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I santi di oggi 15 agosto:
nome Assunzione della Beata Vergine Maria- titolo Dogma: Maria assunta in cielo in anima e corpo- ricorrenza 15 agosto- Gesù salendo al cielo aveva lasciato la sua Madre a guida della Chiesa nascente perchè fosse a tutti di conforto. La lasciò fin tanto che la vide necessaria a guidare e raddolcire le pene degli Apostoli e dei discepoli, ma appena vide che la sua missione era compiuta, le fece risuonare all'orecchio le parole: Veni, mater mea: Veni, coronaberis (Vieni, madre mia, vieni: sarai coronata). Maria che tanto e così ardentemente aveva desiderato di unirsi in Paradiso al suo Divin Figliuolo, ebbe un sussulto: il suo vergine cuore, inondato di nuovo amore e di nuova speranza, con un palpito più forte spezzò il fragile velo del corpo che teneva ancora la sua anima prigioniera su questa terra e spirò di puro amor di Dio. Era a Gerusalemme e fu sepolta nell'orto degli Ulivi. Narra la tradizione che al transito della Beata Vergine erano presenti tutti gli Apostoli, eccetto San Tommaso. Ma come la sua mancanza di fede nella resurrezione di Gesù gli aveva permesso di mettere la sua mano nel costato del Salvatore, così ora la sua assenza era stata disposta da Dio perchè gli Apostoli potessero constatare l'Assunzione della Vergine. Difatti, all'arrivo di Tommaso, gli Apostoli gli furono attorno raccontandogli il beato transito della Madonna, e quando egli espresse il desiderio di vederla ancora una volta, sia pure nel sepolcro, tutti gioirono perché dava anche ad essi occasione di rinnovare il loro doloroso, ma pur amoroso addio alla Madre. Si recarono quindi tutti insieme al sepolcro, ma invece del corpo di Maria trovarono rose e gigli dai quali emanavano fragranze ineffabili di Paradiso. Maria, l'arca santa, il tabernacolo del Verbo fatto carne, era stata dagli Angeli assunta in cielo. Questa è l'origine della festa odierna che è una delle più antiche in onore della SS. Vergine. L'Assunzione segna l'ingresso trionfale di Maria in cielo, la sua glorificazione, la sua incoronazione nella corte celeste. Maria trionfa oggi in cielo della triplice vittoria del figlio suo: Gesù ha trionfato del peccato, della concupiscenza e della morte: e la SS. Vergine associata al trionfo del Figlio, canta oggi vittoria sul peccato per la sua immacolata concezione; vittoria sulla concupiscenza per la sua verginale maternità; vittoria sulla morte per la sua risurrezione e gloriosa assunzione al cielo. « Colla sua morte, Maria, dice S. Giovanni Damasceno, dà gloria a Dio accettando la distruzione del suo essere come condizione della natura umana da lui creata; acquista per sè grandi meriti umiliandosi fino all'annientamento; dà a noi l'esempio della sottomissione che dobbiamo avere al Creatore ». Oltre a questo S. Alfonso dice che la SS. Vergine accettò la morte anche per imitare il suo Divin Figliuolo, che si era degnato di morire per amor nostro. Perciò S. Bernardino da Siena, tutto pieno di gioia per tanta festività, commentando il passo: Surge Domina, tu et arca sanctificationis tuae, grida al Signore: « Sì, o Gesù, ascenda al cielo anche la tua SS. Madre santificata dalla tua concezione ». Cosi, come Gesù è nostro Salvatore, Maria è dispensatrice di grazie; Gesù nostro mediatore, e Maria nostra mediatrice; Gesù redentore, Maria corredentrice; Gesù via, verità, vita, Maria vita, dolcezza e speranza nostra; Gesù e Maria come sono uniti nella loro opera per la nostra salvezza, così in cielo sono uniti nella medesima gloria immortale. PRATICA. Facciamo l'atto di accettazione della morte. PREGHIERA. Supplichiamo la tua clemenza, o Signore Dio nostro, affinchè, mentre celebriamo l'Assunzione della Madre tua, veniamo liberati, per sua intercessione, da tutti i mali che ci minacciano. MARTIROLOGIO ROMANO. Solennità dell’Assunzione della beata Vergine Maria, Madre di Dio e Signore nostro Gesù Cristo, che, completato il corso della sua vita terrena, fu assunta anima e corpo nella gloria celeste. Questa verità di fede ricevuta dalla tradizione della Chiesa fu solennemente definita dal papa Pio XII.
