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I santi di oggi 5 ottobre:
nome Santa Maria Faustina Kowalska- titolo Vergine- nome di battesimo Helena Kowalska- nascita 25 agosto 1905, Glogowiec, Polonia- morte 5 ottobre 1938, Cracovia, Polonia- ricorrenza 5 ottobre- Beatificazione 18 aprile 1993, da papa Giovanni Paolo II- Canonizzazione 30 aprile 2000, da papa Giovanni Paolo II- Santuario principale Santuario della Divina Misericordia a Cracovia- Elena Kowalska è conterranea di Giovanni Paolo II che l'ha elevata agli onori degli altari nell'anno 2000. Era nata a Giogowiec nel distretto di Turek, provincia di Lodz, il 25 agosto 1905. Le difficili condizioni economiche e sociali provocate dalla prima guerra mondiale, che avevano messo in ginocchio molte famiglie polacche, compresa la sua, non consentirono a Elena, che pure era di intelligenza vivace, di andare oltre le prime tre classi della scuola elementare. Per contribuire a far quadrare in qualche modo il bilancio familiare, andò a lavorare come domestica in una casa di buona famiglia. Ma mentre lavava piatti e tirava a cera i lindi pavimenti dei suoi signori, pensava ad altro. Nel suo cuore era germogliato il desiderio di abbracciare la vita religiosa, non certo per sottrarsi alla fatica del lavoro, ma per vivere in modo più profondo e radicale la vocazione cristiana. Incontrò subito l'opposizione dei genitori che con la sua entrata in convento avrebbero perso un'indispensabile fonte di guadagno. La risolutezza di Elena ebbe però la meglio sull'opposizione dei genitori e nel 1924 poteva chiedere finalmente di essere accolta nella Congregazione della beata Vergine Maria della misericordia. Era consuetudine che ogni aspirante alla vita religiosa portasse con sé, nel momento dell'ammissione, una congrua dote, perché i conventi, essendo poveri, non erano in grado di provvedere al corredo delle aspiranti. Ma neppure la famiglia di Elena poteva farlo, per cui la giovane dovette lavorare sodo ancora un anno per mettere insieme almeno l'indispensabile. Non le venne invece chiesta la dote vera e propria, che avrebbe richiesto ben più di un anno di lavoro. Aveva vent'anni quando venne ammessa al postulantato, e poi (1926) al noviziato come suora conversa, addetta cioè al servizio della comunità. Come avviene in altri ordini o congregazioni religiose, con l'occasione cambiò il nome di Elena con quello di Maria Faustina: era un modo per segnare il distacco dalla vita precedente e l'inizio di un nuovo modo di stare con il Signore e con gli altri. Due anni dopo emise i voti temporanei e nel 1933 quelli definitivi, nel suggestivo rito della professione perpetua. Per tredici anni suor Faustina lavorò in quasi tutte le case della provincia, che erano allora dieci, occupandosi dei mestieri più umili: la cucina, il giardino e la portineria. Eseguiva sempre con molta fedeltà quanto richiestole, e con gioia, illuminando ogni atto con la luce della sua spiritualità, molto intensa, costellata da slanci mistici dei quali erano a conoscenza solo i suoi direttori spirituali e le superiore. Nel 1934, obbedendo all'indicazione del suo direttore spirituale, cominciò a scrivere un diario personale che intitolò La divina misericordia nell'anima mia, e che è un resoconto particolareggiato di rivelazioni e di esperienze mistiche. Nel 1935 Faustina ricette una rivelazione privata da Gesù nella quale le avrebbe richiesto una particolare forma di preghiera detta Coroncina alla Divina Misericordia. Secondo suor Faustina, particolari grazie sarebbero state concesse a chi avrebbe recitato questa preghiera: La mia misericordia avvolgerà in vita e specialmente nell'ora della morte le anime che reciteranno questa coroncina. Per la recita di questa coroncina mi piace concedere tutto ciò che mi chiederanno. I sacerdoti la consiglieranno ai peccatori come ultima tavola di salvezza; anche se si trattasse del peccatore più incallito se recita questa coroncina una volta sola, otterrà la grazia della mia infinita misericordia. Quando vicino ad un agonizzante viene recitata questa coroncina, si placa l’ira di Dio e l’imperscrutabile misericordia avvolge l’anima. La Coroncina della Divina Misericordia Si inizia recitando, dopo il segno della croce, un Padre nostro, un Ave Maria e il Credo. Sui 5 (cinque) grani del Padre Nostro, ovvero i grani maggiori del Santo Rosario si dice: «Eterno Padre, io Ti offro il Corpo e il Sangue, l'Anima e la Divinità del Tuo dilettissimo Figlio e Nostro Signore Gesù Cristo, in espiazione dei nostri peccati e di quelli del mondo intero.» Sui 50 (cinquanta) grani minori si dice: «Per la Sua dolorosa Passione, abbi misericordia di noi e del mondo intero.»
