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I santi di oggi 8 settembre:
nome Natività della Beata Vergine Maria- titolo Nascita della SS. Vergine- ricorrenza 8 settembre- I fortunati genitori di Maria furono S. Gioachino e S. Anna. La nascita della SS. Vergine fu preannunziata fin dall'inizio quando il Signore promise all'umanità decaduta un'altra donna che avrebbe schiacciato il capo al serpente. E giunta la pienezza dei tempi, Maria apparve come stella mattutina nel mare tempestoso del mondo, pura, santa, piena di grazia.
Maria nacque santa, poiché fu concepita senza macchia originale e piena di ogni grazia. La grazia che ebbe la SS. Vergine sorpassò la grazia non solo di ciascun santo, ma di tutti gli Angeli ed i Beati del cielo, e questo a ben ragione perché Maria era destinata a divenire Madre di Dio. Ora se Maria fu eletta ad essere Madre di Dio, era necessario che Dio l'adornasse d'una grazia corrispondente alla dignità eccelsa cui l'aveva destinata. Inoltre Maria era destinata ad essere mediatrice d tutte le grazie e perciò ebbe una grazia superiore quella di tutte le altre creature. La SS. Trinità concorse a gara per preparare la Madre di Dio. Concorse il Padre rendendo Maria immune dalla macchia originale, perché era la sua figlia e figlia primogenita: « Io uscii dalla bocca dell'Altissimo primogenita prima di tutte le creature »; perché la destinò a riparatrice del mondo e mediatrice di pace tra gli uomini e Dio, e infine perché la prescelse come Madre del suo Unigenito. Concorse il Figliuolo che aveva eletto Maria per sua Madre: Maria fu degna del divin Salvatore. Concorse lo Spirito Santo conservandola intatta perché doveva essere la sua sposa. E sappiamo che questo Sposo Divino amò Maria più che tutti gli altri Santi ed Angeli assieme. E Maria corrispose a tutti i favori celesti: fin dal primo istante usò fedelmente delle grazie che le erano state concesse. Ai piedi della culla di Maria diciamole con San Bernardo: Ricordati, o Maria, che non per te fosti fatta così grande, ma per noi poveri peccatori. PRATICA. Facciamo un atto di fede nella grandezza di Maria e preghiamola affinché ci ottenga un grande odio al peccato. PREGHIERA. Deh! Signore elargisci ai tuoi servi il dono della grazia celeste, affinché come la maternità della Vergine fu per essi il principio della salvezza, così la devota solennità della sua nascita aumenti la loro pace. MARTIROLOGIO ROMANO. Natività della beatissima sempre Vergine Maria, Madre di Dio.
nome San Sergio I- titolo 84° papa della Chiesa cattolica- nascita 650, Palermo- Elezione 15 dicembre 687- Fine pontificato 8 settembre 701 (13 anni e 267 giorni)- morte 701, Roma- ricorrenza 8 settembre- Santuario principale Basilica di San Pietro in Vaticano- Patrono di Siria- Nato probabilmente ad Antiochia, da genitori siriani, Sergio ricevette la sua istruzione a Palermo, dove la famiglia alla fine si trasferì. A un certo punto del pontificato di Adeodato II (672-676) si recò a Roma, dove frequentò la schola cantorum, fu ordinato sacerdote, e nel 683 divenne titolare della chiesa di S. Susanna sul Quirinale. I cinque successori di Adeodato svolsero il loro incarico in media per circa due anni, e al tempo in cui fu eletto papa Conone (686-687), un anziano candidato temporaneo, Roma stava dividendosi in fazioni. Alla morte di Conone, i due candidati erano l'arcidiacono Pasquale (che grazie alla promessa di una grossa donazione, era appoggiato dall'esarca bizantino, Giovanni Playn), e l'arcivescovo Teodoro, che aveva il sostegno delle milizie romane. Dato che nessuna delle due parti voleva cedere, la maggioranza del clero romano, insieme con ufficiali civili e militari d'alto rango, s'incontrò al palazzo del Palatino per votare di nuovo. Questa volta Sergio emerse come candidato forte e fu eletto all'unanimità. Quando giunse per stabilirsi nel palazzo del Laterano, lo trovò ancora occupato da Pasquale, Teodoro, e dai loro vari sostenitori. Teodoro immediatamente si sottomise a Sergio, ma Pasquale fu meno disposto a cedere, e segretamente persuase Giovanni Platyn a recarsi a Roma per rovesciare il risultato delle elezioni. Giovanni giunse a Roma, ma subito si accorse dell'appoggio forte di cui godeva Sergio, e decise di approvarne la consacrazione (non senza, a ogni modo, chiedergli prima la notevole quantità d'oro che gli era stata promessa da Pasquale). Si trattava di pura e semplice estorsione, perciò, sebbene Sergio, eletto liberamente e legittimamente, gli concedesse l'oro richiesto, protestò vivamente. Nonostante questo inizio non propizio, Sergio si rivelò un papa determinato e capace, interessato in particolare, come tanti papi in questo primo periodo, a consolidare la posizione della sede romana. Non esiste nessuna descrizione del suo carattere, sebbene Alcuino l'abbia definito santo e degno successore di S. Pietro. I dettagli tramandati riguardo al suo pontificato delineano la figura di un uomo disponibile e conciliante, con molti simpatizzanti e una naturale disposizione all'autorità. Mentre era papa, per esempio, per la prima volta dopo sedici anni, dal 666, quando l'imperatore Costanzo (641-668) aveva dichiarato l'indipendenza della sede di Ravenna da Roma, un vescovo di Ravenna giunse a Roma per essere consacrato; inoltre nel 700, dopo un concilio convocato a Pavia dal re longobardo Cuniberto, accettò che Aquileia, che si era distaccata dal momento della condanna dei Tre Capitoli nel 553, tornasse in comunione con Roma. Sembra che si sia interessato, in modo particolarmente attivo, alla Chiesa inglese. Il Sabato Santo del 689 battezzò Caedwalla (20 apr.), il giovane re della Sassonia occidentale, che, avendo «abbandonato la corona per il bene del Signore e del suo regno eterno», era giunto a Roma solo per morirvi dieci giorni dopo essere stato battezzato. Nel 693 diede il pallium a Beorhtweald di Canterbury, e nello stesso anno approvò la missione di S. Villibrordo di Northumbria (7 nov.) in Frisia, consacrandolo vescovo del popolo (risone tre anni dopo e consegnandogli il pallium. Durante un'udienza concessa a una delegazione di monaci inviati da S. Ceolfrith (25 set_) e provenienti dall'abbazia di Wearmouth e Jarrow, confermò i privilegi dell'abbazia. Più tardi, nel 701, scrisse a Ceolfriah chiideadogli di mandargli «quel servo devoto di Dio, Beda, sacerdote del tuo monastero», perché