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03/03/2024 alle 14:46

I santi di oggi 3 marzo:

I santi di oggi 3 marzo:

nome Santa Cunegonda- titolo Imperatrice e vergine- nascita X Secolo, Lussemburgo- morte 3 marzo 1039, Kaufungen, Germania- ricorrenza 3 marzo- Canonizzazione 1200- Santuario principale Cattedrale di Bamberga- Patrona di Bamberga, Lussemburgo, Lituania, Polonia- Sigfrido e Adesvige furono i fortunati genitori di S. Cunegonda. Essi posero tutto l'impegno per educare la cara fanciulla nelle virtù cristiane e negli insegnamenti della fede. Giovanetta, fu data in isposa ad Enrico, duca di Baviera, il quale dopo la morte di Ottone III, essendo stato eletto imperatore del Sacro Romano Impero, recò la corona imperiale sul capo della sposa. L'incoronazione avvenne in Roma per le mani di Papa Benedetto VIII, l'anno 1014. Avendo questa santa imperatrice, col consenso del futuro suo sposo, fatto voto di verginità, Mantenendolo poi anche nello stato coniugale, s'attirò l'ira del demonio, che servendosi delle male lingue riuscì a diffamarla presso il re. Questi sospettò gravemente della regina e fu necessario l'intervento di Dio per ristabilire la pace e l'unione fra i due coniugi. Cunegonda infatti, con fervorose preghiere, ottenne dalla divina misericordia di poter passare a piedi nudi su di un braciere, senza riportare la minima scottatura. Accertata con tale prodigio l'innocenza e la santità della sua sposa, Enrico s'accusò di troppa credulità e si gettò ai piedi della regina chiedendo perdono. Ma la riacquistata pace durò poco. Mentre Cunegonda era intenta a fabbricare un monastero per le monache benedettine in Kaffungen, la morte venne a rapirle lo sposo. Trovandosi allora sola al mondo, si ritirò fra quelle sante suore a cui aveva edificato il monastero e ne vestì la divisa. Essa morì così al mondo e attese solo più a santificare la sua anima, arricchendosi di meriti per l'eternità colla preghiera, col lavoro, colla mortificazione e colla dura penitenza. Caduta inferma, non volle abbandonare il duro cilicio e con esso rese la sua bell'anima a Dio. Rivestito dell'abito religioso, il suo corpo venne portato a Bamberga e sepolto accanto all'imperatore. Nel 1200 Papa Innocenzo III l'ascrisse nel numero dei Santi; e molti miracoli vennero operati sulla sua tomba. PRATICA. Meditiamo le parole del Signore: «Beati i mondi di cuore, perché essi vedranno Dio». PREGHIERA. Concedici, o Dio misericordioso, per intercessione della beata Cunegonda tua sposa fedele, di vivere umilmente e castamente e fa' che per i meriti ed esempi di lei possiamo sempre servirti con profonda umiltà.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Bambèrga santa Cunegónda Augusta, che, sposata all'Imperatore Enrico primo, col consenso del marito conservò sempre la verginità, e, ricolmata di meriti per buone opere, con santa fine si riposò, e dopo morte risplendette per miracoli.

nome Beata Vergine Maria di Costantinopoli- titolo L'iconografia bizantina- ricorrenza 3 marzo, primo martedì di marzo- Il culto per la Madonna di Costantinopoli, molto diffuso in varie località italiane, risale a un tempo e un luogo molto lontani, ovvero alla città di Costantinopoli, antica capitale dell'Impero romano d'Oriente. Vi erano tre basiliche mariane, e quella di un posto chiamato Odeghi rappresentava la Vergine con il Bambino in braccio, considerata protettrice della città e di tutto l'Impero.<br /> Nel 1453 i Turchi, musulmani, assediarono e conquistarono la città di Costantinopoli, i cui abitanti si rivolsero alla Madonna Odegitria che, pare, li preservò. L'avanzata dei Turchi arrivò all'Occidente e, partendo dall'Italia meridionale, nella città di Napoli soprattutto, molti furono ad affidarsi alla protezione della Madonna di Costantinopoli ed edificarono ovunque cappelle e opere a lei dedicate tra cui famosi dipinti mariani. Le icone di origine bizantina giunte fino a noi, secondo la leggenda, grazie a due monaci che portarono in salvo, attraverso il mare, l'immagine della Vergine nascosta in una cassa, pertanto molte rappresentazioni della Madonna la figurano spuntare da una cassa portata da due anziani monaci. Secondo la Chiesa cattolica le sono riconosciute almeno quattro apparizioni nell'antica Costantinopoli: al non ancora imperatore Leone I, a cui predisse la futura incoronazione e la guarigione di un cieco che era assieme a lui; a un bambino ebreo nel 552 che in seguito si battezzò assieme alla madre; la misteriosa apparizione di una donna che, a seguito dell'invocazione del patriarca Sergio I nel 626 fece desistere i Persiani dall'assedio della città; e infine ai genitori di Santo Stefano che, avendo difficoltà a concepire, si recavano in chiesa con assiduità a pregare Maria per una sua intercessione a favore di una gravidanza. Ella apparve alla donna e le disse che avrebbe esaudito le sue preghiere, nel 714: in quell'anno nacque Stefano che morì martire dopo che la madre lo consacrò a Dio. Non vi è un giorno preciso per i festeggiamenti, ogni luogo ha una data diversa a Lei dedicata.

