo non significava che fosse sempre accomodante, anzi, l'osservanza della congregazione era a un livello molto alto, stimolata dal suo esempio. Parlava con calma e non tollerava quelli che parlavano ad alta voce, oltre a tranquillizzare gli altri con queste parole: «Per favore, o Padre mio, a voce bassa». La sua fama oltrepassò i confini del convento: l'arcivescovo Gualtieri di Fermo affermò che non poteva sopportare il pensiero di perderlo, e sia il cardinale Facchinetti di Spoleto sia il cardinale Emilio Altieri (il futuro papa Clemente X) si affidavano ai suoi consigli. In occasione dei tumulti scoppiati per la carestia a Fermo nel 1649, tentò di agire da mediatore tra il cardinale reggente e il popolo, e per questo fu quasi ucciso dalla folla. Antonio era molto interessato al bene della sua città natale e al popolo; niente l'avrebbe convinto a stipulare impegni sociali o cerimoniali, ma si recava a ogni ora del giorno e della notte a far visita ai malati o ai morenti, o a chiunque avesse bisogno d'aiuto. Avvicinandosi agli ottant'anni, subì l'umiliazione di perdere parte delle sue facoltà: il ministero della predicazione a causa della perdita dei denti che gli ostacolava la parola, e quello della confessione, poiché diventò progressivamente sordo. Dopo una caduta dalle scale fu confinato nella sua cella, e alla fine di novembre 1671 fu costretto a letto. L'arcivescovo Gualtieri venne a trovarlo tutti i giorni, per dargli la comunione fino alla fine, una quindicina di giorni dopo. Uno dei suoi ultimi risultati era stato di riconciliare due fratelli acerrimi nemici. MARTIROLOGIO ROMANO. A Fermo nelle Marche, beato Antonio Grassi, sacerdote della Congregazione dell’Oratorio, uomo umile e pacifico, che con il suo esempio spinse fortemente molti confratelli all’osservanza della regola.
nome Beato Giovanni Marinoni- titolo Sacerdote- nome di battesimo Francesco Marinoni- nascita 25 dicembre 1490, Venezia- morte 13 dicembre 1562, Napoli- ricorrenza 13 dicembre- Beatificazione 11 settembre 1762 da papa Clemente XIII- Francesco Marinoni era il terzo e ultimo figlio di una famiglia benestante di Bergamo, ma nacque a Venezia nel 1490. Divenne chierico nella chiesa di S. Pantaleone e, al momento dell'ordinazione sacerdotale, fu cappellano e successivamente superiore di un ospedale di malati incurabili a Venezia. Divenne canonico nella chiesa di S. Marco; nel 1528 rassegnò questa carica per entrare a far parte dell'Ordine teatino di S. Gaetano (7 ago.), scegliendo il nome di Giovanni. L'ordine si dedicava al miglioramento del livello spirituale e pastorale in un'epoca tristemente famosa per la corruzione, oltre che all'assistenza dei malati e dei poveri. Durante una visita di S. Gaetano a Napoli, Giovanni Marinoni lo accompagnò, e divenne superiore della congregazione teatina di quella città; una delle loro innovazioni per i poveri di Napoli e della regione fu l'istituzione dei montes pietatis (agenzie di pegno che li avrebbero protetti dall'usura). Giovanni rifiutò la carica di arcivescovo di Napoli, e morì in questa città il 13 dicembre 1562, ricevendo i sacramenti da S. Andrea Avellino (10 nov.), che scrisse un resoconto dell'attività del suo maestro dei novizi. Il culto fu autorizzato da papa Clemente XIII nel 1762. MARTIROLOGIO ROMANO. A Napoli, beato Giovanni (Francesco) Marinoni, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari detti Teatini, che si dedicò insieme a san Gaetano alla riforma del clero e alla salvezza delle anime e diede impulso al Monte di Pietà per l’aiuto ai bisognosi.
