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I santi di oggi 13 agosto:
nome Santi Ponziano e Ippolito- Ponziano: 18º papa della Chiesa cattolica e martire- Elezione 21 luglio 230- Fine pontificato 28 settembre 235, (5 anni e 69 giorni)- ricorrenza 13 agosto, 19 novembre messa tridentina-
Santuario principale Catacombe di San Callisto- Ippolito: Martire e Padre della Chiesa- Santuario principale cimitero del Verano- Attributi Palma, morsi e finimenti da cavallo- Patrono di cavalli e carcerieri- Ippolito celebra la festa assieme a un altro santo martire, Ponziano, alle cui vicende la sua vita fu drammaticamente legata. Ponziano sedeva sul soglio di Pietro, essendo succeduto a Urbano nel 230, mentre la comunità cristiana godeva di un periodo di relativa tranquillità; era imperatore Alessandro Severo. La chiesa viveva con gioia la ritrovata pace, quando un coltissimo prete, Ippolito appunto, moralista rigidissimo e sospettoso, cominciò ad accusare papa Ponziano di troppa indulgenza, di troppa tolleranza. E un giorno alle accuse fece succedere un'aperta ribellione, diventando il primo antipapa della storia del cristianesimo. Antipapa in buona fede, perché la sua ribellione era ispirata da zelo eccessivo. Però la divisione pesava nel cuore della cristianità. Ma ci pensò il nuovo imperatore, Massimino, a dirimere la questione. Per lui papa e antipapa erano ambedue nemici dell'impero, ed esiliò entrambi nelle miniere di Sardegna. Ponziano, più mite e umile di Ippolito, per non lasciar la chiesa senza guida, rinunziò subito al pontificato in favore del greco Antero. Il suo gesto fu presto seguito dallo stesso Ippolito che, capito l'errore, sciolse la sua chiesa invitando i fedeli a riunirsi alla vera comunità cristiana. Di lì a poco tempo, Ponziano e Ippolito finalmente pacificati, subivano la medesima sorte, morendo in seguito alle sofferenze patite nelle miniere di sale. La chiesa li venera ambedue come martiri. MARTIROLOGIO ROMANO. Santi martiri Ponziano, papa, e Ippolito, sacerdote, che furono deportati insieme in Sardegna, dove entrambi scontarono una comune condanna e furono cinti, come pare, da un’unica corona. I loro corpi, infine, furono sepolti a Roma, il primo nel cimitero di Callisto, il secondo nel cimitero sulla via Tiburtina.
nome Santa Dulce Lopes Pontes- titolo Religiosa del Terz'ordine francescano- nascita 26 maggio 1914, Salvador da Bahia, Brasile- morte 13 marzo 1992, Salvador da Bahia, Brasile- ricorrenza 13 agosto- Beatificazione 22 maggio 2011 da papa Benedetto XVI- Canonizzazione 13 ottobre 2019 da papa Francesco- Dulce Lopes Pontes nacque a Sao Salvador de Bahia il 26 maggio 1914 con il nome di Maria Rita. La sue era una famiglia benestante e di fede cristiana e fin da bambina fu cresciuta dai genitori con i valori cristiani. In particolare, fin da piccola Maria Rita fu educata ad essere sensibili nei confronti delle persone meno fortunate di lei. Maria Rita portò a termine gli studi superiori e scelse di proporsi come insegnante e come infermiera nella Congregazione delle Suore Missionarie dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio. In questo modo Maria Rita – che prese il nome di Suor Dulce – ebbe la possibilità di mettere al servizio di Dio la sua vita e tutto ciò che aveva appreso lungo il percorso che l’aveva portata fino a lì. L’operato di Suor Dulce si estrinsecò in particolare nell’assistenza sanitaria ai meno fortunati, ma non mancò anche l’attività educativa, rivolta soprattutto ad offrire un’istruzione agli operari, che avrebbero potuto in questo modo migliorare la loro vita. La figura di Suor Dulce è nota anche per la costruzione dell’Albergue Santo Antonio, una struttura che offriva aiuto ed accoglienza, nel perfetto spirito della carità cristiana. La suora condusse una vita dedicata al Signore ed ai Suoi figli in difficoltà, una vita che condusse con uno slancio missionario che la rese molto popolare. Suor Dulce lasciò la vita terrena il 13 marzo del 1992 a Sao Salvador de Bahia, la stessa città in cui tutto aveva avuto inizio. Il 22 maggio 2011 fu celebrata la cerimonia di beatificazione, dopo che nel 2009 le virtù e l’importanza dell’operato di Suor Dulce erano state riconosciute ed elogiate da Papa Benedetto XVI. PRATICA. Seguendo le orme di Suor Dulce dobbiamo impegnarci per accogliere i più bisognosi e per offrire loro il nostro aiuto. PREGHIERA. Mio Signore, fa che io possa dare aiuto concreto a chi ha bisogno di me e testimoniare così l’amore che Tu ogni giorno ci dimostri.
