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04/02/2024 alle 13:39

I santi di oggi 4 febbraio:

I santi di oggi 4 febbraio:

nome San Giuseppe da Leonessa- titolo Cappuccino- nome di battesimo Eufranio Desideri- nascita 8 gennaio 1556, Leonessa- morte 4 febbraio 1612, Amatrice- ricorrenza 4 febbraio-Beatificazione 22 giugno 1737 da papa Clemente XII- Canonizzazione 29 giugno 1746 da papa Benedetto XIV- Patrono di Leonessa, missioni- Prigioniero dei Turchi a Costantinopoli, fra Giuseppe era restato per tre giorni appeso a una croce per un piede e per una mano. E non era morto. Dio solo sa come riuscisse a sopravvivere a quel supplizio, e come si rimarginassero le sue terribili ferite. Si parlò dell'intervento miracoloso di un Angelo, che avrebbe sostenuto il suo corpo e curato le sue piaghe. Certo non era facile spiegare in altro modo quella resistenza che sfidava tutte le leggi naturali, comprese quelle - terribilmente logiche - della tortura. E quasi un miracolo fu il fatto che il Sultano, forse ammirato per l'accaduto, commutasse la pena di morte con l'esilio perpetuo. A Costantinopoli, il cappuccino Fra Giuseppe aveva compiuto un gesto degno veramente da folle. Aveva tentato di entrare nel palazzo per predicare davanti al Sultano in persona, sperando di convertirlo. Catturato dalle guardie, era stato giudicato reo di lesa maestà. Bisogna dire che fino allora i Turchi lo avevano lasciato libero di predicare in città, dopo aver assistito i cristiani prigionieri. L'estrema povertà del frate e dei suoi compagni, sotto il saio color tabacco, lasciava perplessi i rappresentanti del potere e della religione ufficiale. Era difficile vedere in quegli umilissimi stranieri, sprovvisti di tutto, altrettanti pericolosi cospiratori contro la sicurezza dello Stato. Giuseppe era nato nel 1556, a Leonessa, e nella cittadina laziale dal fiero nome, presso Spoleto, era entrato sedicenne tra i cappuccini della riforma, mutando il nome di Eufrasio Desiderato in quello dell'umile sposo della Vergine. Aveva compiuto il proprio noviziato nel convento delle Carceri, sopra Assisi, e in quella piega boscosa del Subasio si era temprato alla più dura penitenza e alla più rigorosa astinenza. Con una tipica espressione francescana, chiamava il proprio corpo « frate asino», e diceva che come tale non aveva bisogno di essere trattato come un corsiero, un purosangue. Bastava trattarlo come un asino, con poca paglia e molte frustate. La paglia forse si, ma le frustate - come abbiamo visto - non gli erano mancate durante la sua avventura in Turchia, dove il generale dell'Ordine lo aveva inviato, trentenne, per assistervi i prigionieri cristiani. Tornato in Italia, poté seguire quella vocazione missionaria che l'aveva spinto a predicare davanti al Sultano. Questa volta, però, fu predicatore sull'uscio di casa, nei villaggi e nella città reatina, sua patria. I risultati furono altrettanto consolanti, e il suo zelo di carità ancor più necessario, perché il più difficile terreno di missione è spesso quello stesso sul quale fiorisce la santità in mezzo alle ortiche del vizio e ai rovi dell'indifferenza. Cinquantacinquenne, s'infermò, ritirandosi nel convento d'Amatrice. Gli venne diagnosticato un tumore, e si tentò di operarlo, Dio sa come. Fu quello il suo secondo supplizio, ma rifiutò di essere legato, come suggerivano i medici. E non si sollevò più dal lettuccio chirurgico. Come anestetico si era stretto al petto, lungamente, il Crocifisso. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Amatrice nel Lazio, san Giuseppe da Leonessa, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che a Costantinopoli aiutò i prigionieri cristiani e, dopo aver duramente patito per aver predicato il Vangelo fin nel palazzo del Sultano, tornato in patria rifulse nella cura dei poveri.