nome Sant'Autberto- titolo Vescovo- nascita 600 circa, Haucourt en Cambrésis, Francia- morte 669 circa, Cambrai, Francia- ricorrenza 13 dicembre- Patrono di panettieri- Auberto fu consacrato vescovo di Arras e Cambrai nel 633 o successivamente; si hanno pochissime informazioni sulla sua giovinezza o sulla famiglia. Presumibilmente originario della regione di Cambrai, diventò noto per la sua insolita saggezza e umiltà. Nel 630 l'eremita Gisleno o Ghislain giunse nella regione per fondare un monastero vicino a Mons. Alcuni dei consiglieri di Auberto tentarono di metterlo in guardia contro lo straniero, sostenendo che poteva trattarsi di un falso apostolo capace di ingannare i fedeli, ma Auberto aveva la mente aperta, rifiutò di condannarlo senza incontrarlo e rimproverò quelli che avevano pregiudizi contro di lui; poi lo mandò a chiamare e lo degnò di molto rispetto. Promise che se Gisleno avesse costruito la sua chiesa, lui l'avrebbe consacrata, cosa che effettivamente fece. Gisleno diventò abate di Mons, ed insieme con Auberto incoraggiò S. Vincenzo Madelgario (20 set.) e la sua famiglia ad abbracciare la vita religiosa; anche la moglie di Vincenzo, Valdetrude (9 apr.), e i loro cinque figli sono venerati come santi locali. Il vescovo Auberto è messo in relazione con altri laici che si distinsero per aver abbracciato la vita religiosa, come S. Amalberga o Amelia (10 lug.), madre di S. Gudula (8 gen.). Si racconta una storia in cui è messa in luce il suo interesse pastorale per un giovane di nome Landelino che scappò dal seminario di Cambrai; Auberto fu molto addolorato e pregò ferventemente per il suo ritorno, e quando il giovane ritornò pentito, lo assistette così bene da farlo diventare monaco, e poi abate. È stato inserito nel Martirologio Romano (Landelino, 15 giu.) Auberto talvolta è stato confuso con Audeberto, conte di Ostrevant, e anche con S. Auberto di Avranches, fondatore di Mont-Saint-Michel, un benedettino vissuto circa mezzo secolo dopo.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Cambrai nell’Austrasia, in Francia, sant’Autbero, vescovo.
nome San Giudoco di Piccardia- titolo Sacerdote ed eremita- morte 13 dicembre 669, Francia- ricorrenza 13 dicembre- Santuario principale Abbazia di Saint-Josse-au-Mer- Patrono di pellegrini- Giudoco (Judicus, Josse) ricevette in offerta la corona della Bretagna nel 636 circa quando il fratello Giudicaele (17 dic.) abdicò per ritirarsi in monastero, ma dopo alcuni mesi rinunciò alla sua posizione e si recò in pellegrinaggio, assieme a undici compagni a Chartres, Parigi e Amiens. Visitò Roma, ma i racconti sono molto discordanti; non è chiaro se sia stato ordinato sacerdote a Roma oppure alla corte di Aimone, conte di Ponthieu «a Braic sul fiume Auntie,» secondo Oderico Vitale, nel luogo attualmente chiamato Saint-Josse-sur-Mer. Aveva un discepolo di nome Vulmaro, che lo aveva seguito dalla Bretagna, ed essi trascorsero la loro vita celebrando i santi misteri, cantando lodi a Dio, meditando sul Vangelo e conversando con i santi e gli angeli. Giudoco servì Dio per otto anni in quel luogo e non rifiutò mai di aiutare i poveri, perfino quando aveva in tasca un tozzo di pane, oltre a condividere tutto ciò che possedeva. Si narra che una volta quattro uomini affamati bussarono alla sua porta uno dopo l'altro. Per tre volte divise il suo pezzo di pane, finché il pezzo che gli restò fu troppo piccolo per dividerlo ancora, così lo diede tutto al quarto mendicante. Vulmaro, che era sempre più preoccupato vedendo che la provvista di pane diminuiva, fu molto sollevato nel vedere quattro navi che portavano provviste (probabilmente inviate dal conte Aimone, che era rimasto loro amico e sostenitore) che s'avvicinava risalendo il fiume. Nacque la leggenda che i quattro uomini affamati erano state apparizioni di Gesù Cristo, per mettere alla prova la carità del suo servo. Giudoco trascorse nel suo eremo otto anni, in pace con il mondo della natura, nei boschi e vicino all'acqua. Nutriva uccelli di ogni tipo, e pesciolini, che prendevano il cibo dalle sue mani, come se fossero animali addomesticati.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. Nella Neustria settentrionale, ora in Francia, san Giudoco, sacerdote ed eremita, che, figlio di Giutaele, re della Bretagna, e fratello di san Giudicaele, per non essere costretto a succedere al padre, lasciò la patria e si ritirò a vita eremitica.