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01/07/2024 alle 16:24

I santi di oggi 1 luglio:

I santi di oggi 1 luglio:

nome Preziosissimo Sangue di Gesù- titolo Sorgente di vita eterna- ricorrenza 1 luglio- Il mese di luglio è dedicato, secondo il calendario della forma straordinaria del rito romano, al Preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. Dal punto di vista storico, la festa del Preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo venne istituita nel 1849 da Papa Pio IX, anche se sarà Papa Pio X che, successivamente, in occasione del diciannovesimo centenario della morte di Cristo, stabilirà nel giorno primo di luglio la sua celebrazione. A partire dal 1970, però, il Concilio Vaticano II, nel riformare il calendario liturgico, prevederà l'unificazione della festa del Preziosissimo Sangue di Cristo con quella del Corpus Domini. Ad oggi, solamente il calendario della forma straordinaria del rito romano mantiene la celebrazione di tale ricorrenza nel giorno 1 luglio, col grado di I Classe. La devozione al Preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo è antichissima nella Chiesa cristiana e fonda le sue radici nello stesso Antico Testameno. Nella Bibbia, infatti, il sangue è sempre descritto come un mportante elemento della vita tanto che lo stesso Deuteronomio 12,23, nel ribadire la preziosità di questo elemento, indica come Dio Padre comandi di non versarlo, ovvero di non spargerlo inutilmente con gli assassinii, di non mangiare carni animali che contengano ancora residui di sangue e di non berlo. La ragione di queste prescrizioni risiede appunto nella sacralità del sangue. Il Nuovo Testamento, affianza alla sacralità del sangue, quella del sangue Divino, sparso sul calvario per la salvezza dell'umanità: nel ricordare la scena del Calvario, quando la lancia trafisse il costato del Divino Crocifisso, la liturgia odierna sottolinea il significato e la portata del sacrificio infinito del Calvario. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». (Gv 6, 48-58)

PRATICA: recitare la novena sotto riportata per nove giorni consecutivi, terminando la preghiera con le litanie del Preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. Si raccomanda di assistere almeno ad una Messa durante il tempo della Novena. PREGHIERA: O Sangue Preziosissimo, sorgente di vita eterna, prezzo e motivo dell' universo, bagno sacro delle nostre anime, che difendi senza sosta la causa degli uomini presso il Trono della suprema Misericordia, io Ti adoro profondamente. Io vorrei, se possibile, compensare le ingiurie e gli oltraggi che ricevi continuamente da parte degli uomini, soprattutto da parte di quelli che osano bestemmiare. Chi potrebbe non benedire il Sangue così Prezioso, non essere infiammato d'amore per Gesù che l'ha versato?

Cosa sarei diventato se non fossi stato riscattato da questo Sangue Divino, che l'Amore ha fatto uscire fino all'ultima goccia dalle vene del mio Salvatore?

O Amore immenso, che ci hai donato questo balsamo di salvezza!

O balsamo inestimabile, che provieni dalla sorgente di un amore infinito!

Io ti scongiuro, che tutti i cuori e tutte le lingue Ti lodino, Ti benedicano e Ti rendano grazia, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Così sia.