nome San Gilberto di Sempringham-titolo Sacerdote- nascita 1083 circa, Sempringham- morte 4 febbraio 1189, Sempringham- ricorrenza 4 febbraio- Figlio di Jocelino, un prode guerriero normanno che aveva seguito Guglielmo il Conquistatore nella fortunata conquista dell'Inghilterra, Gilberto avrebbe dovuto seguire il padre nella carriera militare. Ma non aveva affatto la vocazione del guerriero; gli piacevano assai di più i libri, per questo il padre lo mandò a Parigi a studiare. Dalla città degli studi tornò ricco di cultura, di saggezza, ma anche di virtù e di devozione e con una gran voglia di dedicarsi alla vita religiosa. Soddisfece il suo desiderio favorito, sia pur involontariamente, dal padre, il quale gli fece dono di due chiese, con gli annessi benefici, perché ne traesse fondi per il proprio successo mondano. Gilberto invece ne approfittò per dedicarsi a opere di carità spirituale e corporale. Morto il padre, convertì il castello feudale in due monasteri, uno maschile e uno femminile, dando vita all'Ordine «gilbertino», prendendo a prestito e modificando, la Regola benedettina. Sopportò malvolentieri il ruolo di abate impostogli dai confratelli e tentò inutilmente di rinunciarvi, giungendo persino a covare il proposito di sopprimere l'Ordine. Durante la drammatica controversia tra Enrico II e Tommaso Becket, soffrì anch'egli persecuzioni e calunnie. Riabilitato, morì alla veneranda età di centosei anni, dopo una lunghissima agonia.

nome San Gilberto di Limerick- titolo Vescovo- nascita XII secolo, Limerick- morte 1143, Limerick- ricorrenza 4 febbraio- Amico di Anselmo di Canterbury, che suggerì, al momento della sua elezione a vescovo di Limerick (1101 circa), a introdurre la liturgia romana in Irlanda con scarsi risultati; e a tale scopo G. scrisse il trattato De statu ecclesiae, in parte perduto. Non ebbe così successo; e ancor meno efficace fu il suo tentativo al sinodo di Rathbreasail (1118) di far approvare la divisione in dodici diocesi (secondo il sistema romano) dell'Irlanda. Legato papale (fino al 1139), non godé tuttavia di molta autorità politica.

nome Santa Giovanna di Valois- titolo Regina di Francia, religiosa- nascita 23 aprile 1463, Nogent-le-Roi, Francia- morte 4 febbraio 1505, Bourges, Francia- ricorrenza 4 febbraio-Beatificazione 21 aprile 1742 da papa Benedetto XIV- Canonizzazione 26 maggio 1950 da papa Pio XII- Nella graziosa cittadina di NogentleRoi, il 23 aprile 1463, la sposa di Luigi XI, Carlotta di Savoia, diede alla luce una bimba, cui venne imposto il nome di Giovanna. Ma il re Luigi aspettava un figlio maschio, per avere un legittimo successore. Appena ebbe ricevuta la notizia che era nata una bimba, annullò tutte le feste preparate per il lieto evento, e quasi subito rinchiuse la piccola creatura nel castello di Amboise. Quivi Giovanna passò la sua fanciullezza nel nascondimento e nell'infelicità, perché non le era neppur concesso di vedere la sua buona mamma. Fin dai primi anni si sentì portata ad una vita di pietà, e sovente si recava in cappella ad attingere forza da Colui che tutto può. Un giorno, mentre si trovava raccolta in preghiera, una voce misteriosa le risuonò nell'interno: «Giovanna, mia cara figlia, prima di morire tu fonderai una Congregazione religiosa in onor mio, il che sarà il maggior piacere che si possa fare a mio figlio ed a me». Giovanna intanto cresceva e conservava nel suo cuore tutte queste cose. Raggiunta l'età di 12 anni si unì in matrimonio col duca d'Orleans Luigi, il quale fin da principio dimostrò manifestamente di non amare la sua consorte. La buona Giovanna però tenne questo amore come sacro. e sempre amò il suo sposo. Anche quando il marito fu fatto prigioniero per essersi ribellato al fratello di lei, Carlo VIII, ella non si stancò mai di perorare la liberazione dell'amato sposo; anzi ella stessa si rinchiuse con lui nella stessa prigione per alleviargli la sofferenza. Tanto fece che riuscì ad ottenere infine la liberazione; ma il consorte tenne in poco conto quest'atto, perché alla morte di Carlo VIII trovandosi ad avere nelle sue mani la corona di Francia, non esitò a far dichiarare nullo il matrimonio; quindi si separò da lei, creandola duchessa di Berry. La carità di Giovanna perdonò ancora