Al termine si dice per tre volte: «Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi e del mondo intero.»
La preghiera termina con la seguente invocazione: «O Sangue ed Acqua che scaturisti dal Cuore di Gesù come sorgente di misericordia per noi, confido in te!»; ed infine nuovamente il segno della croce. La Coroncina della Divina Misericordia. Suor Faustina viene ricordata anche come l'apostola della devozione a Gesù misericordioso. Una pia pratica che, radicatasi in Polonia grazie al suo zelo, si estese, a partire dai primi anni Quaranta, anche fuori dai confini polacchi per abbracciare tutto il mondo. Con tale pratica si diffuse anche la conoscenza di colei che ne aveva fatto il centro della propria spiritualità. Il 5 ottobre 1938 suor Faustina tornava alla casa del Padre. Morì nel convento di Lagiewniki nei pressi di Cracovia, offrendosi alla misericordia divina come vittima per la conversione dei peccatori.. Venne sepolta nel cimitero della congregazione. Quando fu avviato il processo informativo per verificare l'eroicità delle sue virtù, le sue spoglie vennero trasferite nella cappella della congregazione, diventata subito cuore della devozione di molti fedeli che si affidano alla sua intercessione per ottenere conforto dell'anima e sollievo nelle malattie. È stata proclamata beata il 18 aprile 1993 e santa nel 2000, anno del Giubileo, da Giovanni Paolo II. MARTIROLOGIO ROMANO. A Cracovia in Polonia, santa Maria Faustina (Elena) Kowalska, vergine delle Suore della Beata Maria Vergine della Misericordia, che si adoperò molto per manifestare il mistero della divina misericordia.
nome San Placido- titolo Monaco e martire- nascita 515, Roma- morte 5 ottobre 541, Messina- ricorrenza 5 ottobre, 4 agosto ritrovamento delle reliquie- Santuario principale<br /> Chiesa San Giovanni di Malta - San Placido e Compagni Martiri a Messina- Attributibuti bastone pastorale, mitra, palma del martirio- Patrono di Arcidiocesi di Messina Lipari Santa Lucia del Mela, Biancavilla, Castel di Lucio, Poggio Imperiale, San Pierfedele di San Pietro di Caridà (RC), Olevano Romano- Placido, figlio del nobile patrizio romano Tertullo, venne affidato per essere educato a S. Benedetto da Norcia fin dall'età di sette anni. Il fanciullo dimostrò intelligenza aperta e cuore docile agli insegnamenti del maestro. Della sua infanzia si racconta il seguente episodio. Un giorno, dice S. Gregorio, il fanciullo andò al lago per attingere acqua, ma sdrucciolò e cadde dentro. S. Benedetto che stava nella sua cella, vide per rivelazione l'accaduto. Chiamò Mauro, altro suo discepolo e gli disse: « Corri velocemente, o fratello, perchè Placido è caduto nel lago ». Mauro gli domandò la benedizione e si affrettò ad ubbidirlo. Si portò al lago e senza affondare camminò sull'acqua e così potè riportare sulla riva Placido sano e salvo. S. Benedetto attribuì il miracolo all'ubbidienza del discepolo il quale a sua volta l'attribuiva alla fede ed alla benedizione del santo; ma Placido disse di aver visto lo stesso abate che lo soccorreva e lo copriva con la sua melota (una pelle di pecora che i monaci allora portavano sulle spalle).<br /> Tertullo, venuto a trovare il figlio, fu sommamente commosso della sua virtù, e per mostrare la sua riconoscenza a S. Benedetto, gli donò parte dei beni che possedeva. Questi servirono ad erigere il grande monastero di Montecassino ed alcuni altri romitaggi in Sicilia presso la città di Messina ove Placido a soli ventisei anni fu mandato come abate. La badia di Messina giunse ben presto a gran fama. Cresceva di giorno in giorno il numero dei postulanti attratti dalla santità di Placido. Quel cenobio divenne focolare di pietà e centro di santità e di bene. Un giorno vennero a visitare il