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I santi di oggi 2 settembre:
nome Sant'Elpidio- titolo Abate- nascita IV Secolo, Cappadocia- morte IV Secolo, Piceno- ricorrenza 2 settembre- Santuario principale
Chiesa di Sant'Elpidio abate a Sant'Elpidio a Mare- Patrono di Sant'Elpidio a Mare, Sant'Elpidio Morico- Visse nel IV secolo probabilmente nel Piceno. Le notizie che lo riguardano sono molto confuse: Pietro da Natalibusa narra che fosse un eremita di Gerico e giunto successivamente in Italia dove sarebbe morto, altre fonti lo ritengono originario della Cappadocia, altri ancora lo lo identificano come diacono di San Basilio, ricordato nella vita di S. Carotone. Di Sant'Elpidio è stata anche redatta una vita intorno al XII secolo, e trovata in un leggendario della Biblioteca Capitolare di Spoleto, ma purtroppo non sono attendibili, ma la devozione così largamente diffusa ne conferma l'esistenza. Il suo culto è però particolarmente vivo nel Piceno, dove diverse città portano il suo nome, e proprio per questo motivo si ritiene probabile che egli sia vissuto proprio in questa regione a nord di Ascoli Piceno. Alcune cittadine portano il nome del santo, come S. Elpidio a Mare, S. Elpidio Morico, Porto S. Elpidio. Lo scrittore Palladio, lo ricorda nella sua Storia Lausiaca come un eremita vissuto per molti anni in una spelonca presso Gerico. Sempre lui elogia e tesse le lodi di questo asceta che, allontanatosi dalla comune società e dalla compagnia degli uomini, scelse di ritirarsi in solitudine. Proprio nell'epoca in cui visse Sant'Elpidio, inoltre, quindi probabilmente nel IV secolo, si stava affermando una nuova forma di monachesimo, il cosiddetto "cenobitismo", cioè della vita comunitaria, il cui iniziatore fu San Pacomio. Fu lui a fondare i primi conventi di uomini e donne nella Tebaide, presso il Nilo, dove a capo di ogni struttura vi era l'abate, il cui compito era quello di fare osservare la regola comune, imporre la castità, il lavoro, il digiuno e la preghiera. MARTIROLOGIO ROMANO. Nelle Marche, sant’Elpidio, del cui nome fu poi insignita la cittadina, in cui si conserva il suo corpo.
nome San Nonnoso- titolo Priore- ricorrenza 2 settembre- Santuario principale Cattedrale di Frisinga e Monastero di Suppentonia- Attributi Lampada a olio, Dalmatica- Patrono di Diocesi di Nepi, Diocesi di Sutri, Portatori di malattie ai reni, Portatori di handicap, Studenti; Compatrono di Frisinga e Castel Sant'Elia- Esistono così poche informazioni su Nonnoso da non renderlo particolarmente interessante in se stesso, tuttavia sono degne di nota perché illustrano il metodo di S. Gregorio Magno (3 set.), sua sola fonte, oltre alla storia del culto. Nel 593, alcuni amici chiesero a Gregorio di creare un compendio delle storie dci miracoli operati dai santi italiani, e una delle persone cui chiese aiuto fu Massimiano, vescovo di Siracusa, in particolare per avere notizie su «l'abate Nonnoso» (de donino Nonnoso qui iuxta domnum Anastasium de Penturnis fuit). Massimiano riferì i particolari a Gregorio, che ammise di esserne già venuto a conoscenza, ma poi dimenticati (oblivione mandavi). Li aveva appresi da un vecchio monaco che, come Nonnoso, era vissuto nel monastero di Suppentonia vicino a Civita Castellana, sotto la guida dell'abate Anastasio, che si dichiarò suo amico. Gregorio, che descrive Nonnoso come umile e particolarmente buono, afferma che fu priore del monastero sul Monte Soratte, sotto la direzione di un abate particolarmente severo e austero, per un certo periodo, durante il quale gli furono attribuiti tre miracoli: il primo, simile a quello di S. Gregorio Illuminatore (30 set.), fu la rimozione di una roccia così grande che neanche cinquanta coppie di buoi sarebbero riuscite a trascinare via da un terreno che il priore aveva intenzione di trasformare in giardino; il secondo, quando con le sue preghiere riuscì a mettere insieme i frammenti di una lampada di vetro che gli era caduta, evitando così i rimproveri del severo abate, miracolo simile a quello attribuito a S. Donato, vescovo martire di Arezzo.