nome Sant'Alfredo di Hildesheim- titolo Vescovo- nascita IX secolo, Colonia- Nominato vescovo 850- morte 15 agosto 874, Hildesheim, Germania- ricorrenza 15 agosto- Incarichi ricoperti Vescovo di Hildesheim- Di Santi con il nome di Alfredo ce ne sono pochi e di limitata celebrità. Non figura nel Calendario della Chiesa universale, e neanche nel Martirologio Romano, ma soltanto nei calendari particolari della diocesi di Hildesheim, in Germania. La sua festa cadrebbe, a rigore, il 15 agosto: viene abitualmente celebrata un giorno prima, perché non coincida con la ricorrenza dell'Assunta. La città di Hildesheim, in Germania, è celebre nella storia dell'arte per la sua cattedrale in primitive forme romaniche, costruita tra il X e l'XI secolo, e soprattutto per i rilievi in bronzo che adornano le sue porte. Sopra il coro della cattedrale fiorisce ancora la cosiddetta « rosa dei mille anni »: una pianta che, se non proprio mille, ha probabilmente cinquecento anni di vita. Alla rosa di Hildesheim si collegano le leggende sulla fondazione della città e la sua designazione quale sede episcopale da parte di Ludovico il Pio, figlio dell'Imperatore Carlomagno. Ciò avveniva nell'anno 815. Trentasei anni dopo, il monaco benedettino Alfredo, o Altfrido, diventava quarto Vescovo della città, e primo di una serie di grandi prelati che avrebbero illustrato la storia della diocesi, come San Bernardo e San Gottardo. L'episcopato di Alfredo accrebbe il prestigio della nuova città e dei suoi Vescovi. Amico di Luigi il Germanico, Alfredo svolse infatti diverse missioni importanti che gli valsero fama di saggezza e di prudenza, oltre che di santa vita, secondo lo spirito della Regola benedettina. Tra l'altro, il Vescovo di Hildesheim si adoprò per mantenere la pace tra i vari discendenti dell'Impero Carolingio, cosa non troppo facile osservano gli storici, per le rivalità, spesso sanguinose, che dividevano quei personaggi nonostante i vincoli di parentela. Fu lui, il Vescovo Alfredo, a iniziare la costruzione di una nuova Cattedrale, che dedicò alla mistica rosa, la Vergine Maria. Egli, morto due anni dopo, il 15 agosto del 874, non la vide completa, né poté prevederne la splendida fioritura nell'arte e nella devozione. Ma, oltre ai meriti spirituali, possiamo attribuirgli anche la benemerenza di questo primo contributo a uno dei luoghi più suggestivi dell'arte e della fede dell'Europa medievale a ulteriore conferma che i fiori della bellezza sbocciano, quasi invariabilmente, dai semi fertili della santità. MARTIROLOGIO ROMANO. A Hildesheim nella Sassonia in Germania, sant’Altfrido, vescovo, che costruì la cattedrale e favorì la costruzione di monasteri.
nome San Giacinto Odrovaz- titolo Confessore- nascita 1183 circa, Kamie, Polonia- morte 15 agosto 1257, Cracovia, Polonia- ricorrenza 15 agosto e 17 agosto- Canonizzazione 1594 da papa Clemente VIII- Attributi ostensorio, statua della Madonna- Patrono di Lituania, gestanti- Nacque a Kamień in Slesia attuale Polonia dalla nobile ed antichissima famiglia Odrovaz, nell'anno 1183. Fin da giovanetto mostrò grande inclinazione alla virtù ed al raccoglimento. I suoi genitori lo affidarono ad ottimi maestri nella nativa città, poi venne mandato all'Università di Praga ed indi in Italia all'Università di Bologna. Quando ritornò in patria ricco di virtù e di sapere, fu dallo zio Ivo, vescovo di Cracovia, impiegato nella amministrazione della vasta diocesi. Tutte queste occupazioni non gli impedirono di compiere i suoi doveri verso Dio. Tenerissimo verso i poveri e verso i derelitti, spendeva tutte le sue entrate in elemosine con tanta generosità che talvolta riduceva se stesso nell'indigenza. Nell'anno 1218, dovendo lo zio Ivo fare un viaggio a Roma, condusse seco Giacinto. Quivi il nostro Santo conobbe S. Domenico, già celebre per la fama dei suoi miracoli, per la sua predicazione, e per la fondazione del nuovo ordine religioso. Il desiderio che anche la Polonia partecipasse dei vantaggi che S. Domenico procurava alla Chiesa, mosse Ivo e Giacinto a domandargli qualche suo discepolo, onde fondare anche nella loro patria conventi di Predicatori. Domenico prese quattro domestici del vescovo Ivo, li vestì dell'abito religioso, li istruì e li mandò in patria, nel giro di soli sei mesi: tra questi vi era pure Giacinto. Aveva allora 35 anni. Partirono da Roma a piedi e senza alcuna provvista. Quando Giunsero a Cracovia, il popolo che li attendeva li salutò come ambasciatori di Dio. In breve tutta la diocesi fu cambiata: i vizi furono debellati e si incominciò a vivere una vita di fervore e di fede. Ma, essendo la Polonia un campo troppo ristretto per lo zelo di Giacinto, si recò a portare la buona parola in Livonia, Svezia, Danimarca, Norvegia, Scozia, si inoltrò nella Russia, fino al Mar Nero, e giunse anche alla Cina. Nelle sue peregrinazioni apostoliche Giacinto si fermò parecchio nella città di Kiovia attuale Kiev, allora capitale della Russia, ed ivi edificò un gran convento. Venuta l'invasione dei Tartari, il nostro Santo fu costretto a fuggire coi suoi compagni ed attraversata miracolosamente la Vistala sul suo mantello, giunse a Cracovia. Dal Sacro diario domenicano: Divotissomo fu San Giacinto di Maria vergine e riportò da essa prodigiosi favori. Aveva egli edificato in Chiovia un convento, ed una chiesa in di lei onore, e nel mentre che un dì celebrava la Santa Messa, entrarono in quella città i Tartari per saccheggiarla. Giacinto, di ciò avvertito, prese di subito il Santissimo sacramento affine di fuggir con esso, e sottrarlo agli oltraggi di quei barbari. Nel passare che fece davanti un'immagine ben grande in marmo di Maria santissima. Elle gli disse: perchè così mi lasci esposta agli affronti di quest'idolatri? E Giacinto, troppo grave è il peso, rispose. Prendimi, replicò la Madre d'Iddio, che l'amore rende leggero ogni grave peso. Tanto avvenne, perchè, presa con l'altra mano la statua, potè passo veloce non solamente uscir di Chiovia, ma passare sopra delle acque con piedi asciutti il fiume Boristene, e fino a Cracovia prosguire il viaggio. Due anni dopo visitò tutti i fedeli da lui evangelizzati e li confermò nella fede. Avendogli Iddio rivelato che era vicino il giorno della sua morte, ritornò nuovamente in patria, dove lo colse la febbre. Recatosi in chiesa, domandò e ricevette il S. Viatico e l'Estrema Unzione, e nel giorno dell'Assunta, 15 agosto 1257, volò al cielo a ricevere il premio delle sue grandi fatiche apostoliche. PRATICA. Facciamo una preghiera, un'offerta o un sacrificio per la diffusione del Vangelo. PREGHIERA. O Signore, che ci allieti ogni anno colla festa del tuo santo confessore Giacinto, concedici propizio che, mentre ne celebriamo la festa, ne imitiamo anche le azioni. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma nel cimitero di Callisto sulla via Appia, commemorazione di san Tarcisio, martire: per difendere la santissima Eucaristia di Cristo che una folla inferocita di pagani tentava di profanare, preferì essere lapidato a morte piuttosto che lasciare le sacre specie ai cani.
