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I santi di oggi 27 agosto:
nome Santa Monica- titolo Madre di S. Agostino- nascita 331, Tagaste, Numidia- morte 27 agosto 387, Ostia- ricorrenza 27 agosto, 4 maggio messa tridentina- Attributi libro e crocifisso in mano, vestita con un abito nero- Patrona di donne sposate, madri, vedove- S. Monica, sempre grandemente venerata dalla Chiesa e posta a modello delle madri cristiane, nacque a Tagaste, in Africa nel 331, da famiglia cristiana, nella quale fin dall'infanzia imparò a conoscere e ad amare Iddio. Ebbe anch'essa, come tutti i fanciulli, certi difetti propri dell'età giovanile, come la golosità, che si manifestava in lei con una spiccata tendenza verso il vino, ma ammonita in tempo dai parenti e aiutata dalla grazia ben presto si corresse. Fatta giovanetta, i suoi genitori la sposarono ad un legionario romano di nome Patrizio, galantuomo, ma pagano di religione. Non si smarrì la Santa, anzi, suo primo pensiero, unendosi al compagno della sua vita, fu di guadagnarlo a Gesù Cristo mediante una vita sottomessa, fatta di rispetto e di amore. Per questo ella mantenne sempre una condotta irreprensibile, soffrendo pazientemente senza permettersi mai alcun rimprovero. Tanti sacrifici nascosti agli occhi degli uomini, ma manifesti a Dio, Padre di tutti gli uomini, non potevano non essere esauditi e ripagati. Ed ecco che Monica ebbe la consolazione di vedere il marito, un anno prima della sua morte, abbracciare la fede cattolica, rinunziando ai suoi vizi e passando nella pratica delle virtù il rimanente della vita. Intanto ella era divenuta madre di tre figli: Agostino, Novigio e una figlia, di cui ignoriamo il nome. Le cure che la santa madre profuse per la buona educazione dei figli furono certamente grandi; pur tuttavia, Agostino, attirato più dagli amici che lo invitavano al male che dalle raccomandazioni materne, deviò, ponendo così a durissima prova la virtù della sua povera mamma. Ella infatti vedendo il figlio adescato dall'errore e dal vizio, non faceva che elevare al cielo fervorose preghiere, unite a calde lacrime, per impetrarne la conversione. Le sue abbondanti lacrime e fervorose preghiere ottennero la conversione del figlio. Nel 375 Agostino si trasferì a Cartagine per insegnarvi eloquenza. Nel 383 si imbarcò nottetempo per Roma dove, dopo aver superato una lunga malattia, cominciò ad insegnare eloquenza e retorica. Finché ottenne un posto, tramite il prefetto di Roma Simmaco, a Milano. A Milano, venne raggiunto dalla mamma, la quale, non considerando le fatiche del viaggio ma solo il bene del figlio, era partita, sola, alla ricerca di lui. Quivi finalmente sarebbero stati appagati i suoi desideri ed esaudite le sue suppliche. Infatti unitasi nel suo apostolato col grande arcivescovo S. Ambrogio che la incoraggiava dicendole: « Non puó andar perduto un figlio di tante lacrime », riuscì con la grazia di Dio a trarre alla fede cattolica Agostino alla fine del 386, che l'anno seguente, ricevette il Battesimo per mano di Ambrogio nella Pasqua del 387 e cominciò una vita santa e feconda di apostolato. Ringraziato Iddio per tanto favore, Monica e Agostino decisero di prendere la via del ritorno; ma la pia madre, che ormai aveva compiuta la sua missione su questa terra, ad Ostia si ammalò gravemente ed in pochi giorni, felice per la conversione del figlio ottenuta, rese la bell'anima a Dio. Era il 27 agosto dello stesso anno 387. PRATICA. Imparino i genitori a vigilare sull'educazione cristiana dei figli e a prodigare ad essi le loro maggiori cure.