una volta all'ingrato, e si recò nel ducato di Berry, ove le campane delle chiese della città annunziarono gioiosamente l'arrivo della regina di Francia che diventava ora, ripudiata dal re, la loro buona duchessa. Qui la carità di Giovanna si manifestò generosa; tutti i suoi beni furono messi a disposizione dei più bisognosi, non esclusa buona parte dei cibi che venivano serviti sulla sua mensa. Intanto Giovanna nel suo intimo rifletteva alla rivelazione avuta da bambina. Palesò il segreto al suo direttore di spirito, il quale la aiutò a realizzare l'idea. Sorse così la Congregazione dell'Annunziata, che venne poi debitamente approvata dalla Chiesa. Anche la duchessa cominciò da allora a portare sotto i suoi vestiti principeschi l'abito del proprio istituto. Volle poi emettere la professione, con la quale, pure rimanendo duchessa di Berry, si impegnava a rimanere claustrale nel palazzo ducale come in un convento. Passò così gli ultimi anni, finché lasciò questa valle di lacrime per ricongiungersi, carica di meriti, allo Sposo Celeste. Era il 4 febbraio 1505. PRATICA. Ammiriamo la carità di questa santa e facciamo anche noi, sul suo esempio, qualche buona opera. PREGHIERA. O Signore, degnati per la particolare intercessione di S. Giovanna di farci sperimentare la sua protezione ed imitarne l'esempio ed essere così infiammati del suo stesso amore verso di te. MARTIROLOGIO ROMANO. A Bourges in Aquitania, santa Giovanna di Valois, regina di Francia: essendo stato dichiarato nullo il suo matrimonio con il re Luigi XII, si rifugiò in Dio, venerò con particolare devozione la Croce e fondò l'Ordine della Santissima Annunciazione della beata Vergine Maria.

nome San Nicola Studita- titolo Abate- nascita Creta, Grecia- morte 863 circa, Costantinopoli, Turchia- ricorrenza 4 febbraio- Nato a Sidone (la moderna Khania) a Creta, Nicola fu mandato, all'età di nove anni, nella scuola annessa al monastero di Studion, del quale era abate lo zio Teofane, e qui studiò fino a quando, ormai diciottenne, vi entrò come monaco. La seconda ondata del conflitto iconoclastico era scoppiata: sostenuti dall'imperatore d'Oriente Leone l'Armeno, gli iconoclasti perseguitarono gli ortodossi a Costantinopoli e in Grecia, costringendo all'esilio Nicola insieme al patriarca di Costantinopoli Niceforo (13 mar.) e al celebre abate di Studion, Teodoro (11 nov.). Solo quando Leone fu assassinato essi poterono fare ritorno e alla morte di Thodoro (826) Nicola assunse il ruolo di guida della comunità. L'imperatore Teofilo riaccese la persecuzione fino al giorno della sua morte (842) ma infine la vedova Teodora, che nutriva opinioni ortodosse a proposito della venerazione delle immagini, ristabilì l'ordine nelle chiese e richiamò i monaci e gli altri esiliati. Sotto l'imperatore Michele III scoppiò un acceso dibattito destinato ad avere conseguenze di grande portata: nell'858 Michele depose il patriarca di Costantinopoli Ignazio (23 ott.) e nominò al suo posto il proprio candidato Fozio (venerato dalla Chiesa ortodossa greca il 6 feb.). Papa Niccolò I ("Magno", 858-867; 13 nov.) si oppose a questa procedura, continuando a sostenere Ignazio e la disputa toccò così la rilevante questione del rapporto tra Chiesa e Stato e del primato tra Roma e Costantinopoli. Nicola Studita si schierò dalla parte di Ignazio, non volle avere alcun rapporto con Fozio e andò in volontario esilio. L'imperatore gli ordinò di tornare ma davanti al suo rifiuto nominò un altro abate. Dopo aver dunque trascorso alcuni anni di peregrinazioni, Nicola fu arrestato e tenuto in monastero in rigido isolamento, impedito anche di presentarsi dal papa che ne desiderava la comparsa come testimone a favore del patriarca deposto. Michele III fu infine assassinato nell'867 e il suo successore, Basilio, decise di riabilitare Ignazio e manifestò anche l'intenzione di ristabilire Nicola come abate. Nicola rifiutò a motivo dell'età avanzata, ma morì comunque circondato dai suoi monaci; fu sepolto accanto al suo celebre predecessore, S. Teodoro. MARTIROLOGIO ROMANO. A Costantinopoli, san Nicola Studita, monaco, che, più volte scacciato in esilio a motivo della venerazione delle sacre immagini, divenuto infine egúmeno del monastero di Studio, morì in pace.