nome San Tiziano di Brescia- titolo Vescovo- nascita VI secolo, Brescia- morte 526, Brescia- ricorrenza 3 marzo- Le notizie sul conto del Vescovo Tiziano sono scarse, ma non occorre troppa fantasia per immaginare quali siano state le virtù che resero particolarmente degno del suo titolo di Santo confessore, questo pastore di anime i cui lineamenti storici sono quasi scomparsi sotto la coltre dei secoli. Tiziano fu Vescovo saggio nell'insegnamento della dottrina; generoso nell'esercizio della carità verso i poveri e i bisognosi; zelante nel compiere i doveri del suo stato; umile nel portamento personale; esemplare nella sua condotta agli occhi del popolo e del clero; assiduo nella preghiera; energico nella sua azione di reggitore della Chiesa bresciana. E fu anch'egli, come tutti i pastori delle comunità cristiane del tempo, attivo costruttore e restauratore di chiese, in città e nelle campagne. Tutte queste qualità non furono, evidentemente, caratteristiche esclusive di San Tiziano. Sono anzi le virtù di tutti i Vescovi, e soprattutto di quelli il cui nome è restato tra i Santi del Calendario. La santità è sempre una, e le virtù che la compongono sempre le stesse, fin quasi alla monotonia. Ma sempre diverse sono le sfaccettature della personalità dell'uomo, o della donna, che le incarna; i caratteri di una certa società; gli ideali, o i problemi, di un certo tempo. Quando la personalità del Santo è quasi ignota, il tempo lontano, i tratti della società incerti, non resta che ripetere, fin quasi alla monotonia, l'elenco delle virtù sempre le stesse che costituiscono la santità, e che non possono mai mancare, anche se mancano le notizie. Tale fu il caso di San Tiziano, Vescovo di Brescia, e la cui santità fu confermata dai miracoli, da vivo come da morto. Ma anche questi sono caratteri comuni a tutti i Santi, e non certo esclusivi del Vescovo Tiziano, che morì a Brescia verso il 526 e venne sepolto nella cattedrale, dove ancora si trovano le sue reliquie. MARTIROLOGIO ROMANO. A Brèscia san Tiziàno, Vescovo e Confessore.

nome Beato Innocenzo da Berzo- titolo frate cappuccino e Sacerdote- nome di battesimo Giovanni Scalvinoni- nascita 19 marzo 1884, Niardo- morte 3 marzo 1890, Bergamo- ricorrenza 3 marzo- Beatificazione 12 novembre 1961- Santuario principale Convento della Santissima Annunciata a Piancogno- Attributi ostensorio- Giovanni Scalvinoni nacque il 19 marzo 1844 a Niardo in Valcamonica. Suo padre, Pietro, vedovo e con già un figlio, si sposò in seconde nozze con Francesca Poli, che lasciò Niardo, il suo paese natale, per seguirlo a Berzo. La donna, per la nascita del suo primo figlio, tornò dalla madre a Niardo e qui il bambino venne battezzato col nome di Giovanni. Pietro morì tre mesi dopo la nascita di Giovanni e la sua nonna materna, che si occupava di lui, morì tre anni dopo; il fratello della madre, Francesco, divenne allora come un padre per il bambino. La vita era alquanto dura per le popolazioni di quelle montagne, ma gli abitanti di Niardo erano persone molto discrete, oneste, calde e riservate. Giovanni ricevette l'istruzione scolastica a Lovere e man mano che cresceva si rivelò un lavoratore instancabile e un grande amante dell'eucarestia. Un aspetto del suo carattere che si fece sempre più evidente fu la sua voglia di aiutare gli altri senza ricevere niente in cambio. Nell'autunno del 1861 entrò nel seminario diocesano di Brescia, dove adottò un regime di grande austerità che gli permetteva di pregare per molte ore al giorno e dove cominciò a scrivere un diario sul suo cammino spirituale e sulla sua vita di preghiera. Venne ordinato prete nel 1867 e mandato dapprima a Cevo (Brescia), dove trascorse due anni; fu poi promosso vicerettore del seminario di Brescia ma mantenne questo ruolo solo per un anno, perché venne giudicato incapace di esercitare l'autorità. Questo fu il primo di una serie di fallimenti in cui si dimostrò inadatto alle responsabilità. Successivamente divenne viceparroco di Berzo, dove rimase per quattro anni, riuscendo finalmente a realizzare il suo desiderio di esercitare il compito di predicatore, di guida spirituale e di confessore. Sembrava però che alla sua vita mancasse ancora qualcosa e così, nel 1874, decise di lasciare la parrocchia ed entrò nel convento cappuccino di Berzo. Il giorno della sua vestizione ricevette il nome di Innocenzo e da quel momento in poi condusse una vita di continua penitenza. Prese i primi voti il 29 aprile 1875, dopodiché venne inviato a trascorrere un anno presso il convento di Albino. Dopo un anno tornò a Berzo e nel 1878, dopo aver fatto la professione, venne nominato assistente del responsabile dei novizi. Nel 1879 il noviziato venne trasferito a Lovere, ma egli rimase presso l'Annunziata di Berzo. Venne poi nominato responsabile degli Annali Francescani e mandato a Milano Monforte, ma anche quella volta resistette solo pochi mesi e nel giugno del 1881 fu di ritorno a Berzo. Nel 1889 il responsabile provinciale gli chiese di guidare i ritiri provinciali dei conventi principali di Milano Monforte, Albino, Bergamo e Brescia. Mentre si trovava proprio a predicare ad Albino, si ammalò e venne condotto presso l'infermeria di Bergamo, dove morì il 3 marzo 1890. I suoi scritti e le sue penitenze rivelano una grande preoccupazione per la presenza e il peso del peccato. Spesso veniva consultato da altri preti su problemi di teologia morale ed era molto apprezzato perché aveva il dono di risposte sempre semplici e dirette. Verso il mondo esterno era moderato e senza presunzione, intelligente e riservato, sempre pronto ad aiutare il prossimo e a scomparire al momento di ricevere i ringraziamenti; i suoi superiori tentarono più volte di affidargli compiti di responsabilità, ma furono sempre costretti a sollevarlo da essi nel giro di pochi mesi; non si trattava tanto di incapacità o di paura delle responsabilità, quanto di grande umiltà: egli era nato per essere al servizio degli altri. Innocenzo era la persona più felice del mondo se si trovava in una situazione in cui la sua sottomissione personale facilitava l'innalzamento della grazia di Cristo. È stato beatificato da Giovanni XXIII il 12 novembre 1961. MARTIROLOGIO ROMANO. A Bergamo, beato Innocenzo da Berzo (Giovanni) Scalvinoni, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che rifulse per lo straordinario amore nel diffondere la parola di Dio e nell’ascolto delle confessioni.