PREGHIERA. Dio, consolatore degli afflitti e salvezza di quelli che sperano in te, che misericordioso riguardasti alle pie lacrime della beata Monica per la conversione del figliuolo suo Agostino, donaci per l'intervento d'ambedue di deplorare i nostri peccati e di ottenere il favore della tua grazia. MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di santa Monica, che, data ancora giovinetta in matrimonio a Patrizio, generò dei figli, tra i quali Agostino, per la cui conversione molte lacrime versò e molte preghiere rivolse a Dio, e, anelando profondamente al cielo, lasciò questa vita a Ostia nel Lazio, mentre era sulla via del ritorno in Africa.
nome Beato Domenico della Madre di Dio Barberi- titolo Sacerdote passionista- nome di battesimo Domenico Bàrberi- nascita 22 giugno 1792, Viterbo- morte 27 agosto 1849, Reading, Inghilterra- ricorrenza 27 agosto- Beatificazione 27 ottobre 1963 da papa Paolo VI- Domenico Barbieri fu l'ultimo degli undici figli di una famiglia di contadini della provincia di Viterbo, nato il 22 giugno 1792. Imparò da solo a leggere e a scrivere, entrò nei passionisti e fu ordinato sacerdote a Roma nel 1818. Divenne provinciale dell'ordine e nel 1840 fondò una provincia in Inghilterra, costituita da quattro case. Sin dai primi anni di vita religiosa, Domenico sviluppò un fortissimo desiderio di lavorare in Inghilterra, dove ancora i passionisti non erano diffusi, perché si credeva che non fosse un ordine adatto alla mentalità e allo stile di vita inglese. Nel 1814, ancora novizio, scrisse: «Un giorno di fine ottobre o inizio novembre, a mezzogiorno, mentre stavo pregando davanti all'altare della Beata Vergine, mi fu rivelato quando e dove, come sacerdote ordinato, avrei lavorato tra i cristiani dissidenti: in Europa nord-occidentale, in Inghilterra in particolare». Attribuì all'ispirazione divina una nota profetica in uno dei suoi scritti ascetici composti prima dell'inizio della sua opera missionaria: «Inghilterra, cara Inghilterra, quel destino sul quale tu, terra devota, hai pianto così spesso, ora ti riporta nuovamente all'ovile. Il tempo in cui vedrai la rinascita della fede dei primi credenti non è lontano». Fu aggregato a una parrocchia a Lane End, nello Staffordshire, e iniziò a predicare le missioni. Era un periodo nel quale sia i cattolici che i protestanti amavano evocare il fuoco dell'inferno e l'immoralità ai loro ascoltatori, invitandoli a portare testimonianze personali del loro pentimento. Fu questo «provocatorio approccio alla colpa e alla grazia» (Heimann) più che la nuova devozione di origine italiana a contraddistinguere la predicazione dei nuovi ordini come i passionisti. Domenico Barbieri all'inizio venne ridicolizzato per l'inglese scorretto e l'aspetto trascurato, che gli guadagnò il soprannome di "garzone irlandese". Ma il popolo, specialmente i poveri, rimasero presto favorevolmente colpiti dalla scelta di povertà di Domenico e dall'atteggiamento cristiano verso i suoi persecutori: ad esempio, una volta baciò le pietre che la gente gli aveva tirato. Gli vennero anche attribuiti poteri miracolosi e iniziarono a diffondersi racconti di avvenimenti straordinari: per esempio si narrava che un ciabattino che lo aveva incontrato era ritornato a casa e, disegnata una croce sul muro, aveva iniziato a tirare degli oggetti contro di essa, facendosi beffe di Domenico. Subito, sotto lo sguardo atterrito dei suoi familiari, un braccio gli si era come paralizzato. La gente iniziò a far silenzio al suo passaggio per le strade, i bambini si inginocchiavano per ricevere la sua benedizione e le madri gli presentavano i propri bambini perché imponesse le mani su di loro. Domenico attribuì il successo alla scelta di povertà e al fatto che facesse sempre l'elemosina. Domenico può essere considerato un ecumenico che pensava che la testimonianza di un'esistenza cristiana più sincera tra i cattolici fosse il miglior mezzo per arrivare all'unità. Accolse Giovanni Enrico Newman nella Chiesa a Littlemore 1'8 ottobre 1845 e questo fatto lo rese immediatamente celebre, ma anche denigrato da molti che iniziarono a considerarlo un italiano pericoloso mandato da Roma per convertire Newman con astute e "gesuitiche" pseudoargomentazioni. Domenico morì a Reading il 27 agosto 1849. Fu beatificato il 27 ottobre 1963.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Reading in Inghilterra, beato Domenico della Madre di Dio Barberi, sacerdote della Congregazione della Passione, che, dedito alla ricostituzione dell’unità dei cristiani, riaccolse molti fedeli nella Chiesa cattolica.