aveva bisogno di consultare uomini eruditi. Sebbene Sergio avesse promesso di farlo ritornare in Inghilterra appena la questione fosse stata sistemata, sembra abbastanza chiaro che Beda non giunse mai a Roma. All'inizio del suo pontificato, fu coinvolto nelle dispute del Concilium Quinisextum, o sinodo Trullano, convocato a Costantinopoli nel 692 dall'imperatore Giustiniano II (685-695), la cui ambizione era di presiedere un concilio come aveva fatto il suo grande omonimo Giustiniano I (527-565). Il sinodo si svolse nella stanza a cupola (trullum) del palazzo dell'imperatore, e con esso s'intendeva completare il lavoro del quinto e del sesto concilio generale della Chiesa (da qui il termine quinisextum), che si svolsero a Costantinopoli nel 553 e 680 rispettivamente. Sebbene si affermasse di legiferare per la Chiesa intera, tutti, tranne uno dei duecento vescovi che partecipavano, provenivano dall'Oriente, e alcuni dei centodue canonici erano motivati, se non dall'ostilità, almeno da una certa competizione con l'Occidente. Il concilio ignorò il diritto canonico occidentale, per esempio, e proibì varie pratiche accettate in Occidente. In modo significativo, rinnovò anche i famosi venti canoni di Calcedonia che papa S. Leone Magno (10 nov.) aveva rifiutato di ratificare (garantendo a Costantinopoli uno status patriarcale uguale a quello di Roma). Dopo aver costretto gli apocrisiarii del papa a Costantinopoli a firmare gli atti del concilio, Giustiniano ne mandò alcune copie a Roma perché fossero convalidate dal papa. Sergio rifiutò fermamente di ratificare gli atti, e Giustiniano ricorse a tattiche da tiranno: deportò i consiglieri principali di Sergio e poi ordinò a Zaccaria, il comandante delle sue guardie del corpo, di recarsi a Roma e di costringere il papa a firmare, oppure, in caso non vi fosse riuscito, di portare il papa stesso a Costantinopoli. Sergio venne a conoscenza di questo piano, e in seguito avvenne uno degli episodi più assurdi della storia papale. Mettendo da parte la loro fedeltà all'imperatore, presumibilmente inconsapevole di quanto la sua autorità in Italia si fosse logorata, le truppe imperiali provenienti da Ravenna e da altre zone si schierarono affianco al papa. Incoraggiati dal popolo di Roma, attaccarono Zaccaria, che fuggì terrorizzato dal papa, per chiedere protezione nascondendosi sotto il suo letto. I soldati lo inseguirono in quella stanza c l'avrebbero ucciso se non fosse intervenuto Sergio, che riuscì a riportare la calma facendolo scortare fuori della città. L'intero episodio fu profondamente umiliante per Giustiniano, che senza dubbio desiderava la vendetta, ma nel 695 fu deposto, e la questione ebbe termine.<br /> A Roma stessa, Sergio s'interessò personalmente alla costruzione di chiese, oltre che alla liturgia e alla musica liturgica. Restaurò o migliorò un certo numero di chiese, tra cui S. Pietro, S. Paolo e S. Susanna, e si occupò del trasferimento dei resti di S. Leone Magno (10 nov.) dal portico di S. Pietro a un luogo importante all'interno della basilica. Come diplomato della schola cantorum avrebbe voluto cantare egli stesso, e secondo il Liber Pontificalis istituì il canto dell'Agnus Dei che il clero e il popolo avrebbero dovuto cantare assieme, «mentre si spezzava il corpo di Cristo», decisione che può essere stata più di un gesto puramente estetico e devozionale. Tra le norme stabilite dal Concilium Quinisextum vi era la proibizione di raffigurare Cristo come agnello di Dio, e un cambiamento così evidente non sarebbe stato trascurato dall'imperatore. Una delle azioni più importanti di Sergio dal punto di vista liturgico fu di estendere alla Chiesa romana quattro feste della Madonna, già celebrate in Oriente (la Natività, l'Annunciazione, la Purificazione, e la Dormizione/Assunzione) stabilendo che fossero tutte caratterizzate da una processione. Sergio morì l'8 o il 9 settembre 701 e fu seppellito a S. Pietro; il fatto che sia menzionato (il 7 settembre) nei primi calendari di S. Villibrordo suggerisce che il culto ebbe inizio subito dopo la morte. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma presso san Pietro, deposizione di san Sergio I, papa, che, di origine sira, si adoperò con tutte le forze per l’evangelizzazione dei Sassoni e dei Frisoni e ricompose molte controversie e discordie, preferendo morire piuttosto che approvare gli errori.
nome San Fausto di Alessandria- titolo Diacono e martire- nascita fine del III secolo, Alessandria d'Egitto- morte inizio del IV secolo, Alessandria d'Egitto- ricorrenza 8 settembre- Le notizie su San Fausto sono poche non molto certe, si sa che visse ad Alessandria d'Egitto tra la fine del III e l'inizio del IV secolo e fu diacono della Chiesa alessandrina. Durante la persecuzione di Valeriano, giudicato dal prefetto Emiliano, insieme col vescovo Dionigi e con i diaconi Eusebio e Cheremone, subì l'esilio nella regione di Kefro in Libia col proprio vescovo e con Caio, Pietro e Paolo. Quando tornò in Egitto condusse una vita di vagabondaggio insieme con i diaconi Eusebio e Cheremone, senza mai trovare un posto sicuro dove potersi fermare finché. Eusebio ha fatto di lui questo elogio: "Si è distinto nel confessare la fede ed è stato poi riservato sino alla persecuzione succeduta al nostro tempo; vecchio e pieno di giorni ha consumato nell'età nostra il martirio per decapitazione" (VII, 11, 26). Morì così durante la nuova persecuzione voluta dall'Imperatore Diocleziano e condannato appunto alla decapitazione. Nel Martirologio Romano il suo nome ricorre altre volte: al 3 ottobre, con Caio, Pietro e Paolo; al 4 con Caio, Eusebio, Cheremone e Lucio. Si tratta sempre del diacono ricordato il 19 novembre, poiché i suoi compagni non sono altri che i diaconi alessandrini, menzionati da Eusebio, perseguitati insieme con il loro vescovo Dionigi, durante l'impero di Valeriano. PRATICA. Chiediamo al Signore che ci doni la grazia di saper vivere come veri cristiani. PREGHIERA. Oh gloriosio San Fausto che hai professato la tua fede nel migliore dei modi aiutaci nei momenti di difficoltà ed ogni volta che ne abbiamo la necessità. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Alessandria d'Egitto, santi Fausto, Dio e Ammonio, sacerdoti e martiri, che nella persecuzione dell'imperatore Diocleziano ricevettero la corona del martirio insieme al vescovo san Pietro.