nome San Tarcisio di Roma- titolo Martire- nascita 263 circa, Roma- morte 275, Roma- ricorrenza 15 agosto- Patrono di Ministranti- In un mattino di agosto dell'anno 258 il vecchio Pontefice Sisto II aveva voluto trovarsi in mezzo ai suoi diletti figli nelle Catacombe di S. Callisto. Già aveva conferito il battesimo a molti catecumeni ed ora voleva distribuire ai fedeli la SS. Eucarestia che forse per molti sarebbe stato il Viatico. Quando tutti i presenti si furono comunicati, il Pontefice, con voce soffocata dalla commozione, ricordò ad essi che molti fratelli, chiusi in oscure prigioni, l'indomani sarebbero stati gettati alle belve nel Colosseo, e domandò le preghiere di tutti per quei fratelli affinchè la loro fede non venisse meno in quegli ultimi momenti. Poi soggiunse: Oh, di quanto conforto e sostegno sarebbe per essi il Corpo di Cristo. Chi di voi, figli miei, si sente di portare ad essi il Pane dei forti? Io, Padre! rispose una voce dopo un momento di trepido silenzio. Tarcisio! tu, figlio mio? interrogò il Pontefice. Sì, Padre. E chi potrà sospettare di un fanciullo? Deh, non mi negare questa grazia. Ti giuro di penetrare nelle carceri con intatto il prezioso deposito che mi affiderai, o piuttosto morire.<br /> Ebbene, Tarcisio mio, rispose il Pontefice eccoti Gesù Eucaristico. Va', e gli Angeli ti accompagnino. E preso il Pane consacrato, lo chiuse in una teca d'oro e l'appese al collo del giovanetto quindicenne, il quale nascose il sacro deposito sotto la tunica e raggiante di gioia uscì dalle Catacombe. Mentre camminava svelto e raccolto colle mani incrociate sul petto, s'incontrò con alcuni suoi coetanei, i quali lo invitarono a partecipare ai loro giochi, ma egli con belle maniere se ne schermi. Poco dopo lo scorsero alcuni pagani, i quali, curiosi di sapere cosa Tarcisio custodisse sotto le mani incrociate, gli domandarono: Che hai sotto la tunica?Lasciatemi: sono aspettato fu la risposta del fanciullo. Fuori i Misteri replicarono quelli bruscamente. Lasciatemi, lasciatemi! — supplicava Tarcisio stringendosi sempre più fortemente al petto il sacro tesoro. Ma quelli, inferociti, lo buttarono a terra e cominciarono a colpirlo con sassi. E vedendo che egli resisteva continuarono a far piovere su di lui colpi di ogni specie. Povero Tarcisio! Il sangue gli colava da ogni parte! Quando quei barbari videro il fanciullo orinai sfinito si gettarono su lui per rapirgli il tesoro. Ma ecco giungere improvvisamente Quadrato, ufficiale imperiale segretamente cristiano, il quale, messi in fuga i persecutori del fanciullo, si chinò su di lui, lo raccolse fra le sue braccia robuste e, portatolo nelle Catacombe, lo depose ai piedi del Pontefice dicendogli: — Eccoti, Padre, il corpo di tuo figlio, e insieme il Corpo di Gesù Cristo da lui salvato da mani sacrileghe a prezzo della vita. Grosse lacrime scesero sullo scarno volto di Sisto, che traendo di sotto la tunica del Martire la teca del Pane Eucaristico pregava il Signore di accettare il sacrificio del piccolo eroe. La tomba del Martire si può visitare nelle Catacombe di S. Callisto. PRATICA. Fare qualche visita a Gesù Eucaristico, prigioniero di amore nel tabernacolo. PREGHIERA. Deh, fa', o Dio onnipotente, che noi, i quali celebriamo la festa del tuo martire Tarcisio, veniamo corroborati per sua intercessione nell'amore del tuo nome. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma nel cimitero di Callisto sulla via Appia, commemorazione di san Tarcisio, martire: per difendere la santissima Eucaristia di Cristo che una folla inferocita di pagani tentava di profanare, preferì essere lapidato a morte piuttosto che lasciare le sacre specie ai cani.
