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I santi di oggi 19 gennaio:
nome Santi Mario, Marta, Abaco e Audiface-titolo Martiri a Roma- ricorrenza 19 gennaio-Si narra che Mario e la moglie Marta di origini persiane erano diretti a Roma con i loro due figli Audiface e Abaco per venerare le reliquie dei martiri, come erano soliti fare i cristiani delle origini. Giunti in città, nel periodo delle grandi persecuzioni ordinate da Diocleziano, si narra che aiutarono il prete Giovanni a seppellire duecentosessantasette martiri decapitati e abbandonati in aperta campagna lungo la via Salaria. Scoperti, furono arrestati, condotti in tribunale e decapitati anch'essi. La matrona romana Felicita ne raccolse i resti, poi conservati in una chiesa di cui restano le rovine a Bocca, presso Roma. Verso la fine del Settecento, a seguito del graduale aumento degli abitanti delle zone limitrofe, fu presentata all'adunanza Capitolare del 30 agosto 1778 una richiesta di edificare una nuova chiesa capace di ospitare in maniera "decorosa" gli "abitatori" e i pellegrini devoti alla famiglia dei Santi Martiri Mario, Marta, Audiface e Abaco. Nel 1789, per volere di papa Pio VI, fu inaugurata la nuova chiesa progettata dall'insigne Architetto Virginio Bracci. Le loro reliquie ebbero vicende molto complesse: alcune furono traslate a Roma nelle chiese di sant'Adriano e di santa Prassede. Un'altra parte di fu esse fu inviata a Eginardo nell'828. Questi, biografo di Carlo Magno, le donò al monastero di Seligenstadt. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, sulla via Cornélia, i santi Martiri Màrio e Marta coniugi, e i figli Audiface e Abacum, nobili persiani, i quali, al tempo del Principe Claudio, erano venuti a Roma per pregare. Di essi Marta, dopo aver sopportato i flagelli, l'eculeo, il fuoco, gli uncini di ferro e il taglio delle mani, fu uccisa a Ninfa; gli altri furono decapitati e i loro corpi bruciati.
nome San Macario il Grande-titolo Abate di Scete-nascita 300, Alto Egitto-morte 390, Scete-ricorrenza 19 gennaio- Santuario principale Monastero di San Macario il Grande-Macario, detto anche l'Egiziano o il Grande per distinguerlo da Macario d'Alessandria (2 gen.), nacque nell'Alto Egitto e passò la sua giovinezza pascolando bestiame; seguendo poi quella chiamata alla vita ascetica che andava diffondendosi sempre più, si ritirò in una cella dedicandosi alla preghiera e a semplici lavori manuali, come la fabbricazione di ceste di giunco. Il racconto di come se ne andò nel deserto di Scete, a sud ovest del Delta del Nilo (uno dei tre grandi luoghi di raccolta degli eremiti), è contenuto nei "detti" dei Padri del deserto, a lui stesso attribuito: «Quando ero giovane e vivevo da solo nella mia cella, mi presero contro la mia volontà e mi fecero chierico del villaggio. Dato che non volevo restare là fuggii in un altro paese, dove un pio laico mi aiutava vendendo il mio lavoro; accadde però che una giovane ragazza si trovò in difficoltà per essere rimasta incinta e, quando i genitori le chiesero chi fosse stato il responsabile, lei rispose: "Quell'eremita ha commesso questo crimine"». I suoi parenti lo picchiarono e lo costrinsero a provvedere a lei. «Cosi io mi dissi: bene Macario, ora che hai una moglie, per nutrirla dovrai lavorare ancora più sodo. Così lavorai giorno e notte per mantenerla, ma quando venne il tempo del parto fu preda di dolorosissime doglie per giorni e giorni, ma non riusciva a partorire il figlio. Quando le chiesero spiegazioni rispose: "I lo dato la colpa del crimine a quell'eremita, che invece era innocente; infatti colui che mi ha messa in questa condizione è l'uomo che vive alla porta accanto". Allora colui che mi aveva aiutato, sentendo queste notizie, pieno di gioia, venne da me a riferirmi tutto e a chiedermi di perdonarli tutti. Sentite queste cose e temendo che la gente venisse a disturbarmi, raccolsi in fretta le mie cose e giunsi in questo posto: questa è la ragione della mia venuta in questa parte