novello monastero due fratelli di Placido: Eutichio e Vittorino con la sorella Flavia. Mentre essi stavano in santi colloqui. avvenne che il pirata Manuca saccheggiasse Messina. Quel barbaro fece pure circondare la badia, sfondò le porte ed intimò a quanti vi si trovavano di rinnegare Gesù Cristo, pena la morte. Noi siamo pronti a morire per Gesù Cristo rispose Placido. Morremo soggiunsero tutti in coro; e cadendo ginocchioni levarono le mani e gli occhi al cielo invocando il santo nome di Gesù. Mentre Placido li benediceva, i barbari s'avventarono loro addosso e con aste, picche e spade li trucidarono. Tutti vennero fatti degni di ricevere la corona del martirio, e divenire frumento eletto di Cristo. PRATICA. Il precetto benedettino è: «Ora et labora » cioè: prega e lavora. Aiutiamo quanto possiamo e preghiamo per i Religiosi. PREGHIERA. O Dio, che per mezzo del martirio hai fatto passare il beato Placido ed i suoi compagni dall'esilio alla gloria eterna, custodiscici per le loro preghiere da tutte le avversità e donaci di poter partecipare alla loro gloriosa compagnia in cielo. MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di san Placido, monaco, che fu sin dalla fanciullezza discepolo carissimo di san Benedetto.
nome Beato Bartolo Longo- titolo Laico fondatore- nome di battesimo Bartolomeo Longo- nascita 10 febbraio 1841, Lariano, Brindisi- morte 5 ottobre 1926, Pompei, Napoli- ricorrenza 5 ottobre- Beatificazione 26 ottobre 1980 da papa Giovanni Paolo II- Bartolo (Bartolomeo) Longo nacque il 10 febbraio 1841 a Latiano, in provincia di Brindisi. Terminate le scuole superiori, prese in considerazione l'ipotesi di andare a studiare diritto presso l'università di Napoli, ma il clima della città, agitato da forti sconvolgimenti politici, lo indusse a intraprendere tali studi privatamente. Di temperamento estroverso e appassionato di musica, si nutrì per un anno di sole patate (patendone nella salute) al fine di poter acquistare un pianoforte e un flauto, e non mancò di interessarsi anche di scherma e di ballo. Dal momento che, in seguito all'annessione del regno di Napoli alla nascente Italia, non vennero più riconosciuti i suoi studi privati, si iscrisse all'università e qui, totalmente conquistato dal forte anticlericalismo del corpo docenti, prese parte a manifestazioni contro il papa e il clero. Nel medesimo istante, colpito da forti dubbi sul senso della fede e l'autenticità dei suoi fondamenti, andava interessandosi allo spiritismo: vi era allora a Napoli un movimento spiritualista ben sviluppato, organizzato quasi come una setta religiosa, con la nomina di sacerdoti propri e l'imitazione di alcuni riti della Chiesa. Gli adepti di questo movimento asserivano anche di comunicare frequentemente col demonio, il quale appariva loro sotto le spoglie dell'arcangelo Michele. Ciò che salvò Bartolo dai peggiori eccessi del movimento fu l'amicizia con Vincenzo Pepe, un professore profondamente religioso e originario del suo stesso paese, che lo indusse gradualmente a confidarsi con un santo e dotto frate domenicano, sotto la cui direzione Bartolo tornò alle pratiche religiose e divenne terziario domenicano. Conseguita la laurea in legge alla fine del 1864, fece ritorno alla propria casa iniziando a lavorare come avvocato. Vivendo con la famiglia, si dedicò a una vita di pietà e di opere caritative. Due volte sul punto di sposarsi, rinunciò infine all'idea, principalmente influenzato, pare, dalle parole di un sacerdote redentorista, il ven. Emanuele Ribera, che gli disse: «Il Signore vuole da te grandi cose; sei destinato a compiere un'alta missione». Bartolo, interrompendo l'esercizio della professione, fece voto di castità perpetua e decise di tornare a Napoli per dedicarsi a una