<br /> Sembra che l'ispirazione del terzo miracolo sia tratta dal profeta Eliseo: un anno, il raccolto di olive del monastero andò perduto, e l'abate disse ai monaci di uscire dal convento e recarsi a lavorare per ottenere in cambio un po' d'olio dai contadini, ma Nonnoso, temendo che il raccoglimento dei monaci fosse di conseguenza disturbato, chiese all'abate di revocare l'ordine, di dire ai monaci di prendere le poche olive raccolte e di porre un po' dell'olio ottenuto dalla spremitura in ogni recipiente disponibile, poi trascorse la notte pregando. Il mattino seguente i contenitori erano pieni. Gregorio non riferisce la data della morte di Nonnoso, dice solo che fu sepolto sul Monte Soratte; quando la zona fu devastata dai saraceni alla fine del D( secolo, i resti furono portati a Suppentonia, poi, a metà dell'xi secolo, a Frisinga, dove furono riscoperti nel 1161, durante alcuni restauri, e seppelliti nuovamente nella cripta della cattedrale. Molto più tardi, nel 1708, quando nessuno era in grado di ricordare dove fossero, furono ritrovati, e questa volta collocati in un bel sepolcro nella cripta della cattedrale, durante una festa in onore del santo che durò una settimana. Non si conosce la data del successivo trasferimento del cranio a Bamberga, dove è ancora oggetto di devozione. S. Nonnoso è venerato da coloro che soffrono di malattie renali, che per secoli hanno compiuto la cosiddetta reptatio per cryptam o Durchschiipfsbrauch, uno strano piccolo rituale che consiste nel camminare carponi per tre volte attorno al sepolcro, implorando l'aiuto del santo. Il nome di Nonnoso non compare in nessuno dei martirologi antichi, ed è citato per la prima volta in una raccolta di leggende austriache del XII secolo. Il culto, che sembra essere stato esteso in Baviera, rifiorì grazie all'impegno di un monaco cistercense chiamato Andrea di San Bonaventura tra il 1655 e il 1658, sul Monte Soratte, dove nel 1661 furono riportate parte delle reliquie.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. Sul monte Soratte sulla via Flaminia nel Lazio, san Nonnoso, abate.
nome Sant'Antonino di Apamea- titolo Martire- nascita IV secolo, Siria- morte IV secolo, Siria- ricorrenza 2 settembre- Attributi Palma del martirio- Patrono di Palena, Monte Porzio Catone, Fara in Sabina, Ornaro, Pico, Pofi, Viticuso, Pamiers, Polverigi, Torre de' Passeri, Giuncugnano, Quattro Castella, Casanova Lerrone, Vendone, Carpasio, Lucinasco, Sant'Antonino di Susa, Chiusa di Pesio, Entracque, Caprauna, Occhieppo Inferiore, Ficarolo, Levizzano Rangone- Esistono numerosi martiri di nome Antonino, ma non sembrano esserci dubbi sull'autenticità di questo santo. In passato, è stato confuso con almeno due degli altri santi, incluso «Antonino, un ragazzo» citato nel Martirologio Romano con il vescovo martire d'Alessandria, S. Aristeo. A ogni modo, è quasi certamente l'Antonino che, secondo lo stesso Martirologio, morì a Pamiers e la cui festa è ancora celebrata in Oriente il 9 novembre. È inoltre patrono di Palencia in Spagna, che ha ottenuto alcune delle sue reliquie. Secondo la leggenda orientale, era un tagliapietre che zelantemente rimproverava ai suoi concittadini di adorare le statue degli idoli. Dopo aver esposto le sue idee, andò a vivere sotto la guida di un eremita del luogo, di nome Teotimo. Dopo due anni, contro il consiglio dell'eremita, ritornò in città, e scoprendo che il popolo ancora adorava gli stessi idoli, si recò subito al tempio e distrusse le immagini degli dei. Il popolo infuriato lo cacciò dalla città, costringendolo a rifugiarsi ad Apamea. Pensando di fargli un favore, il vescovo della città gli chiese di costruire una chiesa, facendo infuriare a tal punto gli abitanti non cristiani da farli rivoltare contro Antonino, che venne ucciso alla presunta età di vent'anni. Secondo il sinassario armeno, il vescovo fece costruire sul luogo di sepoltura di Antonino ad Apamea una chiesa, rasa al suolo nel vu secolo, ma citata negli atti di un sinodo siriano del 518. Per quanto riguarda il trasferimento delle sue reliquie, l'esistenza di spiegazioni leggendarie suggerisce sia avvenuto in una fase abbastanza antica. A Saint-Antonin-de-Rouergue (Tarn-et-Garonne) nell'XI secolo, per esempio, un monastero affermava di possedere il suo cranio e parte del corpo, trasportati là, si diceva, dai fiumi Ariège, Garonna, Tarn, e Aveyron in una barca miracolosamente guidata da un angelo.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Apamea in Siria, sant’Antonino, martire, che, scalpellino, si tramanda sia stato ucciso a vent’anni dai pagani per avere abbattuto, a motivo della sua ardente fede, i loro idoli.
