@Namskot
Nyarlathotep di Lovecraft
Non ricordo con chiarezza quando ebbe inizio, ma ormai non ha più importanza. Dovunque nel mondo gravava una tremenda tensione, a un periodo di sconvolgimenti politici e sociali andava a sovrapporsi un angoscia strana, tetra: si viveva un'inconscia attesa di un qualche orribile pericolo, un pericolo immaginabile solamente nei più tormentosi incubi notturni. Ricordo le facce della gente, pallide nevrasteniche, preoccupate senza sapere realmente di cosa preoccuparsi, e le voci che si diffondevano tra le persone, voci che nessuno ammetteva di aver udito o diffuso neppure con se stesso. Su ogni cosa e su ogni uomo incombeva il senso di una colpa mostruosa. Si stava verificando una sorta di diabolica alterazione nel susseguirsi delle stagioni, un inverno immerso in un caldo abominevole e innaturale.
Fu a quel punto che Nyarlathotep apparve in Egitto. Chi fosse nessuno ne aveva idea, ma era di sangue antico e nessuno dubitò del suo essere un faraone. Nel momento in cui lo videro il popolo s'inginocchiò al suo cospetto, pur senza riuscire a spiegarne la ragione. Dichiarò di essere risorto da ventisette secoli di tenebra e di portare il messaggio degli antichi, quello che rimaneva del mondo civilizzato crollò di fronte a questo messaggio di follia inumana.
Camminava nelle città costruite dagli uomini, e questi trascinati dalla loro presunzione iniziarono a seguirlo in una marea umana, più animalesca, ma di quel mondo animale che era vissuta milioni di anni prima dei primati, nell'oscurità delle acque melmose in cui la vita si era formata contro la volontà degli dei. Dava agli uomini strumenti di vetro e metallo mai visti prima che producevano immagini, rumori e messaggi in lingue di entità aliene esistenti su altri piani di realtà, le sue parole di scienza, metafisica e psicologia pur essendo fonte di conoscenza superiore non appartenevano a questo mondo e lasciavano gli esseri umani preda dei loro incubi più oscuri. Dove Nyarlathotep faceva la sua comparsa, tutto il resto svaniva, mai prima di quel momento le urla degli incubi erano state un problema sociale. Adesso, nelle ore del profondo della notte, gli uomini invocavano l'insonnia, in modo che le grida che si levavano dalle città non disturbassero più quello che rimaneva delle loro coscienze. Ricordo quando Nyarlathotep arrivò nella mia città, la grande antica, terribile città di infiniti crimini. Bruciavo dal desiderio di esplorare i suoi misteri più profondi e in una afosa notte invernale mescolato ad una folla inquieta e angosciata andai a vedere Nyarlathotep. Nei suoi occhi più nelle sue parole che non comprendevo vidi la fine del mondo, un immagine di malefiche creature che vagano in un universo pieno di vita portando una lenta e desolante distruzione, fino a ché non rimaneva l'oscurità che nessuno aveva mai pensato o profetizzato, un nulla che esisteva divorando se stesso. Urlai a pieni polmoni che non avevo paura, che non avrei mai avuto paura, altri si unirono alle mie grida. Le urla si rivolsero ben presto contro di noi, maledicendo la nostra umanità, la nostra società fino a che senza fiato e senza volontà iniziammo anche a ridere senza sapere il perché. Dalla luce di una luna insolitamente verdastra fummo scossi dal nostro torpore ma non dal nostro delirio perché iniziammo a camminare verso il nostro destino. Camminavamo in una città che sembrava in rovina da millenni verso un orizzonte che non vedevamo ma ci chiamava. Mentre camminavamo delle inquietanti torri nere apparvero all'orizzonte, non era niente di costruito dagli uomini, la solo la lora immagine era la consapevolezza della fine, molti inconsciamente tentarono di resistere a questo richiamo ma fu inutile perché chi si allontanava dal sentiero veniva sempre inghiottito dalle tenebra e dalla risata di Nyarlathotep.
Percezione urlante, follia delirante, niente di umano poteva rispondere, ombre di uomini disperati e consapevoli che cercano con le mani di afferrarsi alla terra, ultimo messaggio dell'uomo il suo aggrapparsi alla propria razionalità con cui ha modellato il suo mondo. Ma qui non c'era più niente a cui aggrapparsi, solo lo sprofondare nell'oscurità terribile, viva e agghiacciante che esisteva prima dell'universo e venuta a reclamare il posto che aveva. In questo ripugnate cimitero dell'essere, un terribile martellare di tamburi e un esile e monotono suono di flauti blasfemi che suonano aldilà del tempo e dello spazio, intonando una danza lenta, discordante e senza senso espressione di quei tenebrosi dei della fine, privi di voce, di senso e ragione ma la cui anima è Nyarlathotep.