nome Santa Teresa Eustochio Verzeri- titolo religiosa Fondatrice delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù- nome di battesimo Ignazia Verzeri- nascita 31 luglio 1801, Bergamo- morte 3 marzo 1852, Brescia- ricorrenza 3 marzo- Beatificazione 1946 da papa Pio XII- Canonizzazione 2001 da papa Giovanni Paolo II- La fondatrice delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù nacque a Bergamo il 31 luglio 1801 e fu la primogenita dei sei figli avuti da Antonio e da sua moglie, Elena della famiglia dei conti di Predocca Grumelli. Si dice che già all'età di dieci anni, quando fece la prima comunione, abbia espresso il desiderio di farsi suora e che, quando fece la cresima fosse già completamente convinta di voler seguire la via monacale. Il canonico della cattedrale di Bergamo, Giuseppe Benaglio, dopo la morte di Antonio Verzeri era diventato il consigliere spirituale di tutta la famiglia e così ebbe anche la responsabilità di aiutare la piccola Teresa a seguire la propria vocazione. Teresa a sedici anni entrò nel monastero benedettino di S. Grata, ma non poté fare i voti perché in quel periodo era in vigore una legge di Giuseppe II che proibiva alle novizie di vestire l'abito monacale prima dei ventiquattro anni. Il canonico Benaglio le suggerì allora di tornare a casa. Nell'agosto del 1821 tornò ancora a S. Grata, ma si ritrovò a dover affrontare la stessa proibizione, che ormai aveva colpito non solo le novizie, ma l'intera comunità. Le interferenze politiche, di fronte alle quali le monache erano impotenti, avevano disorientato la comunità e intaccato la sua osservanza. Una volta che il lassismo si era diffuso, l'opposizione alla riforma trovò strada facile e così Teresa, che era invece a favore della riforma, ebbe da subito diversi nemici. Riuscì comunque a conquistarsi la fiducia dei superiori, che le affidarono la responsabilità delle novizie. Le divisioni presenti all'interno della comunità e l'opposizione ai cambiamenti crearono però una situazione che spinse Benaglio sconsigliare a Teresa di rimanere a S. Grata; egli tra l'altro stava pensando di fondare una comunità dedita all'educazione delle giovani e alla vita contemplativa. Teresa rimase affascinata da quel progetto e, quando il canonico le propose di lasciare S. Grata, lo seguì con grande spirito di obbedienza. Più tardi essa chiese a Benaglio il permesso di poter tornare presso le benedettine, poiché sentiva che la vita di clausura era più vicina alle sue esigenze spirituali. Il padre spirituale acconsentì e così Teresa entrò nel convento per la terza volta. Il suo ritorno non fu visto di buon occhio da alcune sorelle, quindi, sebbene avesse in precedenza rivestito ruoli di prestigio, quella volta ricevette l'incarico più umile e duro. Ormai, avendo superato i ventiquattro anni, ricevette l'abito, ma i suoi dubbi, accompagnati da una forte aridità spirituale, e senza dubbio esacerbati dai problemi della comunità, la portarono a vivere un periodo di grande sofferenza. Benaglio, dopo essersi consultato con B. Maddalena di Canossa (14 mag.) propose a Teresa di lasciare definitivamente il monastero di S. Grata.<br /> Essa si unì a Virginia Simoni, un'altra donna che si era affidata alla guida del canonico, e, in una casa di campagna in località Gromo, iniziò a fare dei corsi di catechismo per giovani ragazze. Quello fu il primo passo per la fondazione della nuova congregazione. Dopo poco si unirono alle due Antonia, sorella di Teresa, e Caterina Manghenoni e tutte assieme fecero i voti privati nelle mani di don Benaglio, che propose anche che la formazione delle ragazze diventasse lo scopo del nuovo istituto. Esse adottarono uno stile di vita molto severo, con lunghi periodi di digiuno e di silenzio. Teresa ebbe spesso problemi spirituali, dubbi e tentazioni, ma molti nuovi arrivi, tra i quali altre tre sue sorelle, Maria, Giuditta e Caterina, e sua madre, andarono a infoltire la comunità. La nuova congregazione viveva sotto la direzione generale del canonico Benaglio e con il suo aiuto venne redatta una regola che nel 1842 venne approvata dal vescovo di Bergamo. La regola prevedeva la creazione di scuole per i bambini poveri, l'assistenza alle donne malate, centri ricreativi di ispirazione religiosa per ragazze bisognose da un punto di vista morale, e l'organizzazione di ritiri ed esercizi spirituali per donne laiche. Il vescovo, Carlo Gritti Morlacchi, che inizialmente era stato favorevole al nuovo ordine, cominciò a frapporre ostacoli che andarono ad aggiungersi alle difficoltà interne derivanti dalle