nome Beata Ingrid Elofsdotter- titolo Vedova- nascita XIII secolo, Skänninge, Svezia- morte 1282, Skänninge, Svezia- ricorrenza 2 settembre- Ingrid nacque attorno alla metà del XIII secolo nell'Östergötland, a Skänninge, ricevette subito un'educazione cristiana e anche quando fu obbligata a nozze non venne meno il suo amore per il Signore. Rimasta vedova, effettuò un pellegrinaggio in Terra santa per poi andare a Roma e quindi a Santiago di Compostela con sua sorella e altre donne nella speranza della fondazione di un convento a Skänninge. Ciò avvenne grazie all'interessamento di Pietro di Dacia, un sacerdote domenicano di cui Ingrid divenne seguace; si fece così suora domenicana lei stessa, la prima in Svezia, e fondò il 15 agosto 1281 il convento domenicano di san Martino a Skänninge, il primo del paese. Ciò avvenne inoltre alla presenza di re Magnus III di Svezia. Divenne priora del convento e salì alla casa del Padre un anno dopo. MARTIROLOGIO ROMANO. A Skänninge in Svezia, beata Ingrid Elofsdotter, che, rimasta vedova, consacrò tutti i suoi beni alla gloria di Dio e dopo un pellegrinaggio in Terra Santa vestì l’abito delle monache dell’Ordine dei Predicatori.
nome Beati Giovanni Maria du Lau d’Allemans, Francesco Giuseppe e Pietro Ludovico de la Rochefoucauld- titolo Martiri della Rivoluzione francese- ricorrenza 2 settembre- Beatificazione 1906; 1920; 1925; 1926; 1934; 1955; 1984; 1995; 2011 e 2012- Canonizzazione 2016- I martiri della Rivoluzione francese sono commemorati collettivamente il 2 gennaio, mentre la festa in data odierna celebra un gruppo molto particolare di martiri, che morirono tutti in quattro prigioni a Parigi, il 2 e 3 settembre 1792. La Chiesa enumera e venera cento novantuno martiri, per la stragrande maggioranza ecclesiastici, ma la loro morte deve essere necessariamente vista nel contesto più ampio di una serie di atrocità sfrenate che provocarono la morte di molte altre persone che caddero per la loro fede, inclusi alcuni il cui nome è rimasto ignoto e più di quaranta giovani con meno di diciotto anni. Poiché il massacro avvenne illegalmente, gli archivi ufficiali erano quasi inesistenti, e persino questi rimasero distrutti nell'incendio all'Hotel de Ville a Parigi nel 1871. Le fonti d'informazione più importanti furono i testimoni oculari, in particolare quei pochi sacerdoti che riuscirono a scappare. Con la promulgazione della Costituzione Civile del Clero il 12 luglio 1790, l'Assemblea Costituente effettivamente alienò ogni sostegno che la Chiesa avrebbe potuto offrire alla Rivoluzione. Dichiarando che il clero francese era al servizio del pubblico, indipendente dalla Santa Sede, si richiedeva a ognuno di giurare alleanza alla Costituzione. Inizialmente ogni ecclesiastico che avesse rifiutato sarebbe stato privato di tutti suoi beni, ma successivamente, nel 1792, la condanna si tramutò in pena di morte. Alcuni ecclesiastici, inclusi quattro vescovi e un certo numero di sacerdoti, che provenivano in gran parte da zone non urbane, non pensando che fosse un rinnegamento della fede e della morale, prestarono giuramento. La maggioranza, pensando fosse una mossa politica contro la Chiesa romana e un tentativo di creare una Chiesa nazionale, scismatica, al suo posto, rifiutò: si trattava dei refrattari. La Chiesa s'indebolì, poiché divisa, sebbene le autorità gerarchiche condannassero immediatamente il decreto come illegale. Questa condanna fu confermata, ma solo dopo dieci mesi, il 10 marzo 1791, da papa Pio VI (1775-1799), che definì il decreto «eretico, contrario all'insegnamento cattolico, sacrilego, e in contrasto con i diritti della Chiesa». Per tutto il 1791, fu fatta pressione sui refrattari perché