nome Santi Marcellino, Mannea e compagni- titolo Sposi e martiri- ricorrenza 27 agosto- Secondo il nuovo Martirologio Romano, che differisce in parte dall'edizione precedente, Marcellino con la moglie Mannea, i figli Giovanni e Babila, Serapione, sacerdote, e Pietro, soldato, morirono martiri a Torni in Mesia (l'attuale Costanza in Romania), sul Mar Nero. L'agiografo dice che diciassette membri della comunità cristiana di una città, probabilmente Ossirinco, vennero denunciati al governatore dei tebaidi egiziani, per essersi opposti al decreto imperiale e per aver rifiutato di sacrificare agli idoli. I cristiani denunciati erano il tribuno Marcellino, la moglie Mannca e i due figli, un vescovo e tre chierici, un soldato, sette altri laici e una donna. Furono portati in catene davanti al governatore a Tomi. Egli tentò di persuaderli a obbedire alla legge, ma essi rifiutarono e vennero condannati a essere gettati in pasto alle fiere nell'arena. Il governatore fece un ultimo tentativo per salvar loro la vita: «Non vi vergognate» gridò «di onorare un uomo messo a morte e seppellito centinaia di anni fa per ordine di Ponzio Pilato?» Questa accusa non ebbe alcun effetto.<br /> Secondo l'autore dei loro Alli il vescovo, Melezio, fece una confessione di fede nella divinità di Gesù (chiaramente ispirata dalle definizioni del concilio di Nicea del 325). Furono poi decapitati perché, come dice il racconto, quando le fiere vennero liberate non vollero neanche toccarli e il fuoco non riusciva a bruciarli. MARTIROLOGIO ROMANO. A Costanza in Scizia, nell’odierna Romania, santi martiri Marcellino, tribuno, e Mannea, coniugi, e Giovanni, loro figlio, Serapione, chierico, e Pietro, soldato.
nome Beata Maria Pilar Izquierdo Albero- nome di battesimo María Pilar Izquierdo Albero- nascita 27 luglio 1906, Saragozza, Spagna- morte 27 agosto 1945, San Sebastian, Spagna- ricorrenza 27 agosto- Beatificazione 4 novembre 2001 da papa Giovanni Paolo II- Nacque a Saragozza (Spagna) il 27 luglio 1906. Nel 1927 rimase paraplegica e cieca: cominciò per lei una via dolorosa durata piú di dodici anni. Nel 1936 Maria Pilar cominciò a parlare dell'Opera di Gesù. L'8 dicembre 1939 guarì in modo straordinario. Subito dopo diede inizio all'Opera delle Missionarie di Gesù e Maria. Dopo due anni di fecondo apostolato tra i poveri, i bambini e gli ammalati dei sobborghi di Madrid, Dio volle condurla nuovamente sul cammino della croce, fisica e spirituale. La situazione arrivò a un punto tale che Maria Pilar, su consiglio del suo confessore, nel novembre del 1944 dovette ritirarsi dalla sua stessa Opera. Morì a San Sebastiano, a 39 anni di età, il 27 agosto 1945, offrendo la sua vita per le figlie spirituali che si erano separate da lei. Fu beatificata il 4 novembre 2001. MARTIROLOGIO ROMANO. A San Sebastián in Spagna, beata Maria del Pilar Izquierdo Albero, vergine, che, a lungo oppressa dalla povertà e da gravi malattie, cercò Dio nell’operoso amore per i poveri e gli afflitti, per servire i quali fondò l’Opera Missionaria di Gesù e Maria.
