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06/03/2024 alle 09:55

I santi di oggi 6 marzo:

I santi di oggi 6 marzo:

nome Santa Rosa da Viterbo- titolo Vergine- nascita 9 luglio 1234, Viterbo- morte 6 marzo 1251, Viterbo- ricorrenza 6 marzo, 4 settembre (traslazione del corpo)- Canonizzazione Nel 1457 da papa Callisto III- Santuario principale Santuario di Santa Rosa a Viterbo- Attributi corona di rose sul capo- Patrona di Viterbo, Diocesi di Viterbo (compatrona), Gioventù Francescana, fiorai, ragazze- Nel secolo XIII la Chiesa era travagliata da funestissime eresie e da frequenti guerre e turbolenze. Viterbo era allora in tristissime condizioni. Eretici, atei, si diffondevano per la città ed i cristiani s'erano talmente intiepiditi, che la loro vita poco si distingueva da quella degli altri. Ma la misericordia di Dio ebbe pietà di quel popolo e mandò loro questa Santa che doveva essere la salvatrice dei suoi concittadini. Nata da virtuosi genitori nel 1234. la piccina crebbe nella virtù. Fin dagli anni più teneri i genitori si accorsero che quella non era una fanciulla comune, ma che la grazia lavorava in lei in modo veramente straordinario. Aborriva ogni specie di vanità nell'abbigliamento, fuggiva le compagnie frivole e divagate ed amava con tutto il cuore Dio e la SS. Vergine. Da giovanetta cadde gravemente inferma, e già si disperava della sua salute quando fu visitata dalla Madonna che, ridonatale la sanità, le ingiunse di vestire 1abito del terz'ordine di S. Francesco, e di percorrere la città incitando a penitenza. Così fece Rosa: ogni strada fu da essa battuta ed ogni uomo potè sentire il suo salutare invito: «O uomini, fate penitenza, ritornate a Dio». I più la credettero pazza, ma i buoni, uditala disputare cogli eretici e confonderli, la reputavano ispirata da Dio. La forza dei cattivi però prevalse e Rosa fu costretta ad uscire dalla città e rifugiarsi coi genitori sul monte Soriano.

Più tardi Rosa potè entrare nuovamente nella città natale per ivi continuare la sua opera restauratrice. Disputando cogli eretici spesso operò miracoli a prova della verità che lo Spirito Santo le metteva sulle labbra. Era in quei tempi in uso il giudizio di Dio, e Rosa, sfidata dagli eretici, davanti a tutto il popolo, passò tra le fiamme e ne usci illesa: prova manifesta che il Signore era con lei. Ridotta a penitenza quella città e infervorati i buoni, voleva ritirarsi nel chiostro, ma per la sua estrema povertà non fu accettata. Allora la Santa si ritirò in una stanzetta della sua casa vivendo nella contemplazione e nel lavoro. In età ancora giovane (17 anni) fu chiamata al cielo e la sua anima, bella e pura, se ne volò tra le braccia del suo Sposo Divino.

Tre anni dopo il suo corpo fu trovato incorrotto e fresco. Fu trasferito solennemente nel monastero di S. Maria della Rosa, là dove un giorno ella aveva detto: «Non mi volete vivente, mi riceverete dopo morte». Le sue sacre spoglie sono conservate in Viterbo nella chiesa a lei dedicata ed il popolo le tributa un culto grandissimo, mentre la città è posta sotto la sua protezione. Ad oggi la venerata Rosa non è stata ancora canonizzata purché venga comunemente denominata Santa, ma non è stato ancora riconosciuta tale dalla Chiesa che si spera agirà grazie al Santo Padre Francesco. PRATICA. «Beati quelli che sono perseguitati per causa della giustizia, perchè di essi è il regno dei cieli». PREGHIERA. O Dio, che ti degnasti per mezzo della beata Rosa, umile tua verginella, sconfiggere i tuoi nemici, fa sì che anche noi, umili al tuo cospetto, vincendo ogni ostacolo terreno, possiamo pervenire alla tua celeste gloria. MARTIROLOGIO ROMANO. A Vitèrbo la beata Rosa Vergine, del Terz'Ordine di san Francésco.