vita dí opere di bene. Entrò così in stretta amicizia con la contessa Marianna De Fusco, e questo fatto condizionò tutto il suo futuro: divenne l'istitutore dei suoi figli e l'amministratore delle sue proprietà, impegnandosi al tempo stesso a fianco di lei in molte e diverse attività caritative. La loro amicizia era così profonda che diede origine a spiacevoli pettegolezzi: in un primo tempo decisero di ignorarli, ma in seguito, rendendosi conto che queste voci interferivano con ciò che avevano intenzione di portare avanti e consigliati in questo senso da Leone XIII, nel 1885 si sposarono, pur rimanendo decisi a vivere insieme come fratello e sorella. La contessa possedeva nell'area intorno a Pompei delle proprietà e Bartolo doveva visitarle periodicamente: nel corso di questi sopralluoghi, egli si accorse dell'ignoranza religiosa della gente di campagna e iniziò quindi a insegnare il catechismo e a recitare il Rosario. Quando Bartolo collocò un'immagine della Madonna del Rosario sull'altare della chiesetta parrocchiale, si cominciarono a registrare numerosi miracoli in risposta alle preghiere della popolazione locale e il santuario divenne presto famoso. Creatasi quindi la necessità di un edificio più adatto e incoraggiato dal vescovo locale, Bartolo diede inizio nel 1876 alla costruzione di un nuovo santuario (terminato l'anno successivo) in cui la famosa immagine della Madonna del Rosario fu collocata su uno splendido trono e incoronata con un prezioso diadema, benedetto dal papa Leone XIII. Bartolo fondò anche un periodico, Il Rosario e La Nuova Pompei, distribuito anche ai non abbonati, attraverso cui intendeva diffondere la devozione alla B.V. Maria e rendere conto delle grazie e dei favori ottenuti presso il nuovo santuario. Attrezzatosi con una macchina da stampa, pubblicò un gran numero di opuscoli e di libri sugli stessi temi, particolarmente interessato a incoraggiare il popolo a recitare il Rosario. Durante questo periodo continuò sempre a dedicarsi a opere di carità: fondò un orfanotrofio femminile, affidandone la direzione alle Figlie del Rosario di Pompei, congregazione religiosa da lui fondata; non pago, fondò anche un "Istituto dei Figli dei Carcerati", il cui scopo era il soccorso a coloro che soffrivano senza propria colpa e di confutazione delle teorie lombrosiane che volevano i criminali incorreggibili e destinati per istinto ereditario a una vita criminosa. Scriveva «Cristo è il mio maestro, la mia guida e la mia luce [.. .] Ora Cristo, avendo compassione dei bambini, disse: "Lasciate che i bambini vengano a me". Credetemi, mentre li accoglieva, non faceva differenza tra i figli di criminali e quelli nati criminali; ancor meno cercava di studiare i loro crani o i loro visi alla ricerca [...] dei fatali segnali di un'innata criminalità. No; egli li abbracciava tutti quanti [...] E questo è quello che io faccio: quando accolgo i miei bambini, i figli di carcerati, non guardo i loro crani o i loro volti; mi basta vedere che sono innocenti respinti e abbandonati, e questo mi basta: me li porto al cuore e comincio a istruirli» (Mondrone). Chiamò i Fratelli delle Scuole cristiane a dirigere l'istituto, e vennero promossi con grande successo programmi educativi e vocazionali. L'opera fu ampliata nel 1922 con la costruzione di una analoga scuola destinata alle figlie dei carcerati: le iniziative di Bartolo in questo campo gli valsero gli elogi di molti riformatori penali di tutto il mondo. Nel 1893 donò al papa il nuovo santuario con la terra circostante, comprese tutte le altre opere pompeiane. Rimasto come amministratore, rinunciò alla fine anche a questa carica in obbedienza alla richiesta di papa S. Pio X (26 ago.), ritirandosi quindi definitivamente nel 1906. Pur