@Vitupero

12/04/2024 alle 09:26

I santi di oggi 12 aprile:

I santi di oggi 12 aprile:

nome San Giuseppe Moscati- titolo Medico Laico- nome di battesimo Giuseppe Moscati- nascita 25 luglio 1880, Benevento- morte 12 aprile 1927, Napoli- ricorrenza 12 aprile, 16 novembre- Beatificazione Basilica di San Pietro, 16 novembre 1975 da Papa Paolo VI- Canonizzazione Basilica di San Pietro, 25 ottobre 1987 da Papa Giovanni Paolo II- Santuario principale Chiesa del Gesù Nuovo- Patrono di Operatori del 118 e dell'emergenza sanitaria- Settimo figlio di Francesco, magistrato, e di Rosa De Luca, Giuseppe nacque a Benevento il 25 luglio 1880. Ma era cresciuto a Napoli, dove la famiglia si era trasferita essendo il papà stato chiamato a svolgere la sua professione presso la Corte d'appello. Giuseppe era dotato di una vivace intelligenza ma anche di una intensa sensibilità religiosa e umana che lo portava a essere vicino a chi si trovava nel disagio e nella sofferenza. Per fare qualcosa di concreto per loro, decise di fare il medico. Con i rimedi offerti dalla medicina avrebbe portato anche il conforto della fede. Studiò con impegno, tanto da riuscire a laurearsi a soli ventidue anni. E con il massimo dei voti. Partecipò ad alcuni importanti concorsi, che vinse, aprendosi la strada per una brillante e comoda carriera. Ottenne l'abilitazione all'insegnamento universitario ed entrò nella prestigiosa Accademia partenopea di medicina e chirurgia. Ma poi mise tutte le sue doti di intelligenza e di cuore al servizio dei malati poveri scegliendo il posto di «medico ordinario» nell'Ospedale degli incurabili, il più antico della città. Ritenne quello il luogo ideale per poter svolgere la missione che s'era prefissato fin da ragazzino, così sintetizzata in un suo scritto: «Negli ospedali la missione dei medici è di collaborare all'infinita misericordia di Dio, aiutando, perdonando e sacrificandosi». A questo programma ispirò la sua vita di medico, dedicandosi senza risparmio a lenire le sofferenze degli altri, sia nella quotidiana assistenza ai malati in ospedale o andandoli a visitare nei miseri tuguri dei quartieri più poveri della città, sia dedicandosi allo studio e alla ricerca per aggiornare le proprie conoscenze da porre al servizio dei malati. Come diagnostico era bravissimo. In un tempo in cui gli strumenti di analisi e di ricerca erano quasi inesistenti, l'individuazione della malattia era affidata alla preparazione e all'intuizione del medico. E in questo la capacità di diagnosticare di Moscati sorprendeva gli stessi colleghi che vedevano nelle sue diagnosi qualcosa di miracoloso. Lui con molta umiltà rispondeva che aveva una fonte segreta cui attingeva a piene mani ed era l'Eucaristia alla quale si accostava ogni giorno. Dio è l'artefice della vita, era solito dire, noi siamo suoi collaboratori, ma il più lo fa lui. Una volta riuscì a diagnosticare l'esatta malattia di un operaio che i suoi colleghi avevano inesorabilmente dichiarato tisico: si trattava invece di un ascesso polmonare che con una cura apposita si risolse. L'operaio, felice per la salute ritrovata, volle a tutti i costi pagarlo. E Moscati: «Se proprio mi vuoi pagare, vatti a confessare perché è Dio che ti ha salvato». Con i poveri si comportava sempre così, non accettava compensi. Caso mai, era lui a dare loro qualche soldo. Non faceva il medico per la carriera, e tanto meno per arricchirsi. Come Francesco d'Assisi aveva preso sul serio la povertà evangelica, a essa conformava la propria vita. Viveva da povero e con i poveri spartiva quello che aveva. Assisteva, ad esempio, un anziano signore che viveva in uno dei miserevoli tuguri della città, e non potendo andare a trovarlo ogni giorno, lo aveva invitato a recarsi tutte le mattine a fare colazione (avrebbe pagato lui) al bar di fronte all'entrata dell'ospedale. «Andando al lavoro gli aveva detto darò un'occhiata all'interno del caffè, se vi vedo vuol dire che tutto va bene, altrimenti verrò a farvi visita a casa». La carità gli moltiplicava le forze, lo rendeva disponibile ai suoi malati, ai suoi poveri in qualsiasi ora del giorno e della notte e sempre in prima fila, quando calamità e tragedie colpivano la povera gente. Nel 1906 ci fu un'eruzione del Vesuvio particolarmente violenta. Molti i danni e le vittime. A Torre del Greco, uno dei paesi più colpiti, l'ospedale dove erano ricoverati gli anziani minacciava di crollare sotto il peso di quintali di cenere: bisognava sgomberare in tutta fretta i reparti. Moscati, allora giovane medico, si associò ai soccorritori lavorando duramente per trasferire malati e quant'altro era ritenuto utile: venti ore di lavoro, sotto la minaccia della lava che continuava ad avanzare lungo le pendici del vulcano. Trasferirono l'ultimo degente quando l'ospedale rovinava fragorosamente sui letti ormai vuoti. Ma anche quando, nel 1911, Napoli fu colpita da una terribile epidemia di colera, il medico Moscati non risparmiò tempo ed energie: molti poveri se la cavarono, grazie alle sue cure, e altri morirono con il conforto della fede che lui aveva loro portato. Moscati, medico buono e santo che aveva posto la sua intelligenza e il suo cuore al servizio dei poveri e dei sofferenti, morì in età ancora giovane, a soli quarantasette anni, il pomeriggio del 12 aprile 1927. La mattina si recò come al solito all'ospedale a visitare i malati. Avrebbe dovuto proseguire le visite il pomeriggio, ma i suoi pazienti lo attesero invano. Verso le quindici avvertì un intenso malore. Ritiratosi nella camera, si accasciò sulla poltrona. «Sto male», disse ai fratelli che lo avevano visto impallidire. Furono le ultime parole. Un istante dopo tornò alla Casa del Padre. I poveri di Napoli accolsero la notizia con dolore e costernazione. Perdendo lui, perdevano un amico, un fratello. Ma guadagnavano un santo in cielo. E tale lo ritennero da subito. Papa Paolo VI confermò la loro certezza elevandolo nel 1975 all'onore degli altari con il titolo di beato. Fu proclamato santo nel 1987 da Giovanni Paolo Il, al termine del sinodo dei vescovi «Sulla vocazione e missione dei laici nella chiesa». MARTIROLOGIO ROMANO. A Napoli, san Giuseppe Moscati, che, medico, mai venne meno al suo servizio di quotidiana e infaticabile opera di assistenza ai malati, per la quale non chiedeva alcun compenso ai più poveri, e nel prendersi cura dei corpi accudiva al tempo stesso con grande amore anche le anime.