nome Santa Coletta Boylet- titolo Vergine- nome di battesimo Nicoletta Boyle- nascita 13 gennaio 1381, Corbie, presso Amiens, Francia- morte 6 marzo 1447, Gand, Fiandra- ricorrenza 6 marzo- Beatificazione 23 gennaio 1740 da papa Clemente XII- Canonizzazione 24 maggio 1807 da papa Pio VII- Coletta è venerata come riformatrice delle clarisse, ed è stata una figura particolarmente importante dei francescani, tant'è che un ramo dell'ordine, le colettine, ha preso il nome da lei. Suo padre, Roberto Bollet, era un carpentiere presso l'abbazia di Corbie in Piccardia, Francia, e come la moglie Margherita era molto devoto. Ebbero solo una figlia quando Margherita era ormai piuttosto anziana. Chiamarono la bambina Nicoletta in onore di S. Nicola (6 dic.), grazie all'intercessione del quale essi pensavano di aver potuto avere la figlia. Coletta, come veniva chiamata da tutti, ricevette un'istruzione basilare, dopodiché visse quasi in solitudine, impegnandosi in preghiere, lavori manuali e catechismo. Quando Coletta compì diciassette anni, i suoi genitori erano entrambi morti ed ella era stata affidata all'abate dí Corbie. Era ormai libera di scegliere, previo il consenso dell'abate, anche se in realtà non sapeva bene cosa fare, se non amare e servire Dio con tutto il suo cuore e la sua forza. Si consultò con un frate celestino di Amiens, che le consigliò di fare voto di castità dandole qualche insegnamento sulla preghiera. Egli era convinto che il desiderio della ragazza di servire Dio in modo totale fosse il segno di una vocazione religiosa. Nicoletta in un primo momento si unì a un gruppo di beghine che prestavano servizio nell'ospedale locale, poi a una comunità di clarisse urbaniste (che seguivano la regola di S. Chiara rivista da papa Urbano IV) e infine a delle benedettine. In nessuno di quegli ordini trovò l'austerità e la ristrettezza di vita che desiderava. Fece dunque ritorno a Corbie dove passò un altro periodo di incertezza e indecisione. Non molto dopo però, il francescano padre Pinet passò per caso per Corbie e Coletta si recò da lui in cerca di consiglio. Dopo lunghe preghiere e aver molto ponderato il problema, egli le suggerì di unirsi al Terz'ordine francescano e di vivere come reclusa. Coletta non ebbe titubanze di sorta e fu lo stesso abate di Corbie a presiedere la cerimonia in cui essa, all'età di ventidue anni, si impegnò a intraprendere quella vita. L'abate condusse personalmente Nicoletta nel posto adiacente alla chiesa che le era stata assegnato e che egli stesso provvide a murare. Coletta rimase chiusa in quella stanzetta dal 1402 al 1406; c'era una finestrina che dava sulla chiesa e una parte del suo alloggio serviva da parlatorio, cosicché poteva comunicare con i suoi visitatori parlando attraverso una grata. I visitatori si fecero però troppo numerosi e i più non accettavano di dover andare via quando il tempo loro assegnato scadeva, così' le visite vennero interrotte per un periodo di tre anni. Due cari amici provvedevano a tutte le sue necessità; Coletta invece si occupava dei lini della chiesa, cuciva i vestiti dei poveri, pregava e faceva penitenza. Come per tanti altri eremiti, anche le sue giornate erano alterne; alcune ricche di grazia e altre di assalti diabolici, come essa li definiva. Per Coletta, che dopo tanta fatica era giunta a legarsi con voto di clausura alla vita eremitica, nulla sarebbe potuto sembrare più inconcepibile che una chiamata a interrompere quella vita. Ogni minimo pensiero rivolto a un tipo di vocazione differente le sembrava una tentazione del diavolo che la voleva spingere ad abbandonare la sua vera vocazione. Gli ultimi mesi che la giovane trascorse nella sua cella furono pieni di sofferenza, visto che cercava di combattere contro le domande che si poneva su se stessa, l'incertezza della loro origine e la consapevolezza della propria incompetenza. La grande "lotta" iniziò una notte che essa ebbe una visione di S. Francesco (4 ott.) che, prostrato ai piedi di Cristo, pregava che gli venisse concessa Nicoletta per la riforma delle suore e dei frati francescani; la Vergine Maria aggiunse le sue preghiere a quelle