pronunciassero il giuramento; alcuni si recarono all'estero, e di quelli che abbandonarono le loro parrocchie, non pochi andarono a Parigi, dove vissero anonimamente tra i lazzaristi, i sulplici e altri. L'atteggiamento antireligioso dell'Assemblea Legislativa si rafforzò e il 29 novembre si decretò che ogni sacerdote che non avesse prestato giuramento entro otto giorni sarebbe stato accusato di avere mauvaises intentions vers la Patrie (in altre parole, di essere un traditore). Nell'aprile del 1792, questa accusa fu rivolta a quasi tutti i sacerdoti, senza tenere conto della loro opinione. La Francia aveva dichiarato guerra a una lega capeggiata dall'imperatore austriaco, Giuseppe II (1780-1790), e da Federico Guglielmo II (1786-1797), re di Prussia, e il papa era stato persuaso da sacerdoti emigrés a Roma a dichiarare il suo sostegno in favore della coalizione. Schedati ora come nemici della Rivoluzione, gli ecclesiastici comparvero in modo prominente accanto ai membri dell'aristocrazia e a molti altri che furono arrestati durante le ultime due settimane dell'agosto 1792. Il giorno 23, la fortezza a Longwy si arrese alle armate della coalizione, il 30 Verdun fu posta sotto assedio, e la rivolta contadina della Vandea contro la Rivoluzione rese ulteriormente instabile una situazione già incerta. Lo stato d'animo che regnava a Parigi, dove la monarchia era stata appena abolita, era un miscuglio di panico, terrore e trionfalismo. Ci fu un'euforia marziale, quando il Concilio Esecutivo Provvisorio reclutò trentamila volontari, ma allo stesso tempo il popolo si convinse che, una volta che le truppe fossero partite, Parigi sarebbe stata indifesa contro una fuga di massa dalle prigioni. Nulla può giustificare ciò che accadde successivamente, ma parte della colpa risiede nel linguaggio infiammato e nell'atteggiamento laissezfaire dei capi della Rivoluzione. Domenica 2 settembre, Marat affermò retoricamente su L'Ami du Peuple: «Cittadini, il nemico è alle porte! [...] Non un singolo nemico deve restare a Parigi per godere della nostra disfatta!». Quello stesso pomeriggio, ventiquattro sacerdoti che erano stati segnalati per la deportazione furono assaliti da una folla ostile mentre si recavano sotto scorta armata dalla mairie alla prigione Abbaye. Fin qui la situazione fu contenuta, ma quando raggiunsero la prigione una folla più grande chiese che fossero "giudicati", processo che fu condotto in modo sommario dal famigerato Stani-slao Maillard, che si era fatto un nome all'inizio della Rivoluzione e che ora capeggiava una compagnia di paramilitari. Quando i sacerdoti rifiutarono di prestare giuramento d'alleanza alla Costituzione furono lasciati nelle mani della folla, che ne uccise la maggioranza. Cinque di loro sopravvissero per testimoniare quello che era successo, incluso l'abate Roch, Ambrogio Sicard, il cui imprigionamento mostrò quanto fossero diventati arbitrari gli arresti: era giunto da Bordeaux a Parigi nel 1789, e come fondatore e direttore di una scuola per bambini sordomuti era immensamente popolare tra gli operai della città. Tra i diciannove sacerdoti martiri c'era il confessore del re, Alessandro Lenfant, che precedentemente era stato gesuita (la Compagnia di Gesù era stata soppressa tra il 1759 e il 1814), amico e sostenitore della famiglia reale in precedenza. Successivamente, quel giorno, ebbe luogo una simile carneficina nella chiesa carmelitana a Rue de Rennes, dove erano rinchiusi centocinquanta vescovi e sacerdoti, oltre a un laico («non c'è più niente da fare qui», si dice abbia affermato Maillarel dopo il massacro all'Abbaye, «perciò andiamo dai carmelitani»). Diversi ve-scovi e alcuni sacerdoti stavano recitando il vespro