nome San Zeno di Verona- titolo Vescovo- nascita IV secolo, Africa- morte IV secolo, Verona- ricorrenza 12 aprile- Attributi abito vescovile, mitra copricapo pastorale, bastone pastorale, pesciolini, arnesi da pesca- Patrono di Verona, Campione d'Italia e dei pescatori, Invocato contro le inondazioni e per far parlare e camminare i bambini piccoli- La chiesa abbaziale di San Zenone, o, come dicono i Veronesi, di San Zeno Maggiore è uno dei monumenti più antichi e più gloriosi di Verona. Accade spesso che sul corpo di un Martire o di un Santo, come su un terreno particolarmente fertile, germogli una grande chiesa o ributti uno svelto campanile. A Verona, sul corpo miracoloso di San Zenone è fiorita la più bella chiesa italiana dell'epoca romanica, con il boccio di pietra rosea dell'elegante campanile. La vita di San Zenone, Santo veronese, è avvolta nella leggenda. Zeno nacque in Africa e visse intorno al IV secolo. Non si sa come e quando, dalle sabbie africane, sia giunto sui dolci colli in riva all'Adige, spinto dalla sua vocazione apostolica. In quei tempi, l'imperatore Giuliano, detto l'Apostata, cercava di ristabilire il culto degli dei pagani, combattendo il Cristianesimo, da lui rinnegato. I primi barbari invasori dell'Impero erano poi ariani, cioè cristiani eretici, fieramente avversi al Cattolicesimo. Correvano quindi tempi brutti per la Chiesa e per il decimato gregge dei fedeli. Ma la sua predicazione e il suo esempio furono più forti delle imposizioni politiche e delle opposizioni settarie. I pagani convertiti, gli eretici ravveduti, furono presto legione, e di San Zenone si poté dire che «predicando condusse Verona al Battesimo». Eloquente, erudito, paterno, come appare dai suoi Sermoni, San Zenone fu Vescovo esemplare. Ma oltre che perfetto pastore, egli fu anche un prodigioso cane da guardia, che tenne lontani i lupi della sopraffazione e le serpi dell'eresia; anzi, che lupi e serpi ridusse in miti e obbedienti agnelli. Nelle opere d'arte, fin da quelle più antiche, San Zenone è rappresentato con un pesce in mano. Questo curioso simbolo ha un doppio significato. San Zenone aveva rinunziato a tutte le sue ricchezze, per distribuirle ai poveri. La sua povertà, sopportata con gioia, giungeva spesso fino all'indigenza. La leggenda narra così come il santo e umilissimo Vescovo pescasse egli stesso nell'Adige il magro cibo per i suoi pasti frugali. Per questo egli è considerato Patrono dei pescatori d'acqua dolce. Ma il simbolo del pesce ricorda anche la frase che Gesù disse agli Apostoli, prima d'inviarli in tutto il mondo a battezzare e a predicare il Vangelo. « Sarete pescatori d'uomini». Anche San Zenone, come gli Apostoli, fu pescatore infaticabile, e le anime da lui tratte nella rete della Grazia furono infinitamente più numerose dei pochi pesci destinati a sfamarlo. Quando morì, verso il 380, era stato Vescovo per diciotto anni. Il popolo, che volle dare l'estremo saluto alle sue spoglie, non poté essere contenuto nella chiesa che San Zenone stesso aveva costruito, fuor delle mura della città. Fu così che nacque l'idea della nuova grande costruzione: quella chiesa meravigliosa con la quale si volle onorare il Santo, e che misura la devozione e l'affetto dei Veronesi per il loro glorioso Patrono.