nome San Cassiano di Imola- titolo Martire- nascita 240 circa, Imola- morte 303 circa, Imola- ricorrenza 13 agosto- Santuario principale Cattedrale di Imola- Patrono di stenografi, segretari, dattilografi, informatici, professori e scrittori. È anche patrono di Imola, San Casciano in Val di Pesa, Comacchio, Rocca San Casciano, San Casciano dei Bagni, San Cassiano (Croazia) Trecate, Macherio e Las Galletas (Tenerife)- Un martire di nome Cassiano è probabilmente esistito ed è nominato nella nuova edizione del Martirologio Romano, che racconta anche l'incidente descritto qui di seguito. Secondo la sua passio, che sembra essere la versione in prosa di un poema di Prudenzio, Cassiano era un insegnante cristiano dí Imola che insegnava ai bambini a leggere e scrivere. Durante una violenta persecuzione contro i cristiani, Cassiano fu arrestato e interrogato dal governatore provinciale. In seguito al suo rifiuto di offrire sacrifici agli idoli, il governatore ideò una punizione esemplare e ordinò agli alunni di colpirlo a morte con gli stiletti di ferro usati per incidere le lettere sulle tavolette d'argilla. Cassiano fu dunque fatto spogliare e messo davanti a duecento ragazzi di cui si era procurato l'inimicizia nel corso degli anni. Alcuni gli tirarono addosso tavolette e aste, altri lo ferirono o lo tagliarono con i coltelli, altri ancora lo infilzarono con i loro stili o intagliarono lettere nella carne viva. Cassiano li incoraggiava a continuare, desiderando morire per Cristo. I cristiani lo seppellirono a Imola. Il poeta cristiano Prudenzio (morto dopo il 405) dice di aver pregato sulla tomba del martire mentre andava verso Roma e descrive un dipinto sull'altare che mostra le sofferenze di Cassiano, traendo così spunto per la lunga narrazione. Questo particolare è chiaramente un espediente letterario, e, più verosimilmente, l'episodio delle stilettate si richiama a un caso simile narrato da Apuleio (autore dell'Asino d'oro, la novella africana-latina del il secolo, sicuramente nota a Prudenzio) o da una fonte andata perduta. L'episodio della tortura effettuata da scolari, simile anche se più vario, raccontato negli Atti del molto controverso S. Marco di Aretusa (29 mar.), può avere la stessa origine o dipendervi per vie indirette, attraverso l'influenza di agiografi che lo avevano copiato. MARTIROLOGIO ROMANO. A Imola in Romagna, san Cassiano, martire, che, per essersi rifiutato di adorare gli idoli, fu consegnato ai ragazzi di cui era stato maestro, perché lo torturassero a morte con i calami: in tal modo, quanto più debole era la mano, tanto più dolorosa diveniva la pena del martirio.
nome San Giovanni Berchmans- titolo Religioso- nome di battesimo Jan Berchmans- nascita 12 marzo 1599, Diest- morte 13 agosto 1621, Roma- ricorrenza 13 agosto, 26 novembre messa tridentina- Beatificazione 1865 da papa Pio IX- Canonizzazione 1888 da papa Leone XIII- Si dice che già da molto giovane Giovanni Berchmans avesse fornito la perfetta, moderatamente oracolare, citazione per quell'era di agiografi nella quale le predizioni della santità futura di un individuo erano importanti quasi quanto il numero di miracoli dopo la morte: «Se non diventerò santo da giovane», disse, «non lo diventerò mai». Giovanni nacque nel 1599, primogenito di un calzolaio di Diest, nel Brabante (Fiandre). Fu istruito soprattutto da Pietro Vari Emmerick, religioso premostratense e parroco della chiesa di Nostra Signora di Diest, che gli insegnò a scrivere versi in latino e lo portò a visitare diversi santuari e chiese. Giovanni preferiva stare solo o con gli adulti, ma l'interesse per la commedia drammatica, che mostrò già in tenera età, lo portò a inserirsi in compagnie giovanili. Era un attore entusiasta e venne lodato particolarmente per la sua interpretazione di Daniele che difende la purezza di Susanna davanti agli anziani dissoluti che la accusano di adulterio. Quando compì tredici anni il padre decise che doveva smettere di studiare: gli affari non andavano bene ed era necessario che egli imparasse un mestiere e contribuisse al bilancio famigliare. Giovanni disse di voler diventare prete e suo padre lo assecondò. Andò a servizio da un canonico della cattedrale di Malines, con il permesso di frequentare le lezioni del seminario quando non doveva servire a tavola. Il canonico Froymont lo portava con sé a cacciare le anatre e gli insegnò ad ammaestrare i cani da riporto. Giovanni, nonostante il contrasto con il canonico dissenziente, divenne uno dei primi studenti del collegio dei gesuiti di Malines, aperto nel 1615. Continuò a recitare con successo in drammi sacri (nessun altro tipo di drammi era ammesso) e si distinse per la sua umanità. Un anno dopo, nonostante l'opposizione del padre, iniziò il noviziato. Tenne un diario dettagliato e scrisse annotazioni sulle sue letture ascetiche, sviluppando una filosofia della umile vita devota che anticipò quella di S. Teresa di Lisieux (1 ott.). Bene la riassume la sua massima «Sopra ogni altra, apprezza le piccole cose» oppure la riflessione: «Amo farmi guidare come un bambino di un anno». Poco dopo la sua entrata in noviziato, sua madre morì e a distanza di diciotto mesi il padre fu ordinato e nominato canonico nella sua città natale. Il 2 settembre 1617 Giovanni scrisse una lettera al padre, dicendo che stava per prendere i primi voti, e gli chiese stoffa e cuoio per farsi degli abiti; il canonico Berchmans morì il giorno prima della sua professione. Giovanni andò a Roma per studiare filosofia e arrivò là la sera dell'ultimo dell'anno del 1618 dopo essere partito con un compagno da Anversa dieci settimane prima. Fu uno studente diligente del Collegio Romano e divenne amico del martire inglese Enrico Morse (1 feb.). Padre Massucci, che era stato in quell'istituto insieme a Luigi Gonzaga (21 giu.) durante i suoi ultimi anni di vita, lo considerava secondo solo