in una cappella quando la banda organizzata di assassini irruppe nel giardino e uccise il primo sacerdote che incontrò. L'arcivescovo di Arles, Jean-Marie du Lau, uscì dalla cappella, seguito dal vescovo Frangoise Joseph de la Rochefoucauld di Beauvais e suo fratello, il vescovo Pierre Louis de la Rochefoucauld di Saintes, per scoprire cosa stesse succedendo. L'arcivescovo di Arles fu sommariamente giustiziato appena ammise la sua identità, e nell'attacco armato che seguì, il vescovo di Beauvais fu colpito a una gamba. A questo punto sembra che anche gli esecutori del crimine fossero impressionati dalla casualità delle uccisioni, e fu nominato un "giudice" che approvasse le sentenze, seduto in un corridoio tra la chiesa e la sacrestia, davanti al quale furono portati a due a due i prigionieri, inclusi quelli che avevano tentato disperatamente di scappare. Nessuno era disposto a prestare giuramento, ma tutti erano pronti alla morte, mentre scendevano le scale. Quando fu pronunciato íl nome del vescovo di Beauvais, quest'ultimo rispose: «Non rifiuto di morire con gli altri, ma non posso camminare. Per favore siate gentili abbastanza per portarmi dove volete che io vada». Con queste parole zitti i suoi accusatori, ma non si salvò. Solo verso la fine delle esecuzioni, qualcuno fu liberato e anche altri riuscirono a scappare, ma al termine della giornata erano state assassinate novantacinque persone, compresi il laico, Charles de la Calmette, conte di Valfons, e il suo confessore, Jean Guilleminet; il superiore generale dei benedettini mauristi, Ambroise Augustine Chevreux, e altri due monaci; Frangois Louis Flébert, confessore di Luigi XVI; Jacques Friteyre-Durvé e altri quattordici gesuiti; e Jacques Galais, che, come unico responsabile degli approvvigionamenti in prigione, passò al "giudice" i trecentoventicinque franchi che doveva a chi forniva il cibo. Tra le vittime c'erano anche tre francescani, un fratello cristiano, trentotto membri del seminario di Saint-Sulpice, sei vicari generali diocesani, tre diaconi, e un accolito. Il massacro continuò durante la notte, senza che le autorità tentassero di porvi fine. Alla prigione di La Force, dove molti aristocratici e alcuni ecclesiastici erano tenuti prigionieri, nessuno sopravvisse per raccontare ciò che era successo. Anche il seminario lazzarista di Saint-Firmin fu usato come prigione, dove, alle 5 e 30 circa del mattino seguente, il 3 settembre, giunsero i giustizieri. La loro prima vittima fu un sacerdote gesuita, Pierre Guérin. Quando rifiutò di giurare alleanza, fu scaraventato dalla finestra più vicina e pugnalato nel cortile sottostante. Anche suo fratello Robert morì, come altri cinque gesuiti. A Louis Joseph Frangois, superiore del seminario, molto amato a Parigi, fu offerta la possibilità di scappare, ma egli rifiutò di abbandonare i suoi compagni prigionieri; morì, come Ivo Guillon dc Keranrun, vice cancelliere dell'università di Parigi, assieme a tre laici. Nel complesso, circa millequattrocento persone (metà dei prigionieri detenuti a Parigi) morirono durante i massacri di settembre. 11 decreto di beatificazione per le cento novantuno persone identificate come i Martiri di Settembre fu promulgato l'1 ottobre 1926. L'Abbaye e La Force non esistono più, Saint-Firmin è stato trasformato in un palazzo di uffici, mentre l'antico convento carmelitano è ora occupato dall'Istituto Cattolico. All'Abbaye morirono: Daniel André des Pommerayes; Louis Benoist; Antoine du Bonzet; Jean Capeu; Armand Chapt de Rastignac; Claude Fontaine; Pierre Gervais; Santino Huré; Charles Hurtel; Louis Hurtel; Alexandre Lenfant; (?) Laurent; Louis le Danois; Thomas Monsaint; Frangois Pey; Jean Rateau; Marc