nome San Cesario di Arles- titolo Vescovo- nascita 470, Chalons-sur-Saeme, Francia- Consacrato vescovo 502- morte 543, Arles, Francia- ricorrenza 27 agosto- Incarichi ricoperti<br /> Vescovo di Arles- Cesario nacque nel 470 a Chalons-sur-Saeme nel regno dei burgundi, in una famiglia gallo-romana. Ricevette una buona educazione in grammatica e retorica da Pomero, un insegnante di origine africana, e decise di diventare prete. A diciotto anni chiese di essere ammesso agli ordini sacri. Due anni dopo aver preso gli ordini minori si ritirò nel monastero di Lérins, famoso per i suoi studi di alto livello. L'abate lo nominò cellerario, ma gli altri monaci lo trovarono troppo scrupoloso, così gli fu consigliato di dedicarsi alla contemplazione e alla penitenza. La sua salute venne compromessa, e fu mandato ad Arles per curarsi. Era contrario al fatto che i sacerdoti cristiani leggessero autori pagani, anche se egli stesso aveva assorbito la cultura secolare tradizionale che sopravviveva in alcune parti della Gallia nelle famiglie senatoriali. La sua nuova e austera idea era che la cultura cristiana del futuro si sarebbe dovuta basare solamente sul messaggio cristiano: le stesse labbra non potevano pronunciare il nome di Giove e di Cristo. Il vescovo Eonio, suo simpatizzante, sosteneva il nuovo rigore c trovava interessanti le idee di Cesario. Scrisse all'abate suggerendogli di nominare Cesario vescovo. Fu quindi ordinato diacono e sacerdote e messo a capo del vicino monastero, dove regnava un'atmosfera troppo rilassata. Cesario diede una regola ai suoi monaci, guidandoli per tre anni e facendo fronte ai propri impegni. Prima di morire il vescovo di Arles lo raccomandò come suo successore. Cesario, che aveva allora trentatré anni, per un eccesso di umiltà si nascose tra le tombe, ma fu scovato e dovette accettare l'elezione a vescovo. Rimase a capo della comunità di Arles per trent'anni. Condusse un'esistenza sobria e pia, fu un capo spirituale molto serio, responsabile e si impegnò in particolare a codificare le strutture del culto e della penitenza, così da non lasciare margini d'errore. Riorganizzò la sua diocesi secondo linee quasi monastiche: regolamentò il canto dell'Ufficio divino, che ordinò venisse celebrato pubblicamente tutti i giorni, e lo modificò perché fosse accessibile ai laici. Sottolineò l'importanza del canto comunitario e della memorizzazione della Bibbia e volle che i laici fossero coinvolti nell'amministrazione dei fondi della Chiesa. Insegnò ai fedeli a pregare con devozione. Predicava tutte le domeniche e le festività e spesso anche nei giorni feriali, al mattino e alla sera. Se non poteva farlo di persona, ordinava che fossero lette delle omelie, letture che avvenivano abitualmente dopo il Mattutino e i Vespri. I suoi discorsi erano semplici e naturali e senza sfoggi di cultura. Si preoccupò molto di inculcare la paura del purgatorio per le colpe veniali e la necessità della penitenza quotidiana per liberarsi dal peccato. Parlava della preghiera, del digiuno, delle elemosine, del perdono, della castità e delle opere buone. È ricordato come il primo predicatore popolare. I suoi sermoni erano ricchi di allusioni ed esempi comprensibili a tutti e raramente superavano i quindici minuti. Sottolineava anche l'importanza della partecipazione degna del corpo al culto e si preoccupava che le prediche raggiungessero il maggior numero di persone: «Chiunque entri in possesso di questa raccolta di sermoni, lo prego e lo imploro molto umilmente di leggerla attentamente, e non solo di passarla ad altre persone che la ricopino, ma di assicurarsi che la leggano». Le sue omelie si diffusero ben oltre i confini di Arles: la sua prima Vita dice che furono mandate in Francia (Gallia