del mondo». Che i particolari del racconto perennemente ammonitore siano veri o meno, mostrano comunque la carità, l'umiltà e l'accettazione dell'ingiustizia da parte di Macario, il che evidenzia anche a quale alto livello di apatheia, o pace dell'anima — aspirazione di tutti gli eremiti del deserto — fosse già giunto. Andò a Scete verso il 330 e passò là i successivi sessanta anni, divenendo l'anziano più riverito di tutta la comunità e il principale organizzatore della vita monastica in quel luogo. La forma di monachesimo anacoretico praticato a Scete era basata sui "detti" dei Padri antichi e non su una regola scritta, come avveniva invece nelle comunità monastiche derivanti da Pacomio (9 mag.). Molti di questi detti, nella raccolta fatta intorno al 500 (Apophthegmata Patrum), vengono attribuiti a Macario, e alcuni di essi narrano di incontri con il diavolo e i demoni, dai quali Macario, soprattutto grazie all'umiltà, usciva vittorioso, altri invece sono semplici e brevi consigli: «Se desiderando correggere un altro ti fai spingere all'ira, tu gratifichi la tua stessa passione. Dunque non perdere te stesso per salvare un altro». Era certamente una grande guida spirituale e, a parte i "detti", gli viene attribuita una vastissima letteratura, che consiste in cinquanta omelie e nella Grande Lettera. Attingendo principalmente al pensiero di Gregorio di Nissa (10 gen.), in particolare al suo De Institut° Christian°, le prime mostrano la capacità divulgativa di Macario, piuttosto che una vera originalità di pensiero, e rendono fruibili le complesse teorie mistiche e spirituali di Gregorio anche a un pubblico meno colto. Macario aggiunse anche direttive più precise sul modo di organizzare una comunità monastica o eremitica, che doveva essere basata sul mutuo soccorso e sul lavoro manuale, che non poteva venire sottovalutato, essendo necessario al sostegno della comunità, per permettere ad altri di continuare a condurre una vita di preghiera. Egli deduce il concetto di necessità e dignità del lavoro dalla meditazione sull'episodio evangelico di Marta e Maria, passando direttamente al significato del gesto di Cristo che lava i piedi ai discepoli, come dimostrazione della preminenza del lavoro quale canale di servizio agli altri. I temi su cui si sofferma sono la mistica della luce, la necessità di pregare costantemente e di progredire nella vita spirituale. Macario è tutto intento a dimostrare che gli alti ideali del monachesimo possono essere raggiunti a patto che si abbia una fede fondata sulla Scrittura e che ci si ponga generosamente l'obiettivo di mettere in pratica ciò che le Scritture stesse propongono, confidando nell'opera divina piuttosto che nelle proprie forze. Egli coniuga la saggezza popolare dell'esperienza collettiva del monachesimo primitivo con il fermento intellettuale fornito dal pensiero originale di Gregorio di Nissa; per un certo periodo si era anche creduto che le opere attribuite a Macario fossero antecedenti e avessero influenzato il De Instituto di Gregorio, mentre ora quasi tutti gli studiosi le considerano dipendenti da quest'ultima; esse influenzarono invece gli scritti di Giovanni Cassiano (23 lug.) — che aveva trascorso un periodo come monaco in Egitto — e quindi, indirettamente, la genesi del monachesimo occidentale. Sono poche le notizie affidabili sui sessant'anni di permanenza a Scete; si dice che fosse discepolo di Antonio Abate (17 gen.): in effetti uno dei discepoli a cui Antonio chiese di seppellirlo si chiamava proprio Macario. Si potrebbe quindi trattare proprio del nostro Macario, che probabilmente rese spesso visita al grande patriarca, il cui rifugio era a quindici giorni di viaggio da Scete. Macario viene commemorato nel canone della Messa nei riti copto e armeno. MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di san Macario Magno, sacerdote e abate del monastero di Scete in Egitto, che, morto al mondo e a se stesso, viveva solo per Dio, come insegnava anche ai suoi monaci.