nome Beata Serafina Sforza- titolo Clarissa- nome di battesimo Sveva Feltria- nascita 1434, Urbino- morte 8 settembre 1478, Pesaro- ricorrenza 8 settembre- Beatificazione papa Benedetto XIV nel 1754- Santuario principale Cattedrale di Pesaro- Serafina, il cui nome di battesimo era Sveva, nacque a Urbino nel 1434, ed era la figlia più giovane di Guidantonio da Montefeltro e della seconda moglie, Caterina Colonna, che morì quando la figlia aveva solo quattro anni. Cinque anni dopo, anche il padre di Sveva morì, e per i successivi tre anni fu affidata alle cure prima di suo fratello Oddantonio, e poi, quando anche quest'ultimo mori in circostanze tragiche, del fratellastro Federico. Nel 1446, fu inviata a Roma per essere cresciuta nella casa di suo zio, il cardinale Prospero Colonna. All'età di circa quattordici anni, il cardinale accettò di farla sposare con Alessandro Sforza, signore di Pesaro, un vedovo con due figli maschi. Il matrimonio avvenne per procura il 9 gennaio 1448, ma Sveva non raggiunse il marito fino a settembre dello stesso anno. Sembra che il matrimonio sia stato abbastanza felice, finché Alessandro fu chiamato a combattere per suo fratello, il duca di Milano. Seguì un periodo di assenze prolungate, durante il quale Sveva si occupò dei due figliastri, Battista e Costanzo, assieme a sua zia Vittoria Colonna, e alla cugina Elisabetta Malatesta Verano. Al ritorno di Alessandro, fu ovvio che la separazione non aveva giovato per niente al rapporto coniugale, dato che il marito ebbe una relazione con una donna di nome Pacifica, moglie di un dottore del luogo. Sfortunatamente, i racconti di ciò che accadde in seguito sono visti esclusivamente dal punto di vista di Sveva. Alessandro chiaramente si comportò male, ma probabilmente non fu facile portare avanti un matrimonio combinato con una donna molto più giovane e con meno esperienza di lui, e quasi certamente insicura. Sveva da parte sua sembra non aver fatto niente per riconquistarlo, ma solo questo lo spinse alla crudeltà fisica. Alcune delle sue accuse contro di lei riflettono la rivalità politica delle loro due famiglie. Dopo averla accusata d'adulterio e di aver tentato di avvelenarlo, sostenne che cospirava contro di lui con la complicità di Vittoria Colonna e, più significativamente, sotto istigazione di Sigismondo Pandolfo Malatesta che tentava di riconquistare il dominio di Pesaro. Sia che abbia cercato realmente di avvelenarlo o meno, Sveva infine abbandonò ogni tentativo di riconciliazione e si rifugiò nella preghiera. Questo irritò ancor di più Alessandro che in seguito la cacciò da casa, intimandole di trovare asilo in qualche convento. Entrò come ospite nelle Clarisse Povere, ma presto condivise pienamente il loro stile di vita e prese quindi l'abito con il nome di Serafina. Avendo ottenuto ciò che voleva, Alessandro cominciò a portare in giro per Pesaro Pacifica, come se fosse sua moglie (Pacifica visitò perfino il convento indossando i gioielli di Sveva). Nel frattempo Serafina viveva seguendo la parola e lo spirito della Regola che aveva scelto. Pregava continuamente per la conversione del marito, e sembra che le sue preghiere siano state esaudite: nel 1473, prima di morire, Alessandro si recò al convento e le chiese perdono. Serafina fu eletta badessa nel 1475 e morì tre anni più tardi, l'8 settembre 1478. Gli studi effettuati nel corso del Novecento dimostrano che Sveva può non essere stata la vittima innocente che si riteneva. Secondo un'ipotesi, per esempio, prese parte a un complotto contro il marito. Quello che è certo è che entrò in convento all'età di venticinque anni e che, qualsiasi fosse il motivo del suo pentimento, crebbe in santità osservando giorno per giorno una regola religiosa fra le più austere. Il suo culto locale fu approvato nel 1754 da papa Benedetto XIV (1740-1758).<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Pesaro, beata Serafina Sforza, che affrontò nella vita coniugale molte avversità e, rimasta vedova, trascorse in grande umiltà i restanti anni della sua vita seguendo la regola di santa Chiara.
nome Sant'Isacco- titolo Vescovo in Armenia- nascita 350 circa, Cesarea di Cappadocia- morte 8 settembre 438, Bagrevand, Armenia- ricorrenza 8 settembre- Isacco (o Sahak) nacque a Cesarea in Cappadocia nel 350 circa, e all'età di tre anni rimase orfano di madre. Sebbene il matrimonio non fosse un ostacolo, anche per i vescovi, nella Chiesa armena di quel tempo (in realtà vi erano famiglie in cui la carica di vescovo era tramandata, anche se non in modo diretto, da padre a figlio, e Isacco stesso era il lontano pronipote di S. Gregorio Illuminatore, 30 set.) è probabile che suo padre, S. Narsete I (19 nov.), fosse già vedovo quando fu ordinato e alla fine diventò katholicos, o vescovo. Si sa poco dei primi anni di vita di Isacco, tranne che si recò a studiare a Costantinopoli, dove si dimostrò molto dotato per la retorica e la filosofia. Mentre si trovava in quella città, si sposò ed ebbe un figlio, poco prima che sua moglie morisse, forse di parto. Dopo la sua morte, le testimonianze affermano che diventò monaco e dedicò la maggior parte del tempo a ulteriori studi. Nel 387, l'Armenia era politicamente divisa in due imperi, quello bizantino e quello persiano, governati da due principi responsabili delle rispettive capitali. Allo stesso tempo, il successore immediato di Narsete I dichiarò l'indipendenza della sua Chiesa da Cesarea, di cui S. Basilio (2 gen.) era allora metropolita, portandola, in effetti, allo scisma. Isacco si accorse di questo potenziale pericolo e nel 390 circa, con l'appoggio di Cosroe, il principe persiano dell'Armenia, si fece riconoscere come katholicos. Questa mossa lungimirante, a scapito di un piccolo gruppo favorevole a Cesarea in Armenia e considerata al tempo come irriguardosa per l'autorità ecclesiastica, ottenne alla fine dei buoni risultati. Inizialmente, il re persiano anti cristiano si oppose, e Cosroe fu deposto, mentre Isacco fu costretto a dare le dimissioni. Con l'arrivo di un nuovo re la persecuzione ebbe termine, Isacco fu in grado di riassumere il suo incarico, e Cosroe fu reintegrato. Tutto ciò coincise con l'inizio dell'età d'oro della cultura armena, e di un periodo di riforma e progresso all'interno della Chiesa.