nome Sant'Aronne- Sommo Sacerdote, titolo Fratello di Mosè- nascita Egitto- morte Monte Hor- ricorrenza 1 luglio- <br /> Patrono di Fabbricanti di bottoni- Sant'Aronne Il fratello maggiore di Mosè e Maria nacque in Egitto dal levita Amram, figlio di Caath, e da lochabed. Sposò Elisabetta, sorella di Naasson, che era capo della tribù di Giuda. Ebbe quattro figli: Nadab e Abiu che morirono senza prole; Eleazaro e Ithamar invece perpetuarono il sacerdozio fino alla venuta di Cristo (il quale fu sacerdote secondo l'ordine molto più antico di Melchisedec, non di Aronne). Col fratello minore (Dio nella Bibbia non sceglie mai i primogeniti) guidò gli ebrei dall'Egitto alla Terra Promessa. Aveva ottantatré anni quando il Signore nel roveto ardente lo designò quale interprete di Mosè (il quale aveva difficoltà a esprimersi). Sempre con Mosè si recò dal faraone Ramses II a chiedere il permesso per gli ebrei di recarsi a tre giorni di cammino nel deserto per celebrare una festa e offrire un sacrificio al nostro Dio, perché non ci colpisca di peste o di spada! Il faraone non solo rifiutò ma obbligò gli ebrei a procurarsi da soli la paglia per la fabbricazione dei mattoni (attività cui erano adibiti in condizione di semischiavitù dagli egizi). La cosa provocò il malumore degli ebrei contro i due profeti. Tornati dal faraone, venne loro chiesto di provare la loro autorità. Aronne trasformò in serpente la verga data da Dio a Mosè nel roveto. Ma anche i maghi egizi fecero lo stesso con le loro. Solo che il serpente di Aronne uccise e divorò gli altri. La verga di Aronne cambiò l'acqua egiziana in sangue e provocò le altre piaghe: rane, zanzare, mosche, grandine, locuste, tenebre, morte dei primogeniti. Fu Aronne a raccogliere un po' di manna da custodire nel Tabernacolo. Fu lui con Hur a sostenere le braccia di Mosè levate in preghiera nel corso della battaglia contro gli Amaleciti (gli ebrei perdevano quando Mosè, stanco, le abbassava). Sostituì Mosè salito sul Sinai (a ricevere i Comandamenti), ma cedette alle pressioni del popolo e permise la costruzione del vitello d'oro (e dire che poco prima aveva avuto una meravigliosa visione sulle pendici del monte GebelMusa: per gli arabi, "Monte di Mosè"). Dopo i rimproveri del fratello, fu perdonato da Dio e consacrato sommo sacerdote con i figli (ma nello stesso giorno i primi due di essi perirono nelle fiamme sprigionatesi dall'altare: non avevano osservato le prescrizioni divine). In seguito Aronne e la sorella Maria cercarono di svincolarsi dalla leadership di Mosè, ma Dio li rampognò e punì lei con la lebbra (poi guarita da Mosè). In realtà il sacerdozio sarebbe spettato al primogenito, cioè alla tribù di Ruben; ma Dio volle premiare la tribù di Levi per la fedeltà dimostrata nel fatto del vitello d'oro. La cosa provocò la rivolta del cugino Core, ma i ribelli furono inghiottiti dalla terra. La folla accusò Mosè e Aronne di questa strage, e venne dispersa dal fuoco divino. Dio ordinò poi che nel Tabernacolo venissero poste le verghe delle dodici tribù e quella di Aronne. Solo questa si trovò fiorita. Dopo la morte di Maria a Cades, tale verga colpì la roccia e ne fece scaturire acqua. Ma i due fratelli non entrarono nella Terra Promessa. Aronne morì sul monte Hor e gli succedette Eleazaro. Aveva centoventitré anni. Dalla sua discendenza nacque il Battista. Il monte l lor, vicino a Petra, è venerato dagli islamici come Gebel Nebi Harún (Monte di Aronne). La protezione dei fabbricanti di bottoni forse proviene dalle gemme che portava sul pettorale da sommo sacerdote. MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di sant’Aronne, della tribù di Levi, da suo fratello Mosè unto con l’olio sacro sacerdote dell’Antico Testamento e sepolto sul monte Hor.