di S. Francesco. La prima reazione dell'eremita fu di rigetto e anche a mente fredda non riusciva ad accettare quell'idea; solo dopo molto tempo accettò incondizionatamente quella che percepì essere la volontà di Dio; le venne anche detto che per il lavoro che l'aspettava avrebbe avuto un aiuto e una guida. Enrico de Baume era un francescano di stretta osservanza e che soffriva particolarmente vedendo la situazione dell'ordine e della Chiesa in genere. Venne guidato da una serie di episodi straordinari a far visita a Coletta, con la quale si accordò per collaborare nell'intento di riformare i francescani. Nicoletta, grazie all'aiuto dí Enrico, partì alla volta di Nizza, dove voleva incontrare l'antipapa Pietro de Luna (Benedetto XIII), ritenuto dai francesi papa legittimo. Egli la accolse con grande gentilezza e celebrò la funzione in cui la ragazza pronunciò i voti secondo la regola di S. Chiara. Benedetto XIII rimase talmente colpito da Nicoletta che la nominò superiora di tutti i conventi che essa avrebbe fondato o riformato e ampliò il suo incarico ai frati e all'ordine terziario; Enrico venne nominato suo assistente. La riforma, che consisteva nel ritorno alla prima regola di S. Chiara compendiata da delle nuove costituzioni (approvate nel 1434), riuscì con fatica a imporsi nei conventi di clarisse già esistenti. Il monastero di Besangon accettò sì la riforma, ma era composto sola da due suore, una delle quali decise di passare coi bernardini. Gli altri conventi in cui venne introdotta la riforma di Coletta furono in realtà tutte nuove fondazioni, che però, sotto la sua direzione, crebbero e fiorirono con incredibile rapidità. Un monastero che è molto legato a Coletta è quello, tuttora esistente, di Le Puy-en-Velay. Dodici conventi maschili accolsero la sua riforma, ma più tardi vennero riassorbiti dai rami principali della famiglia francescana. Coletta era convinta che, se per portare avanti il suo compito fossero stati necessari dei miracoli, questi non sarebbero mancati e infatti la storia delle fondazioni sembra avere come filo conduttore una serie di miracoli. La duchessa di Bourbon scrisse: «Non ve do l'ora di vedere quella meravigliosa Coletta che fa resuscitare i morti»: ella riuscì veramente a vedere la clarissa e tutta la sua famiglia fu influenzata in modo particolare da quell'incontro. Quella donna di umili origini aveva un effetto speciale sulla gente dell'alta società, come testimoniano Bianche di Ginevra, la duchessa di Nevers, Amedeo II di Savoia, la principessa di Orange e Filippo il Buono, duca di Borgogna. Coletta aveva sì abbandonato il suo cremo, ma sembrava avere portato con sé la profondità inviolabile di silenzi interiori in cui rimaneva in contatto perenne con Cristo e fu quel dono a sostenerla durante la sua opera riformatrice. Vi furono periodi in cui l'attività dovette cedere il passo all'azione imperiosa della grazia; infatti Coletta rimaneva spesso in estasi per diverse ore dopo aver fatto la comunione o durante la settimana santa, quando meditava sulla passione. Una volta ebbe una visione di Cristo che soffriva e moriva in croce e non c'era venerdì di Quaresima che non digiunasse e non pregasse ininterrottamente dalle sei del mattino alle sei di sera. Un'altra volta ebbe una visione di migliaia e migliaia di uomini e donne che decadevano dalla grazia, come fiocchi in una tormenta di neve. Da quel giorno in poi cominciò a pregare con grande fervore per la conversione dei peccatori e per le anime del purgatorio. Certe volte era molto depressa, ma sapeva essere anche molto felice. Nel 1446, nel giorno dedicato ai SS. Pietro e Paolo, venne a conoscenza di qualcosa al riguardo delle devastazioni che la Riforma Protestante avrebbe portato con sé, specialmente alle case religiose, mentre nel giorno di Corpus Christi venne rassicurata sul fatto che la sua riforma avrebbe superato la tempesta. Sempre in quell'anno ebbe l'esperienza mistica del matrimonio spirituale. Attorno al 1446, dopo quarant'anni di attività, Coletta cominciò ad ammalarsi; gli ultimi sei mesi di vita che le rimasero li trascorse lontano dalla vita attiva. Dal luglio