<br /> Questo processo di riforma era iniziato sotto Narsete I, che desiderava avvicinare la Chiesa alla legge e alla pratica bizantina, e Isacco completò il processo. A dispetto delle proteste di coloro che risentivano del rafforzamento della disciplina ecclesiastica, il monachesimo cominciò a rifiorire, furono istituite scuole e ospedali e ricostruite le chiese distrutte dai persiani. Una conseguenza degna di nota del rafforzamento del diritto canonico bizantino intrapreso da Isacco fu che i sacerdoti sposati non sarebbero più potuti diventare vescovi (egli stesso fu l'ultimo discendente di Gregorio Illuminatore a governare la Chiesa armena). Isacco ricevette l'appoggio dell'imperatore Teodosio II (408-450), felice di incoraggiare l'espansione del cristianesimo in Armenia per favorire l'influenza greca, anche se vi erano zone dell'Armenia dove la lingua e la cultura greca erano assolutamente bandite, perciò Isacco fu costretto a cercare il modo di evitare la divisione: traendo elementi da entrambe le culture, bizantina e siriana, li presentò in un modo peculiarmente armeno. Per quanto riguarda la liturgia, adattò quella di Cesarea (ora detta liturgia bizantina di S. Basai()) per l'uso ameno. Affidò anche il compito a S. Mesrop (19 feb.) di elaborare un alfabeto armeno, che favorì una rilevante attività letteraria. Il primo libro a essere tradotto fu la Bibbia, seguita da altre opere. Alcune traduzioni sono particolarmente importanti, giacché gli originali sono andati perduti. Al tempo della morte d'Isacco, gli armeni erano in grado di leggere le opere degli scrittori cristiani greci e siriani nella loro lingua, e si cominciarono a scrivere i primi lavori originali. Nel 428, il principe tributario armeno fu scacciato dai persiani. Isacco, noto per aver favorito i cristiani bizantini, fu costretto a ritirarsi nell'angolo occidentale del paese. Si pensava una volta che la città di Teodosiopolis (Karin, Erzerum) fosse costruita in quel periodo per ordine di Teodosio, per ospitare Isacco, ma è impossibile: la città ha origini molto più antiche, ed è stata rinominata in onore dell'imperatore, tredici anni più tardi. Isacco fu alla fine invitato a ritornare nella sua sede, cosa che preferì non fare, nominando al suo posto un vicario. Alla morte di quest'ultimo, Isacco tornò, ma era vecchio e così debole da non poter neanche partecipare al concilio di Efeso nel 431. Mandò qualcuno a prendere le copie degli atti e si assicurò che fossero tradotti e distribuiti in Armenia. Morì a Bagrerand l'8 settembre 438. Nel 439, quando fu celebrata la sua festa, il corpo fu portato ad Ashtitat, primo centro ecclesiastico armeno. Il suo nome è citato nell'intercessione della Messa armena; a esso è frequentemente associato il titolo "il Grande". MARTIROLOGIO ROMANO. Nella città di Bagrevand nell’antica Armenia, sant’Isacco,<br /> vescovo, che per promuovere la vita cristiana del suo popolo tradusse in armeno la Sacra Scrittura e la liturgia; aderì alla fede approvata nel Concilio di Efeso, ma fu poi scacciato dalla sua sede e morì in esilio.
nome Beato Federico Ozanam- titolo Co fondatore della Società di San Vincenzo de' Paoli- nome di battesimo Antoine-Frédéric Ozanam- nascita 23 aprile 1813, Milano- morte 8 settembre 1853, Marsiglia, Francia- ricorrenza 8 settembre- Beatificazione 22 agosto 1997 da papa Giovanni Paolo II- All'inizio del XIX secolo, la famiglia Ozanam era già da tempo cristiana, e, a ogni modo, era fiera di far risalire le sue origini a un ebreo, Samuele Hosannam, convertito al cristianesimo da S. Didier (Deodato di Nevers, 19 giu.) durante il viri secolo. Antonio Federico (Antoine Frédéric) nacque a Milano il 23 aprile 1813, uno dei quattro figli che sopravvissero dei quattordici di Giovanni Antonio e Maria Nantas. Giovanni Antonio, che per un certo periodo fu ufficiale nell'esercito di Napoleone, si era trasferito a Milano dopo aver lasciato l'esercito, svolgendo il tirocinio come medico. Nel 1816, dopo la caduta dell'impero, la famiglia si spostò a Lione, dove Federico, precoce dal punto di vista spirituale e intellettivo, ma anche, secondo la sua valutazione personale, pensieroso e testardo, fu istruito al collegio Reale. All'età di soli quindici anni, gli studi filosofici provocarono una grave crisi religiosa. Il modo sensibile e intelligente con cui fu guidato dal suo professore e mentore, l'abate Noirot, rafforzò la sua fede e lo convinse fermamente che il fine della sua vita avrebbe dovuto essere quello di dedicarsi al «servizio della verità». Allo scoppio della rivoluzione nel 1830, Federico studiava diritto, con soddisfazione del padre, che sperava che un giorno sarebbe diventato giudice. L'anno seguente si recò a Parigi, dove avvennero due episodi cruciali. In primo luogo, si accorse che il suo vero interesse non era la legge, ma la letteratura e, più in particolare, la storia della letteratura; secondariamente, instaurò un certo numero di relazioni significative che avrebbero poi influenzato il corso della sua vita. Partecipava attivamente ai dibattiti generati dalla rivoluzione, e all'età di soli diciotto anni, pubblicò un lungo articolo, Réflexions sur la doctrine de Saint-Simon, in cui denunciò la forma di liberalismo allora in voga, la sua fede nel progresso umano illimitato e la tendenza al panteismo. Quest'articolo attirò l'attenzione di un certo numero di pensatori cattolici liberali, inclusi Félicité de Lamennais, capo del gruppo, il domenicano Enrico Domenico Lacordaire e lo storico Charles de Montalembert. Altri amici significativi di quel periodo furono lo storico Frarnois René de Chateaubriand, il poeta Alfonso de Lamartine, e forse il più importante di tutti, Emanuele Bailly. Il contatto con il gruppo che si raccolse attorno a Lamennais mise in grado Federico di affinare le sue idee sulla natura della libertà (l'unica vera libertà, arrivò a pensare, è quella di «una coscienza cristiana illuminata da una valida filosofia e dalla rivelazione») e sull'importanza di una prospettiva storica. In quest'ultimo aspetto, in seguito criticò Lamennais, poiché pensava che quest'ultimo, in contrasto con i pensatori conservatori che non riuscivano a riconoscere l'importanza del futuro, avesse abbandonato la ~peni.* natica e con essa la fede del passato. Ammirava Chateaubriand peniamone per la saggezza con cui pensava di mantenere un equilibrio tra passato, presente e futuro. Federico mantenne i contatti con tutti i membri di questo circolo, e riuscì a portare Lacordaire sul pulpito di Notre-Dame, affinché le sue omelie quaresimali potessero giungere a un uditorio più ampio. Il contatto con Emanuel Bailly portò concretezza al pensiero di Federico, e un interesse pratico. Si unì al piccolo gruppo di giovani che Bailly stava guidando dal 1819 nella speranza di un rinascimento religioso in Francia, e subito difese accesamente la religione cristiana nel contesto storico, letterario e sociale. In seguito a queste discussioni, giunse a capire che l'impegno cristiano consiste sia/e (piuttosto che sia/o) nel fatto che l'attività apostolica deve essere nutrita da una fede profonda, e che quest'ultima deve condurre all'azione. È spesso ritenuto il fondatore di quella che divenne nota come la società di S. Vincenzo de' Paoli, ma è più giusto considerarlo solo un collaboratore. Fu il braccio destro di Bailly e lo spirito che animò il nuovo progetto, che coinvolse anche altri quattro giovani. Sebbene la società non fosse istituita ufficialmente prima del 