nome San Giovanni de Britto- titolo Missionario e Martire- nome di battesimo João de Brito- nascita 1 marzo 1647, Lisbona, Portogallo- morte 4 febbraio 1693, Oriur, India- ricorrenza 4 febbraio- Beatificazione 18 maggio 1859 da papa Pio IX- Canonizzazione 22 giugno 1947 da papa Pio XII- Nato in Portogallo da nobile famiglia legata alla corte reale, da bambino Giovanni era stato il compagno preferito del piccolo don Pedro, erede al trono. Nutriva l'ambizione di diventare un missionario gesuita nello spirito di S. Francesco Saverio (3 dic.) e all'età di quindici anni entrò nella Compagnia di Gesù. Studente di talento, avrebbe potuto intraprendere una brillante carriera accademica in Europa, ma preferì seguire la propria vocazione missionaria e nel 1673 si imbarcò per Goa insieme a sedici confratelli gesuiti. A parte un breve ritorno in Portogallo, Giovanni avrebbe speso tutto il resto della sua vita in quel paese. Nominato superiore della missione di Madura, adottò il metodo sperimentato per la prima volta dal De Nobili, vestendosi e mangiando come le popolazioni indigene e abbandonando ogni pretesa di superiorità derivante dall'origine europea. Seguì la pratica ascetica del pandarasuami, molto rispettata dagli indù, compresi i bramini. Ciò aveva permesso ai primi missionari gesuiti di riscuotere un grande successo sia tra le caste più alte che tra quelle più basse, ottenendo molte conversioni e riconciliando nel 1599 i cristiani di rito siriaco alla Chiesa di Roma, anche se un grave scisma causò nel 1653 una nuova rottura, in gran parte comunque ricucita nel 1662. Giovanni, i suoi compagni e i catechisti indiani subirono persecuzioni costanti e furono occasionalmente torturati da fanatici indù, eccitati dallo stato generale di insicurezza che regnava nel paese. Nel 1686 Giovanni fu torturato così crudelmente da essere creduto morto eppure riuscì a riprendersi e la sua guarigione fu considerata miracolosa. Richiamato a Lisbona insistette, nonostante le preghiere del re Pedro II e del nunzio pontificio affinché restasse in Portogallo, per fare ritorno in India, dove operò per altri tre anni: a causa delle macchinazioni di una moglie del rajah locale, che Giovanni aveva convertito al cristianesimo e quindi allontanato dalla poligamia, fu condannato a morte a Oriur, vicino a Ramuad. Mentre Giovanni si trovava in prigione, il rajah tentò di escogitare un modo per evitare l'esecuzione connessa all'accusa di sovvertire il culto delle divinità indù, ma lo sforzo fu vano e Giovanni venne decapitato davanti a una grande folla il mattino del 4 febbraio 1693. A Lisbona il re Pedro ordinò una Messa solenne di ringraziamento e la madre di Giovanni vi partecipò indossando un abito da cerimonia e non da lutto. Il martire fu canonizzato nel 1947. MARTIROLOGIO ROMANO. In località Oriur nel regno di Maravá in India, san Giovanni de Britto, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che, dopo aver convertito molti alla fede imitando la vita e la condotta degli asceti di quella regione, coronò la sua vita con un glorioso martirio.