del 1447 non riuscì più ad alzarsi dal letto e dopo qualche mese morì nel convento di Ghent. Molti re e principi fecero petizioni presso la Santa Sede perché venisse canonizzata; solo per citarne alcuni ricordiamo Carlo il Calvo nel 1478 ed Enrico VIII nel 1513. Per diversi motivi, tra cui le divisioni interne all'ordine francescano, la Riforma e la Rivoluzione francese, la sua canonizzazione arrivò solo nel 1807 da parte di Pio VII. Le sue reliquie sono state spesso traslate per garantirne la sicurezza e poi poste definitivamente a Poligny. S. Coletta viene solitamente rappresentata con degli uccelli intorno a sé, si dice infatti che fosse capace di interpretare il loro linguaggio, oppure Con un agnellino (perché la accompagnava sempre alla chiesa). Il suo breviario è ancora conservato a BesaRon, ma è a Ghent che viene maggiormente venerata. MARTIROLOGIO ROMANO. A Gand nelle Fiandre, nell’odierno Belgio, santa Coletta Boylet, vergine, che, dopo tre anni di vita molto austera rinchiusa in una piccola casa posta accanto alla chiesa, divenuta professa sotto la regola di san Francesco, ricondusse molti monasteri di Clarisse al primitivo modello di vita, ristabilendovi in special modo lo spirito di povertà e di penitenza.

nome San Marciano di Tortona- titolo Vescovo e martire- nascita Tortona- morte II secolo, Tortona- ricorrenza 6 marzo- Santuario principale Cattedrale di Tortona- Attributi Palma del martirio, pastorale- Patrono di Tortona- Gli storici e gli studiosi di agiografia non concordano su certi racconti, ma d'altra parte, il culto di molti Santi, e soprattutto di Martiri, ha avuto un inizio improvviso, e spesso spronato da un miracolo, vero o supposto, nelle antiche comunità cristiane. Nei secoli delle persecuzioni, il suolo d'Italia era cosparso di invisibili e introvabili reliquie di Martiri e di Confessori. Nell'epoca successivo, che fu quella dei Vescovi, i pastori delle comunità cristiane si diedero alla scoperta di queste reliquie. Sant'Ambrogio, per esempio, tanto per fare uno dei nomi più celebri, fu un cercatore fortunatissimo di questi tesori spirituali: numerosi corpi di Martiri gloriosi, nel docile suolo della valle padana e della Lombardia, furono riesumati da lui, spesso addirittura a coppie, come Gervasio e Protasio, Nabore e Felice. Anche a Tortona, il corpo di San Marciano, Martire, primo Vescovo della città e suo patrono, restò sepolto per più di due secoli sulla riva sinistra della Scrivia, prima che un altro Vescovo, Sant'Innocenzo, lo riscoprisse prodigiosamente intatto e gli dedicasse una chiesa. Secondo la tradizione, la figura di San Marziano si ricollega da una parte ai discepoli diretti di Gesù, dall'altra ai primissimi evangelizzatori della valle del Po. Egli, di famiglia pagana, sarebbe stato infatti convertito dallo Apostolo San Barnaba, compagno di San Paolo nelle peregrinazioni missionarie. Sarebbe stato confermato poi nella fede cristiana da San Siro, il celebre primo Vescovo di Pavia, e uno dei più attivi seminatori della verità nelle terre dell'Italia settentrionale. Proprio lui, San Siro, fu il primo a predicare il Vangelo a Tortona, o meglio nella romana Dertona, fiorente colonia agricola lungo la Serivia. Subito dopo, l'insegnamento venne ripreso da Marciano, che divenne il primo Vescovo della città, o meglio della comunità ancora non troppo numerosa dei cristiani dertonesi. Il suo episcopato sarebbe stato assai lungo: 45 anni, fino a quando, sotto l'Imperatore Adriano, il prefetto di Milano, Saprizio, non cominciò ad avere la mano pesante contro i cristiani, specialmente quelli che occupavano posti elevati nella gerarchia della Chiesa. Il Vescovo Marciano, che non volle piegarsi né alle minacce né alle blandizie dei persecutori, fu decapitato dopo molti tormenti, il 6 marzo dell'anno 120. Ed è questo il giorno in cui la diocesi di Tortona festeggia il proprio patrono, primo Vescovo e primo Martire, le cui reliquie, conservate nella bella cattedrale della città, non temono più, ormai, di andare smarrite o di restar nascoste. MARTIROLOGIO ROMANO. A Tortona in Piemonte, san Marciano, venerato come vescovo e martire.