nome San Stanislao Kostka- titolo Novizio gesuita- nome di battesimo Stanislaw Kostka- nascita 1550, Rostkow, Polonia- morte 15 agosto 1568, Roma- ricorrenza 15 agosto- Beatificazione 8 ottobre 1605 da papa Paolo V- Canonizzazione Basilica Vaticana, 31 dicembre 1726 da papa Benedetto XIII- Patrono di Lituania, gioventù studiosa- Stanislao, secondo figlio di Giovanni, senatore del regno di Polonia, e di Margherita de Drobnin Kryska, nacque nel castello di famiglia a Rostkow, nell'allora vasto regno di Polonia, che comprendeva la Lituania e altri paesi. Il re era cattolico, ma il suo potere era limitato dalla nobiltà che difendeva i propri sproporzionati privilegi. L'aristocrazia, compresi anche i proprietari terrieri delle casate meno nobili, costituiva meno del dieci per cento della popolazione ed era decisa a limitare il potere non solo del re e dei consigli cittadini, ma anche del clero (nel 1562, per esempio, la Chiesa perse il potere disciplinare contro le eresie). La Polonia dell'epoca poteva solo con molte difficoltà essere definita un paese cattolico. Metà della popolazione era di confessione greca o russo ortodossa; molti ebrei vi si erano rifugiati a causa delle frequenti persecuzioni del Medio Evo; ussiti, luterani, fratelli boemi, unitariani c altri ancora diffondevano le loro idee, con grande successo, in un'atmosfera di libertà religiosa straordinaria per quel tempo. La maggior parte dei nobili difendeva questa situazione: metà dei membri del Parlamento erano protestanti (con più calvinisti che luterani), mentre molti nobili cattolici ritenevano che un comportamento tollerante fosse vantaggioso. La Chiesa, tuttavia, considerava i protestanti, soprattutto i luterani, come i nemici più pericolosi e temibili. Dopo l'arrivo nel paese nel 1565, durante la vita di Stanislao, ma soprattutto negli anni seguenti, i gesuiti operarono per rendere la Polonia un paese a maggioranza cattolica, in maniera lenta ma metodica, soprattutto esercitando il controllo sull'educazione, appoggiati dal re. Questo processo continuò sino alla fine del XVIII secolo. Da bambino Stanislao era timido, molto devoto, ma anche molto determinato. Studi recenti hanno messo in rilievo anche la sua natura passionale, che aveva però ben presto imparato a dominare. Durante l'adolescenza iniziò a trovare la sofisticata vita mondana dei suoi genitori poco attraente, e questi, da parte loro, lo consideravano senza dubbio un tipo bizzarro. «Non raccontare questa storia in presenza di Stanislao», diceva suo padre, «sicuramente si sentirebbe male!». Per un anno venne affidato alle cure del precettore Giovanni Bilinski. All'età di quattordici anni, Bilinski lo portò, insieme al fratello Paolo, maggiore di due anni, a Vienna, dove frequentarono il collegio gesuita. In principio vissero in un pensionato studentesco, una casa prestata ai gesuiti dall'imperatore Ferdinando I (1556-1564): Stanislao si ambientò bene, tutti rimasero colpiti dalla sua diligenza negli studi, dalle vaste letture di autori classici e secolari e dalla profonda spiritualità. Sfortunatamente Ferdinando morì poco dopo il loro arrivo a Vienna, e il figlio Massimiliano II (1564-1576) si riprese la casa. Paolo, che era meno introspettivo e sensibile del fratello, vide la situazione come un'occasione da sfruttare e persuase Bilinski a prendere per loro in affitto delle stanze in una casa di un senatore protestante. Stanislao non voleva andare a vivere presso degli eretici, in particolare luterani, ma Paolo lo derideva per i suoi scrupoli. Un giorno Stanislao gli rispose: «Se continui a comportarti così, io me ne andrò e tu dovrai spiegare tutto ai genitori». Paolo però non accennò a un cambiamento, e anche lo stesso Bilinski non dava ascolto alle lamentele del fratello più giovane. I compagni di scuola di Stanislao lo trattavano con distacco, considerandolo un insopportabile presuntuoso a causa della sua intelligenza singolare e del suo comportamento estremamente devoto, poco comune per un ragazzo della sua età. Faceva la comunione il più spesso possibile e il giorno prima di riceverla digiunava; se non era a lezione o in chiesa lo si poteva trovare nella sua stanza immerso nello studio o in preghiera. Si vestiva semplicemente, rifuggiva le lezioni di ballo e si infliggeva mortificazioni corporali. Paolo, intanto, non si limitava più solo a prenderlo in giro, ma lo tormentava anche; Bilinski, che non riusciva a comprendere Stanislao, fece ben poco per bloccarlo. Dopo due anni di sofferenze Stanislao ebbe un crollo: si sentiva così male che chiese l'estrema unzione, ma il proprietario della casa si rifiutò di avere sotto il suo tetto il Santo Sacramento. Stanislao si rivolse a S. Barbara, alla cui confraternita apparteneva, e dichiarò in seguito che per sua intercessione due angeli gli avevano portato la comunione. Disse anche che gli era apparsa la Vergine Maria dicendogli che non sarebbe morto e, anzi, sarebbe diventato un gesuita. Poiché aveva già