riuscendo a portare a compimento così tante iniziative, ebbe anche a sopportare delle prove e soprattutto una forte opposizione, scaturita in parte da coloro che erano invidiosi dei suoi successi, in parte da coloro che si opponevano all'influenza religiosa che esercitava. In diverse occasioni fu accusato di essere pazzo, o un profittatore, o di riempirsi le tasche con il denaro offerto al santuario e per altre buone cause. A queste sofferenze sono da aggiungere i problemi di salute che lo afflissero per gran parte della vita. Nel maggio del 1925 gli fu conferito il titolo di cavaliere della Gran Croce del Santo Sepolcro, celebrazione durante la quale Bartolo annunciò pubblicamente il suo testamento: non avendo né denaro né proprietà da lasciare in eredità, disse, desiderava distribuire alle diverse fondazioni le insegne cavalleresche e gli ordini che aveva ricevuto, chiedendo infine di poter essere seppellito nel santuario da lui edificato. Morì nell'ottobre del 1926 con il Rosario tra le dita e il crocifisso in mano e fu sepolto, come aveva richiesto, ai piedi del trono della Madonna. È stato beatificato nel 1980. Il testo della preghiera approvato per la liturgia parla di lui come «araldo della Beata Vergine Maria del Rosario, e padre di bambini bisognosi e orfani, uomo di grande pietà ed esempio di carità». La sua Nuova Pompei comprende due orfanotrofi, due istituti per l'istruzione dei figli e delle figlie dei carcerati, una casa editrice, un osservatorio, il museo del Monte Vesuvio, un albergo per i pellegrini, una moderna Casa del Rosario e un seminario, senza dimenticare il santuario stesso, che continua ad attirare centinaia di migliaia di pellegrini. Non tutte le opere sopra elencate esistevano al tempo in cui Bartolo morì, ma si può comunque vedere in esse il frutto della sua lungimiranza e del suo vigore.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Pompei presso Napoli, beato Bartolomeo Longo: avvocato dedito al culto mariano e all’istruzione cristiana dei contadini e dei fanciulli, fondò, con l’aiuto della pia moglie, il santuario del Rosario a Pompei e la Congregazione delle Suore che porta lo stesso titolo.
nome Santa Flora di Beaulieu- titolo Vergine- nascita 1300, Maurs, Francia- morte 1347, Issendolus, Francia- ricorrenza 5 ottobre- Le suore dell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme possedevano un monastero a Beaulieu, in Francia, sulla strada che portava al famoso santuario di Rocamadour, utilizzato come ospizio (od ospedale, come venne chiamato l'ospizio), per l'accoglienza dei pellegrini. Figlia di nobile famiglia, Flora (Fleur) entrò in questo monastero intorno al 1320, nonostante le pressioni dei genitori che la volevano vedere maritata. La sofferenza causatale da intense prove spirituali fu alleviata solo dalle regolari apparizioni di Gesù, il quale le assicurò che attraverso tali prove, le forti tentazioni contro la castità e il pessimo trattamento riservatole dalle suore del convento partecipava alla sua passione. Flora fu soggetta a numerose esperienze mistiche, come l'estasi e la levitazione, e si dice che avesse i doni di discernere gli spiriti e della profezia. Era tale la sua devozione per la passione di Nostro Signore che pareva portasse la croce dentro il proprio corpo, afflitta com'era da intensi dolori e frequenti emorragie. Molto devota anche alla Vergine Maria, in particolare sotto il titolo di Maria Annunziata, e a S. Giovanni Battista, patrono dell'ordine, conduceva una vita votata alla preghiera e alla recita dell'Ufficio divino. Durante una carestia, Flora fu così turbata dalle sofferenze dei molti poveri che tentò di portare loro del cibo della comunità, trasgredendo l'espressa volontà della superiora. Poiché