nome San Giuliano di Toledo- titolo Arcivescovo- nascita 642 circa, Toledo, Spagna- morte 690, Toledo, Spagna- ricorrenza 6 marzo- Canonizzazione<br /> pre-canonizzazione- Santuario principale Cattedrale di Toledo- Attributi bastone pastorale- Patrono di Toledo- Nel 690, quando Giuliano, arcivescovo di Toledo, morì, era la persona più influente e importante di Spagna. Il re visigoto Wamba non era debole, ma era la monarchia in generale a essere assai fragile e ad avere necessità dell'aiuto della gerarchia ecclesiastica e in particolare dell'arcivescovo di Toledo, nella cui arcidiocesi si tenevano periodicamente importantissimi concili che riguardavano lo Stato e la Chiesa.<br /> Giuliano era nato in quella città attorno al 642 e si pensa che, anche se i suoi genitori erano cristiani, egli avesse origini ebraiche. Secondo Felice, suo successore e biografo, Giuliano venne battezzato nella cattedrale di Toledo ed educato da Eugenio II, un altro importante prelato della città. Da giovane, insieme a un amico di formazione simile alla sua, Gudila Levita, cercò di seguire una vita quasi monastica di ritiro e studio; ben presto però, consapevoli del bisogno che la Chiesa aveva di preti, i due abbandonarono la vita monastica e decisero di dedicarsi a quella ecclesiastica. Gudila morì molto presto, quando era ancora diacono, mentre Giuliano venne nominato da Wamba successore del vescovo Quirico e consacrato nel 680. Felice lo definisce uomo saggio e devoto, molto istruito, generoso, disponibile e interessato ai membri più deboli della società. Era talmente gentile che non vi fu mai una persona bisognosa che si rivolse a lui senza ottenere aiuto. Presiedette quattro concili tra il 681 e il 686 e riuscì a ottenere i diritti primaziali per la sua sede. Il quattordicesimo concilio di Toledo emise la condanna dell'eresia monotelita (secondo la quale in Cristo vi sarebbe una sola volontà) che papa Benedetto II aveva chiesto e da qui si sviluppò una feconda corrispondenza tra la Santa Sedc e la Chiesa spagnola. Alcuni scrittori hanno accusato Giuliano di avere incoraggiato la persecuzione degli ebrei, ma in realtà fu solo cinque anni dopo la sua morte che venne promulgata una legge veramente crudele e scandalosa in conseguenza della quale tutti gli ebrei adulti dovevano essere venduti come schiavi e i loro figli affidati a famiglie cristiane. Giuliano fu uno scrittore prolifico. Probabilmente non aveva più di trent'anni quando accompagnò Wamba nella campagna di Narbona contro il duca traditore Paolo. Nella biografia del re, una delle sue opere migliori, l'arcivescovo incluse un racconto di quella spedizione. Tra le sue opere sono annoverate una revisione della liturgia mozarabica — allora in uso in Spagna —, un libro contro gli ebrei e i tre libri della Prognostica, che parlano della morte, della condizione dell'anima dopo la morte, della resurrezione del corpo, dell'inferno e del paradiso. È un'opera sobria, redatta secondo le regole della logica e molto legata alle Scritture e alle opere dei Padri della Chiesa. Rifugge ogni speculazione e si attiene strettamente entro i limiti imposti dalle sue fonti, ma è pervasa da una tale fede e convinzio-ne da apparire interessante ancora oggi. «La morte», dice S. Giu-liano, «non è buona di per sé, ma è buona per i buoni, visto che è la loro porta per la vita.» L'amore e il desiderio di riunirsi a Dio sono sufficienti per far scomparire la nostra paura della morte: «Non importa quanto sia grande l'orrore della morte; per superarlo basta la forza dell'amore, di quell'amore ispirato all'imitazione di Lui, che ci ha amati al punto di sottoporsi alla morte per la nostra salvezza». Le opere di S. Giuliano furono molto popolari nel Medio Evo. Il santo fu seppellito a Toledo, ma si crede che anche nella città di Oviedo siano conservate alcune sue reliquie. La sua festa è ricordata nei calendari mozarabici del X secolo. MARTIROLOGIO ROMANO. A Toledo in Spagna, san Giuliano, vescovo, che indisse tre concili in questa città, espose nei suoi scritti la retta dottrina e fu diligente modello di giustizia, carità e impegno per le anime.