Royer; Jean Guyard de St-Clair; Jean Simon; Pierre Vitalis. Nella chiesa dei carmelitani morirono: Vincent Abraham; André Angar; Jean Aubert; Francise Balmain; Jean Bangue; Louis Barreau de la Touche; Louis Barret; Joseph Bécavin; Charles Béraud du Péron; Jacques Bonnand; Louis Boubert; Jean Boucharène du Chaumeils; Jean Bosquet; Jean Burté; Claude Dumas (Cayx); Jean Charton de Millon; Claude Chaudet; Ambroise Chevreux; Nicholas Clairet; Claude Colin; Bernard de Cucsac; Frangoise Dardan; Guillaume Delfaut; Mathurin Deruelle; Gabriel Desprez de Roche; Thomas Dubray; Thomas Dubuisson; Frangoise Dumasrambaud de Calendelle; Henri Ermès; Armand de Foucaul de Pontbriand; jacques Friteye-Durvé; Claude Gagnièrcs des Granges; jacques Galais; Pierre Gauguin; Louis Gaultier; George Girauld; Jean Goizez; André Grasset dc Saint-Sauveur; Pierre Guérin; Jean Guilleminet; Frangois Hébert; Jacques Hourrier; Jean-Baptiste Jannin; Jean Lacan; Pierre Landry; Claude Laporte; Pierre de la Rochefoucauld-Bayers; Frangoise de la Rochefoucauld-Maumont; Jean du Lau; Mathurin La Villccrohain; Robert le Bis; Guillaume Leclercq; Olivier Léfèvre; Urbain Léfèvre; Frangoise Lcfranc; Charles Le Gué; Jacques Lejardinier Deslandes; Jacques Lemcunier; Vincent le Rousseau de Rosencoat; Francise Londiveau; Louis Longuet; Jacques de Lubersac; Henri Luzeau de la Moulonnière; Gaspard Maignien; Jean Marchand; René Massey; Luois Mauduit; Frangoise Méallet de Fargues; Jacques Menuret; Jean Morel; Jean Nativelle; René Nativelle; Auguste Nézel; Antoine Nogier; Joseph Pazery de Thorame; Pierre Ploquin; Jean Pontus; René Poret; Julien Pouain-Delaunay; Pierre Psalmon; Jean Quénau; Etienne de Ravinel; Augustin Robert de Lézardière; Claude Rousseau; Frangois Salins de Niant; Jean Samson; Jean Savine; Jean Séguin; Jean Tessier; Loup Thomas (Bonnotte); Frangoise Vareilhe-Duteil; Pierre Vervier; Charles de la Calmette. Persero la vita a La Force: Jean Bottex; Michel de Lugardette; Hyacinthe Le Livec de Trésurin. A Saint-Firmin trovarono la morte: André Alricy; René Andrieux; Pierre Balzac; Jean Benoit (Vourlat); Jean Bernard de Cornillet; Michel Binard; Nicholas Bíze; Claude Bochaot; Jean Bonnel de Pradal; Pierre Bonze; Pierre Briquet; Pierre Brisse; Charles Carnus; Jean Caron; Bertrand de Caupenne; Nicholas Colin; Sébastien Desbrielles; Jacques Dufour; Dionysius Duval; Jean Duval; Joseph Falcoz; Gilbert Fautrel; Eustache Félix; Filibert Fougères; Louis Frangois; Pierre Garrigues; Nicholas Gaudreau; Etienne Gillet; Georges Giroust; Joseph Gros; Jean Gruyer; Pierre Guérin du Rocher; Robert Guérin du Rocher; Ivo Guillon de Keranrun; Julien Hédouin; Pierre Hénocq; Eligius Herque (du Roule); Pierre Joret; Gilles Lanchon; Jacques de la Lande; Louis Lanier; Jean de Lavèze-Bellay; Michel Leber; Pierre Le Clercq; Jean Legrand; Jean Le Laisant; Jean Le Maitre; Jean Leroy; Martin Loublier; Claude Marmotamt de Savigny; Claude Mayneaud de Bizefranc; Henri Milet; Frangoise Monnier; Frangoise Mouffle; Joseph Oviefre; Jean Philippot; Claude Pons; Pier Pottier; Jacques Rabé; Pierre Regnet; Ivo Rey de Kervisic; Louis Rigot; Nicholas Roussel; Pierre Saint-James; Jacques Schmid; Jean Seconds; Pierre de Turmenyes; René Urvoy; Charles Véret; Nicholas Verron; Jan de Villette.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Parigi in Francia, passione dei beati martiri Giovanni Maria du Lau d’Allemans, Francesco Giuseppe e Pietro Ludovico de la Rochefoucauld, vescovi, e novantatrè compagni43, chierici o religiosi, che, radunati nel convento dei Carmelitani, furono trucidati per Cristo in odio alla religione per essersi rifiutati di prestare l’empio giuramento imposto al clero durante la rivoluzione francese.