nome San Giulio I- titolo 35º papa della Chiesa cattolica- nascita Roma- Elezione 6 febbraio 337- Fine pontificato 12 aprile 352 (15 anni e 66 giorni)- morte 12 aprile 352, Roma- ricorrenza 12 aprile- Santuario principale Catacomba di Calepodio- Attributi Spada e Palma- Giulio fu eletto papa nel 337; gran parte del suo pontificato fu impegnata nelle dispute dottrinali con gli ariani, che negavano la natura divina di Gesù. Nelle controversie fu un accanito sostenitore dell'ortodossia e, in particolare, dei decreti del concilio di Nicea (325); sostenne anche i diritti di S. Atanasio (2 mag.) e Marcello di Ancira quando furono cacciati dalle loro sedi vescovili da simpatizzanti ariani. Nel 340 presiedette un sinodo a Roma, che fugò ogni accusa d'eresia dai due vescovi deposti e scrisse una lettera magistrale alle Chiese d'Oriente per informarle della decisione; le rimproverò anche per avere tentato di condannare dei vescovi senza consultare il corpo episcopale nella sua interezza e per avere ignorato il riconosciuto diritto di Roma a essere interpellata su tali questioni. Poiché ciò non bastò per dirimere la questione, Giulio domandò agli imperatori di Roma e Costantinopoli di convocare un concilio ecumenico a Sardica (Sofia) nel 342 o 343. I vescovi ariani a ogni modo abbandonarono il concilio quando il papa insistette perché fossero presenti Atanasio e Marcello e scomunicarono i principali vescovi occidentali, tra cui lo stesso Giulio. Il concilio difese Atanasio e Marcello, condannò i loro oppositori ariani e decretò il diritto dei vescovi deposti di appellarsi al papa. Giulio fu senza dubbio una persona energica, e due sue lettere pervenuteci ne mostrano l'abilità nell'arte di governare. Non si conosce molto altro sul suo pontificato, se non che potrebbe avere organizzato una cancelleria pontificia sulle linee di quella imperiale; fece inoltre costruire due nuove chiese a Roma, S. Maria in Trastevere e la basilica Giulia (ora dei SS. Apostoli). Morì il 12 aprile 352 e fu seppellito nel cimitero di Calepodio sulla via Aurelia; il suo nome fu incluso nel Calendario Romano del 354. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma nel cimitero di Calepodio al terzo miglio della via Aurelia, deposizione di san Giulio I, papa, che, durante la persecuzione ariana, custodì tenacemente la fede nicena, difese Atanasio dalle accuse ospitandolo durante l’esilio e convocò il Concilio di Sardica.