nome Santi Quarantadue martiri di Siria- titolo Martiri di Amorio- ricorrenza 6 marzo- Al tempo dell'imperatore d'Oriente Teofilo l'Iconoclasta (829-842), le incursioni degli arabi e i combattimenti che avevano luogo per fermare l'invasione dell'Asia Minore furono gli eventi dominanti nella vita dell'Impero. Il 24 settembre 838 il mondo cristiano subì l'umiliazione di vedere la città di Amorio (ora Hisarköy, in Turchia) catturata dai Saraceni, che in quel periodo godeva di un particolare splendore. La caduta fu attribuita al tradimento dell'apostata cristiana Baditze. I Saraceni dimostrarono tutta la loro ferocia: una moltitudine di soldati e civili furono uccisi senza rispettare né le donne né i bambini, e gran parte della popolazione fu deportata. Tra loro, 42 persone furono portate in Mesopotamia, contando capi militari e alti funzionari della città, alcuni dei quali erano noti i nomi: Teodoro Cráter, Constantino e Calixto, funzionari, Teófilo e Bassoe, patrizi, Ezio e Melixeno, patrizi e generali. Furono fatti prigionieri in Siria e tenuti in una cella buia e sporca con solo pane e acqua. Furono continuamente spinti all'apostasia a favore della religione di Maometto e messi contro studiosi musulmani, ma questi tentativi sono stati vani. La dolorosa prigionia durò sette anni, fino al marzo 845. Secondo il racconto dello storico bizantino Simor Logoteta, fu assassinato anche il traditore Baditze, i loro corpi furono gettati nel fiume, ma i coccodrilli mangiarono solo il corpo dell'apostata, mentre gli altri, riuniti alla testa, uscirono dall'acqua senza essere mangiati; i cristiani locali li raccolsero e con amore e venerazione li seppellirono. Nella vita dell'imperatore d'Oriente Basilio IV il Macedone (867-886) si afferma che una cappella fu costruita nel palazzo reale in onore di questi martiri. MARTIROLOGIO ROMANO. In Siria, passione di quarantadue santi martiri, che, arrestati ad Amorio in Frigia e condotti al fiume Eufrate, ottennero con un insigne prova la palma del martirio.

nome San Fridolino- titolo Missionario e Abate- nascita V secolo, Irlanda- morte 538 circa, Bad Säckingen- ricorrenza 6 marzo- Attributi scheletro o cadavere a fianco- Patrono di Canton Glarona (Svizzera)- Le notizie sulla vita di San Fridolino sono abbastanza incerte, come le sue origini, forse Irlandesi. Di lui si conosce qualche accenno grazie agli scritti del monaco Balther, che ne ha redatto la biografia agli inizi dell' XI secolo. Di famiglia nobile, Fridolino ebbe educazione scientifica e divenne poi sacerdote iniziando la sua vita di pellegrino. Si recò dapprima in Francia, a Poitiers, dove in seguito ad una visione restaurò la tomba di Sant' Ilario e il monastero a lui dedicato (che era stato distrutto) grazie all'aiuto del re Clodoveo I, da cui si era recato assieme al Vescovo che lo aveva ospitato. Ne promosse il culto, dopodiché riprese il suo pellegrinaggio a conseguenza di un sogno in cui gli era apparso il Santo il quale gli aveva detto di trasferirsi su un isola disabitata del Reno, in Germania. Prima di partire San Fridolino tornò dal re che gliene concesse la proprietà, pur essendo ancora sconosciuta. Durante il suo viaggio fondò varie chiese dedicate a Sant'Ilario, e gli è attribuita anche la fondazione della città di Glarona, in Svizzera, della quale è patrono. Grazie alla sua predicazione convertì tra gli altri tale Urso, che alla sua morte gli lasciò in eredità molti terreni, sui quali San Fridolino fondò varie chiese, ma il fratello di Urso non credeva alla legittimità del dono e si recò in tribunale. Secondo la leggenda il Santo resuscitò Urso per testimoniare a suo favore, difatti è rappresentato spesso con uno scheletro. Trovò poi l'isola di Säckingen,che riconobbe grazie al suo sogno, ma gli abitanti delle rive del Reno la usavano per il pascolo del loro bestiame e all'inizio lo scacciarono. Egli mostrò l'atto di donazione di Clodoveo e infine gli fu permesso di stabilirvisi, così fondò due monasteri, sempre in onore di Sant'Ilario. Morì il 6 marzo, giorno in cui è celebrato, ma l'anno è incerto, forse 538 o 540. MARTIROLOGIO ROMANO. A Säckingen nel territorio dell’odierna Svizzera, san Fridolino, abate, che, originario dell’Irlanda, vagò pellegrino per la Francia, finché fondò a Säckingen due monasteri in onore di sant’Ilario.