al suo santo predecessore. Giovanni superò gli esami nel maggio 1621 e fu scelto per sostenere una tesi in un dibattito pubblico. Tuttavia la fatica dello studio durante la calda estate romana fu troppo pesante e la sua salute ne risentì. Il 6 agosto ebbe un ruolo importante in un dibattito pubblico al collegio greco e il giorno dopo fu ricoverato in infermeria. Si mostrò sempre eccezionalmente allegro: una volta, dopo aver preso una sgradevole medicina, chiese a un prete presente di recitare la benedizione dopo il pasto, e un'altra volta, quando il dottore prescrisse che gli fossero bagnate le tempie con vino pregiato, Giovanni disse che fortunatamente una malattia così dispendiosa non sarebbe durata a lungo. Il suo male non fu mai diagnosticato ed egli morì in pace il 13 agosto 1621. Fu subito considerato un santo, il popolo si comportò di conseguenza al suo funerale e numerosi miracoli furono attribuiti alla stia intercessione. La sua fama si diffuse, anche perché i cattolici dei Paesi Bassi sentivano il bisogno di avere santi locali. Dopo pochi anni Bauters SJ scrisse dalle Fiandre: «Anche se è morto a Roma, e pochi dei suoi connazionali ne conoscono le fattezze, dieci dei nostri migliori incisori hanno già pubblicato il suo ritratto e ne sono state già fatte almeno ventiquattromila copie, senza contare il lavoro di diversi artisti e numerosi pittori». Tuttavia, sebbene la causa fosse stata introdotta fin dal giorno della sua morte, Giovanni non venne beatificato che nel 1865 e canonizzato nel 1888. Nel tardo XIX secolo si sviluppò una vera e propria passione per i santi religiosi di intelligenza spiccata, benché non ancora famosi, morti in giovane età, ma l'esempio di Giovanni non rivaleggiò mai con quelli di Luigi Gonzaga o Stanislao Kostka (15 ago.): se le sue origini erano ordinariamente borghesi, le loro erano aristocratiche, e il comportamento eccezionalmente scrupoloso, legato a una particolare concezione della purezza, rese costoro esempi sempre presenti sulla bocca di predicatori e insegnanti; Giovanni si è spento nell'oscurità, concretizzando un'altra sua frase: «Il mio sforzo è di vivere una vita normale», tuttavia, passate le accentuazioni di un'epoca, egli sembra oggi più umano e attraente degli altri due giovani santi. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, san Giovanni Berchmans, religioso della Compagnia di Gesù, che, amato da tutti per la sua pietà sincera, la schietta carità e l’allegria incessante, dopo una breve malattia andò serenamente incontro alla morte.
nome Santa Radegonda- titolo Regina di Francia- nascita 518, Erfurt, Germania- morte 13 agosto 587, Poitiers, Francia- ricorrenza 13 agosto- Santuario principale Chiesa di Santa Radegonda a Poitiers- Radegonda era la figlia del principe Bertario della Turingia, un pagano che fu ucciso dal fratello Ermenfrido. Nacque nel 518, probabilmente a Erfurt. Quando venne catturata dagli invasori franchi, che conquistarono la Turingia nel 531 circa, aveva dodici anni e probabilmente si era già convertita al cristianesimo. Clotario I, re della Neustria, era il figlio minore di Clodoveo, il primo re dei franchi apertamente cristiano; fu lui, formalmente cattolico e costruttore di monasteri, a istruire Radegonda nella fede cristiana e a battezzarla. Radegonda visse ad Athies, vicino a Péronne. Pur non volendo sposarsi, all'età di circa diciotto anni dovette accettare di diventare la moglie di Clotario e quest'uomo violento e maschilista attribuì a lei la responsabilità di non avere avuto figli. Il loro matrimonio fu probabilmente anche segnato dalla bigamia, perché Clotario pare aver avuto almeno cinque mogli. Radegonda trovava conforto nelle pratiche pie e nelle buone opere: si prendeva cura dei poveri e fondò un ospedale per lebbrosi dove assisteva i malati. Si dice che arrivasse perfino a baciare i loro corpi martoriati, ma questa è probabilmente un'esagerazione di biografi eccessivamente entusiasti. All'inizio Clotario non si interessò alle sue pratiche, ma gradualmente iniziò a esserne infastidito perché, diceva, gli pareva di avere come moglie una suora e non una regina, ed ella stava trasformando la sua corte in un monastero. Quando il re fece uccidere il fratello di Radegonda (ca. 550), ella lasciò la corte e chiese al vescovo Medardo di Noyon di potere diventare monaca; il presule, temendo la reazione di Clotario, rifiutò ma Radegonda si presentò in chiesa già velata ed egli decise di nominarla diaconessa. In seguito si recò a Tours, dove prese alloggio in un monastero per uomini, poi a Candcs, e infine nel territorio di Saix, a Poitou, dove condusse una vita di penitenza e si prese cura dei poveri per sei mesi. Fondò un monastero di suore vicino a Poitiers, che adottò la Regola di S. Cesario di Arles (27 ago.), e qui si ritirò nel 561 circa. Venuta a sapere che Clotario stava meditando di farla tornare a corte, scrisse a S. Germano di Parigi (28 mag.) per chiedere aiuto ed egli, fatta visita a Clotario, lo persuase a desistere dai suoi intenti. Il re rimase molto impressionato dal santo, si recò a Poitiers per chiedere il perdono di Radegonda e fece anche delle donazioni alla comunità. La fondazione era un monastero doppio, maschile e femminile, noto inizialmente con il nome di S. Maria (e poi come abbazia di S. Croce), che praticava una clausura rigidissima e continua. Radegonda nominò un'amica, Agnese, come badessa e si dedicò negli ultimi trent'anni della vita, alla preghiera, allo studio e alle opere buone, raccogliendo attorno a sé un gruppo di donne non solo devote ma anche intelligenti e colte. Alcune di esse provenivano da famiglie di senatori mentre altre avevano sangue reale. Le suore dovevano dedicare due ore al giorno allo studio ed esercitarono una grande influenza sulla cultura cristiana della Gallia merovingia, benché non se ne possa valutare esattamente la