nome Santa Ester- titolo Regina- nascita V Secolo, Impero achemenide- morte V Secolo, Impero achemenide- ricorrenza 1 luglio- Ester è la protagonista del libro biblico che porta il suo nome. L'episodio che le riguarda è ambientato nell'impero persiano: il nome di Ester si fa derivare dal persiano sitareh (astro, stella, Venere) mentre il nome ebraico è Hadassah(mirto). La donna è della tribù di Beniamino, deportata a Susa al tempo del re Joackim. Rimasta orfana da bambina, Ester viene accolta e allevata come una figlia dallo zio Mardocheo. Cresciuta in eta e bellezza a presentata al re Assuero che, ripudiata la moglie Vasti, a alla ricerca di una sua sostituta fra le figlie più belle del regno. Ester piace tanto, che il re «l'amò più di tutte le altre donne... e la fece regina al posto di Vasti». Mardocheo, per quanto suddito fedele (ha scoperto un complotto contro Assuero), si rifiuta di «piegare il ginocchio» e di «prostrarsi» davanti al potentissimo Aman, che riveste la più alta carica del regno. Ritenuto questo atteggiamento un insulto, Aman decide di eliminare Mardocheo e tutto il suo popolo; emana un decreto di genocidio, la data a fissata con il lancio del «pur», cioè della sorte che cade sul tredici del mese di Adar (febbraio-marzo). Mardocheo comunica a Ester il decreto di sterminio e la sollecita a intervenire in favore di se stessa e del suo popolo; la regina è colpita da angoscia mortale, cerca rifugio presso il Signore; innalza a lui una fervorosa preghiera e cosciente di compiere un gesto che le può costare la vita si presenta al re: «mentre gli parla, Cade a terra svenuta». Il re si commuove e si rende disponibile ad ascoltarla: ella lo invita a cena senza rivelargli per ora il motivo dell'angoscia. Intanto Aman procede nell'attuazione del suo progetto preparando il patibolo per Mardocheo. Ester invita per la seconda volta il re insieme ad Aman e durante il banchetto svela ad Assuero la sua origine ebraica e di conseguenza la sua condanna a morte insieme a quella del suo popolo. La reazione del re è furibonda. La situazione si capovolge. Aman a appeso al patibolo preparato per Mardocheo e con un nuovo decreto il re ordina ai Giudei di difendersi dai loro nemici. Nel giorno in cui tutto è pronto per la loro eliminazione sono gli ebrei a trionfare. Per la città di Susa Ester chiede che la strage degli avversari continui anche il giorno successivo. Il Libro si chiude con l'istituzione della festa ebraica dei Purim per la salvezza raggiunta. La figura di Ester a diversamente valutata dai commentatori, è negativa per alcuni che la trovano insignificante e succube dello zio, è una donna esemplare per altri: ella espone liberamente e coscientemente la sua vita per il popolo; manifesta profonda pietà verso Dio: nella tribolazione si rivolge a lui con il digiuno e la preghiera; agisce con saggezza: sa vivere in diaspora e comportarsi in mode sapiente con il re per ottenere quanto desidera; al memento opportuno è lei che salva il popolo dal genocidio; pietà, saggezza, forza di carattere ne fanno un'eroina. Nell'Aggadah i lati positivi sono ulteriormente ampliati: Ester non è ne magra ne grassa, di carnagione olivastra, nulla di eccezionale nell'aspetto fisico, ma di uno charme femminile che supera in bellezza tutte le donne dei Medi e dei Persiani. Il nome ebraico di Hadassah ( = mirto) e descrittivo delle sue virtù; i suoi atti spargono fragranza come il mirto. Ester regina trova riscontro in alcuni martirologi della Chiesa latina; è ricordata nella Chiesa greca nel Sinassario metrico e nel Meneo di dicembre e nella Chiesa copta il 24 Takhsharash (30 dicembre).