nome Beato Brocardo- titolo Priore degli eremiti- morte 1230, Monte Carmelo, Palestina- ricorrenza 2 settembre- Il primo superiore degli eremiti franchi sul monte Carmelo (e secondo molti il fondatore dell'Ordine carmelitano) fu San Bertoldo, introdotto nella letteratura carmelitana nel 1400 circa. Alla sua morte, fu sostituito da un francese di nome Brocardo, o Burcardo, che decise per prima cosa di stabilire una regola per gli eremiti. A tal fine, nel 1205, si rivolse al patriarca latino di Gerusalemme, Sant'Alberto, che nei successivi cinque anni scrisse una breve regola, che Brocardo impose poi alla congregazione, in base alla quale ogni membro avrebbe dovuto vivere da solo in una cella separata, recitare l'Ufficio divino e incontrarsi giornalmente con gli altri per la Messa, osservare la povertà, la castità, e l'obbedienza, trascorrere lunghi periodi in silenzio, e svolgere il lavoro manuale. Gli eremiti, che avevano cominciato a diffondersi per tutta la Palestina, incontrarono delle difficoltà dopo il IV concilio Laterano (1215), a cui, per ironia della sorte, Alberto di Gerusalemme avrebbe portato Brocardo come esperto sull'islam e sulle questioni orientali in generale, se egli stesso non fosse stato ucciso prima che il concilio si riunisse. Fu emesso un decreto contro la formazione di nuovi ordini religiosi, e gli eremiti furono accusati poiché, ottenendo l'approvazione della loro regola dal legato anziché dalla Santa Sede, avevano disobbedito a questo canone. Secondo la tradizione carmelitana, papa Onorio III (1216-1227) stava per sopprimere l'ordine, quando ebbe una visione in cui la Madonna lo consigliava di non farlo, e finalmente approvò la regola il 30 gennaio 1226. Brocardo guidò la congregazione con pazienza e prudenza in questo periodo difficile, mantenne l'incarico di priore fino alla morte, nel 1230. Pochi dettagli della sua vita sono stati documentati, ma si afferma che abbia miracolosamente. guarito un emiro musulmano e lo abbia convertito alla fede cristiana. In arte, è raffigurato con un abito carmelitano, come per esempio sul confessionale nella chiesa agostiniana di Gand. MARTIROLOGIO ROMANO. Sul monte Carmelo in Palestina presso la fonte di Elia, beato Brocardo, priore degli eremiti ai quali sant’Alberto, vescovo di Gerusalemme, diede come regola di vita che meditassero giorno e notte la legge del Signore e fossero vigili nella preghiera.
nome Beato Antonio Franco- titolo Presbitero e Abate- nascita 26 settembre 1593, Napoli- morte 2 settembre 1626, S. Lucia del Mela, Messina- ricorrenza 2 settembre- Beatificazione Messina, 2 settembre 2013 da papa Francesco- Il Servo di Dio Mons. Antonio Franco, onorato dal popolo col titolo di beato, nacque a Napoli di 26 Settembre 1593 del nobile Orlando Franco è da D. Anna Pisana dei Baroni di Pascarella. Fin dalla fanciullezza diede segni evidenti di una grande e singolare pietà e di straordinario senso di carità verso i poveri è i sofferenti. Dotato di forte ingegno, prosegui per un anno gli studi a Roma, finché, passato a Madrid in qualità di Cappellano d'onore alla Corte di Filippo III, vi fu ordinato sacerdote. Il 4 agosto 1616, appena trentenne, venne nominato Cappellano Maggiore del Regno di Sicilia, Prelato Ordinario e Abate di S. Lucia del Mela. Ottenuta, nei primi del 1617, la conferma di Paolo V., che lo nominò Referendario apostolico, il 18 maggio del medesimo anno fece il suo ingresso nella vetusta Prelatura. Il suo governo pastorale, nonostante la malferma salute, ha lasciato tracce luminose per uno spirito di profonda umiltà e insieme per la fermezza del suo carattere. Fu ammirevole per lo zelo tenace e la straordinaria attività, per la vita illibata e il grande fervore della sua pietà, per le opere di meravigliosa carità che hanno reso memorabile il suo apostolato. Il suo nome è legato alla ricostruzione della Cattedrale per la quale prodigò il suo vistoso patrimonio.<br /> Guarigioni miracolose e prodigi d'ogni genere hanno infiorato la sua vita e lo hanno reso caro ai Luciesi, i quali hanno ininterrottamente sperimentato quanto sia efficace presso Dio la sua intercessione, e grati impongono al fonte battesimale il suo nome ai propri figli. Passò dì vita in odore di santità il 2 Settembre 1626. E anche oggi, dopo quasi tre secoli è mezzo, il popolo. accorrendo anche dai paesi vicini, ne venera con immutata devozione la memoria e rende onore all’incorrotta sua salma.