continue crisi esistenziali di Teresa e alla sua apparente incapacità di prendere decisioni. La fondatrice si recò in visita a Torino, dove S. Maddalena Sofia Barat (25 mag.) aveva già iniziato i ritiri per le laiche; colpita dalla somiglianza dei due istituti, pensò di unificare il suo a quello della Società del Sacro Cuore, ma ben presto capì che c'era spazio e bisogno per due congregazioni diverse. Prima che la congregazione potesse raggiungere sicurezza e solidità, le suore dovettero superare molte altre difficoltà, ma finalmente nel maggio del 1841, Teresa e le sue consorelle poterono fare i voti perpetui di fronte al cardinale Costantino Patrizi, prefetto della congregazione per i vescovi. L'approvazione della Santa Sede arrivò qualche giorno dopo e venne confermata nel settembre del 1847, quando l'istituto fu autorizzato ad aprire una casa a Roma. Tra coloro che avevano aiutato Teresa ci fu B. Ludovico Pavoni da Brescia (1 apr.) che, nel proprio istituto, stampò la regola costitutiva della congregazione in un periodo in cui, viste le lotte antipapali e antireligiose del tempo, non era certo prudente. Quando Teresa acquistò un vecchio monastero a Brescia, il canonico Pavoni fu l'architetto e l'incaricato per la supervisione dei restauri; andò diverse volte a Bergamo e a Trento per conto della superiora e trovò un prete che celebrasse la Messa quotidiana nel convento. Pavoni e Teresa si rispettavano profondamente e la loro stima reciproca è rimasta tra le due congregazioni anche nei centocinquant'anni successivi alla morte dei due fondatori. Dopo che era stata aperta la casa di Roma, Teresa e la sua congregazione crebbero in grazia, santità e numero. La sua profonda esperienza di Dio, la comprensione intuitiva del carattere delle persone, oltre alle premure e al rispetto per le figlie spirituali, che essa considerava tutte destinate alla santità, le diedero un'autorità e un'umanità che la resero amata e rispettata da tutti. Si ammalò di colera durante un'epidemia che spazzò l'Italia del nord e morì il 3 marzo del 1852. È stata beatificata da papa Pio XII nel 1946 e canonizzata il 10 giugno 2001 da papa Giovanni Paolo II. Le Figlie del Sacro Cuore di Gesù sono attualmente presenti in Italia, Argentina, Brasile, India e nella Repubblica dell'Africa Centrale. MARTIROLOGIO ROMANO. A Brescia, santa Teresa Eustochio (Ignazia) Verzeri, vergine, fondatrice dell’Istituto delle Figlie del Sacratissimo Cuore di Gesù.

nome Santi Marino e Asterio- titolo Martiri- ricorrenza 3 marzo- Eusebio racconta la vita di S. Marino nella Storia Ecclesiastica. Egli apparteneva a una famiglia nobile e benestante di Cesarea, in Palestina, ed era abile e coscienzioso. Aveva occupato diversi ruoli nell'esercito e stava per ricevere il tralcio di vite (una decorazione d'onore) e una promozione a centurione. Quel posto era infatti vacante, ma era ambito da un altro ufficiale che, vedendosi svantaggiato, contattò il magistrato Acheo e gli fece notare che essendo Marino un cristiano, non sarebbe stato affidabile nell'offrire sacrifici all'imperatore e che quindi avrebbe penalizzato gli onori dello stato. Acheo accolse l'obiezione e interrogò Marino a proposito del suo credo, ed egli, senza nascondersi ammise di essere cristiano. Acheo gli diede tre ore per rivedere la propria posizione. Marino lasciò la corte e, proprio in quel momento incontrò Teotecno, vescovo di Cesarea, che lo portò con sé in chiesa e, di fronte all'altare, gli mostrò i due emblemi: la spada e le Scritture, enfatizzando la scelta che doveva fare. Marino non esitò, scelse le Scritture: «Attaccati» gli dice allora Teotecno «attaccati a Dio! E fortificato da Lui possa tu conseguire quello che hai scelto; va' in pace». Marino tornò dal giudice e, mostrando ancora più fermezza di prima, venne immediatamente portato sul patibolo. Eusebio aggiunge che un senatore romano, Asterio, un patrizio di i ottime qualità e politico di alto livello, avendo assistito al martirio, decise di avvolgere il corpo di Marino nel proprio mantello: per quell'atto di rispetto venne anch'egli martirizzato. MARTIROLOGIO ROMANO. A Cesarea in Palestina, santi Marino, soldato, e Asterio, senatore, martiri sotto l’imperatore Gallieno: il primo, denunciato perché cristiano da un commilitone ostile, professò a chiara voce davanti al giudice la propria fede, ricevendo la corona del martiro con la decapitazione; si tramanda che Asterio, stesa a terra la propria veste, raccolse il corpo del martire e ricevette immediatamente egli stesso il medesimo onore da lui reso al martire.