nome Sant'Oliviero Plunkett- titolo Vescovo e martire- nome di battesimo Oileabhéar Pluincéad- nascita 1 novembre 1625, Loughcrew, Irlanda- Ordinato presbitero 1º gennaio 1654 dal vescovo Anthony MacGeoghegan, O.F.M.- Nominato arcivescovo 3 agosto 1669 da papa Clemente IX- Consacrato arcivescovo 1º dicembre 1669 dal vescovo Eugenius Albertus d'Allamont- morte 1 luglio 1681, Londra, Inghilterra- ricorrenza 1 luglio- Incarichi ricoperti Arcivescovo metropolita di Armagh (1669-1681), Primate di tutta l'Irlanda (1669-1681)- Beatificazione 23 maggio 1920 da papa Benedetto XV- Canonizzazione 10 ottobre 1975 da papa Paolo VI- Santuario principale Chiesa di San Pietro a Drogheda- Attributi Palma, mitria, bastone pastorale- Patrono di Armagh, del processo di pace e riconciliazione dell'Irlanda- Oliviero Plunkett nacque l'1 novembre 1625 a Loughcrew nella contea di Meath, in Irlanda, ed era imparentato, attraverso la madre, Tommasina Dillon, con i conti di Fingall e di Roscommon, mentre il padre, Giovanni, proveniva da una famiglia benestante di proprietari terrieri. Si sa pochissimo dei primi anni di vita di Oliviero, tranne il fatto che studiò privatamente presso un cugino cistercense, Patrizio Plunkett, fratello del conte di Fingall, abate di S. Maria, a Dublino, poi vescovo di Ardagh e di Meath. Questo cugino e altri membri della famiglia di Oliviero svolsero un ruolo importante nella Confederazione di Kilkenny, che guidò la grande rivolta irlandese del 1641; Oliviero non fu direttamente coinvolto, ma, frequentando i circoli confederati, incontrò Pier Francesco Scarampi, un sacerdote oratoriano inviato dal papa come proprio rappresentante alla Confederazione. Scarampi tornò a Roma nel 1647, e Oliviero lo seguì per studiare in vista del sacerdozio. Da una lettera scritta dopo la morte di Scarampi, causata dalla peste (contratta mentre svolgeva il suo ministero tra persone che vivevano in quarantena), è chiaro che Oliviero stimava molto il sacerdote italiano, che lo aveva aiutato spiritualmente e finanziariamente durante i primi anni trascorsi a Roma. Terminati gli studi al collegio irlandese, Oliviero fu ordinato sacerdote nel 1654, chiese di essere sciolto dal giuramento, fatto quando era studente, di tornare in Irlanda subito dopo l'ordinazione e dimorò per tre anni presso i cappellani di S. Girolamo della Carità, studiando diritto canonico e civile; nel 1657 ricevette l'incarico di conferenziere in teologia e apologetica al Collegio De Propaganda Fide; fu nominato anche consultore della S. Congregazione dell'Indice. Conservò il suo posto al De Propaganda Fide finché fu nominato arcivescovo di Armagh e primate di Irlanda nel 1669; sembra che tale nomina sia stata il risultato dell'intervento personale del pontefice, Clemente IX, anche se, in una lettera ai cardinali del De Propaganda Fide, Oliviero affermò che «desiderava ritornare nel suo paese al servizio delle anime», chiedendo di diventare arcivescovo di Armagh: fu consacrato a Gand e raggiunse la sua diocesi nel marzo 1670. Il suo arrivo coincise con un periodo di relativa calma per la Chiesa in Irlanda, tuttavia il nuovo vescovo ritenne meglio, all'inizio, continuare a comportarsi da laico con lo pseudonimo di capitano Brown, e portare con sé spada e pistole. Ammirava la fede del suo popolo: «quello che mi fa più piacere è scoprire in questo popolo una tale devozione, pietà e costanza nella fede da riuscire a sopportare la sofferenza al limite della sopportazione umana», ma c'era ancora molto lavoro da fare per compensare gli effetti della grave persecuzione che seguì il fallimento della rivolta. Mancavano i sacerdoti e molti di quelli che erano stati ordinati non erano istruiti adeguatamente; molte migliaia di persone non avevano ricevuto la confermazione; da molto tempo esisteva un conflitto tra il clero secolare e religioso e tra differenti ordini di frati; inoltre l'autorità di alcuni vescovi era messa in dubbio. La nomina di un viceré più disponibile e tollerante, nel maggio 1670, permise a Oliviero di muoversi liberamente per il paese, quindi, con parole sue, «spiegò le vele al vento favorevole». Nel 1670 tenne diversi sinodi diocesani, organizzò un convegno episcopale a Dublino, amministrò la confermazione a circa diecimila persone, indisse un sinodo provinciale, visitò sei diocesi, e aprì alcune scuole a Drogheda, affidandone la gestione ai gesuiti. Continuò a svolgere questa serie di occupazioni nei due anni successivi: svolse il suo ministero pastorale instancabilmente, oltre a trovare il tempo di pubblicare un libro, Jus primatiale, per definire la sua posizione nella controversia con l'arcivescovo di Dublino sul diritto di supremazia in quel paese. Nel 1673, il parlamento inglese obbligò Carlo II ad adottare una politica più rigorosa contro i cattolici, perciò furono pubblicati alcuni editti in Irlanda, che bandivano i vescovi e tutti i religiosi. A Natale, i vescovi erano già tornati a nascondersi e le scuole di Drogheda erano state chiuse. La situazione rimase invariata per circa sette mesi, ma anche quando cessò il pericolo immediato, la libertà d'azione non fu più come prima. In una lettera indirizzata a Roma, Oliviero paragonò le incertezze e i pericoli di quel tempo alla situazione della Chiesa sotto gli imperatori romani; sperava che la Chiesa potesse diventare «gloriosa e ricca, grazie alla sofferenza e al martirio dei popoli settentrionali», ed era sicuro che i vescovi irlandesi non si sarebbero dimostrati "mercenari": a meno che non fossero stati trascinati via con la violenza, non avrebbero abbandonato «né gli agnelli, né le pecore». Dalla metà del 1675 in poi, sembra che si sia nascosto presso alcuni parenti e abbia tentato di nuovo di portare ordine nella Chiesa d'Irlanda. Nel 1678 tenne un sinodo provinciale e iniziò un'altra visita diocesana, che dovette interrompere quando le false rivelazioni della "congiura papale" provocarono nuove persecuzioni. Nel 1679 fu posta una taglia di dieci sterline su tutti i vescovi irlandesi, e Oliviero si nascose nuovamente; a dispetto del pericolo si recò poi a Dublino per far visita al suo vecchio maestro, il vescovo Plunkett, che stava morendo, e la sua sorte fu segnata: a dicembre fu arrestato e rinchiuso nel castello di Dublino. Nel luglio 1680 fu processato a Dundalk con l'accusa ridicola di aver tentato di far entrare settantamila soldati francesi in Irlanda; i testimoni principali dell'accusa non comparirono, fatto di cui non ci si deve meravigliare, ed egli fu di nuovo rinchiuso in prigione a Dublino, dove si riconciliò con il suo avversario di un tempo nella questione della supremazia, l'arcivescovo Talbot, anch'egli detenuto. Le autorità inglesi si accorsero che sarebbe stato quasi impossibile istituire una causa contro l'arcivescovo in Irlanda, dove era rispettato da cattolici e protestanti; era necessaria una dichiarazione che rendesse credibile il presunto complotto. Nell'ottobre del 1680 lo portarono a Londra e lo processarono per tradimento, anche se a quel tempo i tribunali inglesi non avevano giurisdizione su coloro che erano accusati di crimini commessi. in Irlanda e, in ogni caso, la durata del tempo trascorso tra l'ipotetica offesa e l'imputazione era maggiore di quanto stabilito dallo statuto. Il 3 maggio 1681 fu accusato formalmente di «aver complottato la morte del re, di voler provocare la guerra in Irlanda, alterare la vera religione di quel luogo, e far entrare una potenza straniera nel paese» (Curtis). Gli furono concesse cinque settimane per far comparire i suoi testimoni richiamandoli dall'Irlanda, ma giacché era impossibile farlo nel tempo concesso, il processo proseguì in giugno. I testimoni dell'accusa erano un gruppo di frati e sacerdoti apostati, con alcuni criminali comuni, che sostennero, di fronte alla corte soddisfatta, l'esistenza in Irlanda di un complotto per far infiltrare i francesi; di conseguenza il coinvolgimento dell'arcivescovo, capo dei cattolici irlandesi, sembrava molto probabile, anche se non si poteva esibire nessuna prova a sostegno. Fu data molta importanza al fatto che l'imputato avesse raccolto del denaro in Irlanda e ne avesse mandato una parte a Roma (presumibilmente per finanziare l'invasione francese), perciò fu riconosciuto colpevole di tradimento, condannato a morte, poi impiccato, sventrato e squartato a Tyburn l'1 luglio. Il corpo fu portato nell'abbazia benedettina inglese di Lambspring, in Germania, nel 1684, dal benedettino Mauro Corker, che era stato in prigione con Oliviero, con l'accusa di aver partecipato al complotto, ma era stato poi rilasciato nel 1683. Nel 1883 le reliquie di Oliviero furono traslate nell'abbazia di Duwnside, nel Somerset. Corker portò la testa del martire a Roma e la consegnò al cardinale Howard; in seguito fu donata all'arcivescovo di Armagh, che la diede al convento domenicano di Drogheda, ma ora si trova nella Blessed Oliver Plunkett Memorial Church della stessa città. Oliviero è stato beatificato nel 1920 e canonizzato nel 1975. Restano duecentotrenta lettere del santo, quasi tutte scritte personalmente, la maggior parte delle quali risale agli anni del suo episcopato, dal 1669 al 1681, ed è di carattere ufficiale. Anche così, offrono un quadro inestimabile degli ideali e dell'operato dell'arcivescovo e delle «sue qualità, doti e debolezze umane» (I Ianly) nella difficilissima situazione irlandese del tempo. Le ultime lettere, scritte mentre aspettava il processo in prigione e dopo la sua condanna, sono molto commoventi e, nel complesso, mostrano che era un uomo di cultura, devoto al suo ministero pastorale, e con il coraggio di far sempre ciò che la sua coscienza riteneva giusto («lasciate che il mondo perisca, ma che sia fatta giustizia!» era uno dei suoi detti preferiti). A volte usava un linguaggio aspro per condannare i suoi oppositori ed era chiaramente intollerante con coloro che sembravano ostacolare il progredire delle sue riforme; chiedeva il massimo ai suoi sacerdoti e non scendeva a compromessi con coloro che davano scandalo in qualsivoglia modo (ibid.). Mentre attendeva la morte, scrisse a Corker: «Felici siamo noi che riceviamo un secondo battesimo, anzi un terzo; abbiamo ricevuto acqua, il sacramento della penitenza, cd ora riceviamo il battesimo del sangue». Secondo lui, le pene che avrebbe sofferto a Tyburn sarebbero state solo il «morso di una pulce» paragonate a quanto Cristo ha sopportato per noi; «la paura e la passione» di Cristo gli consentivano di non aver paura. Dal momento che «sono il primo dei miei connazionali di quest'epoca a subire il martirio in questo luogo, desidero indicare la strada, e dal momento che ho esortato gli altri con la parola, in Irlanda, conviene che io li fortifichi dando l'esempio [...]. Dovrei perciò desiderarla gioiosamente [Tyburn], bramarla ardentemente, e accettarla gioiosamente, poiché è una strada sicura, un sentiero pianeggiante con cui posso, in brevissimo tempo, passare dal dolore alla gioia». MARTIROLOGIO ROMANO. Ancora a Londra, sant’Oliviero Plunkett, vescovo di Armagh e martire, che, falsamente accusato di cospirazione e condannato a morte sotto il re Carlo II, al cospetto della folla presente davanti al patibolo, perdonò i suoi nemici e professò fino all’ultimo con fermezza la sua fede cattolica.