misura, costituendo un esempio straordinario di alta raffinatezza: anche le abbazie più famose, fondate per volere reale o di singoli, non avevano un'influenza così diretta e vasta sulla vita della Chiesa, perché la vita intellettuale dell'Europa continentale stava progressivamente declinando. Sarebbe dovuto trascorrere ancora un po' di tempo prima che le fondazioni nate dal carisma di S. Colombano (23 nov.) portassero i loro pieni ed esemplari frutti. Pare che Radegonda abbia anche avuto una grande repulsione per la guerra e la violenza e che, di fronte a vari pericoli di conflitto, abbia sostenuto una grande attività epistolare a favore della pace. Non risparmiava neanche se stessa, punendosi e mortificandosi secondo l'uso contemporaneo dei fedeli più ardenti. Era una gran sostenitrice dei bagni molto caldi, pratica all'epoca poco diffusa, che raccomandava come rimedio contro le malattie: una volta una suora gravemente malata fece un bagno di due ore, guarendo perfettamente. Questo fatto viene ricordato come un miracolo. S. Venanzio Fortunato (14 dic.), inquieto aristocratico latino, scrittore di raffinati poemi, di inni bellissimi e di piacevoli versi celebrativi, terminò le sue peregrinazioni a Poitiers, stabilendosi vicino al convento e trovandovi il paradiso che da tempo cercava. Egli esalta liricamente Radegonda e analogamente si effonde verso la figlia spirituale di lei, la badessa Agnese, e le altre suore di S. Croce. L'estro di Venanzio e i resoconti del tempo dipingono S. Croce, i suoi abitanti e i luoghi vicini, come un delicato mondo fuori dal tempo: come nel più splendido giardino dell'Eden ritratto nelle pregiate miniature medievali, Hic ver purpureum viridantia grarnina gignit / Et Paradisiacas spargit odore rosas (Qui la primavera fa nascere tutto verde brillante e intenso, e dissemina rose dal profumo paradisiaco), come recita uno dci suoi poemi. Fortunato divenne amico intimo, consigliere, assistente privato e più tardi, dopo l'ordinazione sacerdotale a Poiticrs, cappellano della comunità. Introdusse nell'abbazia le armonie della letteratura secolare e religiosa, e scambiava lettere in versi di stile aulico con Radegonda e Agnese, ringraziandole, per esempio, per qualche ghiotta verdura in agrodolce e accompagnando omaggi di fiori e castagne («Ho intrecciato questo cesto con le mie mani, cara madre e cara sorella. Contiene un rustico regalo per voi: castagne da un albero della mia proprietà»), o unendo alla descrizione di un buon pasto la richiesta di notizie sulla loro salute o anche incoraggiandole nella loro austerità. Queste note liriche uniscono osservazioni scherzose e acute a una intensità profonda. Presto cominciarono a circolare le inevitabili voci di una relazione illecita, e Fortunato cercò di smentirle in uno dei suoi Carmina. A quell'epoca ebbe inizio in Francia, terra con pochi martiri locali e le cui spoglie fino a quel momento non erano state considerate di valore particolare, un'affannosa caccia alle reliquie. Radegonda raccolse numerosi e preziosi frammenti di prima classe e arricchì la sua chiesa con reliquie di numerosi santi. Voleva possedere le migliori e tra il 560 e il 570 inviò dei messi in Oriente con il compito di acquisire schegge della santa croce per la sua abbazia. Nel 569 ricevette da Costantinopoli un frammento della croce ornato d'oro e pietre preziose, dono dell'imperatore Giustino II, unito a un cvangcliario altrettanto decorato. Sigeberto incaricò S. Eufronio, arcivescovo di Tours, di collocare la reliquia nel monastero di S. Croce il 19 novembre 569 e, per questa importante occasione, Fortunato compose il famoso inno processionale Vexilla Regis prodeunt (I vessilli del Re avanzano), i cui versi solenni si conformano perfettamente alla profondità del soggetto; esso divenne il grande inno dei crociati e in seguito fu inserito nella liturgia della Settimana Santa, insieme al Pange lingua gloriosi proelium certaminis (Canta, o lingua, la gloriosa battaglia), in onore della stessa reliquia, e ad altri suoi inni scritti a Poitiers. Fortunato compose anche una serie di lunghi epitaffi per consolare Radegonda (e quanti ne giunsero in possesso) della morte di alcuni amici e parenti. Radegonda trascorse i suoi ultimi anni in solitudine completa. Morì in pace il 13 agosto 587, seguita dopo pochi giorni da Agnese. S. Gregario di Tours (17 nov.), descrive il volto di Radegonda nella bara come «splendente e più bello delle rose e dei gigli». Egli riporta anche il fatto che, dal 589, il monastero di S. Croce fu teatro di conflitti interni, sorti dalla divisione in due gruppi rivali. Nelle Vitae scritte, dopo pochi anni, da Fortunato e da una suora di nome Baudonivia si ricorda l'armonia che regnava all'epoca di Radegonda e i miracoli avvenuti mentre era ancora viva, ai quali va aggiunta la guarigione miracolosa di un cieco al suo funerale, riportata da Baudonivia. Il suo corpo, deposto fuori dalle mura di Poitiers un poco distante dal monastero, divenne oggetto di venerazione e vi furono nuove guarigioni miracolose, mentre la sua memoria e il suo esempio venivano citati ad esempio nelle dispute contro i pagani. La vita di Radegonda è stata spesa in un intenso ed efficace servizio alla Chiesa, e di questo oggi si ha molta più consapevolezza che in passato. In una occasione, ella affrontò una moltitudine di franchi pagani armati, pacificando i loro animi con il semplice potere della croce che aveva con sé. La sua memoria venne celebrata per la prima volta nell'VIII o nel IX secolo e le vennero dedicate numerose chiese in Inghilterra e in Francia. MARTIROLOGIO ROMANO. A Poitiers in Aquitania, in Francia, santa Radegonda, che, regina dei Franchi, prese il sacro velo mentre suo marito, il re Clotario, era ancora in vita e visse nel monastero di Santa Croce a Poitiers da lei stessa costruito sotto la regola di san Cesario di Arles.