1835, seguiva le norme delineate da FranQois Lallier, e la prima conférence de charité (così chiamata in contrasto con le conférences sulla politica economica e la filosofia storica che Federico aveva contribuito a organizzare sin dal 1832) ebbe luogo il 23 aprile 1833. Bailly stesso fu presidente in carica per i successivi undici anni, e Federico vicepresidente. La società seguiva il metodo delle visite domestiche di cui S. Vincenzo de' Paoli (27 set.) era stato pioniere, e nelle prime fasi i membri furono istruiti e appoggiati da una figlia della Carità, Rosalia Rendu, nota a Parigi come "la madre dei poveri", che aveva lavorato tra i poveri della città per trent'anni quando Federico la incontrò, e che probabilmente conosceva maggiormente la loro realtà rispetto a lui e ai suoi compagni. Il ruolo di Rosalia Rendu nella fondazione della Società di S. Vincenzo de' Paoli merita di essere più riconosciuto. Nel 1836, quando Federico aveva appena ottenuto il dottorato in legge, il padre morì, e il ragazzo passò un periodo di crisi. Giovanni Antonio aveva desiderato per il figlio una carriera legale: si combattevano battaglie intellettuali all'epoca, nel campo della letteratura, e, in senso più ampio, della storia e della filosofia. Non occorse molto tempo a Federico per decidere: si considerò come «un missionario della fede per la scienza e la società», e seguì la sua inclinazione. Cominciò a studiare per il dottorato in letteratura e nel 1839 discusse la sua tesi, Essai sur la philosophie de Dante. In seguito tornò a Lione, dove per un anno fu professore di diritto commerciale all'università. Come esposizione dell'insegnamento sociale cattolico, le ventiquattro conferenze del suo corso facevano riferimento all'enciclica Rerum Novarum (1891) e persino al Manifesto del partito comunista (1848). Per tutto questo periodo aveva pensato di diventare sacerdote, ma nel 1840 gli fu offerto il posto d'assistente di letteratura straniera (in altre parole europea non francese) alla Sorbona. Considerandolo un mandato di Dio, si trasferì definitivamente a Parigi; nel giugno del 1841 sposò Amalia Soulacroix, figlia del rettore dell'università di Lione, da cui ebbe una figlia, Maria, nata nel 1845. Fu un matrimonio straordinariamente felice e sebbene stranamente emergano pochi dettagli su di lei dalle fonti usuali della vita di Federico, l'amore e la fedeltà della moglie indubbiamente contribuirono a rendere possibile il suo lavoro. Oltre agli incarichi presso l'università (nel 1844 gli fu affidata la cattedra di letteratura straniera), alle conferenze che teneva presso il Circolo cattolico, e alle sue visite regolari ai poveri, Federico continuò ad accogliere a casa gli studenti, cosa che sarebbe stata difficile senza il grandissimo sostegno della moglie. Era molto amato dagli allievi, ispirati dal suo entusiasmo e dall'integrità intellettuale e morale. Uomo saggio e moderato, era ben conscio delle difficoltà di condurre una vita cristiana, e ammise che egli stesso doveva lottare contro l'arroganza, l'impazienza e la tendenza al perfezionismo che lo ostacolavano. Oltre a questa attività, si dedicò anche alla stesura di opere. Federico conosceva bene le lingue classiche, oltre all'ebraico e al sanscrito, e sapeva il tedesco, l'inglese, lo spagnolo, e l'italiano in particolare. Queste capacità gli permisero di addentrarsi nel vasto mondo della letteratura, che egli metteva in relazione, come sempre, con la storia del cristianesimo. Nel 1846, disse a un amico che progettava di scrivere «una storia letteraria del Medioevo dal v secolo a Dante», tuttavia, aggiunse: «studiando lenerson ~amò soprattutto tutte le opere del cristianesimo». La morte precoce impedì il completamento di questo progetto, ma le opere finite sono abbastanza numerose. Esistono due volumi sulla civiltà del v secolo e due volumi rispettivamente per il cristianesimo in Germania, e per la civiltà cristiana dei franchi. A parte due miscellanee, il resto è dedicato alla poesia e alla filosofia: un'opera sui poeti francescani dell'Italia del xin secolo (Amalie tradusse i Fioretti per questo volume), una su Dante e la filosofia cattolica, e infine una sul Purgatorio di Dante, in cui Federico si occupò della traduzione e della redazione. Tra le opere minori si trovano Les Deux Chanceliers d'Angleterre (1835), un doppio studio su S. Tommaso Becket (29 dic.) e Francesco Bacone. Nel 1848, credendo che i cattolici partecipassero attivamente alla creazione di uno stato democratico, sostenne il partito popolare contro Luigi Filippo. Pur non vincendo, Lacordaire lottò con successo per uno dei seggi di Marsiglia. Insieme fondarono nel 1851 L'Ère Nouvelle per esprimere le loro idee socialiste cristiane (ma furono delusi quando Napcileone III assunse il potere). Come la maggior parte delle persone che non hanno una salute robusta e la cui energia intellettuale è particolarmente notevole, Federico si spinse al limite delle sue forze. Nel 1850, sapeva già che la sua malattia era incurabile, e fu anche a causa dei problemi di salute che si recò in Italia nel 1853, oltre che per accettare la funzione di membro della prestigiosa Accademia della Crusca, che desiderava dargli un riconoscimento per il suo contributo agli studi sui francescani e su Dante. Durante questo soggiorno, divenne membro del Terz'ordine di S. Francesco, ma sulla via del ritorno a Parigi ebbe un collasso a Marsiglia, dove morì l'8 settembre 1853, circondato dalla sua famiglia e dai membri del ramo marsigliese della società di S. Vincenzo de' Paoli. Il corpo fu portato a Parigi, e sepolto nella cripta della chiesa carmelitana vicino all'Istituto Cattolico. Antonio Federico Ozanam è stato beatificato nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi il 22 agosto 1997 da papa Giovanni Paolo II, che l'ha presentato come un modello per i laici nella Chiesa. «Siamo pieni d'ammirazione», ha detto, «per tutto ciò che questo studente, professore e uomo di famiglia, ardente di fede e di inventiva nella carità, è stato capace di ottenere per la Chiesa, la società, e per i poveri, nel corso di una vita che è finita troppo presto.» La vita di Federico fu, in verità, tragicamente corta, e tuttavia al tempo della morte, la Società di S. Vincenzo de' Paoli si era estesa per tutta la Francia e stava iniziando a espandersi all'estero, e l'Trlanda fu uno dei primi paesi (nel 1844) a tenere un convegno. Oggi la società ha circa un milione di membri in centotrentadue paesi, e le donne sono accolte in alcuni congressi.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Marsiglia in Francia, transito del beato Federico Ozanam, che, uomo di insigne cultura e pietà, difese e propagò con la sua alta dottrina le verità della fede, mise la sua assidua carità a servizio dei poveri nella Società di San Vincenzo de’ Paoli e, padre esemplare, fece della sua famiglia una vera chiesa domestica.