pensato di entrare nella Compagnia di Gesù, appena fu guarito si recò dal provinciale di Vienna e gli chiese di essere ammesso. Il provinciale, temendo la reazione del padre del ragazzo, lo rifiutò; Stanislao allora decise di andare a Roma a parlare al padre generale in persona. Il 10 agosto 1567 partì a piedi per il viaggio di cinquecento chilometri verso Roma. Paolo e Bilinski lo rincorsero a cavallo, ma o non lo trovarono o non riuscirono a persuaderlo a ritornare indietro. A Dillingen venne accolto dal provinciale tedesco, S. Pietro Canisio (21 dic.), il quale aveva anch'egli percorso centinaia di chilometri a piedi e a cavallo. Pietro era uno dei grandi maestri della Controriforma, che avevano iniziato molto presto a osteggiare la religione protestante a Colonia e, tramite il controllo dell'educazione in Austria, l'avevano sconfitta in quella regione, così come in Baviera e in Boemia. Egli si accorse del valore e della forza di quella giovane fede, e incoraggiò Stanislao nella sua vocazione, mettendolo anche alla prova prima di farlo ripartire per Roma. Per tre settimane Stanislao fu incaricato di servire gli studenti a tavola e di pulire le loro stanze. Quando arrivò a Roma il 25 ottobre, il generale S. Francesco Borgia (10 ott.) lo fece entrare nella Compagnia. Non aveva ancora diciotto anni. Giovanni Kostka, che aveva pensato per il figlio una carriera da diplomatico, scrisse adirato a Stanislao accusandolo di aver fatto una scelta che non si confaceva alla sua posizione; minacciò persino di fare espellere i gesuiti dalla Polonia. Il ragazzo rispose gentilmente ribadendo la sua scelta e continuò a dedicarsi ai propri impegni in quelli che si sarebbero rivelati gli ultimi nove mesi di vita. La sua fedeltà alla regola era irreprensibi le, il suo amore per la preghiera era riconosciuto da tutti, spesso si diceva che cadesse in estasi durante la Messa. L'estate romana del 1568 fu però troppo dura: era molto debole e spesso sveniva, fino a che il 10 agosto cadde ammalato gravemente. Il mattino del 15 agosto, la festa dell'Assunzione, Stanislao disse di aver visto Maria tra una vasta schiera di angeli e poi morì in pace. Poco dopo Paolo arrivò a Roma con il compito di portare il fratello .a casa a ogni costo. Rimase profondamente scioccato dalla morte di Stanislao: ripensò al suo comportamento e, insieme a Bilinski, fu uno dei testimoni principali durante il processo di beatificazione. Bilinski disse: «Quel santo ragazzo non riceveva mai una parola gentile da Paolo. Entrambi ricordiamo la santità e la devozione di tutto quello che fece». Si dice che Paolo si pentì amaramente per come aveva trattato il fratello e, all'età di sessant'anni, entrò nei gesuiti. Nel 1726 Stanislao venne canonizzato insieme con un altro novizio gesuita, S. Luigi Gonzaga (21 giu.). È diventato il secondo patrono della Polonia. Quasi subito Stanislao venne proposto come modello di purezza e innocenza angelica, e tale rimase fino a che, con gli anni '60 del XX secolo e il cambiamento post conciliare nell'educazione dei gesuiti a favore di figure più psicologicamente accettabili e socialmente attive, la sua conoscenza fuori dalla Polonia e dai gruppi di immigrati polacchi è quasi scomparsa. Poco dopo la morte i gesuiti ne fecero un importante modello nella lunga battaglia contro i protestanti polacchi, che cominciò nel 1565 quando venne loro assicurato il controllo sull'educazione superiore, e che terminò in maniera soddisfacente all'epoca della canonizzazione di Stanislao. Esistono diversi ritratti del santo; numerosi vennero eseguiti nel secolo successivo alla sua morte, ma la sua influenza sull'arte devozionale fu forte soprattutto tra la seconda metà del XIX XXe nella prima metà del secolo, quando l'effetto combinato dell'istruzione dei gesuiti e il sentimento nazionale polacco crearono un mercato quasi mondiale di oleografie, litografie di poco valore e cartoline con la sua presunta immagine. Questi oggetti erano accompagnati da sermoni di sentimentalismo spicciolo, foglietti di propaganda e altri scritti sul santo (e su S. Luigi Gonzaga, al quale veniva spesso associato), destinati ai giovani e ai ragazzi in particolare. È molto difficile isolare la verità dagli aneddoti e dalle esagerazioni all'interno dei racconti su Stanislao. I tentativi che sono stati fatti in questo senso hanno fatto emergere una personalità complessa e molto interessante. Tuttavia la sua immagine sarà sempre oscurata dalla strumentalizzazione religiosa e, in un certo modo, politica patita nella sua epoca e nella sua terra, e ancora di più dalla visione della morale sessuale del XIX secolo. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, san Stanislao Kostka, che, di origine polacca, spinto dal desiderio di entrare nella Compagnia di Gesù fuggì dalla casa paterna e si recò a piedi a Roma, dove, ammesso nel noviziato da san Francesco Borgia, morì in fama di santità, stremato in breve tempo nel prestare i più umili servizi.