nome San Rabano Mauro- titolo Abate di Fulda e vescovo- nome di battesimo Rabàno Mauro Magnenzio- nascita 780 circa, Magonza, Germania- morte 856 circa, Magonza, Germania- ricorrenza 4 febbraio- Attributi abito monacale-Anche se si è sostenuto che fosse irlandese o scozzese, Rabano nacque con ogni probabilità a Magonza. Istruito dapprima dai genitori e quindi presso il monastero di Fulda, fondato da S. Bonifacio (5 giu.) e famoso per l'alto livello culturale raggiunto sotto l'abate Bangulfo, Rabano si rivelò uno studioso dotato e appassionato, tano che fu inviato a proseguire gli studi a Tours da Alcuino, inglese grande esperto di Sacra Scrittura e consigliere ecclesiastico di Carlo Magna E ad Alcuino, profondamente legato a Rabano, si deve il soprannome "Mauro", aggiunto al santo in riferimento al nome del discepolo preferito (15 gen.) di S. Benedetto. Sotto la sua guida Rabano divenne influente protagonista di quel profondo movimento culturale e spirituale che fu la "rinascita carolingia", fondato sul rinnovato interesse per la Bibbia e l'amore per la liturgia. Lavorando nell'imponente biblioteca fondata da Carlo Magno nel monastero di Fulda, per essere in grado di spiegare le Scritture imparò il greco, l'ebraico e un po' di siriaco; commentò diversi libri sacri per Ludovico il Pio e per Lotario e contribuì allo sviluppo della spiritualità dei laici; essi vivevano ormai non in tempo di persecuzione ma come parte di un mondo cristiano ben strutturato e a suo giudizio la preghiera e l'austerità (non esagerata) dovevano caratterizzare la loro vita. In una lettera alla regina Giuditta, seconda moglie di Ludovico il Pio, stilò un programma sul «modo di fare penitenza», adatto a coloro che occupavano una posizione importante nel mondo. Compilò trattati spirituali per sacerdoti e monaci, sottolineando l'importanza di una vita ordinata di preghiera e di predicazione che si basasse sull'Ufficio divino e su una profonda pietà interiore. Il suo trattato De institutione clericorum riserva considerevole spaio ai riti per l'amministrazione della comunione. Nel suo Disciplina ecclesiastica, tuttavia, egli dà maggiore importanza alla rettitudine di cuore e alla purezza di intenzioni che alle manifestazioni esteriori legate a un ascetismo eccessivamente rigido. Il suo De modo poenitentiae traccia parimenti piuttosto una teologia della penitenza e della fiducia nel perdono divino che non una lista di dure penitenze, mettendo l'accento sulla «gioia che verrà». In due libri successivi, scritti per l'amico Hatto Bonosus, con cui aveva studiato a Tours e che gli sarebbe succeduto come abate di Fulda, Rabano sviluppa una dottrina della contemplazione collegata alla purezza del cuore, mostrando come il desiderio di Dio in questa vita ci porterà alle vette della contemplazione. I suoi commenti alle Scritture, al pari di altri del movimento di riforma carolingia, non avanzavano pretese di originalità, attenendosi fortemente ai Padri e a Origene: alcuni furono interamente desunti dalle opere di quest'ultimo, nelle quali Rabano ammirava l'importanza del senso spirituale delle Scritture rispetto a quello letterale. Ammise inoltre apertamente di aver tratto il proprio commento sul Levitico da quello di Esichio di Gerusalemme. Fine dei commentari era quello di mostrare il valore redentivo delle Scritture stesse e di creare un metodo di meditazione su di esse. Rabano contribuì inoltre a introdurre nella preghiera pubblica nuovi inni e poemi, solitamente derivati dai Salmi. Alcune delle sue composizioni sono tuttora in uso e il più noto degli inni a lui attribuiti è il Veni Creator Spiritus. I suoi trattati per il clero chiariscono come devono essere utilizzate queste preghiere, ossia come "atto" di contrizione, adorazione e supplica. Il tema principale che ricorre nei componimenti, nei trattati e nelle lettere è la gloria del Redentore vittorioso, che tutti dovranno servire. Lo scettro di Cristo è la croce e Rabano compose un celebre trattato in onore della Santa Croce. La sua attività di scrittore