nome San Tommaso da Villanova- titolo Vescovo- nascita 1486, Villanueva, Spagna- Ordinato presbitero 18 dicembre 1518- Nominato arcivescovo 10 ottobre 1544 da papa Paolo III- Consacrato arcivescovo 7 dicembre 1544 dal cardinale Juan Pardo de Tavera- morte 8 settembre 1555, Valencia, Spagna- ricorrenza 8 settembre- Incarichi ricoperti Arcivescovo metropolita di Valencia (1544-1555)- Beatificazione 7 ottobre 1618 da papa Paolo V- Canonizzazione 1º novembre 1658 da papa Alessandro VII- Attributi bastone pastorale- Patrono di Genzano di Roma- Tommaso (in lingua spagnola Toms) prende il cognome dalla città di Villanueva de los lnfantes, dove fu cresciuto. Suo padre Tomàs Garda, un minatore, proveniva da Villanueva, e così sua madre, Lucia Martinez de CastelLinos, ma la coppia si trasferì nella vicina Fuesillana dowercque Tommaso. All'età di sedici anni Miziò a frequentare la famosa università complutensc ad Alcalà de Henares, che era stata fondata dal cardinale Francesco Ximenez de Cisneros come strumento di riforma intellettuale nella Chiesa. Quando l'università fu formalmente riconosciuta dalla Bolla papale dcl 1508, Tommaso fu scelto per unirsi al corpo del Collegio Sant'lldefonso. Quattro anni più tardi, all'età di soli ventisei anni, fu nominato professore di filosofia. Ma non mantenne a lungo quest'incarico e il 21 novembre 1516 lasciò l'università per entrare nell'Ordine degli agostiniani a Salamanca. In precedenza, aveva condotto per anni una vita spirituale fervente, che i superiori apprezzarono. Nel 1518, dopo meno di due anni, fu ordinato sacerdote e immediatamente cominciò a predicare e a tenere un corso di teologia nel convento. Nella vita quotidiana aveva la tendenza a estraniarsi e aveva poca memoria. In ogni caso, quando cominciava ad approfondire un argomento era eccezionalmente lucido, e il suo autorevole giudizio era molto apprezzato dagli studenti. Basò le sue conferenze sulle opere di Pietro Lombardo e di S. Tommaso d'Aquino (28 gen.), non molto tempo prima che gli studenti dell'università gli chiedessero di partecipae. Nel 1519 fu eletto priore, incarico che svolse in un certo numero di case (incluse quelle di Burgos, Salamanca e Valladolid) nei successivi venticinque anni. Come priore fu particolarmente interessato a ogni frate, specialmente a quelli che erano malati. Nel corso degli anni, occupò anche un certo numero di incarichi regionali, incluso quello di vicario regionale. Nel governo mostrò saggezza e forza, combinati con una rara disposizione ad ammettere che i suoi progetti non sempre raggiungevano buoni risultati. A un certo pulito, prima del 1534, fu nominato provinciale di Castiglia e in quella veste inviò il primo gruppo di agostiniani come missionari in Messico; poi, nello stesso decennio, ma non si conosce la data precisa, fu nominato arcivescovo di Granada dall'imperatore, Carlo V (1519-1556), onorificenza che non volle accettare. In quest'occasione riuscì a defilarsi, ma non poté fare altrettanto nel 1544, quando Don Giorgio di Austria lasciò l'incarico di vescovo di Valencia. Secondo una versione tradizionale dei fatti l'imperatore voleva nominare Tommaso al suo posto; avendo deciso di rispettare, a ogni modo, il desiderio di quest'ultimo di non diventare vescovo, disse al suo segretario di scrivere una lettera di nomina per un altro religioso. Quando il segretario portò la lettera all'imperatore perché la firmasse, Carlo vide che era indirizzata a Tommaso di Villanova, e chiese spiegazioni: il segretario affermò che era il nome che gli era stato detto. Carlo pensò che questo fosse il volere di Dio e firmò la lettera, perciò Tommaso fu consacrato a Valladolid il 7 dicembre 1544. Vestito con il suo vecchio abito monastico, con un copricapo che aveva indossato dal giorno della professione dei voti, e accompagnato da un religioso e due servitori, si recò a piedi a Valencia. Sua madre, che aveva trasformato la casa in un ospedale per i poveri, gli suggerì di fermarsi a Villanova, ma Tommaso rifiutò, poiché credeva che il suo primo dovere fosse quello di vivere con il suo gregge, oltre ogni altra considerazione (anche se successivamente trascorse un mese di vacanza con la madre a Liria). Al suo arrivo a Valencia si recò direttamente al priorato agostiniano e trascorse diversi giorni in preghiera e penitenza, preparandosi alla consacrazione, che avvenne 11 gennaio 1545. Notando la sua povertà, i canonici cattedrali gli donarono quattrocento corone affinché ammobiliasse la sua residenza. Fu un gesto gentile e ben intenzionato, e Tommaso accettò il denaro ringraziando, ma lo donò immediatamente all'ospedale, spiegando ai canonici: «Nostro Signore sarà servito e glorificato meglio, se il vostro denaro è speso per i poveri dell'ospedale, che hanno bisogno di così tante cure, piuttosto che per me. Che cosa servono i mobili a un povero frate come me?». L'aspetto esteriore di Tommaso chiaramente divenne fonte di un certo imbarazzo per i canonici, oltre che per la famiglia, che non capivano che la nomina ad arcivescovo di Valencia non aveva trasformato la visione di se stesso, o il suo rapporto con il popolo con cui venne in contatto. Continuò a indossare un solo abito (per alcuni anni lo stesso che aveva portato con sé dal monastero e che si rammendava da solo), mentre i canonici avrebbero preferito vederlo con abiti migliori, più adatti, come pensavano, alla sua dignità episcopale. «Signori,» disse loro «vi sono molto riconoscente della cura che vi prendete di me, ma veramente non vedo come il mio abito possa interferire con la mia dignità di arcivescovo. Sapete perfettamente bene che la mia posizione e i miei doveri non dipendono dai miei vestiti, e consistono nel prendersi cura delle anime che mi sono state affidate». Quando i canonici alla fine riuscirono a persuaderlo a rimpiazzare il suo vecchio cappello di stoffa con uno di seta, lo indicò con divertita insofferenza: «Guardate, la mia dignità episcopale». Il vero interesse e impegno di Tommaso fu la diocesi, che era stata senza un vescovo residente dal 1527: si preoccupò di visitare tutte le chiese, per avere un'idea diretta delle loro condizioni, visite che ebbero un effetto immediato e