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I santi di oggi 11 marzo:
nome San Costantino- titolo Re e martire- nascita 520 circa, Cornovaglia- morte 9 maggio 576, Kintyre, Scozia- ricorrenza 11 marzo- La Chiesa greca, ma non quella latina, riserba un posto importante, tra i suoi Santi, al più celebre Costantino della storia, cioè all'Imperatore romano che riconobbe ai cristiani la libertà di culto, e che favorì in molti modi - anche con la sua conversione - la diffusione e l'affermazione del Cristianesimo nel mondo romano. L'Imperatore Costantino è perciò stato onorato, addirittura con il titolo di «pari agli Apostoli» o anche di «tredicesimo Apostolo». Si tratta di una tradizione assai antica in Oriente; ma si può pensare che, più che a ragioni religiose, la sua devozione sia legata a motivi politici, anzi dinastici, per esaltare gli Imperatori bizantini che del grande Costantino furono eredi e successori. Costantino, imperatore, non figura tra i Santi della Chiesa cattolica, ma non mancano santi con il nome di Costantino, e proprio oggi ne sono festeggiati due insieme. Del primo, che il Martirologio dice «confessore a Cartagine», non si sa però nulla, oltre a questa generica notizia. Poco più noto è anche l'altro San Costantino odierno, il quale però appare degno del suo augusto nome, in quanto fu anch'egli sovrano terreno, oltre che degno della gloria dei Santi. Non era latino, ed era anzi nato ai margini del mondo romano, figlio di un Re della Cornovaglia, la rocciosa penisola che si protende verso l'Atlantico, nella parte più meridionale e occidentale dell'isola inglese. Figlio di Re, erede al trono, e infine Re egli stesso, Costantino non fu, a quanto pare, nella sua gioventù e anche nella maturità, né specchio di virtù né modello di pietà. Aveva sposato la figlia del Re di Bretagna, ma non fu neanche marito esemplare. Soltanto alla morte della moglie, già anziano, conobbe una profonda trasformazione spirituale. Fu allora che il vedovo Re di Cornovaglia si ritirò, per qualche anno, nel silenzio di un monastero dedicato a San David, cioè a un altro Re peccatore e penitente. Fece ancora di più, perché Costantino si unì a San Colomba, o Columba, il grande monaco irlandese che per primo portò e fece fiorire il Cristianesimo in terra di Scozia, fondandovi monasteri di vita severa e attiva. La Scozia, che allora aveva ancora il nome latino di Caledonia, era popolata da tribù barbare e indomite: gli Scotti e, più a settentrione, i Pitti. Neanche le legioni romane avevano potuto soggiogarle, e per difendere i confini della Britannia dalle loro incursioni era stato necessario costruire gigantesche muraglie, o valli, che sbarravano il paese da levante a ponente. Nella terra dei feroci Pitti, San Costantino e San Colomba svolsero insieme la loro missione, non soltanto difficoltosa, ma anche pericolosa. Ottennero molte conversioni, fondarono chiese, crearono monasteri, ma a un certo punto i barbari Pitti presero una breve e sanguinosa rivincita sui loro benefattori, conclusasi con un massacro dei cristiani. Così, nel 598, il Re di Cornovaglia diventato missionario cristiano, restò vittima della violenza dei barbari Pitti. MARTIROLOGIO ROMANO. In Scozia, san Costantino, re, discepolo di san Colomba e martire.