nome Beato Isidoro Bakanja- titolo Martire- nome di battesimo Isidoro Bakanja- nascita 1885 circa, Bokendela, Rep. Democratica del Congo- morte 1909, Ikili, Rep. Democratica del Congo- ricorrenza 15 agosto- Beatificazione 25 aprile 1994 da papa Giovanni Paolo II- Isidoro rappresenta uno dei pochi casi, se non l'unico, di africano ucciso da un europeo e riconosciuto martire. Era figlio di genitori pagani di Ikengo, in quello che era all'epoca il Congo Belga (divenuto in seguito Zaire e oggi Repubblica Democratica del Congo). Lavorava come assistente muratore in un'impresa statale belga a Coquihatville (oggi Mbandaka). Là conobbe il cattolicesimo, a cui aderì con grande entusiasmo, venendo battezzato il 6 maggio 1906 con il nome di Isidoro. Al termine del contratto di lavoro, Isidoro fece ritorno nella sua regione d'origine e poi si spostò a Busira, ospite del cugino Camillo Boya, impiegato della compagnia mineraria belga S.A.B. Grazie a lui trovò un posto da inserviente presso uno dei direttori, di nome Ruijders. Questi nel 1909 lo portò con sé a Itiki, nella regione del Buch-Bloc, dove trovò un'atmosfera estremamente ostile nei confronti dei cattolici, a causa delle idee del direttore locale della S.A.R., Van Cauter, che riteneva che il cattolicesimo stesse distruggendo l'autorità dell'Europa sugli "indigeni". Il rifiuto di Isidoro di abbandonare la sua fede, e in particolare di togliersi uno scapolare della Vergine che aveva attorno al collo, fecero talmente infuriare Van Cauter, che fece picchiare Isidoro a sangue, rinchiudendolo poi in isolamento con catene alle caviglie. Appena il direttore fu informato dell'accaduto, lo fece liberare e lo portò a Busira, dove sopravvisse solo altri sei mesi, a causa delle torture a cui era stato sottoposto. Morì il 15 agosto 1909. Isidoro perdonò Van Cauter, che comunque fu sollevato dall'incarico, processato e condannato da un tribunale a Coquihatville. La Chiesa locale, consapevole del fatto che Isidoro era morto per la sua fede, cominciò subito a raccogliere le prove necessarie per iniziare il processo di beatificazione, che fu concluso il 24 aprile 1994 sotto papa Giovanni Paolo II. MARTIROLOGIO ROMANO. Nella cittadina di Wenga presso Busira nel Congo Belga, ora Repubblica Democratica del Congo, beato Isidoro Bakanja, martire, che, giovane iniziato al cristianesimo, coltivò con diligenza la fede e la testimoniò con grande coraggio durante il suo lavoro; per questo, in odio alla religione cristiana fu sottoposto a continue fustigazioni da parte del direttore della compagnia coloniale e morì pochi mesi più tardi, perdonando il suo persecutore.
nome San Simpliciano- titolo Vescovo- nascita 320 circa, Beverate di Brivio- morte 401 circa, Milano- ricorrenza 15 agosto, 14 agosto nella diocesi di Milano- Canonizzazione pre canonizzazione- Attributi bastone pastorale e mitra- Incarichi ricoperti Vescovo di Milano (397-401)- Patrono di Milano, Carate Brianza- Quando S. Agostino (28 ago.) consultò S. Simpliciano, sacerdote milanese pio, istruito e acuto, lo fece stimandolo profondo esperto del platonismo cristiano a cui egli era interessato. Simpliciano si era occupato dell'istruzione teologica del vescovo S. Ambrogio (7 dic.), che considerava i seguaci di Platone come "i nobili del pensiero", e Agostino gli parlò del proprio travaglio spirituale e intellettuale. Quando gli raccontò di aver letto alcune opere di Caio Mario Vittorino, un eminente professore di retorica di origini africane che viveva a Roma, che aveva insegnato a molti dei senatori che erano morti cristiani e che aveva tradotto Plotino e altri neoplatonici in latino, Simpliciano disse di aver conosciuto il famoso professore; egli fece anche menzione di una conversazione con Vittorino che sapeva avrebbe stimolato il giovane. Ricordando il racconto, dirà in seguito Agostino: «Egli era solito dire a Simpliciano, non in pubblico ma privatamente, come tra amici, "Voglio che tu sappia che ora sono un cristiano". Simpliciano rispose: "Non lo crederò mai e non ti considererò mai cristiano fino a che non ti avrò visto nella Chiesa di Cristo". A quelle parole Vittorino rise e disse: "Sono forse i muri della Chiesa che fanno di una persona un cristiano?"», ma la sua difesa non resse a lungo e, secondo il resoconto di Simpliciano, egli trionfò infine nel persuadere Vittorino a professare le sue convinzioni pubblicamente, divenendo pienamente cristiano. Quando Giuliano l'Apostata vietò ai cristiani di insegnare retorica o letteratura, Simpliciano abbandonò la sua scuola. Agostino rimase molto colpito dal suo esempio, e l'influenza di Simpliciano lo avvicinò alla conversione. In diverse occasioni Ambrogio loda gli studi di Simpliciano, i suoi giudizi e la sua fede e si dice che sul letto di morte, sentendo qualcuno che stava suggerendo il nome del presbitero come suo successore, Ambrogio abbia gridato: «Simpliciano è vecchio ma è un uomo buono». Simpliciano gli succedette come vescovo di Milano, mantenendo l'incarico solo per tre anni. Una volta che aveva dei dubbi riguardo la Lettera agli Ebrei, scrisse ad Agostino. Tra le altre cose gli chiese: «Perché Dio dice: Ho odiato Esaù? La gente è soggetta a un destino fissato?». Ad Simplicianum de diversis Quaestionihus (a Simpliciano, su diversi problemi), uno degli scritti di Agostino più profondi e illuminanti, fu scritto come risposta. Non è la libertà del volere umano ma la grazia di Dio ad avere la supremazia: «Senza dubbio il motivo della scelta di Dio ci è nascosto [...] Anche se alcuni riescono a vederlo, io devo ammettere che in questo caso non ho risposta. Semplicemente non posso conoscere il criterio di decisione che presiede la scelta dei salvati per grazia. Se dovessi pensare su che cosa si basa questa scelta, istintivamente sceglierei le persone con un intelletto superiore o che hanno commesso meno peccati, o entrambe. Forse aggiungerei un'educazione sana e solida. Ma sono certo che, non appena avessi deciso, Egli si prenderebbe gioco di me». Paolo fornisce una risposta enigmatica: «Cercate la vostra salvezza con timore e tremore. È Dio, infatti, che suscita in voi il volere e l'agire secondo i suoi benevoli disegni» (Fil 2, 12-13). In una visione di S. Monica (27 ago.) Simpliciano e Agostino indossavano una cintura di cuoio nero, e Maria aveva ordinato a Monica di indossarne una in suo onore. I frati agostiniani adottarono questa cintura come parte dell'abito. Simpliciano morì in maggio, ma la sua memoria da tempo è stata fissata in agosto. MARTIROLOGIO ROMANO. A Milano, san Simpliciano, vescovo, che sant’Ambrogio designò come suo successore e sant’Agostino celebrò con lodi.