nome Beato Ignazio Falzon- titolo Chierico- nome di battesimo Nazju Falzon- nascita 1 luglio 1813, La Valletta, Malta- morte 1 luglio 1865, La Valletta, Malta- ricorrenza 1 luglio- Beatificazione 9 maggio 2001 da papa Giovanni Paolo II- Ignazio Falzon nacque nel 1813 a La Valletta (Malta). Il padre, Francesco, era un avvocato e, come la moglie, Maria Teresa Detono, fervente cattolico. Da ragazzo Ignazio mostrò i segni di un'insolita santità, e mentre studiava diritto all'università locale, passava le serate a insegnare catechismo ai giovani nella chiesa di S. Barbara, incitandoli a ricevere i sacramenti e ad abbracciare la vita religiosa. Cominciò anche a predicare ai soldati protestanti della guarnigione inglese, un apostolato a cui si dedicò totalmente. Successivamente ricevette la tonsura e gli ordini minori, ma rifiutò di proseguire verso il sacerdozio, ritenendosi troppo indegno, a dispetto dell'incoraggiamento del vescovo locale che desiderava fosse ordinato sacerdote. Era molto devoto alla Madonna e recitava l'intero rosario ogni giorno. Morì di cancro all'età di 52 anni l'1 luglio 1865. La sua causa fu introdotta nel 1904, e il culto, molto popolare a Malta, ufficialmente approvato l'anno seguente. MARTIROLOGIO ROMANO. A La Valletta nell’isola di Malta, beato Ignazio Falzon, sacerdote, che, si dedicò alla preghiera e all’insegnamento della dottrina cristiana, adoperandosi con zelo nell’assistenza ai soldati e ai marinai, perché aderissero alla fede cattolica prima di partire per la guerra.