si inserì in una vita monastica piena e intensa. Nell'805 dovette affrontare una carestia a cui fece seguito un'epidemia di peste. Alcuni anni dopo l'abate lo allontanò dai suoi libri e gli ordinò di dedicarsi alle opere di ampliamento del monastero. Ordinato prete nell'815, Rabano riprese il lavoro di studioso, a cui si aggiunse quello di insegnante nella scuola monastica. Eletto abate nell'822, durante il periodo del suo mandato diresse l'ultimazione dei lavori di ampliamento del monastero, oltre all'edificazione di altri monasteri, chiese e oratori in tutti i territori appartenenti a Fulda. Fu inoltre richiesta la sua partecipazione a numerosi concili e sinodi tenuti in varie città. Rabano condusse una vita austera, astenendosi dal vino e dalla carne, attento a seguire tutte le norme in vigore nel suo ordine, nonostante il tempo che queste "rubavano" al suo studio e ai suoi scritti. Era celebre per la grande devozione e obbedienza alla Santa Sede, al punto che era noto come "lo schiavo del papa". Nutriva inoltre una profonda avversione verso l'eresia in tutte le sue forme, considerando gli eretici come manifestazioni dell'anticristo. Dopo aver consegnato l'abbazia a Hatto intorno all'840 pare che abbia vissuto in isolamento per qualche anno. Nell'847 tuttavia, all'età di settantun'anni, fu eletto arcivescovo di Magonza. Dopo solo tre mesi tenne un sinodo che impose un'osservanza più rigida delle leggi ecclesiastiche in molti aspetti che interessavano il clero. Ciò risultò talmente impopolare che alcuni dei chierici arrivarono persino a complottare contro la sua vita: scoperta la congiura, Rabano ne perdonò i responsabili. In un secondo sinodo, tenuto nell'852, Rabano condannò l'insegnamento di un monaco di nome Gottschalk, la cui unilaterale interpretazione delle dottrine di Agostino sulla grazia e la predestinazione l'aveva condotto oltre i confini dell'ortodossia. Visitò la sua diocesi con instancabile energia fin quasi al giorno della morte, portando con sé sacerdoti dotati, predicando e riconciliando. Durante un'altra carestia diede da mangiare nella sua casa ogni giorno a trecento persone. La sua salute declinava, e nell'856, dopo un breve periodo trascorso a letto, mori. particolarmente venerato in Germania; i martirologi tedeschi spesso lo qualificano come dottore della Chiesa, anche se ufficialmente non ha mai ricevuto questo titolo e non è descritto come tale da Baronio. MARTIROLOGIO ROMANO. A Magonza nella Franconia in Germania, san Rabáno, detto Mauro, vescovo, che, da monaco di Fulda eletto alla sede di Magonza, prelato di provata dottrina, di ricca eloquenza e accetto a Dio, nulla trascurò di quanto potesse fare a gloria di Dio.

nome Sant'Isidoro di Pelusio- titolo Abate- nascita 370 circa, Alessandria d'Egitto-morte 449 circa, Pelusio, Egitto-vricorrenza 4 febbraio- Nato probabilmente ad Alessandria, Isidoro si fece monaco in giovane età, rinunciando a una notevole ricchezza per imitare la vita di S. Giovanni Battista nel deserto. Successivamente, dopo essere stato ordinato prete, fu nominato abate di un monastero nella regione di Pelusio (Egitto), venendo considerato dai suoi contemporanei un modello di perfezione religiosa. Si dice che S. Cirillo di Alessandria (27 giu.), che era il suo patriarca, lo abbia ammirato profondamente (cosa piuttosto insolita per un uomo del suo carattere). Isidoro aveva grandi doti di diplomazia e consigliò prudentemente Cirillo. Modellò se stesso su S. Giovanni Crisostomo (13 set.) e scrisse molte lettere: ne rimangono più di duemila, compilate in un greco talmente elegante che secondo alcuni il loro studio potrebbe sostituire con profitto quello dei classici. Esse testimoniano dell'ampiezza della sua erudizione teologica e sono piene di eccellenti consigli sulla pietà, la prudenza e l'umiltà. MARTIROLOGIO ROMANO. A Pelusio sempre in Egitto, sant’Isidoro, sacerdote, che, illustre per dottrina, disdegnando il mondo e le sue ricchezze, preferì imitare la vita di Giovanni Battista nel deserto indossando l’abito monastico.