nome San Catello-titolo Vescovo-nascita VII secolo, Castellammare di Stabia-morte VII secolo, Castellammare di Stabia-ricorrenza 19 gennaio-Santuario principale Concattedrale di Santissima Maria Assunta e San Catello, Castellammare di Stabia-Patrono di Castellammare di Stabia-San Catello visse all'epoca dell'invasione longobarda, tra il VI e i VII secolo, fu Vescovo di Castellammare di Stabia. Si sa che ebbe una vita molto sofferta: sul monte Faito dove spesso si rifugiava in preghiera insieme a sant'Antonino, gli apparve in sogno l'arcangelo Michele e a ricordo dell'apparizione costruì un piccolo tempio, oggi totalmente ricostruito, conosciuto come santuario di San Michele Arcangelo al Monte Faito. Colpito da calunnie da suoi "familiari" (forse si intende vescovi di diocesi vicine), fu portato per un breve periodo a Roma, finché papa Gregorio I, a cui aveva predetto il pontificato, gli riaffidò la diocesi di Stabia: tornò trionfante in città, accolto dall'amico Antonino, poi divenuto abate in Sorrento.
nome San Bassiano-titolo Vescovo-nascita 319 circa, Siracusa, Sicilia-Consacrato vescovo 19 gennaio 374-morte 409 circa, Lodi-ricorrenza 19 gennaio-Santuario principale Duomo di Lodi-Patrono di Bassano del Grappa, Gradella di Pandino, Lavagna di Comazzo, Lodi, diocesi di Lodi, Pizzighettone e San Bassano-Incarichi ricoperti Vescovo di Lodi- Bassiano nacque in Sicilia in una famiglia pagana, figlio di Sergio un governatore di Siracusa in carica durante l'impero di Costantino. Il padre lo mandò a Roma per studiare per farlo diventare suo successore nel governo della città. A Roma, Basiano, si dedicò allo studio della religione cristiana, dove si convertì e fu battezzato da un sacerdote di nome Giordano. Quando il padre lo scoprì, si arrabbiò molto e mandò i suoi emissari per convincerlo a rinunciare alla nuova fede e riportarlo a casa. Ma Basiano mentre pregava nella chiesa di San Giovanni Battista, fu avvertito dal Cielo del complotto di suo padre, e fuggì a Ravenna, perdendo le sue tracce. In questa città fu ordinato sacerdote, dove divenne famoso per la sua saggezza e amore per il prossimo.<br /> Si narra che un durante il viaggio per Ravenna, in un bosco Bassiano incontrò una cerva con due cerbiatti che si accucciarono ai suoi piedi. Gli animali selvatici seppur ammansiti rimasero comunque interesse dei cacciatori che li inseguivano, e per questo caddero tramortiti a terra per mano di Bassiano, intenzionato a difendere il cervido. Si poterono rialzare solo dopo il suo perdono. Quando nel 376 la città di Lodi fu liberata, fu consacrato vescovo e, secondo una leggenda, quando occupò il suo seggio molte persone affette da lebbra furono miracolosamente guarite, mentre una voce dall'alto assicurò loro che in questo città non avrebbe mai più sofferto di questa malattia. Fu per 30 anni Vescovo di Lodi. Ebbe una grande amicizia con sant'Ambrogio di Milano, con il quale partecipò al Concilio di Aquileia (381). MARTIROLOGIO ROMANO. A Lodi, commemorazione di san Bassiano, vescovo, che, per difendere il suo gregge dall’eresia ariana in quel luogo ancora viva, lottò strenuamente insieme a sant’Ambrogio di Milano.