settentrionale), in Gallia, in Italia, nella penisola iberica e fino a Fulda in Germania. Alcune delle sue opere, attribuite all'epoca ad Agostino, Ambrogio e altri, si diffusero ancora di più. Cesario non pretendeva di essere un innovatore. Come aveva appreso da Vincenzo di Lérins, il suo scopo era di comunicare «la fede cattolica fissata dai Santi Padri». La cosa più importante era l'istruzione nella «vera fede cattolica, che deve mantenersi ferma e inviolata». Visitò tutta la sua diocesi, spingendosi anche oltre i suoi confini. Insisteva molto sulla necessità di comunicarsi spesso e in maniera degna: «I buoni cristiani sono quelli che, quando si avvicina una festa maggiore, per essere sicuri di comunicarsi in maniera corretta, rimangono casti con le loro mogli già da diversi giorni prima». Scrisse anche un rigido regolamento per lunghi periodi di continenza. La vita di penitenza era adatta ai laici e prevedeva regole sempre più rigide nel tempo. Chiedeva ai laici di comunicarsi non solo nelle festività maggiori, ma anche per la festa di S. Giovanni Battista e per le memorie dei maggiori santi provenzali. Secondo le opinioni del concilio di quell'epoca, Cesario credeva che alcune colpe, come la falsa testimonianza o l'apostasia, dovessero venire punite con l'allontanamento dalla comunità cristiana, e che potessero venire perdonate solo una volta nella vita. La sua lista (basata sui dieci comandamenti) delle colpe mortali era molto ampia: sacrilegio (apostasia o pratiche di superstizione), omicidio (tra cui l'aborto), adulterio e concubinato, falsa testimonianza, furto, orgoglio, ira, calunnia, ecc. comprese una serie di quelli che oggi vengono chiamati peccati veniali. I rapporti sessuali tra sposi erano peccato se praticati per il solo piacere personale, anche se la possibilità di concepimento non veniva esclusa; era peccato mortale usare metodi contraccettivi. Fece un elenco dettagliato delle opere buone sufficienti per riparare alle colpe minori: elemosina, visitare gli ammalati e i prigionieri, pregare e digiunare, perdonare i propri nemici. In generale un vescovo era tenuto solamente a incoraggiare la penitenza, ma in alcuni casi, come l'omicidio, la falsa testimonianza o la penitenza inadeguata, poteva pretenderla. Il pentimento era una questione grave e solenne, e Cesario raccomandava spesso di pentirsi prima che fosse troppo tardi, perché l'ostinatezza poteva compromettere le possibilità di salvezza di una persona. Fondò un monastero per giovani donne e vedove del sud della Gallia che desideravano dedicarsi a Dio, prima ad Aliscamps tra le rovine romane e poi all'interno delle mura della città. Inizialmente il monastero si chiamava S. Giovanni, ma poi divenne S. Cesario, ed egli mise la sorella Cesaria alla sua guida. Si impegnò molto per redigere la regola per le suore: mise in risalto la necessità di una vita di clausura stabile e completa, scrisse una regola per uomini sulla stessa linea e la impose a tutta la diocesi. Quella stessa regola divenne popolare anche altrove. Era metropolita di un numero di sedi aggiuntive e presiedette diversi sinodi, come ad esempio quello di Orange nel 529. Questo concilio si schierò contro gli eretici che sostenevano la predestinazione di alcune persone alla dannazione eterna. Cesario affermò anche che Dio con la sua grazia ha posto nelle nostre anime il desiderio per la fede e l'amore e che ispira la nostra conversione. All'epoca Arles era governata da Alarico II, re dei visigoti. Fu detto ad Alarico che Cesario, nato come suddito del re di Burgundia, stava tentando di imporre la sua regola nei territori visigoti. Nel 505 Alarico lo esiliò da Bordeaux, ma quando scoprì che le accuse erano false, lo richiamò e ordinò che gli accusatori fossero lapidati. Per