nome San Massimo il Confessore- titolo Teologo bizantino- nascita 580 circa, Costantinopoli, Turchia- morte 13 agosto 662, Schemaris, Lazica- ricorrenza 13 agosto- Giovanni Scoto Eriugena, egli stesso grande filosofo, definisce Massimo «il filosofo divino, il sapiente, l'insegnante più illustre». Egli è sicuramente un teologo di grande rilievo e interesse, ma le sue idee sono rimaste quasi ignote, fuori dalla cerchia degli studiosi, per la difficoltà dei concetti e la dispersione in ragionamenti complessi e tortuosi. Per comprendere gli eventi centrali della sua biografia bisogna conoscere alcune controversie fondamentali della storia della Chiesa e le loro ripercussioni ecclesiastiche, teologiche e filosofiche. Le nozioni, infatti, di "energia", "natura" e "volontà" o altre, presenti nella fisica, nella psicologia e nella metafisica del VI secolo, ma anche la comprensione di cosa lo stesso Aristotele avesse inteso con tali termini, sono oggi cambiate completamente e il loro uso senza contestualizzazione porterebbe inevitabilmente a incomprensioni. Il riassunto qui di seguito, tuttavia, sarà necessariamente riduttivo. Massimo nacque da una famiglia aristocratica bizantina nel 580 circa, probabilmente a Costantinopoli. L'imperatore Eraclio lo nominò suo segretario, ma Massimo, dopo poco, diede le dimissioni per divenire monaco, e poi abate, del monastero di Cbrysopolis (Scutari), dove scrisse alcuni trattati. I persiani invasero il paese nel 626, ed egli dovette fuggire ad Alessandria d'Egitto, dove compose la maggior parte dei suoi scritti. Era un difensore della dottrina delle due nature di Cristo, sancita dal concilio di Calcedonia, contro il monotelismo, un'eresia con radici politico-religiose sorta di fronte alle invasioni persiane e musulmane e tesa a riunire i cristiani mediante un compromesso dottrinale tra monofisiti e calcedonesi. Molto in sintesi, i monofisiti sostenevano che vi fosse una sola natura (divina) nella persona del Figlio incarnato, mentre i difisiti sostenevano che ve ne fossero due, la divina e l'umana. I sostenitori del monotelismo, invece, ammettevano due nature in Cristo ma una volontà e un'azione unica. Questa formula di compromesso fu il frutto di alcuni incontri dell'imperatore Eraclio con i capi monofisiti nel 624; essa pareva appoggiarsi su dei precedenti ortodossi, era sostenuta da importanti ecclesiastici come il patriarca Sergio di Costantinopoli, il vescovo Teodoro di Pharan (in Arabia) e il patriarca Ciro di Alessandria, e si dimostrò molto utile per riconciliare i monofisiti. Raggiunse la sua espressione migliore in nove proposizioni di un Patto (o "Formula di unione") proclamato solennemente ad Alessandria il 3 giugno 633: l'unico e medesimo Cristo opera in maniera umana e divina «con una sola energia teandrica». S. Sofronio (11 mar.), patriarca di Gerusalemme, rigettò risolutamente la formula e asserì nuovamente l'esistenza di due energie in Cristo, perché l'energia è direttamente legata alla natura (cfr. Aristotele). Sofronio e Sergio discussero e trovarono un accordo ma poi lo disconobbero. Modifiche non sottili emergevano da quelle, apparentemente sottili, apportate alla terminologia chiave. Nel 634 Sergio chiese l'approvazione del papa, papa Onorio (in due lettere che fanno riferimento a un solo volere, una voluntas, in Cristo) parve essere d'accordo con il Patto e con uno scritto del patriarca che parlava della «energia operante attuale dell'unico Cristo agente». Parlando di "una volontà", Onorio pare che intendesse riferirsi a "un atto" della volontà umana di Cristo, specifico e determinato solo dalla volontà divina, ma naturalmente le diverse fazioni riconobbero la propria posizione nella sua ambigua terminologia (e, ancora oggi, solo persone con medesime idee e impostazione filosofica riescono ad accordarsi sul significato preciso dei suoi scritti). Nel 638 Eraclio pubblicò un nuovo editto, l'Ekthesis, in cui si sosteneva che l'unicità della volontà in Cristo fosse un fondamentale dato dottrinale. Forse faceva riferimento all'unico atto volitivo di Cristo piuttosto che alla volontà intesa come facoltà, ma ancora una volta il significato recepito dipese dall'orientamento del lettore. La Chiesa orientale accettò la singola volontà in occasione di due concili a Costantinopoli (638 e 639) e gli