nome Santa Caterina Drexel- titolo Fondatrice- nome di battesimo Katharine Mary Drexel- nascita 26 novembre 1858, Filadelfia, Stati Uniti- morte 3 marzo 1955, Pennsylvania, Stati Uniti- ricorrenza 3 marzo-Beatificazione 20 novembre 1988 da papa Giovanni Paolo II- Canonizzazione 1º ottobre 2000 da papa Giovanni Paolo II- Caterina Maria Drexel nacque a Filadelfia, Pennsylvania, U.S.A., il 26 novembre 1858; aveva due sorelle e apparteneva a una famiglia ricca, ma molto pia. Il padre di Caterina, Francesco Drexel, era proprietario di un impero finanziario e i Drexel, potenti e molto benestanti, frequentavano gli ambienti più alti della società. L'elevata posizione sociale non impediva loro però di conoscere la lxwertà che esisteva in una metropoli come Filadelfia. Per essere sicura che le bambine entrassero in contatto con i poveri, Emma, la matrigna di Caterina (la mamma della santa, Anna, era morta cinque mesi dopo averla messa alla luce), teneva la casa di città aperta ai poveri per tre giorni alla settimana. La stessa Emma (un'ava della moglie del presidente John Kennedy) donava grandi quantità di denaro ai bisognosi e in casa gestiva addirittura un dispensario per i malati, mentre Francesco portava avanti altre attività caritative. L'esempio ricevuto dai genitori, così propensi a condividere il proprio benessere con i poveri, segnò la vita di Caterina. Francesco Drexel provvedeva personalmente all'educazione delle tre figlie: tutta la famiglia andava regolarmente a Messa e ogni giorno passava mezz'ora in preghiera; l'istruzione scolastica delle figlie fu completa: studiarono le lingue classiche e quelle moderne, si esercitarono in arte, musica, filosofia e matematica e si prepararono a occupare il posto che loro spettava nella società. Anche se attraente e vivace, "Kate" non era tagliata per le feste mondane; non sembrava troppo entusiasta all'idea di partecipare al ricevimento per il suo debutto in società, anzi ne parlò definendola «una festicciola dove sono andata l'altra sera per il mio debutto». Ebbe molti corteggiatori e proposte di matrimonio, ma il suo profondo spirito religioso la mantenne sempre piuttosto distaccata dalla vita di società. Emma morì tragicamente nel 1883 e nel giro di due anni Francesco morì di crepacuore. Egli lasciò un decimo del suo patrimonio alle opere caritative e divise il resto tra le tre figlie. Il vescovo Martino Marty, benedettino, fu colui che suscitò l'interesse di Caterina verso la condizione degli indiani d'America. Il vescovo era infatti preoccupato che il governo statunitense rovinasse tutti i progressi fatti dalle missioni cattoliche dall'anno del loro inizio (1884) in poi e così decise di contattare le Drexel per ottenere un sostegno economico. Caterina, che sin dall'infanzia si era molto interessata agli indiani, diede ascolto al vescovo benedettino, fino al punto che le sorelle arrivarono a discutere la questione con papa Leone XIII. Il papa concesse alle giovani donne due udienze private, durante le quali Caterina gli chiese di inviare un numero maggiore di missionari presso gli indiani. Nonostante essa in un primo momento non se ne fosse accorta, fu proprio il pontefice a suggerirle per primo di diventare missionaria. Già quando aveva quattordici anni, Caterina aveva iniziato a pensare di abbracciare la vita religiosa, sentendosi piuttosto attratta dalla vita contemplativa del convento, ma la matrigna non era d'accordo e così aveva abbandonato l'idea fino alla morte di Emma. Lo stesso vescovo O'Connor, un amico di famiglia, cercò di dissuaderla temendo che con il suo retaggio sociale e culturale non fosse preparata a sufficienza a una vita monastica; egli era inoltre convinto che Caterina avrebbe potuto sfruttare la posizione sociale e le ricchezze di cui disponeva per metterle al servizio della causa che aveva sposato. Giuseppe Stephen, direttore dell'ufficio cattolico per le missioni presso gli indiani, accompagnò Caterina nel territorio assegnato al vescovo Marty, negli stati del Dakota, dove vivevano molti indiani. La terribile povertà di quei pellerossa e il loro capo, il grande Nuvola Rossa, fecero una grande impressione su di lei e sulle sue sorelle; quel giorno e in quel luogo Caterina fece il voto di dedicarsi con la sua parte di eredità all'assistenza degli indiani. Nonostante le riserve del vescovo O'Connor, Caterina rimase irremovibile nel desiderio di farsi suora; il vescovo allora si arrese e le consigliò di combinare i suoi due desideri: le suggerì di non entrare in una congregazione già esistente, ma di fondarne una nuova che avesse come obiettivo del proprio apostolato le missioni tra la gente di colore. Perché essa ricevesse la formazione iaecessaria, la indirizzò presso le Suore della Misericordia. Iniziò a periodo di noviziato a trentuno anni, consapevole di essere fin coppo inadeguata, ma un anno dopo, il 12 febbraio 1891, prese i voti assieme a tredici consorelle, come la prima delle Suore del SS. Sacramento. La Drexel iniziò la propria opera missionaria trasformando la vecchia casa estiva dei Drexel di Torresdale, Pennsylvania, in un convento e aprendo dei collegi per bambini afroamericani e indiani pueblo. Fu talmente autorevole nel lavorare a favore degli indiani da meritarsi il rispetto dello stesso Nuvola Rossa. Quando il governo degli Stati Uniti tagliò gli aiuti economici ai pellerossa e ridusse ulteriormente il loro territorio, gli indiani si ribellarono. Diedero fuoco a scuole e abitazioni costruite con i fondi del governo e uccisero diversi bianchi delle zone circostanti le riserve; fu solo grazie allo stretto e influente rapporto che c'era tra madre Drexel e Nuvola Rossa che le suore, i conventi e le scuole per indiani vennero risparmiati. È interessante notare che il suo istituto non riceveva nulla dal patrimonio Drexel (Caterina voleva infatti che le suore fossero autosufficienti), per cui tali beni andavano direttamente alle missioni. Nel 1915 fondò un college per insegnanti in Louisiana, che sarà poi, col nome di Xavier University di New Orleans, una delle prime scuole americane aperte alle persone di colore. Questo fu un passo molto importante, visto che la discriminazione nei confronti degli afroamericani esisteva anche tra i cattolici. Caterina rifiutava certi tipi di segregazione praticati all'interno della Chiesa, ma doveva, ciononostante, lavorare all'interno delle leggi esistenti e ai costumi del paese. In quel periodo la sua vita attiva di missionaria terminò; aveva fondato centoquarantacinque missioni cattoliche, dodici scuole per indiani e cinquanta per afroamericani, ma soprattutto aveva portato un'intera generazione di cattolici americani a conoscenza delle necessità delle minoranze. Sarebbe morta nel decennio segnato dalle lotte di Martin Luther King per i diritti civili. Si potrebbe dire che la Drexel, pur non essendo disinteressata ai diritti civili delle minoranze, si proponeva altri obiettivi: quello che veramente voleva portare loro erano la vita della grazia e l'Eucarestia. Il desiderio di Caterina di dedicarsi alla vita contemplativa venne realizzato quando, nel 1935, in seguito a un infarto, si ritirò da ogni attività per dedicarsi esclusivamente alla preghiera. Morì il 3 marzo 1955; è stata beatificata da papa Giovanni Paolo II il 20 novembre 1988 e canonizzata il primo ottobre 2000. MARTIROLOGIO ROMANO. A Philadelphia in Pennsylvania negli Stati Uniti d’America, santa Caterina Drexel, vergine, fondatrice della Congregazione delle Suore del Santissimo Sacramento, che utilizzò con generosità e carità i beni dai lei ereditati per l’istruzione e il riscatto degli Indiani e dei neri.