nome San Teodorico di Mont-d'Or- titolo Abate- nascita Aumenancourt-le-Grand, Francia- morte 1 luglio 533, Marna, Saint-Thierry, Francia- ricorrenza 1 luglio- Attributi bastone pastorale- Teodorico (Thierry), nato ad Aumenancourt-le-Grand vicino a Reims nella Francia settentrionale, fu costretto dai parenti a sposarsi, ma persuase la moglie a vivere castamente, per poter diventare sacerdote; altre fonti, in ogni caso, affermano che, fallito il tentativo di convincerla, l'abbandonò. Alla fine fondò un monastero a Mont d'Or, vicino a Reims, e divenne famoso per il numero di convertiti che attrasse con il suo fervore. Anche suo padre, un uomo malvagio che si era guadagnato da vivere commettendo furti a mano armata, negli ultimi anni di vita diventò monaco sotto la guida di Teodorico. Tra gli altri, gli si attribuisce il miracolo di aver guarito Teodorico I, re d'Austrasia, affetto da una grave malattia degli occhi, mentre Flodardo racconta che resuscitò la figlia del re e fu ricompensato con ricche donazioni per il suo monastero. La maggior parte dei racconti fissa la data della sua morte al 1 luglio 533. Il Martirologio Romano afferma che era discepolo di S. Remigio (13 gen.), ma non ci sono fonti antiche che lo confermino. Le reliquie furono trasportate nel 976 nell'abbazia, restaurata nel 933; quando il monastero fu soppresso nel 1776, furono trasferite nella chiesa parrocchiale. MARTIROLOGIO ROMANO. Presso Reims nel territorio della Neustria, in Francia, san Teodorico, sacerdote, discepolo del vescovo san Remigio.