nome Beato Giovanni Righi da Fabriano- titolo Sacerdote- nome di battesimo Giovanni Righi- nascita 1489 circa, Fabriano, Ancona- morte 1539 circa, Cupramontana, Ancona- ricorrenza 11 marzo- Beatificazione 7 settembre 1903 da papa Pio X- Nacque a Fabriano dalla famiglia Righi. Fin da piccolo era molto obbediente agli insegnamenti ricevuti nella sua famiglia. Leggendo la vita di San Francesco d'Assisi, decise di diventare francescano. E così, nel pieno della sua giovinezza, il nostro Beato indossava l'abito francescano nel convento di Forano, vicino a Rieti. Dopo la professione, dedicò diversi anni allo studio della filosofia e della teologia prima di essere ordinato sacerdote. Per molti anni fu un frate molto obbediente e umile. Si suppone che i giovani professi si recassero da Forano al convento solitario de La Romita, un ex monastero dei Camaldolesi, chiamato in passato Romitella delle Mandriole, situato nei pressi di Cupramontana.<br /> Giovanni trascorse praticamente il resto della sua vita, una cinquantina d'anni, lassù a Romita, a volte dedito all'apostolato e più spesso al silenzio e alla preghiera, alla penitenza, alla lettura delle opere dei Santi Padri della Chiesa. Nella solitudine de La Romita, il nostro beato trovò ciò che il suo cuore desiderava. Nella chiesa c'era una venerabile immagine di Gesù Crocifisso, appartenuta a San Giacomo de la Marca. Giovanni la rese oggetto di frequenti visite, ardenti preghiere, profonde meditazioni e persino, per concessione del Signore, estasi non rare. Emulo del suo serafico Padre, volle ardentemente unirsi alle sofferenze di Gesù, trasformarsi nell'Amore crocifisso, così poco amato da gran parte del mondo. Vi trovò un altro oggetto che gli toccò il cuore e alimentò la sua pietà filiale: un'immagine in terracotta, che rappresentava la Beata Vergine contemplando il Bambino Gesù sdraiato sulle ginocchia, e che era affiancata dalle figure dell'apostolo San Giacomo il Maggiore e San Francesco di Assisi. E così il devoto solitario trascorreva lunghe ore ai piedi della nuova e accattivante immagine della Madre del Signore, scambiandosi affetti e sentimenti. La sera, dopo la preghiera del Mattutino, quando i suoi fratelli si ritiravano per riposare, rimaneva nel coro per continuare le sue preghiere che spesso finivano in estasi. Nella fitta foresta che circondava il convento solitario, c'era ed è tuttora una piccola grotta, come un eremo all'interno dell'eremo, in cui si riuniva Giovanni per dedicarsi alla preghiera e alla penitenza. Per i nostri benedetti, il paradiso in terra era nel suo ritiro e solitudine. A suo piacimento, non se ne sarebbe mai andato. Ma la carità e l'obbedienza gli imponevano di tanto in tanto di intraprendere viaggi più o meno lunghi. A quel tempo, i diversi signori e le famiglie nobili della regione erano in conflitto. La società e la Chiesa sperimentarono gli alti e bassi del progresso di una rinascita in tutti gli ordini. E nell'alta società, oltre che tra i soldati e la gente comune, imperversavano la demoralizzazione e il declino delle buone maniere. Il p. Giovanni non era un oratore eloquente, ma con la sua parola semplice e persuasiva riuscì a toccare i cuori e condurli alla conversione. E così, di tanto in tanto, anche se piccolo di statura e di carnagione fragile, intraprendeva lunghi viaggi con gioia di spirito per pacificare i belligeranti o per esortare l'uno e l'altro a convertirsi e cambiare vita. Quando usciva dalla pensione, sempre accompagnato da un altro frate come era obbligatorio, non portava con sé altro che la sua pacifica povertà e la sua ferma fiducia in Dio. A volte parlava nelle chiese, a volte parlava nelle sale dei palazzi signorili, e la sua parola era sempre una calorosa esortazione all'adempimento dei comandamenti divini, alla frequenza dei sacramenti, ad amare il prossimo, a liberarsi dalla schiavitù il mondo. E parlava con tanto zelo e persuasione, che molti si convertirono a Dio, riconciliati, confessati, fecero penitenza per i loro peccati. La fama del frate semplice de la Romita si diffuse in tutta la Marca di Ancona. Grande fu la carità di Giovanni con tutti coloro che lo incontrarono nei suoi viaggi o con coloro che sono vennero da lui. Ma quello che praticava con i frati del suo convento era ancora più grande. Era attento ai loro desideri e ai loro bisogni e la sua gioia più grande era servire i malati, prestando loro ogni cura prontamente e delicatamente. Il suo amore per Gesù crocifisso, oggetto costante del suo amore e della sua contemplazione, lo portò alla pratica delle austerità e delle penitenze tipiche degli antichi anacoreti, di cui leggeva con piacere gli scritti, in particolare quelli di san Giovanni Climaco. Digiunò continuamente a pane e acqua, mangiando un solo pasto al giorno e ancor meno durante la Quaresima. Da vero figlio di san Francesco, amava la povertà e la praticava, accontentandosi della tunica rattoppata e del breviario per la lode liturgica del Signore. La sua cella, successivamente trasformata in oratorio, era piccola e sobria. In effetti, la sua reputazione di santità si diffuse presto in tutta la regione, e quando il nostro frate viaggiò, gli furono portati malati anche da paesi lontani per benedirli, e c'erano numerose offerte votive che erano, e sono ancora, sui muri di la sua cappella. Un giorno fu colto da un grande malessere. I frati vennero, gli diedero i primi soccorsi e lo curarono finché non parve loro che il pericolo fosse passato, poi si ritirarono. Poco dopo, rimasto solo nella sua piccola cella, si addormentò pacificamente nel Signore. Il suo corpo fu sepolto nel cimitero del convento, ma, dieci anni dopo, fu portato alla luce, trovato incorrotto e posto in un'urna sotto l'altare del Santo Cristo. E lì, nella chiesa di San Giacomo della Romita, è conservata e venerata ancora oggi. Il suo culto fu confermato da Leone XIII il 7 settembre 1903. MARTIROLOGIO ROMANO. A Cupramontana nelle Marche, beato Giovanni Battista Righi da Fabriano, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori.