nome Sant'Alipio di Tagaste- titolo Vescovo- nascita 360 circa, Tagaste- Consacrato vescovo 394 da Agostino d'Ippona- morte 430 circa, Tagaste- ricorrenza 15 agosto- Incarichi ricoperti Vescovo di Tagaste- Quasi tutto quello che sappiamo di Alipio proviene dagli scritti di quel grande analizzatore dell'uomo che fu S. Agostino (28 ago.) e perciò la sua figura emerge secondo un profilo reale e senza essere inghiottita nell'oscurità della tipica retorica agiografica. Nelle Confessioni ciascun fatto narrato da Agostino ha un suo preciso riferimento concreto e, quando parla di qualche amico, egli getta luce sul loro rapporto e sui ragionamenti comuni in una maniera che acquisisce forza durante la narrazione, così come era accaduto in vita. Alipio nacque nel 360 circa a Tagaste nel Nord Africa. Era parente di un dignitario locale, Romaniano (mecenate di Agostino), e amico fin da ragazzo del futuro dottore della Chiesa. Sotto la sua guida aveva studiato grammatica a Tagaste e retorica a Cartagine, e il rapporto rimase stretto fino a che suo padre e Agostino non litigarono; anche in seguito, comunque, rimasero amici. Agostino, personaggio carismatico, aveva colpito Alipio e Romaniano per il suo legame all'eretico ed esotico manicheismo, conosciuto nella sua forma locale di religione non dogmatica per pochi istruiti. Questo credo assicurava al complicato, provocatorio e ambizioso Agostino un modo per mantenere uniti l'irriducibile spirito di perfezione e fanti-autoritarismo connesso ai suoi sentimenti nei confronti del padre e della Chiesa cristiana, mentre attirava Alipio per motivi diversi. Egli infatti, ancora molto giovane, aveva avuto alcune esperienze sessuali, segrete e frugali, ma qualcosa gliele aveva poi fatte aborrire e ora, come dice Agostino, non ne era più attratto e trovava congeniale la rigida castità predicata dai manichei, dei quali ammirava l'austerità. Alipio aveva trovato altri modi per sfogare le passioni: Romaniano amava organizzare a Tagaste spettacoli di animali feroci per dare sfoggio di potere e ricchezza, e il giovane si abituò in maniera pericolosa alla violenza e a ciò che Agostino chiamava la «pazzia del circo». Anzi, Alipio era così ossessionato dal rumore e dalla vista della carneficina che Agostino aveva perso ogni speranza di guarirlo. Una volta, mentre si trovava a Cartagine, Alipio entrò di soppiatto a una delle lezioni di Agostino (cosa che gli era tassativamente vietata), e udì il rimprovero di Agostino verso coloro che erano ossessionati dagli spettacoli dell'arena. Alipio si sentì direttamente colpito da quelle parole come da un rimprovero personale e immediatamente smise di frequentarli. Agostino temeva che l'accaduto potesse in un qualche modo inimicargli il ragazzo; in realtà fu il contrario: Alipio cominciò a fare pressioni sul padre perché lo lasciasse diventare studente di Agostino. Poiché aveva deciso di seguire la volontà dei genitori e di intraprendere la carriera di avvocato, si recò a Roma per completare i suoi studi. Sfortunatamente gli amici e i compagni che trovò nella città, indovinando il suo desiderio represso, «con una sorta di amichevole violenza», lo portarono a uno spettacolo di animali feroci. Alipio riteneva di essere cambiato e di essere tanto forte da poter sedere tra la folla rimanendo a occhi chiusi, ma l'eccitazione e le grida lo vinsero: udendo un urlo tremendo aprì gli occhi, ritornò più dipendente che mai dagli spettacoli dei gladiatori e «bevve con gioia il sangue. [...] Non era più l'Alipio entrato prima sulle tribune: ora era uno dei combattenti nell'arena: guardava, urlava, ardeva del desiderio del combattimento. Tornò a casa così sconvolto dal desiderio di sangue che dovette subito tornarci, e non solo con i compagni di quel giorno o con altri che l'avevano corrotto insistendo che ci andasse, ma anche convincendo altri innocenti ad accompagnarlo e ad andare con lui». Passò molto tempo prima che riuscisse a vincere questa debolezza e vi riuscì solo per la superiore potenza di un altro desiderio, che lo guidò a scoprire la sua strada. Nel frattempo continuava i suoi studi di legge, completati da utili lezioni sui problemi del mondo, cioè, secondo Agostino, sulla conoscenza di se stessi. Un giorno venne arrestato con l'accusa di tentato furto; un giovane studente stava rubando delle preziose inferriate di piombo, poste sulla via degli orafi, ma venne scoperto per il rumore provocato e scappando perse l'accetta che stava usando per intaccare il metallo; Alipio, che stava passando di là, incuriosito, la raccolse e mal gliene incolse: incolpato immediatamente del crimine, venne liberato dalla prigione solo per il fortunato incontro con un architetto che lo conosceva e dopo una difficoltosa