imperatori Eraclio e Costante II restarono apparentemente fedeli al monotelismo. Sofronio morì nel 638 e Massimo ne prese il posto di principale difensore dell'ortodossia. Non ritenne che Onorio avesse davvero sostenuto idee monotelite e lo difese come ortodosso; valutando insoddisfacenti alcuni punti della questione, la prese in esame globalmente in maniera prudente e, a quanto pare, troppo intellettualmente sofisticata. Una disputa con Massimo a Cartagine nel 645, portò Pirro (temporaneamente deposto perché monotelita), successore di Sergio nella sede di Costantinopoli, ad abiurare il monotelismo ma successivamente, a Ravenna, egli rinnegò la fede e si schierò ancora contro il monaco. Nel 648 l'imperatore Costante abrogò l'Ekthesis e cercò un nuovo compromesso con un decreto, il Typos, che venne considerato da Massimo ancora essenzialmente monotelita. Il futuro santo ottenne che diversi sinodi africani rigettassero molti elementi dottrinali del monotelitismo, e nel 649 andò a Roma contribuendo ad assicurarne la condanna del papa e del concilio Lateranense, ma l'imperatore si indispettì di tutte quelle iniziative autonome, che trovava fastidiose, politicamente compromettenti e pericolose; nel 653 Costante («odioso a se stesso e all'intera umanità», come dice Gibbon) fece arrestare a Roma papa S. Martino I (13 apr.) e lo mandò in esilio in Crimea, dove questi morì di fame. Poi convocò l'erudito Massimo a un incontro nella capitale e, come spesso accade, questa convocazione in realtà significò l'arresto da parte della polizia imperiale, la conduzione sotto scorta a Roma e il processo per cospirazione; gli fu data la possibilità di accettare la formula imperiale come già aveva fatto la Chiesa di Costantinopoli, ma Massimo rifiutò. Amico dell'esarca Gregorio di Cartagine, che si era dichiarato antiimperatore, il monaco fu accusato di alto tradimento ed esiliato a Bizya, in Tracia, dove patì freddo e fame. Dopo pochi mesi il vescovo Teodosio di Cesarea arrivò in Bitinia con una commissione per iniziare un dibattito teologico d'accusa. Massimo difese con tale eloquenza la teoria delle due nature da convincere, pare, Teodosio, il quale ritrattò la semi eresia imperiale (con una solenne dichiarazione di fronte al Vangelo, la croce e un'immagine di Maria) e fu mosso a pietà. Diede al confessore denaro e abiti (che i vescovi locali subito confiscarono) e Massimo fu mandato in un monastero. Dopo poco Teodosio gli fece visita con un'altra delegazione e un'offerta di onori imperiali se avesse avallato le posizioni di Costante. Massimo gli ricordò la sua solenne conversione di cuore e di pensiero, ma Teodosio rispose: «Mettiti nella mia posizione: prova tu a dirlo all'imperatore!». Massimo però non si fece convincere; gli vennero confiscati i suoi pochi beni e il giorno seguente venne portato a Perberis, dove i suoi amici e sostenitori, Anastasio abate e Anastasio l'apocrisario, erano già stati condotti. Rimase là per sei duri anni. Nel 661 venne nuovamente portato a Costantinopoli, con i suoi due compagni, e fu torturato, frustato e, pare, mutilato della lingua e della mano destra, per essere sicuri che non potesse più né parlare né scrivere. Massimo fu poi esposto in ognuno dei dodici quartieri della città e i suoi compagni ricevettero lo stesso trattamento, che non era per nulla inusuale durante il regno di Costante (che nominò il fratello diacono, per eliminarlo dalla successione al trono, e poi lo uccise; nel 668 fu a sua volta assassinato nel bagno da un servitore). Massimo venne nuovamente esiliato, questa volta nel Caucaso (pare a Skhemaris, vicino a Batumi, sul Mar Nero), e li morì poche settimane dopo. I successori di Onorio condannarono il monotelismo e nel 680 il concilio ecumenico Costantinopolitano VI proclamò inequivocabilmente l'esistenza di due volontà, una divina e una umana, in Cristo. Papa Onorio venne censurato. Massimo ebbe non solo una parte attiva all'interno delle controversie, ma fu anche uno scrittore di numerose opere sulla liturgia (la Mystagogia, un trattato mistico sulla natura "cosmica" della liturgia in un'area rituale celeste); sull'esegesi (l'Ambiguorum liber, su Gregorio di Nazianzo e contro Origene; Quaestiones ad Thalassium, su alcuni passi della Scrittura); sulla vita spirituale (il Liber Asceticus e i 400 Capita de