intercessione di Cesario concesse loro salva la vita. Quando i burgundi occuparono Arles portando nella città molti prigionieri, Cesario portò loro cibo e vestiti attingendo dal tesoro della sua chiesa per aiutarli. Raccolse l'argento e fuse i calici, i turiboli per l'incenso e le patene, facendo osservare che Gesù aveva celebrato la sua ultima cena con piatti di coccio. Dopo la morte del re dei visigoti, Teodorico l'Ostrogoto, re d'Italia, occupò le terre visigote in Linguadoca e fece scortare Cesario fino a Ravenna. I due si resero mutualmente omaggio, poi Teodorico discusse la situazione della sua città con il vescovo e disse che non poteva credere che una persona così buona potesse fare qualcosa di male. Fece quindi rilasciare Cesario e gli inviò un bacile d'argento, trecento pezzi d'oro e un messaggio che recitava: «Accetta l'offerta del re, tuo figlio, e considerarla un pegno d'amicizia». Cesario vendette il badile per riscattare dei prigionieri. In seguito si recò a Roma, dove papa S. Simmaco (19 lug.) confermò i diritti metropolitani di Arles, riconobbe Cesario come legato apostolico in Gallia e gli conferì il pallium. Fu il primo vescovo occidentale a riceverlo. Cesario ritornò ad Arles nel 514. Quando la città cadde sotto il dominio franco nel 536, si ritirò quasi completamente dalla vita pubblica, vivendo nel convento di S. Giovanni. Fece testamento in favore delle suore della comunità e morì nel 543, la vigilia della festa di S. Agostino. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Arles in Provenza, san Cesario, vescovo: dopo aver condotto vita monastica nell’isola di Lérins, fu elevato all’episcopato contro la sua volontà; scrisse e raccolse in un corpo unico sermoni per le festività destinati alla lettura dei sacerdoti, perché fossero loro d’aiuto nella catechesi al popolo; compose inoltre regole sia per gli uomini che per le vergini allo scopo di disciplinarne la vita monastica.
nome San Poemen- titolo Abate- ricorrenza 27 agosto- Attributi eremita, asceta- Poemen fu un famoso padre del deserto. Si ritirò nel deserto egiziano di Scete con un fratello più giovane e uno più vecchio. Le incursioni dei Berberi, nel 408, li obbligarono ad abbandonare il loro primo insediamento e a cercare rifugio nelle rovine di un tempio a .Terenuthis. Anubis, il fratello maggiore, e Poemen si alternavano alla guida della comunità. Durante il giorno lavoravano fino alle dodici, leggevano fino alle tre del pomeriggio, e poi andavano a raccogliere legna, cibo e a fare ciò di cui c'era bisogno. Delle dodici ore notturne, quattro erano dedicate al lavoro, quattro al canto dell'Ufficio e quattro al riposo. Si dice che spesso Poemen trascorresse diversi giorni o perfino una intera settimana senza mangiare. Raccomandava però ai suoi compagni di digiunare con moderazione e di nutrirsi a sufficienza ogni giorno. I monaci non potevano bere vino, né compiere atti che gratificassero i sensi in qualsiasi maniera. Poemen temeva le interruzioni alla sua vita di solitudine, e una volta rifiutò persino di vedere la madre. Si dice che rinunciò al piacere dell'incontro sulla terra, per provare più gioia nel rivedersi nell'aldilà. Viene ricordato principalmente per la pietà e per i detti proverbiali, come ad esempio: «Il silenzio non è una virtù quando la carità necessita la parola». Incoraggiava i monaci a comunicarsi spesso. Quando Anubis morì, Poemen prese il controllo completo della comunità. Fece ritorno a Scete, ma di nuovo le incursioni lo co-strinsero a fuggire. I testi liturgici bizantini lo chiamano «la lam-pada dell'universo e modello per i monaci». MARTIROLOGIO ROMANO. Nella Tebaide in Egitto, san Pemeno, abate, del quale, ammirato anacoreta, si tramandano molti detti pervasi di saggezza.