nome San Germanico-titolo Martire-nascita II secolo-morte II secolo, Smirne, Turchia-ricorrenza 19 gennaio- Canonizzazione pre canonizzazione- Martire a Smirne, durante la persecuzione di Marco Aurelio. Il martirio di questo giovane ragazzo ci fu raccontato da San Policarpo di Smirne (poiché era uno dei suoi discepoli), in una lettera prima di morire (poiché Germanico lo aveva preceduto di pochi giorni nel martirio). Morì "ad bestie" e, secondo la lettera, lo stesso giudice voleva che lui abiurasse, ma pieno di pietà, davanti a questo ragazzo che "avanzando risolutamente incontro al leone, cercava la morte tra i denti spietati dell'animale". Nei suoi Atti si dice che "era molto forte e con tutta la sua anima devota a Dio, con la potenza della sua virtù ha spento gli spiriti dei miscredenti". Questa lettera è uno dei documenti più autentici della storia ecclesiastica. MARTIROLOGIO ROMANO. A Smirne nell’odierna Turchia, passione di san Germanico, martire di Filadelfia, che, al tempo degli imperatori Marco Antonino e Lucio Aurelio, fu discepolo di san Policarpo, che egli precedette nel martirio: condannato dal giudice nel fiore dell’età giovanile, mettendo da parte per la grazia di Dio ogni timore per la fragilità del suo corpo, fu lui stesso a incitare contro di sé la belva a lui destinata.
nome San Macario l'Alessandrino-titolo Monaco-nascita 300 circa, Alessandria d'Egitto-morte 400 circa, Egitto-ricorrenza 19 gennaio- Le sue informazioni ci arrivano da Palladio, nella sua "Storia lausiana", che è la storia più antica e attendibile del primo sviluppo del monachesimo. Nacque ad Alessandria, si ritiene che fino all'età di 40 anni fosse un commerciante di frutta e dolciumi. Divenne monaco a Tebaida (Alto Egitto) intorno al 335. Mantenne una vita molto ascetica con il suo corpo "Lo tormento perché lui mi tormenta molto". La vita di Macario detto il Giovane e dei suoi discepoli, secondo il rapporto di Palladio, fu di straordinaria austerità. Ogni anacoreta aveva la sua cella separata, dove viveva in assoluta solitudine, ma il sabato e la domenica si incontravano per i servizi divini. Erano impegnati nella preghiera, osservavano nel lavoro manuale, come tessere stuoie o cose simili, che li avrebbero aiutati a promuovere la contemplazione e l'unione con Dio. In generale, la gioia, il buon spirito e persino la buona salute del corpo di cui godevano quelle persone sole, nonostante il fatto che il loro cibo fosse ridotto al più frugale ed essenziale per il mantenimento della vita, era ammirevole. Sani nel corpo e nell'anima, quegli anacoreti, ben guidati dai loro eccellenti maestri, vivevano solo per Dio, al quale si erano completamente consacrati. A questa vita di ritiro assoluto dal mondo, di preghiera e consacrazione a Dio, si aggiunse la continenza più severa, che fin dall'inizio costituì una parte sostanziale dell'ascetismo cristiano, a cui si aggiunse un'immensa varietà di austerità e penitenze, che alle volte rasentavano l'implausibile. In tutto questo, Macario era in testa, ma, secondo Palladio, si distingueva in modo speciale per le sue austerità, sempre attuate con il più alto spirito di amore e di imitazione di Gesù Cristo nella sua passione e con il desiderio di riparazione per il mondo, impantanato in ogni sorta di peccati. Satana lo tentò di lasciare il deserto e prendersi cura dei malati in un ospedale, ma sapeva che questa era una tentazione e la superò obbedendo alla voce dell'ispirazione. La leggenda narra che sia rimasto nudo nel deserto per sei mesi per punirsi per aver ucciso una zanzara che lo aveva morso al piede. Così tanti insetti lo morsero che il suo corpo si gonfiò