nome Sant'Anselmo di Nonantola- titolo Abate- nascita 720 circa, Cividale del Friuli- morte 803 circa, Nonantola, Emilia-Romagna- ricorrenza 3 marzo- Canonizzazione Pre-canonizzazione- Santuario principale Abbazia di Nonantola- Patrono di Nonantola- Fu Duca del Friuli, e parente di Astolfo, Re dei Longobardi, che accompagnò nelle sue campagne militari. Il duca non era solo un coraggioso soldato, ma anche un fervente cristiano. Disgustato dal mondo, decise di consacrarsi a Dio, ritirandosi in preghiera e penitenza. Ottenne un pezzo di terra da Astolfo, dove costruì un monastero benedettino con ostello per pellegrini e viandanti. Successivamente fondò il famoso monastero di Nonantola. Il Papa lo nominò abate. Papa Stefano III gli diede anche il permesso di trasferire la salma di Papa San Silvestro a Nonantola. Astolfo arricchì notevolmente l'abbazia, e le concesse grandi privilegi, tanto da farla diventare famosa in tutta Italia. L'abate Anselmo arrivò a governare oltre un migliaio di monaci. Era molto attivo, anche se estremamente modesto. Promuoveva la disciplina monastica, più con l'esempio che con i precetti. Sotto il suo mandato il monastero fu uno dei centri di spiritualità italiani. Morto Astolfo, il nuovo re, Desiderio, lo esiliò a Montecassino, ma Carlo Magno, intorno al 768, lo reintegrò nella sua abbazia dove visse per 35 anni. MARTIROLOGIO ROMANO. A Nonantola in Emilia, sant’Anselmo, fondatore e primo abate del monastero del luogo, che per cinquant’anni promosse la disciplina monastica sia con l’insegnamento che con l’esercizio delle virtù.

nome Beato Pietro Geremia- titolo Frate Domenicano- nome di battesimo Pietro Geremia- nascita 10 agosto 1399, Palermo- morte 3 marzo 1452, Palermo- ricorrenza 3 marzo, 25 ottobre- Beatificazione 12 maggio 1784 da papa Pio VI- Santuario principale Chiesa di San Domenico- Pietro nacque a Palermo ed era il figlio di Arduino, giurista e amministratore presso la corte di re Alfonso I. Quando aveva diciotto anni venne mandato presso l'università di Bologna perché studiasse legge e potesse seguire le orme del padre. Si dimostrò uno studente talmente brillante che, in assenza del professore, gli veniva chiesto di sostituirlo, ma una notte venne disturbato nel sonno da ciò che egli interpretò come un messaggio divino che gli suggeriva di abbandonare gli studi e di abbracciare la vita religiosa. Pietro non perse tempo e in quello stesso momento fece voto di castità perpetua; la mattina successiva si comprò una catena di ferro che avvolse con tre giri attorno al proprio corpo: dopo cinquantuno anni, mentre la sua salma veniva composta per il funerale, si scoprì che la catena si era incastrata nella carne e che era impossibile rimuoverla. Quando, poco dopo, Pietro entrò nel convento domenicano di Bologna, Arduino, infuriato, vi si precipitò per costringere il figlio a riprendere gli studi. Il ragazzo rifiutò però di incontrare il padre e gli fece dire di non aver bisogno di nulla se non delle preghiere di tutta la famiglia. Mentre Arduino era sempre più adirato e furioso, Pietro pregò di ottenere perseveranza nella vocazione e la soluzione della crisi familiare. Finalmente i due riuscirono a fissare un incontro e fu così che quando il padre riscontrò negli occhi del figlio semplice dignità e vero amore per Dio, si arrese all'evidenza e scoppiò in lacrime e, dopo essere tornato in Sicilia, non provò più a dissuadere il figlio, ma anzi cercò sempre di incoraggiarlo a perseverare. Dopo aver fatto la professione ed essere stato ordinato prete, Pietro cominciò la sua opera di predicatore del Vangelo e di confessore, riportando molte persone alla fede. S. Vincenzo Ferrer (5 apr.), che si recava regolarmente a Bologna per visitare la tomba di S. Domenico, incoraggiava vivamente Pietro, che ben presto divenne famoso in tutta Italia. Nel 1427 venne inviato inSicilia per riportare alla disciplina i conventi e i frati domenicani di quella regione e nel 1430 venne mandato a insegnare a Oxford. Qualche anno dopo fu invitato al concilio di Firenze; papa Eugenio IV era infatti rimasto particolarmente colpito dalla sua santità e dall'eloquenza che dimostrava, specialmente mentre si trovava a discutere con i grecoortodossi, e se Pietro non avesse rifiutato lo avrebbe ricoperto di onori. Il frate accettò comunque di partecipare alla commissione papale per la riforma del clero regolare e secolare