nome Sant'Agricolo di Avignone- titolo Vescovo- nascita 630 circa, Avignone, Francia- morte 700 circa, Avignone, Francia- ricorrenza 2 settembre- Patrono di Avignone- Sebbene sia nato e vissuto nel VII secolo, le prime informazioni scritte su S. Agricolo risalgono al XVI secolo, quando cominciò a diffondersi il culto. Secondo queste fonti tarde (che, essendo state redatte così tanto tempo dopo gli eventi, non sono attendibili), nacque nel 630 circa, e suo padre, Magno, era un senatore gallo-romano che, dopo la morte della moglie, divenne monaco a Lérins e poi vescovo di Avignone. All'età di quattordici anni, Agricolo seguì suo padre a Lérins, dove ben presto crebbe intellettualmente e spiritualmente, e fu ordinato sacerdote. In seguito, dopo sedici anni trascorsi come monaco a Lérins, per richiesta del padre si recò ad Avignone come arcidiacono, e divenne presto noto per la qualità delle sue omelie, per l'abilità come amministratore, e anche l'assistenza pratica ai poveri e agli ammalati. Nel 660, fu nominato suo collaboratore da Magno e, alla morte di quest'ultimo dieci anni dopo, diventò suo successore. Dato che il numero dei seguaci era aumentato significativamente, durante il suo incarico di vescovo fece costruire a sue spese una nuova chiesa all'interno delle mura cittadine, e chiamò i monaci da Lérins perché la gestissero. Morì il 2 settembre, probabilmente nel 700, e fu seppellito nella cattedrale; il popolo del luogo lo invoca per il bel tempo e contro la siccità, portando in processione il reliquiario in cui è conservato il suo cranio. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Avignone in Provenza, sant’Agricola, vescovo, che, dopo aver condotto vita monastica nell’isola di Lérins, fu di aiuto a san Magno, suo padre, e gli succedette nell’episcopato.
nome San Giusto di Lione- titolo Vescovo- nascita IV secolo, Gallia- Consacrato vescovo 374- morte IV secolo, Egitto- ricorrenza 2 settembre- Incarichi ricoperti Vescovo di Lione (374-381)- Giusto nacque in Gallia nella zona del Vivarais e prestò servizio come diacono a Vienne. Divenuto vescovo di Lione, fu noto per la severità verso coloro che avevano bisogno di correzione e l'amore per la disciplina e l'armonia. Partecipò al concilio di Valencia nel 374 e fu uno dei tre vescovi della Gallia che presero parte a quello di Aquileia nel 381, dove l'oggetto principale fu la questione ariana e Giusto si guadagnò il rispetto di S. Ambrogio (7 dic.) e la sua amicizia (il vescovo milanese in seguito gli scrisse almeno due volte su questioni bibliche). Dopo il concilio pare che Giusto abbia deciso di abbandonare la vita pastorale di vescovo per diventare eremita; invece di fare ritorno da Aquileia a Lione, si recò in Egitto ed entrò in un monastero. In realtà egli già in precedenza aveva tentato di lasciare la sede episcopale, ma i suoi fedeli glielo avevano impedito, nonostante adducesse motivi ecclesiastici a suo dire ottimi; Giusto si riteneva infatti assolutamente impossibilitato a portare avanti i propri doveri sacerdotali perché responsabile della morte di un uomo: quando un assassino aveva cercato asilo nella sua chiesa, egli l'aveva consegnato al magistrato a patto che non gli fosse tolta la vita, ma quest'uomo era stato poi ucciso dalla folla. Esistono due diverse versioni di quello che avvenne quando nel 381 la Chiesa di Lione scoprì la fuga di Giusto. Secondo una tradizione, i lionesi inviarono un sacerdote di nome Antioco (o secondo alcuni Martino) per convincere Giusto a fare ritorno; questi si rese però conto presto che le sue argomentazioni non sarebbero state accolte e, rimasto con Giusto fino alla sua morte nel 390, al suo ritorno ne fu eletto successore; il corpo di Giusto fu riportato a Lione e seppellito nella chiesa dei maccabei, che successivamente prese il nome da lui.<br /> Secondo l'altra tradizione, Giusto tornò invece a Lione insieme al messaggero, diffuse in patria la venerazione dei maccabei c, morto, fu sepolto nella chiesa a loro dedicata. Se anche non si può dare un giudizio assoluto, questa seconda versione dei fatti appare però più verosimile, dal momento che la traslazione di un corpo dall'Egitto alla Francia era insolita al suo tempo e alcuni antichi martirologi indicano la data del suo ritorno. MARTIROLOGIO ROMANO. A Lione in Francia, deposizione di san Giusto, vescovo, che, lasciato l’episcopato dopo il Concilio di Aquileia, si ritirò insieme al lettore Viatore in un eremo in Egitto, dove condusse per alcuni anni umile vita in compagnia dei monaci; il suo santo corpo insieme alle ossa di san Viatore fu poi traslato a Lione.