nome Santa Teresa di Gesù delle Ande- titolo Monaca carmelitana- nome di battesimo Juana Fernández del Solar- nascita 13 luglio 1900, Santiago, Cile- morte 12 aprile 1920, Los Andes, Cile- ricorrenza 12 aprile- Beatificazione 3 aprile 1987 da papa Giovanni Paolo II- Canonizzazione 21 marzo 1993 da papa Giovanni Paolo II- Santuario principale Santuario di Auco-Rinconada, Rinconada- Attributi piccola croce, fiori- Patrona di giovani- Giovanna Enriqueta Josefina de los Sagrados Corazones Fernàndez Solar nacque a Santiago, in Cile, il 13 luglio 1900, da Miguel Fernàndez jaraquemada e Lucía Solar Armstrong, coppia devota e facoltosa. Giovanna visse un'infanzia felice e piena, s'interessava di sport e musica ed era portata all'amicizia. Si disse di lei che aveva ereditato il temperamento della madre, vivace ed energico, ma anche impaziente e talvolta caratterizzato da violenti scoppi d'ira; secondo alcuni era piuttosto vanitosa e arrogante ed è interessante che ella, più avanti, abbia definito l'orgoglio il suo difetto più assillante. Giovanna partecipava quotidianamente alla Messa nella cappella di famiglia, mostrando un'intensa devozione, soprattutto verso Gesù e la Vergine. Più tardi scriverà che era solita «dirle tutto e lei parlava con me in maniera chiara e distinta». Riceveva la comunione ogni giorno e, nel 1914, visse un'esperienza spirituale durante la quale il Signore parve chiederle di accettare il suo dolore (all'epoca soffriva d'appendicite) in memoria della passione per unirsi più strettamente a lui. A quindici anni, col permesso del suo confessore, fece voto di castità e, dopo avere letto la Storia di un'anima di S. Teresa di Lisieux (1 ott.), cominciò a pensare di divenire carmelitana. Scrisse allora nel suo diario: «Sono di Dio. Egli mi ha creato ed è il mio principio e la mia fine. Se devo diventare totalmente sua, devo compiere il suo volere. Se, in quanto mio Padre, conosce presente, passato e futuro, perché non mi abbandono a lui con totale fiducia? D'ora in avanti mi metto nelle tue mani divine: fa' di me ciò che vuoi». Entrata nei Figli di Maria, aiutò a insegnare il catechismo in parrocchia e fu impegnata in opere di carità, mostrandosi soprattutto interessata ad aiutare i bambini poveri. Fu attratta per un certo periodo dalla vita delle suore del Sacro Cuore, che dirigevano scuole per poveri e lavoravano come missionarie in vari Paesi. Leggendo però le Vite di S. Teresa d'Avila (15 ott.) e della B. Elisabetta della Trinità (8 nov.) si convinse sempre più che sarebbe dovuta divenire carmelitana «per imparare come amare e come soffrire», cosa che fece a diciannove anni entrando nel Carmelo della città di Los Andes. La casa era molto povera e piuttosto malandata, senza elettricità e servizi igienici, ma Giovanna fu attratta dalla stretta osservanza delle suore, dalla semplicità delle loro vite e dalla loro palese felicità. Prese il nome di Teresa di Gesù come la grande riformatrice Teresa d'Avila, offrendo se stessa, alla maniera carmelitana, per la santificazione dei sacerdoti e il pentimento dei peccatori. In alcuni appunti autobiografici scrisse: «Credo che la santità consista nell'amore. Voglio essere santa, perciò mi donerò all'amore [...]. Chi ama non ha altro desiderio che quello dell'Amato [...]. Voglio offrirmi costantemente come vittima così da diventare come colui che ha sofferto per me e mi ama». I suoi scritti mostrano una persona la cui vita fu centrata sul Vangelo e il cui motto spirituale potrebbe essere riassunto in: amore, sofferenza, preghiera e servizio. Scrisse: «Gesù è la nostra gioia infinita» ed entrando nel Carmelo dichiarò che nella possibilità di dedicarsi totalmente a Dio aveva già trovato il paradiso in terra. La sua vita interiore si sviluppò ulteriormente, ed ella raggiunse con regolarità le più alte vette della preghiera contemplativa. Cominciò a dedicarsi all'apostolato scrivendo lettere dal contenuto spirituale a molte persone, fino a quando, nella Settimana Santa del 1920, si ammalò di tifo. Morì, dopo alcuni giorni di sofferenza, il 12 aprile, dopo avere professato sul letto di morte i voti perpetui. La sua causa fu aperta nel 1947 e portò alla beatificazione nel 1987, e alla canonizzazione nel 1993. Il suo culto è molto diffuso e la sua tomba è visitata ogni anno da circa 100.000 pellegrini. Talora è chiamata la "piccola santa" americana a imitazione della santa carmelitana che aprì la "piccola via" della santità, S. Teresa di Lisieux. MARTIROLOGIO ROMANO. Nella città di Los Andes in Cile, santa Teresa di Gesù (Giovanna) Fernández Solar, vergine, che, fattasi novizia nell’Ordine delle Carmelitane Scalze, consacrò, come ella stessa diceva, la propria vita a Dio per il mondo peccatore e morì all’età di venti anni colpita dal tifo.