siciliano. Dopo il concilio tornò in visita apostolica in Sicilia e prese alloggio presso il convento di S. Zita, che era stato fondato poco prima da alcuni frati spagnoli. Divenne poi priore dello stesso convento, ma non abbandonò mai la sua opera di predicazione, preghiera e studio. Nessuno lo vide mai in collera; anzi fu sempre gentile e buono con tutti, senza eccezione. Era garbato con le parole, dolce nel guidare la correzione, non sconvolgeva mai nessuno, ma incoraggiava tutti ad amare Dio. Era rispettato come priore e amato come padre e portò molti giovani ad amare la vita domenicana. Diverse volte rifiutò la nomina di vescovo; lavorò però per tre anni a Catania, dove fondò un'università, il Siculorum Gymnasium. A lui è attribuita la responsabilità della riforma della vita domenicana dell'isola, fu il tutore di B. Giovanni Liccio (14 nov.), che entrò nella comunità nel 1441 e fu l'ispiratore del B. Bernardo Scammacca (11 gen.), del convento riformato di Catania. Dopo l'incarico di priore venne nominato responsabile del noviziato, ma richiese la convocazione del capitolo provinciale per ottenere il permesso di dedicarsi a tempo pieno alla predicazione. Come predicatore ebbe grandissimi successi sia in Sicilia sia nel resto d'Italia, al punto che nessuna chiesa era abbastanza capiente per contenere le folle che si radunavano per ascoltarlo. La sua predicazione era sempre ricca di grande cultura e di rispetto per il pensiero contemporaneo; citava spesso autori del suo tempo, addirittura testi di canzoni popolari ed era informato sugli affari di attualità; i suoi discorsi erano sempre caratterizzati da grande chiarezza. Verso la fine della sua vita cominciò a patire per diversi problemi di salute, in particolare sentiva forti dolori alle gambe, ma soffrì sempre in silenzio. Alcune persone lo sentirono pregare così: «Brucia qui, amputa li, non risparmiare nessuna mia parte adesso, ma risparmiami per l'eternità». MARTIROLOGIO ROMANO. A Palermo, beato Pietro Geremia, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che, confermato da san Vincenzo Ferrer nel ministero della parola di Dio, si consacrò interamente alla salvezza delle anime.

nome Beato Giacomino di Canepacci- titolo Religioso Carmelitano- nascita 1438 circa, Piasca, Ailoche, Piemonte- morte 3 marzo 1508, Vercelli- ricorrenza 3 marzo, 7 agosto- Beatificazione 5 marzo 1845 da papa Gregorio XVI- Nacque a Piasca, nella parrocchia di Crevacuore, e successivamente in quella di Ailoche in Piemonte. Giovane maturo e attratto dalla speciale devozione che i Carmelitani professavano a Maria, chiese di essere accolto in mezzo a loro. Fin dall'inizio chiese di essere ammesso come fratello di obbedienza e di mettersi al servizio di tutti e a disposizione incondizionata sia dei superiori che di tutti gli altri fratelli. Quando professò, il primo ufficio che gli venne affidato dai superiori fu quello di mendicante. Erano tempi duri quelli per la debole economia conventuale. Anche le piaghe e altre malattie abbondavano. Tutto questo contribuì al disagio che regnava in quasi tutti i conventi. Fra Giacomino percorreva, con grande sacrificio e gentilezza, strade e piazze, sia a Vercelli che negli altri paesi vicini, per raccogliere tutte le elemosine che i buoni cristiani gli facevano. Con queste elemosine, oltre ad aiutare la propria comunità, aiutava anche, con il permesso dei suoi superiori, tutti i poveri che incontrava. Un altro incarico che ricoprì anche con l'ammirazione di tutti fu quello di portinaio del convento di Vercelli per molti anni. Sapeva molto bene che tutti coloro che visitavano i conventi, l'immagine che prendevano di lui era ciò che il fratello Porter dette loro. Il fratello Giacomini cercò sempre di dare il buon esempio a tutti con la sua affabilità, umiltà e trattamento squisito. Tutti erano stupiti della sua bontà e lo consideravano un santo, e secondo i suoi biografi "risplendeva di mirabile santità, sebbene sconosciuta agli uomini". Si sa che dava ai poveri la propria razione di pane e vino e che pregava e lavorava sodo. Morì al tempo della peste e fu sepolto in un luogo degno. Molti miracoli furono compiuti sulla sua tomba. SS Gregorio XVI ha approvato il suo culto «ab inmoriabili» il 5 marzo 1845. MARTIROLOGIO ROMANO. A Vercelli, beato Giacomino de’ Canepacci, religioso dell’Ordine dei Carmelitani, insigne per dedizione alla preghiera e alla penitenza.