nome Sant'Eparchio di Angouleme- titolo Abate- nascita 504 circa, Trémolat, Francia- morte 581 circa, Angoulême, Francia- ricorrenza 1 luglio- Eptrchio era il nome dato da S. Gregorio di Tours (17 nov.) a un monaco francese meglio conosciuto come Cibardo o lbardo. Nato nel 504 a Trémolat nel Périgord, era intelligente e ricevette una buona istruzione. All'età di quindici anni fu nominato cancelliere da suo nonno, ma si conoscono pochissimi dettagli dei primi anni di vita. A trent'anni entrò in un monastero, non si sa se in quello a Seyssac vicino Saint-Aquilin o in quello a Saint-Cybard vicino a Mouleydier in Dordogna. La sua santità fu tanto grande che, visto il gran numero di gente che gli chiedeva consigli e miracoli, Eparchio, preoccupato di diventare orgoglioso e vanesio, lasciò il monastero per andare a vivere in solitudine vicino ad Angouléme, con l'approvazione di Antonio, il vescovo locale. Ordinato sacerdote, forse su pressione del vescovo, presto accettò di guidare alcuni discepoli, purché si astenessero da ogni lavoro manuale e vivessero solo delle elemosine della popolazione del luogo. A quanto pare, quando i discepoli si lamentavano di non avere cibo, era solito citare il detto di S. Girolamo (30 set.): «La fede non ha mai temuto la fame». Vi è incertezza sul tipo di vita eremitica da lui condotta: Gregorio di Tours lo chiama abate, perciò C, implicito che abbia condiviso una sorta di vita monastica con un certo numero di discepoli; tuttavia una salda tradizione afferma che visse da solo in una grotta appositamente ricavata sulle mura di cinta settentrionali della città. Curava gli ammalati e i detenuti, con le elemosine ricevute per il cibo, e riscattava prigionieri e schiavi. Sembra che questa sia stata la sua attività principale; inoltre il cartolare di Angouléme contiene un documento del 558, in base al quale furono liberati centosettantacinque schiavi come risultato della sua intercessione. Queste opere di carità spiegano perché sia spesso ritratto mentre svuota un sacco pieno di denaro affinché i discepoli lo distribuiscano, oppure mentre regge delle catene. Morì nel 581 (alcune fonti autorevoli sostengono nel 558) e presto nacque un culto considerevole; fu ricordato specialmente come fautore di miracoli. Un monastero, fondato durante il regno di Pipino l (817-838), dedicato a S. Cibardo, fu poi saccheggiato dai soldati inglesi nel xiv secolo e dai protestanti nel 1558, e le reliquie del santo arse. Il presunto sito della grotta sulle mura della città è noto sin dal IX secolo; nel 1673 e nel 1851, la grotta fu restaurata e ingrandita. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Angoulême in Aquitania, sempre in Francia, sant’Eparchio, sacerdote, che passò trentanove anni recluso, intento solo alla preghiera e insegnando ai suoi discepoli che «la fede non teme la fame».