identificazione del vero colpevole. Nonostante le numerose opportunità, egli rimase casto, studiando diligentemente e guadagnandosi un posto di assessore giudiziario, che ricoprì con imparzialità e discernimento. Gentile, calmo e autorevole (come sarebbe rimasto), resistette anche alle forti pressioni di un senatore corrotto Quando Agostino lo raggiunse a Roma, divennero inseparabili e infatti Alipio lo seguì poi a Milano (384) e quindi nel ritiro di Gassiciacum. Quando la madre di Agostino decise che il figlio avrebbe dovuto sposarsi e gli trovò un buon partito, lo persuase a separarsi dalla donna con cui conviveva da molto tempo. Agostino fu profondamente addolorato, «Il mio cuore si strugge per lei, è ferito e spezzato», tuttavia si innamorò della nuova giovane, anche se aveva due anni in meno dell'età da matrimonio e avrebbe dovuto aspettare a sposarla. Perciò, mentre progettava con Alipio una vita distaccata dagli interessi mondani, si trovò una concubina temporanea. In tutto questo movimento di affetti, Alipio tentava di dissuaderlo dal matrimonio ma, al contrario, fu Agostino ad architettare «certi allettanti tranelli per intrappolare i piedi onesti e ancora liberi» del suo amico. Unì la sua padronanza del linguaggio alla descrizione dei beni della vita coniugale per risvegliare l'interesse di Alipio. Paragonò le furtive e precoci esperienze del suo amico alle sue "delizie consuete" e sottolineò che se Alipio si fosse sposato, avrebbe potuto godere di quei piaceri in maniera rispettabile, potendo continuare la ricerca della Sapienza divina senza ulteriori preoccupazioni. Riuscì a convincere Alipio a desiderare il matrimonio, ma solo facendo breccia stilla «curiosità». Nonostante le seduzioni dell'amico, Alipio non fece altri passi e giunse così il giorno in cui Agostino sperimentò la grande conversione del cuore e della mente, e con esso la partecipazione di Alipio stesso al nuovo corso. Quando ad Agostino e Alipio capitò di sentir descrivere la vita ascetica dei monaci del deserto, l'impressione che ne ebbero fu vivissima, specie nel primo: «finito íl racconto ero roso nell'intimo e confuso violentemente da un'orrenda vergogna»; Alipio rimase «senza parole e sbigottito» mentre l'amico, nei suoi tormenti, domandava (riferendosi ai monaci egiziani): «Cosa ci succede? E...] Questi uomini, che non hanno nulla della nostra cultura, si innalzano e scardinano le porte del cielo mentre noi, con tutta la nostra sapienza insensata, rimaniamo qui a soffrire in questo mondo di carne e sangue!». Alipio «in silenzio aspettò che l'agitazione passasse» e poi con risolutezza accettò la nuova vita dedicata a Dio e il ritorno a Milano per chiedere il battesimo. Agostino lo descrive «rivestito di umiltà e così controllato nel corpo da camminare sul suolo italiano ghiacciato a piedi nudi». I loro nomi vennero inseriti tra i catecumeni della città all'inizio della Quaresima del 387 e la notte di Pasqua giunse il battesimo, amministrato da S. Ambrogio (7 dic.). Poco dopo fecero ritorno in Africa, a Tagaste, e vissero insieme per tre anni, facendo comunità con persone di uguali intenti. Questo periodo fornì ad Alipio la struttura e l'ordine di cui aveva bisogno. Quando Agostino venne ordinato sacerdote, si trasferirono tutti a Ippona, continuando là l'esperienza cenobitica. Alipio, a sua volta ordinato presbitero, compì un pellegrinaggio in Palestina, dove incontrò S. Girolamo (30 set.). Tornato in Africa, fu nominato vescovo di Tagaste (ca. 393), si mostrò predicatore sollecito e divenne l'assistente principale di Agostino in tutte le sue opere, aiutandolo spesso in questioni giuridiche e tecniche. Era preparato nella dottrina e sensibile nella pastorale, ma anche capace di comunicare alla pari con gente importante e istruita e un ottimo conoscitore della burocrazia imperiale. Ebbe un ruolo importante nella vittoriosa confutazione dei donatisti e dei pelagiani; da Roma, poi, mandò ad Agostino tutte le opere di Giuliano, vescovo di Eclano (vicino ad Avellino) e sostenitore di Pelagio, così che il maestro potesse rispondere sollecitamente agli attacchi dei suoi oppositori. Fu molte volte rappresentante dei vescovi africani a Roma, fino alla morte di Agostino. Nella lettera scritta ad Alipio nel 429, Agostino chiama l'amico "vecchio", ed è probabile che Alipio non sia sopravvissuto molto a lungo dopo la sua morte, avvenuta il 28 agosto 430. MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di sant’Alipio, vescovo di Tagaste in Numidia, nell’odierna Algeria, che fu dapprima allievo di sant’Agostino e poi suo compagno nella conversione, collega nel ministero pastorale, strenuo commilitone nelle lotte contro l’eresia e infine compartecipe della gloria celeste.