così tanto che si riconosceva solo dalla sua voce. Macario superò tutti gli altri nell'austerità della vita, diventata proverbiale tra i monaci del deserto. Per sette anni di seguito mangiò solo piante e pochi chicchi, e per i tre giorni successivi imitò quattro o cinque once di pane al giorno e un po' d'acqua. Spinto dalla stessa brama di mortificazione, esercitava lunghe veglie e, per non rinunciare o non dormire, restava fuori dalla sua cabina, caldo di giorno e freddo di notte. Dio gli aveva dato un corpo particolarmente adatto a resistere alle macerazioni e ai sacrifici più aspri, per i quali, sempre motivato dal desiderio di piacere a Dio, cercava di imitare ogni esercizio spirituale che vedeva o sentiva da altre persone sole. Fu ordinato sacerdote e per qualche tempo e visse nel monastero di Tabenna dove visitò San Pacomio, ma la penitenza fu così grande che i monaci chiesero all'abate di ordinare loro di mitigarli. Un giorno attraversando il Nilo in insieme all'altro San Macario (il Vecchio), incontrarono un gruppo di ufficiali dell'esercito, che rimasero vivamente colpiti dal contegno allegro e dalla felicità che entrambi gli anacoreti respiravano, si dicevano l'un l'altro: "È curioso come questi uomini siano così felici in mezzo alla loro povertà". Udendo questa espressione, Macario di Alessandria rispose: "Avete ragione quando ci qualificate come uomini felici, perché in verità il nostro nome lo testimonia (Macario, la parola greca, significa felice)." Per rendere l'esempio della sua vita più umano e completo, Dio gli permise di essere vittima di persecuzioni e persino di calunnie. Questi raggiunsero un tale estremo che per qualche tempo dopo fu costretto a lasciare la sua cella e fu esiliato a Nitria, per la fede cattolica, per opera di Lucio, patriarca ariano di Alessandria. Allo stesso modo Dio permise che la sua anima fosse messa alla prova con la più grande oscurità spirituale. Infatti, mosso dal suo desiderio di contemplazione, Palladio riferisce di essersi rinchiuso nella sua cella con lo scopo di restarvi per cinque giorni di seguito. I primi due giorni fu inondato dalla dolcezza celeste, ma il terzo giorno fu preso da un tale tumulto e dalla guerra del nemico che fu costretto a tornare alla sua vita normale. Non sorprende quindi che con una vita così santa abbia ricevuto da Dio la grazia speciale di compiere miracoli. Morì quando aveva circa cento anni. MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di san Macario, detto Alessandrino, sacerdote e abate presso il monte Scete in Egitto.
nome Beato Marcello Spinola y Maestre-titolo Vescovo-nascita 14 gennaio 1835, San Fernando, Cadice-morte 19 gennaio 1906, Siviglia, Spagna-ricorrenza 19 gennaio-Beatificazione 29 marzo 1987, Roma<br /> papa Giovanni Paolo II- Marcello era figlio di Juan Spinola e Antonia Maestre e nacque il 14 gennaio 1835 a San Fernando, in provincia di Cadice. Prima di diventare sacerdote aveva esercitato la professione forense, anche se si era fatto notare per la sua religiosità già in giovane età, quando soleva dire «o la santità o la morte». Il 21 marzo 1864 venne ordinato prete e nominato cappellano presso i mercedariani di Sanlucar de Barrameda. Fu promosso arciprete della città e poi canonico della cattedrale dal nuovo arcivescovo, Lluch Garriga; pur essendo molto richiesto in tutta l'archidiocesi come predicatore, passava anche lunghe ore in confessionale. Nel 1886 divenne vescovo di Malaga e, nel 1896, arcivescovo di Siviglia; in entrambe le sedi si dimostrò pastore eccezionale e socialmente consapevole, uno dei primi a prendere sul serio l'insegnamento della Rerum novarum (1893). Predicava per la Chiesa una libertà tale da porla al di sopra delle fazioni civili (lezione spesso non seguita in Spagna), in un'epoca in cui la perdita delle ultime colonie spagnole stava conducendo a una ricerca di identità nazionale. Nel 1902 fondò la congregazione delle Serve di Maria Immacolata e del Sacro Cuore, che dovevano occuparsi delle necessità educative di tutte le classi, e concepì la loro costituzione come realizzazione dei princìpi sociali che predicava; i suoi membri continuano a occuparsi di educazione nel mondo di lingua spagnola. L' 11 dicembre 1905 venne creato cardinale da papa Pio X, ma morì il 19 gennaio 1906, prima di ricevere la berretta cardinalizia. Venne beatificato in una San Pietro stracolma di pellegrini spagnoli il 29 marzo 1987, insieme a Emanuele Domingo y Sol (25 gen.) e a tre carmelitane scalze, uccise durante la guerra civile spagnola. MARTIROLOGIO ROMANO. A Siviglia in Spagna, beato Marcello Spínola y Maestre, vescovo: fondò circoli di operai per sostenerne lo sviluppo sociale, combatté in difesa della verità e della giustizia e aprì la sua casa ai bisognosi.
nome Sant'Arsenio di Corfù-titolo Vescovo-nascita Betania, Palestina-morte X secolo, Grecia-ricorrenza 19 gennaio- S. Arsenio era nato durante il regno dell'imperatore Basilio il Macedone, e cioè fra 1'867 e 1'886, a Betania in Palestina, la patria dei fratelli Lazzaro, Marta e Maria amici di Gesù. Dopo aver fatto professione monastica, per le sue virtù e per la sua dottrina fu eletto vescovo di Corfù, la principale delle isole Ionie, dimostrandosi pastore zelante nella cura del gregge a lui affidato e distinguendosi per le lunghe ore che dedicava alla preghiera notturna, incurante del sonno. Poiché erano sorti dei dissapori tra i maggiorenti dell'isola di Corfù e il governo dell'imperatore Costantino VII Porfirogenito (905 — 959), Arsenio fu incaricato dai suoi concittadini di recarsi a Costantinopoli per sostenere le loro ragioni presso l'imperatore ma durante il viaggio di ritorno egli si ammalò gravemente e morì nelle vicinanze di Corinto nella prima metà del secolo X. La chiesa greca celebra la sua memoria il 19 gennaio. MARTIROLOGIO ROMANO. A Corfù in Grecia, sant’Arsenio, vescovo, accorto pastore del suo ovile e assiduo alla preghiera notturna.
nome San Launomaro-titolo Abate di Corbion-nascita fine V secolo, Neuville-la-Mare, Francia-morte 593 circa, Dreux, Francia-ricorrenza 19 gennaio-San Launomaro nacque alla fine del V secolo da una povera famiglia di Neuville-la-Mare e, pur dovendo aiutare i genitori come pastore nell'infanzia e nella prima giovinezza, poté ugualmente seguire un programma di studi. Raggiunse una cultura sufficiente per ricevere l'ordinazione sacerdotale ma, una volta prete, non si dedicò al ministero pastorale, preferendo vivere come eremita nella foresta di Perche. Qui fu assalito da una banda di briganti che volevano derubarlo ma rimasero edificati dalla sua santità e ne diffusero la fama nella regione. Nell'ultimo quarto del secolo VI fondò il monastero di Corbion presso Chartres del quale divenne abate governandolo con la saggezza e l'esperienza di vita religiosa acquistate durante il suo lungo eremitaggio. Launomaro morì più che centenario nel 593 e fu sepolto nel suo monastero, ma le sue reliquie furono disperse dagli ugonotti durante le guerre di religione ad esclusione del teschio che era custodito in un reliquario e che si conserva tuttora.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. A Dreux presso Chartres nel territorio della Neustria, in Francia, san Launomaro, abate del monastero di Corbion, che aveva fondato nella solitudine di Perche.