nome San Carileffo- titolo Abate- nascita Alvernia, Francia- morte 540 circa, Francia- ricorrenza 1 luglio- Carileffo (Calais) nacque nella regione dell'Alvernia in Francia e fu educato nel monastero di Ménat, vicino a Riom, dove conobbe S. Avito (5 feb.): entrambi decisero di intraprendere la vita religiosa, si trasferirono all'abbazia di Micy, vicino a Orleans, dove furono ordinati sacerdoti. Carileffo, volendo condurre una vita più solitaria, partì con due compagni per Maine, dove tentarono di seguire un regime basato sulle rigide norme degli antichi padri egiziani. Secondo la tradizione, la fama di Carileffo si estese e venne spinto, dato il gran numero di persone che chiedevano la sua guida, a fondare un monastero ad Arrisole sul fiume Anille, nella diocesi di Le Mans. Tuttavia ora sembra che non sia stato né fondatore, né abate di questo monastero, ma che abbia vissuto come eremita in questo luogo o nelle vicinanze. Un documento reale del 693 parla di un monastero fondato in onore di Carileffo, «un santo confessore». La data della morte è incerta, ma probabilmente si tratta del 540 circa. Un documento del 712 o 715 lo definisce «beatissimo», mentre un altro, leggermente posteriore, lo chiama «santo». Durante l'invasione normanna, le reliquie furono trasferite a Blois per sicurezza, e nel 1663 di nuovo portate a St-Calais, una cittadina che si era sviluppata attorno al monastero. È venerato come fondatore del monachesimo in quella zona della Francia. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Saint-Calais nel territorio di Le Mans in Francia, san Carilelfo, abate.

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