nome San Crodegango di Metz- titolo Vescovo- nascita inizio VIII secolo, Liegi, Belgio- morte 6 marzo 766, Metz, Francia- ricorrenza 6 marzo- Crodegango nacque nei pressi di Liegi da una famiglia nobile, nel territorio dell'attuale Belgio, probabilmente all'inizio dell'VIII secolo. I suoi genitori erano franchi e lo fecero studiare presso l'abbazia di Saint-Trond. Egli era di bell'aspetto, molto educato e un ottimo linguista; Carlo Martello, che ne aveva notato le grandi qualità, lo nominò capo del corpo diplomatico e giuridico al suo servizio. Dopo la morte di Carlo Martello, Carlo Magno nominò Crodegango vescovo di Metz, anche se era ancora un laico (742). Crodegango conservò anche la carica politica e, tramite il prestigio che ottenne dai due incarichi, riuscì a usare tutta la sua influenza per il bene. Come ambasciatore di Pipino presso papa Stefano II, Crodegango fu direttamente coinvolto con la sconfitta dei longobardi in Italia, il passaggio dell'esarcato di Ravenna e di altri territori alla Chiesa e la stessa incoronazione di Pipino, avvenuta nel 754. Il ruolo però per cui Crodegango è particolarmente ricordato, è quello di riformatore del clero. In quel periodo si era avuto un declino generale della morale del clero secolare, declino incoraggiato dal lassismo e dalla mollezza dei tempi. Crodegango era deciso a riportare l'ordine in "casa propria", cominciando dai preti e dalla cattedrale della sua città. Raccolse in alcune case di proprietà della Chiesa tutti gli ecclesiastici, di alto e di basso grado, fissando come norma di vita una regola che egli stesso aveva redatto basandosi su quella di S. Benedetto. Il codice che applicò a Metz era composto da trentaquattro capitoli e ogni giorno, presente tutta la comunità, bisognava leggerne uno, cosicché da allora questi incontri vennero chiamati "capitolo". Ben presto quel nome venne esteso alle persone presenti alle letture, mentre tutti quelli che erano legati ai canoni (le regole) vennero definiti "canonici" e coloro che seguivano una regola cominciarono a chiamarsi "regolari". Venne stabilita una serie di varie altre norme, tutte volte a stabilire una forma di vita comunitaria, di tipo quasi monastico. Le norme riguardavano clausura, domicilio, studio, liturgia, abito e pasti ed erano volte a dare agli ecclesiastici un sostegno reciproco per rimanere fedeli al voto di castità e ad altre virtù proprie del clero. I canonici si differenziavano dai frati principalmente per un aspetto: potevano conservare proprietà privata e beni personali, abitudine che successivamente verrà messa in discussione. La regola di Crodegango verrà poi applicata ad altre diocesi ed estesa definitivamente da Carlo Magno che la renderà obbligatoria imponendo a tutti i chierici di diventare o canonici o monaci, La stessa regola avrà successo anche all'estero, a esempio nelle isole britanniche, e, anche se non nella sua forma originaria, resisterà al corso dei secoli. Dai tempi di Crodegango fino ai giorni nostri la regola istituita dal vescovo di Metz è stata abbandonata ed è tornata in auge in forme e periodi diversi. Sotto Crodegango, a Metz si cominciò anche a praticare il rito e il canto romano, il cui repertorio, arricchito dalle composizioni gallicane, tornò a Roma e da lì si diffuse in tutta Europa. La schola cantorum di Metz si rinnovò e la sua fama durò per secoli. Nell'805 Carlo Magno ordinò che tutti i maestri di canto dovessero formarsi a Metz. Dopo la morte di S. Bonifacio, avvenuta nel 754, Crodegango rimase il più importante riformatore della Chiesa sotto i Carolingi. Un'altra attività in cui S. Crodegango si contraddistinse, fu la costruzione e il restauro di chiese, monasteri e istituti di carità. Quando morì, il 6 marzo 766, venne sepolto presso l'abbazia di Gorze, che aveva fondato e amato più di ogni altra. Si crede che alcune sue reliquie siano conservate anche presso la chiesa di Saint-Sympho-rien di Metz. MARTIROLOGIO ROMANO. A Metz in Austrasia, nell’odierna Francia, san Crodegango, vescovo, il quale dispose che il clero vivesse come tra le mura di un chiostro sotto una esemplare regola di vita e promosse notevolmente il canto liturgico.

