@james2
Depressione e Psichiatria riluttante, qualche pensiero
Negli ultimi anni molte diagnosi sono fatte a cazzo, e ancor di più persone ingollano psicofarmaci senza vera necessità. Colpa soprattutto di chi prescrive naturalmente. Secondo. Non si è automaticamente depressi se si è tristi, abbattuti, senza speranze per il futuro. Ma molti psi- non considerano questa cosa. Se hai dei sintomi di conseguenza sei “x”. Come se la > Psichiatria fosse una scienza medica. Come se i disturbi mentali fossero malattie al pari di tutte le altre. Malattie del cervello da curare e colpire. Ma la malinconia, o depressione, va distinta. E riporto un pezzo di un libro del più grande psichiatra italiano contemporaneo. “ Ripercorriamo una veloce storia del.
la depressione, per provare a dimostrare che il modo con cui oggi
questa entità viene rappresentata è assolutamente inedito rispetto
a come è stata conosciuta nel corso dell'intera storia dell'umanita.
Il padre della medicina, Ippocrate, attribuisce la melanconia
allo squilibrio di uno dei quattro umori: la bile nera. E distingue
una tristezza cum causa da una tristezza sine causa, dove solo
quest'ultima è patologica. Pure Aristotele condivide l'imposta-
zione ippocratica, ma in più specifica diversi gradi di tristezza,
tra i quali «il più alto è rappresentato dagli uomini eccezionali
perché, sostiene, «tutti gli uomini che furono eccezionali in filo-
sofia, in politica, in poesia o nelle arti furono malinconici». Ma
aggiunge: non per questo devono essere considerati malati, anzi,
è il contrario, perché «quasi tutti i grandi uomini sono condan-
nati a essere infelici». Seppure questa loro infelicità non esita mai
in depressione, giacché deriva dalla lucidità con cui guardano
il mondo, e perché sanno trasformarla in esperienza creatrice.
Oserei perfino affermare che gli uomini di genio sono per forza
malinconici, in quanto i più consapevoli di essere al mondo per
morire, e, forse, si lasciano meno di altri tranquillizzare dalle re-
ligioni e dalla loro prospettiva di vita ultramortale. Invece, a quel
che sembra, molti grandi uomini contemporanei probabilmente
si sono fatti imbrogliare, nel senso che si sono considerati depressi
dopo essersi rivolti a uno psichiatra, che li ha persuasi di essere
malati e di doversi curare con i farmaci. Tutti i pensatori successivi
(Celso, Galeno, Areteo di Cappadocia, Neckam, Alberto Magno, Pietro d'Albano, Ishaq bin Imran, Avicenna, Kant) hanno con-
diviso questa visione della melanconia. Perfino nel periodo illu-
minista, Philippe Pinel, considerato il fondatore della psichiatria,
rimane nel solco di questa divisione, netta, tra una malinconia
esogena, con una causa, e una malinconia endogena, senza causa.
Lo stesso vale per i maggiori psichiatri dell'Ottocento: Esquirol,
Griesinger; Kraepelin, Krafft-Ebing. Anche Freud ribadisce questa
separazione, nel suo Lutto e melanconia, dove sostiene che non è
necessario curare chi è triste per la perdita di una persona amata,
perché questo è un dolore normale, che necessita solo di tempo.
Insomma, per duemilacinquecento anni si è tenuta separata la
tristezza normale, che ha una causa, dalla tristezza abnorme, che
una causa non ce l'ha. Ma tutto è cambiato dal 1980, con la pub-
blicazione del DSM-III, il manuale ateoretico, che non vuole più
basarsi su alcuna interpretazione (la differenza tra causa esterna o
interna, in fondo, è un'interpretazione), ma solo sui sintomi osser-
vabili. Addio alla millenaria differenza tra le due forme di tristez-
za, dal 1980 esiste una sola depressione: quella che dura più di due
settimane e che presenta almeno cinque dei nove sintomi.
Il DSM-III (1980), almeno, lo specificava che era normale pro-
vare tristezza per un lutto, anche se quantificava questa normali-
tà in meno di un anno, perché dopo un anno non si trattava più
di semplice lutto ma di depressione. Come se tutti avessero lo
stesso tempo di elaborazione della perdita di una persona cara.
Un anno era ritenuto dagli psichiatri americani più che suffi-
ciente. Se rimpiangi più a lungo il to morto, vuol dire che sei
malato. Eppure, alla luce di quel che è accaduto poi, il limite
di un anno era davvero ampio. Perché consentiva, a un nume-
to sterminato di addolorati per lutto, di sottrarsi alla rete della
diagnosi di depressione. Il DSM-IV (1994) scene a due mesi. Il
DSM-5 (2013) semplifica ulteriormente: superate le due settimane
di tristezza dalla perdita di una persona cara il lutto si trasforma
in depressione. Dal 2013 il lutto è pressoché scomparso di scena,
perché ci si può permettere due settimane di tristezza ma non un giorno di più. Di questo passo, mettiamo nel dsm6, il lutto uscirà definitivamente di scena, perché forse basteranno due giorni per essere diagnosticati depressi.” (Fine). Ecco, se dopo aver letto questo non vi viene qualche dubbio, continuate pure la vostra vita programmata nel dettaglio dai vostri padroni. Se il dubbio vi viene iniziate a leggere e farvi un’idea vostra, senza contaminazioni di potenti scientologi e medicanti psichiatrologi. La stella vostra sia Piero Cipriano o anche qualcun altro che vi ispiri cambiamento e ribellione e interesse in questa ingiustizia. Ma anche qualunque altra va bene.
E per chi pensa di lavorare in questo campo in futuro è quasi un dovere dare almeno spazio una volta a visioni diverse. Togliere dal naso i libri universitari o le lezioni dei cattedratici e calpestare qualcosa di nuovo. Sia mai che possa aprire nuove vie. Sia mai