le era stato intimato di aprire il mantello, sotto cui stava nascondendo il pane, la nostra santa obbedì, ma in quell'istante il pane si trasformò in fiori. Un secondo racconto dice che un angelo le portò una parte di ostia consacrata, sottraendola in una chiesa distante una decina di chilometri; quando il sacerdote si avvide del presunto furto, angosciato, chiese consiglio proprio a Flora sul da farsi, e la santa dovette convincerlo che lei stessa aveva ricevuto la parte andata perduta. In realtà si dovrebbe dare poco credito a questi e ad altri miracoli associati alla santa, perché le nostre uniche fonti sono una Vita del xv secolo, redatta in un rozzo francese dialettale e un elenco di miracoli dello stesso autore. Si vorrebbe che questa Vita sia la traduzione di una Vita in latino scritta dal confessore della santa, ma appare improbabile perché, per quanto ricca di particolari, il suo stile ricalca i modelli dell'agiografia del tempo e riporta racconti che sono comuni a numerose Vite medievali. Flora morì nel 1347, probabilmente a causa delle emorragie già menzionate. A motivo dei miracoli che da subito furono attribuiti alla sua intercessione, si procedette a traslare il suo corpo 1'11 giugno 1360, giorno quindi fissato per la sua festa. Si invoca il suo aiuto contro le malattie del corpo e gli affanni morali, e nella Francia occidentale, dove più forte è il suo culto, è invocata insieme a S. Barbara per ottenere protezione dai temporali violenti. Nel XVIII secolo il Breviario diocesano locale spostò il giorno della sua commemorazione al 5 ottobre e nel 1852 un decreto della Santa Sede le riconobbe un Ufficio proprio. MARTIROLOGIO ROMANO. A Beaulieu nel territorio di Cahors in Francia, commemorazione di santa Flora, vergine dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, che curò nell’ospedale gli ammalati poveri e condivise nel corpo e nell’anima la passione di Cristo.
nome Beato Raimondo da Capua (delle Vigne)- titolo Domenicano- nascita 1330, Capua, Caserta- morte 1399, Norimberga, Germania- ricorrenza 5 ottobre- Beatificazione 15 maggio 1899 da papa Leone XIII- Raimondo, nato a Capua nel 1330, discendeva dalla nobile famiglia dei Delle Vigne, alcuni esponenti della quale avevano rivestito la carica di ufficiali al servizio dell'imperatore. Mandato a studiare diritto all'università di Bologna ed entrato in seguito nei domenicani, fu nominato all'età di trentasette anni priore del convento di S. Maria sopra Minerva a Roma: fu successivamente lettore a S. Maria Novella a Firenze e nel 1374 a Siena. Qui incontrò la grande S. Caterina da Siena (29 apr.), la quale, mentre partecipava a una Messa da lui presieduta, udì una voce che le diceva: «Ecco il mio amato servitore; ecco colui al quale ti affiderò». Diventato dunque suo direttore spirituale, da principio giudicò Caterina un soggetto difficile, ma, come la precedente edizione di quest'opera sottolinea, «fu cauto e saggio e non si lasciò intimorire dalla veemenza della santa né scoraggiare dalla sua singolarità; non riconobbe subito la missione di Caterina, ma ne riconobbe la bontà». Le permise di ricevere la comunione tutte le volte che desiderava e negli ultimi sei anni di vita della santa, che furono per molti versi anche i più significativi, la guidò e incoraggiò. Cominciarono a lavorare insieme per soccorrere la popolazione di Siena colpita da un'epidemia di peste e Raimondo stesso, contagiato, fu sul punto di morire. Guarito in seguito all'intercessione di Caterina, che per un'ora e mezzo rimase accanto al suo letto in preghiera, si convinse dei poteri miracolosi della santa e si dedicò interamente ad aiutarla nello svolgimento della sua missione. Furono spinti così fuori dei confini di Siena per allargare il