nome San Sofronio di Gerusalemme- titolo Vescovo, Patriarca di Gerusalemme- nascita Damasco, 550 circa- Elezione 634- Fine patriarcato 11 marzo 638- morte Gerusalemme, 639- ricorrenza 11 marzo- Sofronio, siriano di Damasco, fu eletto patriarca di Gerusalemme nel 634. La Palestina al tempo si trovava a vivere sotto la pressione dell'imminente invasione da parte di Abu-Bekr, suocero di Maometto († 632) e del califfo Omar. Allo stesso Sofronio fu impossibile celebrare il Natale, come di consueto, nella chiesa della Natività di Betlemme a causa dell'assedio. Ma il patriarca dovette affrontare anche l'eresia del monotelismo che proponeva un modello cristologico incompleto e limitante. Assieme a Massimo il Confessore, Sofronio cercò di combattere con vari scritti l'eresia che usciva dalla stessa corte imperiale di Costantinopoli. Nel 638 però dovette consegnare la città al califfo Omar. Morì di lì a poco. Di lui ci sono pervenute alcune poesie e lettere. (Avvenire). MARTIROLOGIO ROMANO: A Gerusalemme, san Sofronio, vescovo, che ebbe per maestro e amico Giovanni Mosco, con il quale visitò i luoghi del monachesimo; eletto dopo Modesto vescovo di questa sede, quando la Città Santa cadde nelle mani dei Saraceni, difese con forza la fede e l’incolumità del popolo.
nome Sant'Eulogio di Cordoba- titolo Sacerdote e martire- nascita 800 circa, Cordova, Spagna- morte 11 marzo 859, Cordova, Spagna- ricorrenza 11 marzo- Attributi vesti da sacerdote e palma del martirio- Vittima della fierissima persecuzione che l'odio implacabile del nemico infernale scatenò contro la Chiesa di Spagna nel secolo nono, fu S. Eulogio, che onorò la Chiesa e la Penisola Iberica nei tempi nefasti della dominazione mussulmana. Questo glorioso martire di Cristo ebbe i natali agli albori del secolo nono, in una delle più ragguardevoli famiglie di Cordova. Passò i suoi primi anni alla scuola di pii ecclesiastici, chiamati di S. Zoilo, dove, alle scienze profane é divine, unì singolare pietà e venerazione per la Sacra Scrittura. Fatto adulto, passò alla scuola del santo abate Sperandio, dalla quale uscì come un uomo nuovo, rivestito dell'armatura di Dio, della corazza della giustizia, pronto per la propagazione del Vangelo, fonte di pace e di verità. Ordinato sacerdote, fu messo a presiedere alla scuola ecclesiastica di Cordova, assai rinomata a quei tempi. Nel digiuno, nella preghiera e nelle veglie,santificava il suo studio e con l'umiltà, con la carità e con la pazienza, caratteristica dei veri seguaci di Cristo, seppe cattivarsi la benevolenza, la cooperazione e la corrispondenza di quanti lo circondavano. Intanto nella Spagna, dopo il regno dei Goti, vi si erano stanziati i Saraceni o Mussulmani. Questi barbari feroci, nonostante i loro sforzi, non avevano potuto spegnere nei loro sudditi il Cristianesimo, e, ai Cristiani rimasti, avevano accordato tolleranza dietro il compenso di un annuo tributo. Ma nell'anno 850, sotto Abderamo, si scatenò una fiera persecuzione contro i Cristiani. Molti furono incarcerati, compresi il Vescovo di Cordova e il nostro Santo. Questi, nel tetro carcere, leggeva continuamente la Sacra Scrittura ai suoi compagni di sofferenza, affinché armati dello scudo della fede e della spada della parola di Dio, potessero resistere ai dardi delle diaboliche tentazioni e soggiogare il nemico della loro eterna salute. Compose in quel tempo la sua celebre Esortazione al martirio. S. Eulogio agognava il martirio, ma il Signore, che per mezzo suo voleva ancora salvare molti, permise che per allora fosse liberato. Il Santo moltiplicò il suo zelo per istruire i fedeli con la dottrina e con l'esempio, per fortificare i deboli nella dura prova a cui li sottoponeva il Signore. Grande fu il numero di cristiani che da lui sostenuti subirono il martirio.