Caritate); e di teologia (una serie di opere dottrinali contro i monofisiti e i monoteliti; parafrasi dello Pseudo-Dionigi). Massimo venne chiamato il Confessore per la difesa della dottrina cristiana ortodossa e per lo zelante supporto all'autorità del vescovo di Roma. Anche in Oriente, comunque, è sempre stato tenuto in grande considerazione e può venire considerato essenzialmente un pensatore orientale. Il retroterra culturale del quale sono intrisi i suoi scritti è affascinante tanto quanto lo sono gli scritti stessi. Ha subito diverse influenze: dalle fonti siriache e rabbiniche ai racconti familiari ai Padri della Chiesa, fino alla nozione neoplatonica del ritorno perpetuo alla natura divina. Il complesso principale del pensiero dogmatico-ascetico di Massimo può essere definito come teologia mistica. Egli considera la storia universale come una successione di illuminazione cosmica, oscuramento e successiva illuminazione redentrice. Lo stato originario dell'uomo era stabile ed equilibrato, di natura incorruttibile e con i sensi posti sotto il controllo della ragione. Attraverso la ricerca del piacere gli uomini hanno annullato la supremazia della ragione e si sono sottomessi alle passioni, ed è in questa caduta dell'ordine originale che la luce è stata oscurata e il male è entrato nel mondo. Gesù Cristo, il Verbo, è comparso tra le tenebre della mente e dell'esistenza umana per illuminarla e santificarla e restaurare l'equilibrio tra ragione e impulso. Egli offre ora all'umanità il potere di condurre una vita virtuosa, d'amore, che culminerà nella luce piena dell'unione con Dio. Un aspetto importante dell'opera di Massimo, ma che non può venire adeguatamente trattato qui, è la sua visione "dinamica" dello sviluppo umano e di un universo costantemente ricreato; nozione che, pur all'interno di un pensiero che riconosce uno spazio all'ordinamento gerarchico, mette in discussione non solo i governi tirannici ma anche molte forme di costrizione. Alcuni commentatori hanno affermato che Massimo è molto vicino ad affermare che conoscenza ed esistenza coincidano, e cioè che conoscere Dio sia, in un certo senso, essere Dio, ma questo "in un certo senso" è fondamentale: fu proprio questo il nucleo, in altri contesti, di tutti gli ardori, le confusioni e le brutalità bizantine. Forse il modo migliore, in realtà l'unico, per apprezzare ciò che Massimo riteneva così importante è analizzare le sue opere e decidere in maniera autonoma che cosa intenda con le affermazioni: «Vi è una sola energia di Dio e dei santi» e «Siamo resi dèi, e figli, corpi, membra, parti di Dio». MARTIROLOGIO ROMANO. Nella fortezza di Schemaris presso la riva del fiume Tzkhenis Dsqali sulle montagne del Caucaso, transito di san Massimo il Confessore, abate di Crisopoli vicino a Costantinopoli: insigne per dottrina e zelo per la verità cattolica, che per avere strenuamente combattuto contro l’eresia monotelita subì dall’imperatore eretico Costante l’amputazione della mano destra; insieme a due discepoli, entrambi di nome Anastasio, fu poi relegato, dopo un duro carcere e numerose torture, nella regione di Lesghistan, dove rese lo spirito a Dio.
nome San Vigberto- titolo Abate- nascita 670 circa, Inghilterra- morte 745 circa, Fritzlar, Germania- ricorrenza 13 agosto- Attributi una roncola e un tralcio di vite- Vigberto, nato in Inghilterra, divenne monaco in giovane età. Si conosce molto poco della sua vita: S. Bonifacio (5 gin.) lo invitò a prendere parte alla campagna di conversione delle popolazioni della Germania e lo nominò abate di Fritzlar, un monastero vicino a Kassel, dove S. Sturmi (17 dic.) fu uno dei suoi discepoli. In seguito fu trasferito a Ohrdruf, nella Turingia, e in entrambi i casi si dimostrò un abile superiore. Infine Bonifacio lo autorizzò a tornare a Fritzlar per vivere in pace e prepararsi alla morte, che avvenne nel 745 circa. Trent'anni più tardi S. Lull (16 ott.) trasportò il corpo nel monastero di Hersfeld, di cui divenne il patrono. Questo Vigberto non deve essere confuso con un altro S. Vigberto, discepolo di S. Egberto di tona (24 apr.) che tentò di evangelizzare i pagani alla fine del VII secolo. MARTIROLOGIO ROMANO. A Fritzlar nell’Assia, ora in Germania, san Vigberto, sacerdote e abate, a cui san Bonifacio affidò la cura del monastero del luogo.