loro interesse ai problemi della Chiesa universale. Siccome tra i desideri di Caterina vi era quello di proclamare una nuova crociata contro i Turchi in Terra Santa, Raimondo predicò in molte occasioni a Pisa a questo riguardo, consegnando personalmente la famosa lettera della santa al pirata inglese John Hawkwood, in cui gli si chiedeva di appoggiare l'impresa. La loro opera a favore della crociata fu interrotta dalla rivolta di alcune città stato italiane contro il papa, che a quel tempo viveva ad Avignone in Francia. Caterina e Raimondo tentarono di fungere da pacieri e di convincere il papa a fare ritorno a Roma, ma l'importanza del loro intervento è stata forse ingrandita. Nel 1378 con l'elezione dell'antipapa Clemente VII in opposizione a Urbano VI ebbe inizio il Grande Scisma d'Occidente. In un clima di diffusa confusione e di manovre nascoste da parte di principi e vescovi delle fazioni rivali, Raimondo fu inviato da Urbano a predicare contro Clemente in Francia, ma non riuscì neppure a entrare nel paese perché alla frontiera fu minacciato di morte dai soldati fedeli all'antipapa. Tornato in Italia, dovette affrontare i pungenti rimproveri di Caterina per la presunta mancanza di coraggio e poi si fermò a Genova, continuando a predicare contro Clemente e ad approfondire gli studi di teologia. Caterina morì poco dopo, nel 1380, non senza promettere che sarebbe rimasta a fianco di Raimondo in ogni pericolo. «Se verrà meno, io lo aiuterò a rialzarsi.» Raimondo, assunta la direzione del gruppo di persone che l'avevano seguita con grande fervore, per il resto della vita lavorò strenuamente alla realizzazione di quello che era stato il più grande desiderio della santa e cioè la fine dello scisma nella Chiesa. Ma a Raimondo fu affidato anche un altro compito: al momento della morte di Caterina, fu eletto maestro generale della parte dell'Ordine domenicano che sosteneva Urbano. Consapevole che rientrava tra i suoi doveri il ripristino dell'antico fervore dell'ordine, in quel momento segnato dalle conseguenze della peste e dello scisma, ritenne opportuno concentrarsi sull'aspetto monastico della vita domenicana, stabilendo in diverse province conventi di stretta osservanza. Tali riforme non mancarono di suscitare polemiche in chi riteneva che potessero ridurre l'importanza degli studi a cui i frati attendevano nelle università o altrove, all'esterno comunque dei conventi, e che mirassero a trasformare i frati in monaci di clausura. A dispetto di ciò le riforme produssero molti frutti di santità e alcuni ritengono anzi Raimondo il secondo fondatore dei domenicani. Sicuramente influenzato dall'esempio di S. Caterina e di tutto ciò che ella, come terziaria, compì, si preoccupò anche di diffondere il Terz'ordine dei domenicani in tutte le parti del mondo a lui raggiungibili. Raimondo morì il 5 ottobre 1399 a Norimberga, dove si stava occupando della riforma dei domenicani di queste terre, dopo diciannove anni trascorsi alla guida dell'ordine come maestro generale. Fu beatificato nel 1899. È opera sua una biografia di S. Agnese Segni e un'autorevole Vita di S. Caterina, criticata da alcuni storici moderni per aver esagerato l'influenza della santa, mentre un volume di altri suoi scritti e lettere, Opuscula et Litterae, fu pubblicato al tempo della beatificazione. Qualunque cosa si dica circa le riforme da lui introdotte, bisogna riconoscere che fu uomo di pace, desideroso di appianare le divisioni e di rinnovare la vita religiosa dell'Ordine domenicano. MARTIROLOGIO ROMANO. A Norimberga nella Baviera, in Germania, beato Raimondo delle Vigne, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che fu prudente guida spirituale di santa Caterina da Siena, di cui scrisse anche una biografia.