potente sul popolo, la maggior parte del quale fu ispirata dalla sua predicazione a cambiare stile di vita, ma che allo stesso tempo portarono alla luce vari abusi del clero. Per porvi rimedio, convocò un sinodo provinciale nel 1548, nel quale discusse questa questione con i colleghi vescovi e stilò delle norme che miravano ad abolire tali abusi, precorrendo in un certo senso il Concilio di Trento. Non per niente Tommaso era conosciuto come il "donatore d'elemosine"; ogni giorno diverse centinaia di persone giungevano alla sua porta, dove potevano ricevere un pasto, del vino e una moneta. Mostrò un interesse particolare per le giovani spose povere, e per gli orfani e i trovatelli (per incoraggiare i custodi a cercare i trovatelli, era solito dar loro una corona per ogni bambino che gli avessero portato). Inoltre, nel 1550, quando i pirati saccheggiarono una città costiera vicino a Valencia, inviò del tessuto per farne abiti, assieme a una somma di denaro per comprare altri generi necessari e riscattare i prigionieri. Il popolo talvolta si lamentava che alcuni dei suoi assistiti approfittavano di lui, al che egli replicava: «Se ci sono vagabondi e fannulloni qui, il governatore e il prefetto di polizia devono occuparsi di loro (è il loro dovere). il mio è di assistere e di alleviare le sofferenze di coloro che bussano alla mia porta». Oltre a essere generoso, tentò anche di spingere i ricchi a fare altrettanto. Come pastore d'anime, Tommaso era sempre riluttante a esercitare la sua autorità per spingere il popolo ad agire, o a criticarlo perché non lo faceva. Accorgendosi che con ciò che chiamava «uso sconsiderato dell'autorità» quasi mai otteneva l'effetto desiderato, preferì fare degli appelli e usare la forza della persuasione. Quando un teologo e avvocato di diritto canonico si lamentò dello spiacevole ritardo nell'affrontare la questione del concubinato nel clero, Tommaso disse di lui: «È senza dubbio un uomo buono, ma uno di quegli uomini ferventi menzionati da S. Paolo (29 giu.) che possiedono lo zelo, ma non la conoscenza. É consapevole quest'uomo buono della cura che ho avuto e delle pene che ho sofferto per correggere coloro contro i quali inveisce?». Una volta un sacerdote criticato da Tommaso per il suo comportamento protestò ingiuriosamente, e se ne andò pieno di rabbia; i cappellani stavano per seguirlo, ma Tommaso li fermò: «à colpa mia,» disse «le mie rimostranze sono state un po' troppo sgarbate». Tommaso ebbe lo stesso atteggiamento nei confronti dei nuevos cristianos, o moriscos, in altre parole i musulmani che si erano convertiti al cristianesimo, la cui conversione in primo luogo non era né duratura, né autentica. Molti di loro furono trattati duramente dall'Inquisizione spagnola; Tommaso non fu in grado di aiutarli, ma riuscì a persuadere l'imperatore a fornire un sostegno finanziario ai sacerdoti cui era stato chiesto di lavorare con loro, e fondò un collegio per i figli dei neo convertiti. Furono raccolti molti esempi dei doni soprannaturali di Tommaso, inclusi i miracoli avvenuti tramite la sua intercessione, prima e dopo la morte, ma ancor più notevole era la sua spiritualità, che trovava espressione nella preghiera costante. I suoi servitori erano così colpiti, che erano riluttanti a disturbarlo mentre stava pregando, anche se aveva ordinato loro di non fare aspettare i postulanti, e di chiamarlo non appena fossero arrivati. Non è del tutto chiaro il motivo dell'assenza di Tommaso, come di molti altri vescovi, al Concilio di Trento (la ragione più probabile sembra che la sua presenza fosse molto più utile nella diocesi) perciò fu rappresentato dal vescovo di Huesca, e i vescovi della Castiglia lo consultarono prima di partire. Tommaso li spinse a perorare la necessità della Chiesa di emettere delle leggi per una riforma interna, parimenti all'esigenza di affrontare gli insegnamenti di Lutero. Propose anche due suggerimenti interessanti, nessuno dei quali fu attuato, anche se entrambi tipici del suo pensiero: il primo prevedeva di assegnare un beneficio pastorale a qualcuno del luogo; l'altro di ripristinare un antico canone in base al quale era proibito il trasferimento dei vescovi da una sede all'altra. Tommaso stesso sentiva di avere un legame particolarmente stretto, quasi nuziale, con la sua diocesi, e una profonda consapevolezza del modo in cui compiva i suoi doveri (chiese anche di dimettersi in diverse occasioni, permesso che gli fu sempre negato). Nell'agosto del 1555, fu colpito dall'angina, e accorgendosi che probabilmente non gli sarebbe restato molto tempo, distribuì il suo denaro ai poveri e tutte le sue proprietà al rettore del suo collegio, eccetto il letto, che donò alla prigione locale, tenendolo in prestito finché ne ebbe bisogno. L'8 settembre chiese di celebrare una Messa nella sua stanza, e morì in pace, subito dopo la comunione del sacerdote, poi fu seppellito, secondo il suo desiderio, nella chiesa dei frati agostiniani a Valencia. Mentre era in vita fu definito "modello dei vescovi", "donatore d'elemosine", "padre dei poveri", e nacque un culto subito dopo la morte. Un frate agostiniano, Angelo Le Proust, fondò le suore di S. Tommaso per continuare l'attività che Tommaso aveva svolto in favore dei poveri. Fu beatificato nel 1618 e canonizzato h novembre 1658 da papa Alessandro VII (1655-1667), che gli dedicò la parrocchia a Caste! Gandolfo; le reliquie si trovano ora nella cattedrale di Valencia. La letteratura spirituale spagnola fu influenzata molto dalle sue omelie, oltre che dalle opere, entrambe di alto livello. Fu essenzialmente un teologo pastorale, i cui scritti rispecchiavano la sua predicazione. L'insegnamento riguardo la Madonna e l'amore di Dio gli fecero guadagnare il titolo di "Bernardo spagnolo". Alcune università hanno preso il suo nome in Australia, a Cuba e negli Stati Uniti. MARTIROLOGIO ROMANO. A Valencia in Spagna, san Tommaso da Villanova, vescovo: eremita sotto la regola di sant’Agostino, accettò per obbedienza l’ufficio episcopale ed eccelse, tra le altre virtù di pastore, per un amore per i poveri così ardente da dilapidare tutto per i bisognosi, senza lasciare per sé neppure un piccolo letto.