nome San Saba il Goto- titolo Martire- nascita 334, Buzau, Romania- morte 372, Cappadocia- ricorrenza 12 aprile- Nel 370, nella regione corrispondente all'attuale Romania, il capo dei goti intraprese una persecuzione contro i propri sudditi cristiani: la Chiesa greca venera cinquantuno martiri goti di quel periodo, i più famosi dei quali sono Saba e Niceta (15 set.). Ai cristiani fu ordinato di mangiare la carne che era stata offerta agli idoli e, a quanto risulta, ci fu un accordo segreto tra essi e alcune autorità perché la carne fosse sostituita con altri cibi cosicché essi potessero sostenere di avere obbedito al decreto. Saba si rifiutò di prendere parte all'inganno e denunciò pubblicamente chi lo aveva ordito; fu esiliato ma gli fu presto permesso di ritornare, e dopo poco venne coinvolto in un'ulteriore controversia con i suoi compagni cristiani. Questa volta si rifiutò di sostenere una dichiarazione giurata da ufficiali compiacenti secondo cui non vi erano cristiani in città: «Nessuno giuri per me», disse, «io sono un cristiano!». Egli riuscì a evitare la punizione e i due episodi mostrano con quanta riluttanza talora gli ufficiali locali perseguitassero i loro concittadini per questioni politiche. Quando la persecuzione si riaccese nel 372, Saba fu però arrestato da soldati inviati appositamente da un'altra regione e infine giustiziato tramite annegamento; probabilmente il martirio avvenne a Targoviste, a nord ovest di Bucarest. MARTIROLOGIO ROMANO In Cappadocia, nell’odierna Turchia, san Saba il Goto, martire, che, durante le persecuzioni scatenate contro i cristiani dal re dei Goti Atanarico, tre giorni dopo la celebrazione della Pasqua, essendosi rifiutato di mangiare le carni immolate agli idoli, dopo crudeli supplizi fu gettato nel fiume.

nome Sant'Alferio- titolo Abate- nome di battesimo Alferio Pappacarbone- ricorrenza 12 aprile- Canonizzazione<br /> 1893, da papa Leone XIII- Santuario principale Abbazia SS. Trinità di Cava- Patrono di Corpo di Cava- Nacque a Salerno dalla famiglia normanna Pappacarbone. Scelse la carriera diplomatica e fu ambasciatore del duca Gisolfo di Salerno, quando fu inviato come ambasciatore presso il re di Francia, attraversando le Alpi, nell'abbazia di San Michele della Chiusa, si ammalò e promise di diventare monaco se fosse guarito. Guarì e la Provvidenza gli fece incontrare un giovane monaco francese, di nome Sant'Odilone. Alferio trascorse diversi anni a Cluny, finché fu chiamato dal duca Gisolfo, lo fece tornare di nuovo a Salerno per riformare i monasteri di quella regione e per predicare ai suoi, ma all'inizio non ebbe molta fortuna perché non aveva molti seguaci. Divenne eremita sul Monte Fenestra vicino a Salerno nell'anno 1011. La sua fama di santità e saggezza si diffuse in tutta la regione, così tanti studenti vennero da lui, tra i quali ne scelse dodici, e fondò l'Abbazia benedettina della Santissima Trinità di La Cava de Tirreni sotto il dominio di Cluniacense. L'abbazia divenne il modello da seguire per le altre fondazioni della zona, questa rete di case divenne una forza potente per la civiltà e la religione in Sicilia e nell'Italia meridionale. Ben presto questa abbazia ebbe un centinaio di case affiliate e ebbe una grande influenza civilizzatrice nell'Italia meridionale. Visse fino a 120 anni e governò l'abbazia fino al giorno della sua morte, quel giorno celebrò la messa e lavò i piedi dei suoi fratelli, compreso il futuro Papa San Vittore III. Leone XIII confermò il suo culto il 21 dicembre 1893. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Cava de’ Tirreni in Campania, sant’Alferio, fondatore e primo abate, che, dopo essere stato consigliere di Guaimario duca di Salerno, divenuto discepolo di sant’Odilone a Cluny, apprese in modo eccellente la disciplina della vita monastica.

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1 commento

@ananonymousgirl

9 mesi fa

nonna sappi che se avessi insegreto, ti taggherei

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