<br /> Intanto la fama del suo zelo ed il sue vasto sapere lo avevano fatto eleggere alla sede arcivescovile di Toledo, rimasta vacante nell'anno 858: ma la profonda umiltà del Santo non gli permise di accettare. A motivo delle conversioni che andava operando, Eulogio fu tratto di nuovo in arresto: ma anche davanti ai giudici l'uomo di Dio, eroicamente, esaltò la divinità di Gesù Cristo: allora fu condannato a morte. Eulogio ringraziò Dio, e dopo aver fatta ardente preghiera, offrì il capo al carnefice e se ne volò al premio l'11 marzo 859. PRATICA. Sull'esempio di quest'anima così generosa, impariamo anche 'noi a sopportare, cristianamente rassegnati, gli incomodi e i disagi della vita presente. PREGHIERA. Dio, che tanta fortezza e sapienza infondesti nel tuo servo Eulogio, fa', ti preghiamo, che anche noi siamo rivestiti della corazza delle virtù ed illuminati nelle tue sante verità. MARTIROLOGIO ROMANO. A Córdova nell’Andalusia in Spagna, sant’Eulogio, sacerdote e martire, decapitato con la spada per avere proclamato apertamente la fede in Cristo.
nome San Pionio di Smirne- titolo Martire- morte 250, Smirne- ricorrenza 11 marzo- Attributi Palma del martirio- Pionio era un prete di Smirne, figlio spirituale di S. Policarpo (23 feb.), a cui era molto legato. Era un oratore eloquente e un buon insegnante, conosceva la letteratura profana e le Scritture, e fu un modello e una guida per i numerosi uomini che convertì. Pionio accolse nella sua casa Sabina, che era fuggita da una famiglia pagana dove era stata maltrattata a motivo della sua fede. Il giorno dell'arresto era con loro anche Asclepiade. Pionio era stato avvertito in sogno del suo imminente destino e in segno di sfida e anche di accettazione del martirio, incatenò se stesso e i suoi compagni. Poi pregarono insieme e consumarono il pane benedetto, prima che Polemone, il capo del tempio, irrompesse con i suoi uomini. Vennero interrogati nel tribunale davanti alla folla e furono invitati a offrire sacrifici agli idoli, ma essi si rifiutarono. Quando fu chiesto a Asclepiade quale Dio venerasse, egli rispose: «Gesù Cristo». «È un altro Dio?» chiese Polemone. Asclepiade disse: «No, è lo stesso che gli altri hanno professato», dichiarando così esplicitamente la divinità di Cristo. Quando Sabina udì che sarebbe stata arsa sul rogo sorrise, e per questo minacciarono di portarla in un luogo di prostituzione. «Sarà Dio a proteggermi là» disse. Polemone li fece condurre in cella, dove trovarono altri tre cristiani, ma subito tornò con un ufficiale di cavalleria e alcuni soldati per portarli al tempio. Pionio protestò per l'illegalità dell'azione, infatti non potevano essere portati fuori dalla prigione se non per ordine del proconsole. Qualcuno gli disse, mentendo: «Il proconsole ha dato ordine che veniate trasferiti a Efeso». Vennero trascinati fino al mercato e là si gettarono a terra per evitare l'ingresso nel tempio: furono necessari sei uomini per trasportarvi Pionio, a testa in giù.