nome San Benildo Romancon- titolo Religioso- nome di battesimo Pierre Romançon- nascita 14 giugno 1805, Thuret, Francia- morte 13 agosto 1862, Saugues, Francia- ricorrenza 13 agosto- Beatificazione 4 aprile 1948 da papa Pio XII- Canonizzazione 29 ottobre 1967 da papa Paolo VI- Pietro Romancon nacque nel 1805 a Thuret in Francia. Da piccolo rimase molto impressionato dalla figura di un religioso che passava. Gli fu detto che era uno dei Fratelli delle Scuole Cristiane, una congregazione fondata da S. Giovanni Battista De La Salle (7 apr.) a Reims nel 1684 per l'educazione gratuita di ragazzi, soprattutto figli di genitori poveri, e uno degli ordini di insegnamento più all'avanguardia nella Chiesa. Sebbene sacerdote, De La Salle aveva voluto che i Fratelli non fossero chierici, emettessero voti religiosi temporanei e venissero preparati a insegnare diverse discipline a ragazzi di ogni estrazione. L'episodio rimase impresso nella mente di Pietro, che espresse ai suoi genitori la volontà di diventare un Fratello e, quando l'ordine aprì una scuola a Riom, vi fu mandato a completare gli studi. A quattordici anni chiese di essere ammesso nella congregazione. La particolare consacrazione dei fratelli e i metodi eccezionalmente sapienti e adeguati ai giovani redatti dal De La Salle si confacevano alla sua personalità. Era un buon studente ma dovette aspettare due anni per poter entrare in noviziato perché era ritenuto troppo giovane. Nel 1820 iniziò il noviziato a Clermont-Ferrand e gli fu dato lo strano nome di Benildo, preso forse da S. Benilde, una martire uccisa dai musulmani a Cordova, ricordata nel Martirologio il 15 giugno. Alla fine del noviziato Benildo ritornò a Riom per seguire un corso di preparazione all'insegnamento. Fu mandato presso varie comunità per accrescere la propria esperienza, applicandosi nella didattica e in altre mansioni, come la cucina, e due anni dopo la professione divenne parte della comunità e della scuola di Billon. Si dice che fosse molto rigido ma giusto, che abbia sempre incoraggiato gli ultimi e che si sia interessato soprattutto all'educazione religiosa. Benildo si mostrò talmente all'altezza del compito che nel 1841, all'età di trentasei anni, fu mandato a dirigere la comunità e ad aprire una scuola a Saugues, nell'alta Loira, dove trascorse il resto della sua vita. I Fratelli erano ben visti nella città e fu loro chiesto di tenere corsi serali per adulti. Gli ispettori governativi gli conferirono una medaglia d'argento per il suo lavoro e i suoi ex alunni ricordavano con ammirazione il suo lavoro. Benildo era particolarmente portato per l'insegnamento della religione: «Se per colpa mia questi ragazzi non crescono in bontà, che senso ha la mia vita? Se io muoio insegnando il catechismo, allora morirò compiendo il mio dovere». Si impegnò sempre molto per approfondire la teologia e altre materie ed era indubbiamente un insegnante dotato, con la rara capacità di toccare il cuore degli alunni. Diceva di lui un prete locale: «Benildo sembra un angelo non solo quando è in chiesa o quando prega, ma sempre e ovunque, perfino nei roseti in giardino». Molti suoi alunni entrarono nella congregazione. Nel 1855 Benildo iniziò a soffrire di alcuni disturbi. Sei anni dopo fu colpito da una dolorosa artrite. Cercò di lottare contro la malattia e curarsi ma morì il 13 agosto 1862. Al suo funerale la chiesa era stipata e dal momento dell'interramento la sua tomba divenne una meta di pellegrinaggio. Nel 1896 si iniziò il processo di beatificazione, che avvenne nel 1948. Fu canonizzato nel 1967. MARTIROLOGIO ROMANO. Nella cittadina di Saugues presso Puy-en-Vélay sempre in Francia, san Benildo (Pietro) Romançon, dell’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che passò la vita dedito alla formazione della gioventù.
nome Beata Gertrude di Altenberg- titolo Badessa premostratense- nascita 29 settembre 1227, Turingia, Germania- morte 13 agosto 1297, Germania- ricorrenza 13 agosto- Beatificazione 18 dicembre 1311 da papa Clemente V- Gertrude era la terza figlia di S. Elisabetta di Ungheria (17 nov.), sposata a quattordici anni al B. Ludovico IV, langravio di Turingia (11 set.). Nacque due settimane dopo la morte del padre, avvenuta nel settembre del 1227 a Otranto, mentre era in viaggio per la crociata in Palestina. Prima di partire Luigi aveva deciso con la moglie che il nascituro sarebbe stato consacrato al servizio di Dio come ringraziamento per l'anno trascorso felicemente insieme e che, se fosse nata una bambina, sarebbe entrata nelle monache premostratensi di Altenberg, vicino a Wetzlar. Elisabetta aveva scelto come padre spirituale Conrad di Marburgo, un uomo severo e duro, ed egli insistette perché la piccola Gertrude fosse portata ad Altenberg prima dei due anni. Raggiunta l'età in cui era in grado di scegliere da sola, dopo la morte di entrambi i genitori (la madre morì a ventiquattro anni), Gertrude ratificò la loro decisione ed entrò formalmente nella comunità. A ventidue anni divenne badessa e, con l'eredità ricevuta da uno zio, fece costruire una nuova chiesa per il monastero e una casa di accoglienza per i poveri, che gestiva personalmente. Non approfittò mai della sua posizione e compiva azioni di penitenza e opere pie come tutte le altre monache. Durante la settima crociata Gertrude commemorò il padre facendo voto solenne insieme alla sua comunità di sostenere costantemente, con preghiere e penitenze, il tentativo di conquistare e proteggere i luoghi santi. Nel 1270 ottenne che la festa del Corpus Domini fosse celebrata nel suo monastero e fu una delle prime a introdurre la memoria in Germania. Nel 1289, all'epoca in cui il domenicano Dietrich stava scrivendo la vita di Elisabetta di Ungheria, Gertrude era ancora viva. Morì durante il suo cinquantesimo anno di priorato. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Altenburg presso Vetzlar sempre in Germania, beata Geltrude, badessa dell’Ordine Premostratense, che, ancora bambina, fu dalla madre santa Elisabetta, regina d’Ungheria, offerta a Dio in questo luogo.