nome Sant'Apollinare di Valence- titolo Vescovo- nascita 453, Vienne, Francia- morte 520, Valence, Francia- ricorrenza 5 ottobre- Incarichi ricoperti Vescovo di Valence- Canonizzazione pre canonizzazione- Apollinare, figlio maggiore di Esichio, vescovo di Vienne in Francia, e fratello di S. Avito (5 fcb.), che succedette al padre nella sede vescovile, nacque intorno al 453. Cresciuto sotto la guida di S. Mamerto (11 mag.), fu consacrato vescovo di Valence dal fratello Avito. Tentò di introdurre nella diocesi, fortemente trascurata da alcuni anni, una riforma sostanziale; ma, divenuto sgradito al re quando un sinodo condannò un ufficiale di corte per via del suo matrimonio incestuoso, fu costretto all'esilio in Sardegna. Si narra che il re si sia pentito delle proprie azioni quando, seriamente malato, ottenne la guarigione ricoprendosi col mantello del vescovo esiliato. Esistono tuttora alcune lettere, esempi della corrispondenza che intercorreva tra Apollinare e il fratello Avito: in una di queste Apollinare rimprovera se stesso per non aver fatto memoria nella Messa della sorella di cui ricorreva l'anniversario della morte; in un'altra Avito si augura che il giorno della dedicazione di una chiesa non si trasformi in una buona occasione per fare baldoria. Si dice che Apollinare, preavvertito della propria morte e desiderando far visita all'amico S. Cesario (27 ago.), intraprese un viaggio ad Arles, durante il quale avvennero molti miracoli, ma rimane dubbio che questo viaggio abbia mai avuto luogo. Morì a Valence intorno al 520; è venerato come patrono principale della diocesi sotto il nome popolare di S. Aplonay. Le sue reliquie, deposte nel 1060 nella chiesa a lui dedicata, furono distrutte ai tempi della Riforma. MARTIROLOGIO ROMANO. A Valence nel territorio di Vienne in Francia, sant’Apollinare, vescovo: fratello di sant’Avíto, vescovo di Vienne, fu uomo pervaso da fervore di giustizia e onestà e rinnovò l’autorità e l’antico decoro della religione cristiana nella sede di Valence rimasta a lungo vacante.
nome San Meinulfo di Paderborn- titolo Diacono- nascita 793, Westfalia, Germania- morte 857 circa, Böddeken, Germania- ricorrenza 5 ottobre- Meinulfo, o Magenulfo, nacque in Westfalia (Germania) da nobile famiglia. La morte del padre costrinse la madre a cercare protezione alla corte di Carlo Magno, dove l'imperatore stesso adottò Meinulfo come figlioccio, mandandolo a studiare presso la scuola vescovile di Paderborn. Un giorno, ascoltando un commento al passo evangelico che dice «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo», prese la decisione di farsi prete. Ricevuti gli ordini minori, si vide affidare un canonicato a Paderborn, ma in seguito, ordinato diacono, fu promosso alla carica di arcidiacono. Nutriva il desiderio di servirsi delle proprie ricchezze per erigere un monastero femminile sulle terre che gli appartenevano; al pari di S. Eustachio (2 nov.) e S. Uberto (3 nov.) ebbe una visione in cui gli apparve un cervo con una croce tra le corna, e questo segno lo spinse a scegliere, come luogo per la fondazione, Boddeken. Le prime suore che vi si recarono erano originarie di Aquisgrana e per loro Meinulfo redasse un Regolamento di vita. Il monastero divenne base per una predicazione così massiccia in tutta la Westfalia, da fare di questo santo uno dei principali apostoli della regione. Morto a Boddeken intorno all'anno 857, fu sempre ricordato per l'umiltà e la generosità; il suo culto nella regione fu istituito in seguito ai miracoli che si dice abbiano avuto luogo sulla sua tomba. Una Vita del santo è stata scritta circa quarant'anni dopo la morte, in occasione della riesumazione dei resti per la venerazione. MARTIROLOGIO ROMANO. Presso Paderborn in Sassonia, nell’odierna Germania, san Meinolfo, diacono, che costruì e adornò il monastero di Böddeken, dove stabilì una comunità di sacre vergini.