nome San Corbiniano- titolo Vescovo, missionario in Baviera- nascita Chkre, Francia- morte 8 settembre 725, Obermais, Bolzano- ricorrenza 8 settembre- Incarichi ricoperti Vescovo di Frisinga- Patrono di Arcidiocesi di Monaco e Frisinga- Le informazioni su questo primo apostolo della Baviera sono relativamente esaurienti, grazie a una Vita scritta da Aribone, in generale attendibile, specialmente per quanto riguarda le relazioni del vescovo con i duchi di Baviera. Corbiniano nacque a Chkre, a nord ovest di Troycs, in Francia. Un'altra fonte lo definisce Britannorum genere ortus, ma è meno attendibile, a dispetto del fatto che la sua opera dovrebbe essere vista nel contesto delle missioni irlandesi nel continente di questo periodo. Fu battezzato con il nome di Valdegiso come suo padre, ma successivamente diventò noto come Corbiniano, presumibilmente poiché la madre gli diede il suo nome. Per quattordici anni visse come recluso in una cella che costruì vicino a una cappella a Chàtre, consigliando quelli che venivano a consultarlo su questioni spirituali, e presto avvennero dei miracoli, attribuiti alla sua intercessione. La fama della sua santità cominciò a espandersi, non molto tempo prima che si formasse una congregazione religiosa sotto la sua guida. Alla fine, si accorse che la direzione di una congregazione lo distraeva troppo, e pensando di trovare un nuovo ritiro dove poter vivere nell'oscurità, partì per Roma. Non è chiaro se fosse già stato ordinato sacerdote o no, o se era vescovo, in questo periodo. In base a uno dei racconti, papa S. Gregorio II (715-731; 11 feb.) lo nominò vescovo di Frisinga, ma il suo nome non compare in nessun elenco prima del 784, e, in modo più indicativo, la sede non fu stabilita in quel luogo fino al 739 circa. È più probabile che il papa lo abbia inviato in missione in Baviera in veste di missionario, sotto la protezione del duca Grimoaldo; a ogni modo, poiché quest'ultimo aveva sposato la vedova del fratello, Biltrude, rifiutò di trattare con lui finché i due accettarono di separarsi. I mesi seguenti furono carichi di tensione e incertezza: Biltrude offendeva Corbiniano il più possibile, cospirò persino per farlo uccidere, mentre l'asprezza di quest'ultimo, messa in evidenza da Aribone, non rese le cose facili. Si recò in una sorta di esilio a Merano, dove restò finché Grimoaldo fu ucciso in battaglia e Biltrude rapita dai franchi. Richiamato dal successore di Grimoaldo, organizzò l'attività missionaria in tutta la Baviera. Alla sua morte nel 725, fu seppellito in un monastero che aveva fondato a Obermais, vicino a Merano, ma Aribone, suo unico successore, fece trasferire i resti a Frisinga, nel 765. È patrono di Monaco-Frisinga, ma esiste anche una cappella in suo onore a Hotting, vicino a Innsbruck, e alcune delle sue reliquie sono conservate ad Arpajon, più vicine al suo presunto luogo di nascita in Francia. Durante il suo secondo viaggio a Roma San Corbiniano fu assalito da un orso uccidendo il mulo che portava i bagagli del santo. Irritato per il contrattempo Corbiniano ordinò all'orso di ammansirsi e di portare lui stesso i pesi che avrebbe dovuto portare il mulo. L'orso obbedì, si fece imporre il basto e placidamente seguì fino a Roma il santo dove questi lo affrancò dal suo impegno e lo lasciò libero. MARTIROLOGIO ROMANO. A Frisinga nella Baviera, in Germania, san Corbiniano, che, ordinato vescovo e mandato a predicare il Vangelo in Baviera, raccolse frutti copiosi.
nome San Pietro di Chavanon- titolo Sacerdote- nascita 1003 circa, Langeac, Francia- morte 1080 circa, Pébrac, Francia- ricorrenza 8 settembre- Un racconto relativamente dettagliato di Pietro di Chavanon è stato tramandato sotto forma di biografia, scritta quasi quarant'anni dopo la sua morte da un monaco di Pébrac. Pietro nacque in una nobile famiglia a Langeac nella regione francese dell'Alvernia, tra il 1003 e il 1007, ricevette una buona educazione e abbastanza presto sentì di avere una vocazione per il sacerdozio. Dopo essere stato ordinato sacerdote tornò a Langeac, dove, oltre ai suoi doveri pastorali, che compì con gran fedeltà e impegno, pur conducendo una vita privata molto austera, fu cappellano del convento a Saint-Pierre-les-Chases. Il suo biografo mette in relazione la decisione di lasciare l'attività pastorale per entrare in una congregazione a un evento legato a una monaca, che sembra abbia tentato di farlo cadere in tentazione. Non è chiaro cosa accadde esattamente; il biografo descrive la monaca come sanctimonialis femina quae potius daemonialis dicenda est (una donna consacrata che sarebbe stato meglio descrivere come diabolica). Secondo questa versione la donna si avvicinò a Pietro mentre stava dormendo in un granaio, eludendo la sorveglianza della badessa e di alcune monache, con la scusa di controllare la trebbiatura del grano. Questo racconto, che termina con le dimissioni di Pietro dall'incarico di cappellano e di parroco, è probabilmente esagerato, e scritto per suscitare interesse. È più probabile che Pietro, già spinto dall'attività di riforma del sinodo lateranense del 1059 a vivere osservando una regola, abbia accelerato la propria decisione in seguito al fatto. Dopo essersi liberato da questi impegni, nel 1060 circa, fondò e costruì un monastero per canonici regolari su certe terre a Pébrac, che gli erano state donate. Insieme ai suoi confratelli visse seguendo la regola di S. Agostino, accettando la vita comunitaria e la povertà individuale prescritta ai canonici regolari dal recente sinodo. Pietro morì l'8 settembre tra il 1080 e il 1085, fu seppellito a Pébrac, e il culto velocemente approvato. Si narra che il popolo si recava sulla sua tomba in particolare per guarire da ogni tipo di febbre. Jean-Jacques Olier, fondatore del seminario di Saint-Sulpice, fu nominato abate in commendam di questa casa nel 1626, all'età di soli diciotto anni. MARTIROLOGIO ROMANO. A Pébrac nel territorio di Puy-en-Vélay in Francia, san Pietro da Chavanon, sacerdote, che, aspirando a una vita più perfetta, si ritirò in questo luogo, dove edificò un cenobio di Canonici regolari, di cui fu anche guida.
nome Sant'Adriano- titolo Martire- ricorrenza 8 settembre- Santuario principale Chiesa di Sant'Adriano al Foro a Roma, Abbazia di Sant'Adriano a San Demetrio Corone Argyropolis a Costantinopoli, Geraardsbergen in Belgio- Attributi abiti di soldato romano, spada e incudine; arti spezzati- Patrono di macellai, Matelica- Adriano di Nicomedia, un ufficiale pagano alla corte imperiale, vide la luce del Cristianesimo attraverso la testimonianza di ventitré cristiani martirizzati. Profondamente commosso dalla loro fede, Adriano si convertì e dichiarò il suo nuovo credo, venendo così imprigionato per la sua decisione.<br /> Natalia, sua giovane moglie cristiana, venne a sapere dell'arresto del marito e corse alla prigione. Nonostante il rischio, lo visitava regolarmente, confortandolo e prendendosi cura di lui con amore e dedizione. Quando Adriano fu condannato a morte, Natalia lo sostenne fino all'ultimo respiro. L'imperatore cercò di persuadere Adriano a rinunciare alla sua fede, ma questi rimase saldo nella sua convinzione. Venne quindi frustato e riportato in cella, mentre Natalia continuava a dimostrare la sua forza e il suo sostegno, assistendo anche agli altri prigionieri e prendendosi cura di loro. Alla fine, Adriano fu condannato a morte per spezzamento degli arti, insieme ad altri cristiani. Natalia, con coraggio e amore, chiese che il marito fosse ucciso per primo, per risparmiargli la vista dell'agonia degli altri. Si inginocchiò accanto a lui durante l'esecuzione, mostrando coraggio e devozione straordinari. Dopo la morte di Adriano, Natalia continuò a testimoniare la sua fede, rifiutando le proposte di matrimonio di un ufficiale imperiale e preferendo la morte. Portò la mano di Adriano ad Argyropolis, dove morì poco dopo, unita per l'eternità al marito e agli altri martiri.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, commemorazione di sant’Adriano, martire, che a Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, subì il martirio e in suo onore il papa Onorio I trasformò in chiesa la curia del Senato Romano.