<br /> Seguirono altri interrogatori e accesi scambi di battute tra i cristiani e la folla. Misero loro delle ghirlande, ma essi le gettarono via, rifiutandosi anche di mangiare la carne dei sacrifici. Non sapendo più che cosa tentare, li riportarono in prigione. Quando il proconsole Quintiliano arrivò a Smirne, chiese di vedere Pionio. Questi subì un duro interrogatorio ma continuò a rifiutarsi di fare sacrifici: fu torturato; gli fu chiesto nuovamente di inchinarsi agli idoli e ancora rifiutò: fu condannato al rogo. Pionio si affrettò allo stadio e si tolse le vesti: il suo corpo non mostrava alcun segno delle torture appena subite. Si stese sul patibolo e permise agli aguzzini di piantare i chiodi. Gli fu offerta un'ultima possibilità: se avesse cambiato idea avrebbero tolto i chiodi. «Credo che debbano rimanere dove sono» fu la risposta «e prima morirò, prima potrò risorgere.» Mentre accatastavano la legna intorno, Pionio chiuse gli occhi, così che tutti pensarono che fosse svenuto, ma egli stava semplicemente pregando. Alla fine aprì gli occhi e disse, con il viso raggiante: «Amen», mentre le fiamme lambivano il suo corpo. Poi pronunciò le parole: «Signore, ricevi il mio spirito» e con un unico spasmo rese l'anima a Dio.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Smirne, nell’odierna Turchia, san Pionio, sacerdote e martire, che, come si racconta, per aver tenuto pubblicamente un’apologia in difesa della fede cristiana, dopo aver subíto l’amarezza del carcere, durante il quale confortò con il suo incoraggiamento molti fratelli ad affrontare il martirio, crudelmente torturato ottenne in sorte nel fuoco una fine beata in Cristo.
nome Sant'Oengus il Culdeo- titolo Monaco- nascita Clonenagh, Irlanda- morte 824 circa, Clonenagh, Irlanda- ricorrenza 11 marzo- Nacque nelle vicinanze di Clonenagh, in Irlanda, fu educato in una scuola monastica, fondata da San Fintano, non lontano dalla città di Mountrath. Divenne eremita, visse per un certo periodo a Disertbeagh, dove, sulle pendici del Nore, si diceva parlasse con gli angeli. Dal suo amore per la preghiera e la solitudine, fu soprannominato il "Kéléde " in altre parole, il Ceile Dé, o "Vassallo di Dio". Non soddisfatto di essere un eremita, dove trovandosi a solo un miglio di distanza dal villaggio di Clonenagh, e quindi incline a essere disturbato da studenti o astanti, Oengo si trasferì in un luogo più solitario a 8 miglia di distanza. Questo luogo remoto, due miglia a sud-est della città di Maryborough, prese il nome da lui "il deserto di Aengus", o "Dysert-Enos". Qui costruì un piccolo oratorio sui monti Dysert, che erano rovine abbandonate di una chiesa. La sua biografia più antica (IX secolo) racconta le sue incredibili privazioni praticate da Oengo nel suo "deserto", e sebbene cercasse di essere lontano dagli uomini, la sua fama attirò molti visitatori. Il risultato fu che il buon santo lasciò il suo oratorio nel Desert-Enos e, dopo un po' di girovagare, arrivò al monastero di Tallaght Hill, vicino a Dublino, allora governato da Saint Mael-Ruain. Entrò come fratello laico, nascondendo la sua identità, ma Saint Mael-Ruain lo scoprì presto e collaborò con lui all'opera nota come "Martyrologio de Tallaght", nell'anno 790. Si tratta di un catalogo in prosa irlandese santi, ed è il più antico dei martirologi irlandesi. Nell'805 Oengo terminò la sua famosa "Félire", un'opera poetica dei Santi d'Irlanda, una copia della quale si trova in Leabhar Breac. Gli ultimi tocchi del suo lavoro furono dati nella cella di Disert-beagh (Oengus aveva lasciato Tallaght, non molto tempo dopo la morte di Saint Mael-Ruain), dove morì. Alcuni autori affermano che dal convento di Tallacht Hill tornò a Clonenagh dove fu abate e vescovo. Fu sepolto a Clonenagh, come descritto durante la sua vita. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Tallaght in Irlanda, sant’Oengus, detto il Culdeo, monaco, che ebbe cura di comporre un martirologio dei santi d’Irlanda.