nome Sant'Ollegario di Tarragona- titolo Vescovo- nascita 1059 circa, Barcellona- morte 1137, Barcellona- ricorrenza 6 marzo- Olegario era, da parte di padre e madre, di famiglia visigota nobile. Quando era un bambino, la Catalogna, sua regione natale, era spesso meta delle scorribande dei saraceni ed egli venne offerto dai genitori a Dio e alla martire S. Eulalia per ottenere protezione dai pirati. Quando compì quindici anni venne affidato ai canonici della chiesa di S. Eulalia di Barcellona assieme a un lascito di vigneti, costruzioni e altre proprietà. Venne nominato prevosto e, anche se ciò non implicava obbligo di celibato né l'ordinazione, pare che già allora egli avesse deciso di farsi frate e di vivere secondo la regola di S. Agostino. Per alcuni anni fu priore di Saint-Adriàn in Francia, dove il vescovo di Barcellona aveva da poco mandato dei canonici regolari, e più tardi fu eletto abate di Ruffo, sempre in Francia. Olegario si trovava per caso a Barcellona quando seppe che il conte Raimondo stava pensando di farlo vescovo della città; decise quindi di prendere la prima nave diretta di là dei Pirenei e si rifugiò nel suo monastero di S. Rufus. Raimondo si rivolse al papa che ordinò a Olegario di accettare. Il nuovo vescovo, sebbene riluttante, si dimostrò da subito molto energico e non molto dopo il conte Raimondo lo fece trasferire all'arcidiocesi di Terragona, trasferimento avallato da papa Gelasio II che gli mandò anche il pallium. Nel 1123 egli partecipò al primo concilio lateranense e in quell'occasione chiese a papa Callisto II e ai padri del concilio di estendere a chi combatteva contro gli arabi i privilegi che erano riconosciuti ai crociati. Con i rinforzi ottenuti dall'estero, il conte Raimondo riuscì a scacciare i mori da alcune delle loro roccaforti. Olegario incoraggiò anche la diffusione dell'Ordine dei Cavalieri Templari nella sua diocesi. Quando Terragona venne rasa al suolo quasi totalmente dagli arabi, il vescovo si impegnò a ricostruirla con tutte le sue chiese; si adoperò particolarmente in favore dei poveri e degli ammalati, specialmente dei malati mentali e ordinò che a loro venissero dati i beni dei chierici morti. Durante un sinodo diocesano tenutosi nel novembre del 1136, l'arcivescovo, vecchio e in cattive condizioni di salute, parlò molto concretamente e seriamente della situazione della Chiesa e delle sue necessità pastorali, del sacerdozio, della fede e delle opere di carità. Alla fine dei tre giorni di incontri, chiese ai membri del sinodo di pregare per lui, perché si sentiva vicino alla morte. Morì un anno dopo, durante il sinodo di Quaresima. MARTIROLOGIO ROMANO. A Barcellona nella Catalogna in Spagna, sant’Olegario, vescovo, che tenne anche la cattedra di Tarragona, quando questa antichissima sede fu liberata dalla dominazione dei Mori.

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