nome Santi Filea e Filoromo- titolo Martiri- ricorrenza 4 febbraio-Convertitosi al cristianesimo da adulto, Filea fu scelto come vescovo di Thmuis, nella Tebaide (Egitto). Stando al racconto di Eusebio, «in patria si era segnalato per le funzioni pubbliche e i servigi resi ed era rinomato per le sue cognizioni filosofiche» e «anche a causa della sua versatilità nelle discipline profane, si era acquistato grande fama». Arrestato e imprigionato intorno al 303 durante la grande persecuzione di Diocleziano scrisse dalla prigione, poco prima della morte, un'eloquente lettera ai fedeli della sua diocesi per descrivere le terribili torture inflitte ai martiri dal governatore, e la loro fermezza: « i martiri che portavano in sé Cristo, sopportano tutte le pene, tutte le specie di tormenti escogitati contro di loro, e ciò non solamente una volta, ma spesso ripetutamente. E sebbene le guardie con parole minacciose di ogni genere, come pure con i fatti, tentassero a gara di incutere loro terrore, essi non si piegarono nella loro risoluzione, perché la perfetta carità espelle il timore». Egli patì il martirio insieme a molti altri vescovi delle chiese d'Egitto: Eusebio menziona Esichio, Pacomio e Teodoro «e inoltre innumeri altri uomini illustri, di cui è celebrata la memoria dalle Chiese di quelle contrade». Si conservano frammenti degli Atti del martirio di Filea, redatti in lingua greca circa quindici anni dopo la morte. Essi riportano il dialogo finale tra il santo e il prefetto Culciano, che sembra fosse molto colpito dal rango e dalla ricchezza di Filea: «Hai sostanze tali da poter mantenere non solo te, ma quasi tutta la provincia», persino commosso per il fatto che la giovane moglie e i figli del santo erano presenti al processo. A ciò pare che Filea abbia risposto, al pari di Gesù quando gli dissero che sua madre e i suoi fratelli lo stavano cercando (cfr. Le 8, 19-21), che la sua famiglia era costituita dagli apostoli e dai martiri. All'esplicita domanda: «Cristo è Dio?», egli rispose che lo è e che non solo ha parlato di se stesso in questi termini, ma ha anche mostrato concretamente il potere di Dio: «Diede la vista ai ciechi, l'udito ai sordi, risuscitò i morti, restituì la parola ai muti e guarì molte altre malattie [...] operò molti altri prodigi e miracoli». Il prefetto, che presumibilmente era a conoscenza della fama di Filea come filosofo, riferendosi a S. Paolo, chiese: «Vuoi forse dire che era più sapiente anche di Platone?». Filea rispose: «Era più saggio non solo di Platone, ma anche di tutti gli altri filosofi». Suo fratello cercò di salvarlo dicendo al prefetto che «Filea chiede che sia ritirata la sentenza», ma questi negò fermamente, pregando Culciano di «non far caso al mio infelice fratello. Anzi ringrazio tanto il re e il giudice, perché mi hanno fatto coerede di Gesù Cristo». Condotto via, fu decapitato insieme (stando a un altro racconto, in latino) a un ufficiale romano, anch'egli cristiano, chiamato Filomoro, che testimoniando al processo, aveva provato a dissuadere il prefetto dal cercare di sovvertire la fede e la determinazione di Filea. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Alessandria d’Egitto, passione dei santi martiri Filea, vescovo, e Filorómo, tribuno militare, che, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, non persuasi da parenti e amici a salvarsi la vita, porgendo il collo alla decapitazione, guadagnarono entrambi la palma dal Signore.

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