nome Beato Ruggero Cadwallador- titolo Martire- nome di battesimo Ruggero Cadwallador- nascita 1567 circa, Stretton, Inghilterra- morte 27 agosto 1610, Leonminster, Inghilterra- ricorrenza 27 agosto- Ruggero Cadwallador nacque a Stretton, vicino a Sugeres (o Sugwas), nello Herefordshire (Inghilterra). Era il figlio maggiore e l'erede di un ricco proprietario terriero. Era un ragazzo istruito e aveva sentito, a quanto pare, una precoce vocazione alla vita sacerdotale. Il padre gli permise di andare a Reims, dove venne ordinato diacono il 24 febbraio 1592. Nell'agosto 1593 andò al nuovo collegio inglese di Valladolid, in Spagna, dove venne ordinato sacerdote, e nel 1594 fu mandato nella missione inglese. Svolse il suo ministero nello Herefordishire per sedici anni e si guadagnò la reputazione di sacerdote zelante, che solitamente si spostava a piedi e che operava molte conversioni, specialmente tra i poveri e gli operai. Era anche studioso di fama, molto versato per il greco. Il 5 novembre 1602 la regina Elisabetta emise un proclama che pareva promettere una certa tolleranza verso gli ecclesiastici cattolici che avessero mostrato fedeltà alla regina; quest'atto fu compiuto in seguito a una proposta fatta quasi sicuramente tramite Guglielmo Watson (cfr. S. Margherita Ward, 30 ago.), il mediatore principale con il governo, da parte di alcuni preti secolari cattolici, gli Appellanti, tra i quali Ruggero, che avevano fatto il giuramento «di essere i primi a scoprire [...] intenzioni traditrici contro di noi e il nostro stato, e [...] in prima fila nel soffocarle con le armi e ogni altro mezzo». Ruggero era implicato nella prolungata disputa, la Controversia dell'Arciprete, tra il clero secolare e, principalmente, i gesuiti riguardo le modalità della presenza cattolica in Inghilterra, e fu sicuramente uno degli Appellanti che, quello stesso mese, poco prima della morte della regina, scrisse un'altra dichiarazione conosciuta come la Dichiarazione Solenne di Fedeltà del 30 gennaio 1603. Riconobbero Elisabetta come la loro vera e fedele sovrana, e promisero di obbedirle in ambito temporale, come la legge divina ordinava, di evitare gli intrighi e le cospirazioni e di difendere la sua persona e il suo regno contro le invasioni, «contrastando ogni scomunica pronunciata o che dovesse essere pronunciata contro sua Maestà». Tuttavia i firmatari dichiararono anche la loro fedeltà al vescovo di Roma, come richiedeva la legge divina e affermarono di essere pronti a offrire la vita piuttosto che «violare l'autorità della Chiesa cattolica di Cristo». Tredici importanti preti secolari, tra cui Ruggero, firmarono la dichiarazione. Il documento non venne accettato; i deputati che lo presentarono vennero imprigionati, e la propaganda anticattolica continuò, anche se pare che nessuno dei firmatari sia stato perseguitato sotto Elisabetta. Giacomo VI/I, la cui moglie era cattolica, era molto più tollerante di Elisabetta per certi versi. Ma dal 1604 in poi, soprattutto dopo la Congiura delle Polveri del 1605, iniziò ad associare il cattolicesimo con l'idea di "terrorismo", tanto che indossava abiti di protezione particolari e non permetteva a nessuno di sguainare la spada in sua presenza.<br /> Sicuramente le condanne a morte di cattolici diminuirono durante il suo regno, anche se nel 1606 fu imposto ai cattolici un nuovo Giuramento di Fedeltà, preparato da Cristoforo Perkins, un ex gesuita. Le prescrizioni, che avevano implicazioni a livello di coscienza difficilmente verificabili oggi, avevano lo scopo di dividere e isolare i cattolici: dovevano costringerli ad abiurare e condannare come «infernale, empia ed eretica» l'idea che un monarca scomunicato da un papa potesse essere deposto o ucciso dai suoi sudditi. Molta gente accettò il giuramento. Alcuni sacerdoti nelle missioni, come Giorgio Blackwell, l'arcivescovo d'Inghilterra (che venne immediatamente deposto), sottoscrissero il giuramento, ma molti lo rifiutarono, e papa Paolo V lo vietò espressamente in due lettere ai cattolici d'Inghilterra. Fu durante il regno di Giacomo, la domenica di Pasqua 1610 che Ruggero fu catturato dallo sceriffo Giacomo Prichard, mentre si trovava in casa di una vedova cattolica, la signora Winifride Scroope. Fu interrogato prima da un altro sceriffo, poi da Roberto Bennet, vescovo di Hereford, alle cui domande rispose con prontezza. Riconobbe di essere prete, fatto che credeva potesse essergli difficilmente rinfacciato: «Perché o ammetti di essere anche tu un sacerdote, oppure io posso sicuramente provare che non sei un vescovo». Quando il vescovo gli rispose che Cristo era il solo sacerdote che offriva sacrifici del Nuovo Testamento, Ruggero gli rispose: «Dimostralo, ti prego, mio Signore, così potrai provare che non sono più sacerdote di qualsiasi altro uomo e di conseguenza neanche un traditore o un trasgressore della tua legge». Rifiutò di sottoscrivere il Giuramento di Fedeltà e fu mandato nella prigione di Hereford, dove fu legato con catene eccezionalmente pesanti. Quando fu mandato a piedi nella prigione di Leominster nello Herefordshire lo obbligarono a portare le manette. A un visitatore disse, scuotendole e paragonandole ai campanelli sulla veste del sommo sacerdote nell'Antico Testamento: «Senti? Sono questi i miei campanellini». Si ammalò gravemente, ma, nonostante la febbre alta, dovette sottomettersi a un secondo interrogatorio con il vescovo e altre persone. Alla fine venne processato come sacerdote e condannato a morte. Per alcuni mesi venne incatenato tutte le notti al letto. Il mattino dell'esecuzione indossò degli abiti nuovi che un amico gli aveva mandato, diede del denaro al custode e si assicurò di averne un po' con sé da dare all'uomo che avrebbe condotto il cavallo al patibolo. Diverse volte, lungo il cammino, gli fu offerta salva la vita se avesse prestato giuramento. Aveva quarantatré anni quando fu impiccato e sventrato mentre era ancora vivo e poi squartato a Leonminster il 27 agosto 1610. Insieme a Roberto Drury (26 feb.) fu l'unico firmatario della Dichiarazione Solenne di Fedeltà a venire ucciso. Ruggero è stato beatificato da papa Giovanni Paolo II il 22 novembre 1987. MARTIROLOGIO ROMANO. A Leominster in Inghilterra, beato Ruggero Cadwallador, sacerdote e martire, che, ordinato a Valladolid in Spagna, fu uomo di insigne dottrina; per sedici anni esercitò clandestinamente in patria il suo ministero e, infine, condannato sotto il re Giacomo I per il suo sacerdozio, morì dopo aspre torture con il supplizio del patibolo.