nome Beato Pietro Renato Rogue- titolo Martire- nome di battesimo Pierre-René Rogue- nascita 1758, Vannes- morte 3 marzo 1796, Morbihan- ricorrenza 3 marzo- Pierre-René Rogue nacque giugno 1758 nella città di Vannes in Bretagna. Rimase orfano di padre quando aveva solo tre anni e venne quindi educato dalla madre, che, per sostenere la famiglia e per permettersi le cure del figlio, che era di salute piuttosto cagionevole, doveva lavorare duramente. Pietro entrò in seminario nel 1776 e venne ordinato prete nel 1782; dopo quattro anni passati con l'incarico di cappellano, fece richiesta di essere ammesso nella congregazione dei sacerdoti della Missione di S. Vincenzo de' Paoli, dove fu accettato nel 1786. Il suo periodo di noviziato venne però interrotto ben presto, perché venne richiamato presso il seminario di Vannes a ricoprire la carica di direttore e di professore di teologia. Lo scoppio della Rivoluzione francese scosse duramente la vita del seminario e a partire dal 1791 ogni prete venne chiamato a fare il giuramento di fedeltà allo stato richiesto dalla Costituzione civile del clero (v. I Martiri della Rivoluzione francese, 2 gen.). Quasi tutti i chierici si rifiutarono di giurare e così, un anno più tardi, i direttori del seminario vennero espulsi e tutti, tranne Pietro che rimase come parroco di Méné, lasciarono la città. Nell'agosto del 1792 tutti i preti che non avevano accettato di prestare il giuramento furono costretti a lasciare il paese o a darsi alla clandestinità. Pietro optò per la seconda strada ben sapendo quello che tale scelta avrebbe potuto comportare. Dopo la caduta di Robespierre venne proclamata un'amnistia, così il beato poté abbandonare lo stato di clandestino e nel 1795 si presentò alle autorità e si impegnò solennemente ad adoperarsi per mantenere la pace. Per qualche mese poté esercitare apertamente il proprio ministero, ma nell'ottobre di quello stesso anno la legislazione restrittiva venne completamente reintrodotta. La sera della vigilia di Natale del 1795, mentre Pietro stava portando i sacramenti a dei moribondi, si accorse di essere pedinato da due noti rivoluzionari. Chiese alla sua guida di lasciarlo solo e poi continuò a camminare; i due uomini lo circondarono e lo portarono nel luogo in cui l'assemblea distrettuale era in sessione perenne. L'arresto del prete non fu accolto da grande entusiasmo, perché egli era molto popolare e apprezzato tra la popolazione; l'assemblea dichiarò poi di non essere competente per il suo arresto e, mentre i due rivoluzionari si recavano a chiamare la polizia, consigliò a Pietro di scappare. Il prete, temendo però che ciò potesse comportare delle sofferenze per i membri dell'assemblea stessa, rifiutò di fuggire, consumò i sacramenti e, senza opporre resistenza, si lasciò portare via. I suoi amici cercarono di farlo rilasciare, ma egli era convinto che, se fosse stato rimesso in libertà, ci sarebbero state ulteriori indagini e altri arresti. Durante il processo, al quale presenziò anche la madre, Pietro rispose in modo molto preciso e breve alle domande che gli furono poste: disse semplicemente di aver rifiutato il giuramento, di non aver mai lasciato Vannes e che non avrebbe mai svelato i nomi di coloro che lo avevano aiutato a nascondersi. Siccome tutto ciò era assolutamente contrario alla legge, il giudice non poté fare altro che condannarlo a morte. Passò l'ultima notte scrivendo ai suoi amici e incoraggiando un prete, suo compagno di sventura, che era terrorizzato dall'idea della terribile morte che li attendeva. I due vennero ghigliottinati il giorno successivo, il 3 marzo 1796, a Morbihan. La tomba che la madre gli aveva preparato divenne meta di grandi pellegrinaggi e si dice che fu sede di diversi miracoli. Pietro Rogue è stato beatificato il 10 maggio 1934 e le sue reliquie si trovano nella cattedrale di Vannes. MARTIROLOGIO ROMANO. A Vannes in Bretagna, in Francia, beato Pietro Renato Rogue, sacerdote della Congregazione della Missione e martire: durante la rivoluzione francese, rifiutatosi di prestare l’empio giuramento imposto al clero, rimase in città per servire di nascosto i fedeli e, condannato a morte, raggiunse la misericordia del Signore nella stessa chiesa in cui celebrava i sacri misteri.

nome Beato Liberato Weiss e compagni- titolo Martiri francescani- nome di battesimo Johannes Laurentius- nascita 4 gennaio 1675, Konnersreuth, Baviera- morte 3 marzo 1716, Gondar, Etiopia- ricorrenza 3 marzo- Liberato Weiss nacque a Konnersreuth in Baviera. All'età di 18 anni entrò nel convento francescano di Eger. Nel 1698 ricevette l'ordinazione sacerdotale a Vienna. Si offrì volontario, insieme a Michele Pio Fasoli da Zerbo, per andare alla missione etiope appena fondata. Samuele Marzorati nacque a Biumo Inferiore, provincia di Varese, nel 1670, nei pressi del convento francescano dell'Annunciazione, dove trascorse i primi anni della sua vita. A 22 anni entrò nel convento francescano, dei cosiddetti "Riformati", a Lugano in Svizzera. Presto chiese di andare in missione, e i superiori lo mandarono a Roma, nel Collegio eretto a San Pietro in Montorio per preparare coloro che dovevano essere inviati nelle terre di missione. Completato l'addestramento, gli fu affidato un altro compito, ma in seguito entrò a far parte della missione Etiopia.vMichele Pio Fasoli da Zerbo nacque a Zerbo, vicino Pavia, il 3 maggio 1670. Entrò nella Provincia francescana di San Diego in Insubria a Milano e, ordinato sacerdote, iniziò la sua attività di insegnamento teologico, ma presto andò in servizio anche come volontario per unirsi alla missione Etiopia. Per molto tempo la Chiesa cattolica aveva compiuto grandi sforzi per ristabilire la piena comunione e unione con la Chiesa copta, senza riuscirci. Il 20 gennaio 1697 la Santa Sede, tramite la Congregazione di Propaganda Fide, riaprì la missione in Etiopia e la affidò ai Francescani. Il Ministro generale dell'Ordine fece quindi appello ai suoi religiosi per i volontari per tale missione e molti si offrirono volontari. Tra loro c'erano i nostri tre Beati. Obiettivo della missione francescana era ricondurre la Chiesa copta d'Egitto e quella dell'Etiopia all'unione con quella di Roma. I padri Liberato e Michele Pio furono assegnati all'Etiopia, Padre Samuele, nell'isola di Socotra, nell'Oceano Indiano, non raggiunse però il suo obiettivo e tornò al Cairo, dove si unì alla seconda spedizione dei suoi compagni. Il re d'Etiopia impedì l'ingresso nel paese e si stabilirono ad Ailefun, una città vicina, finché non arrivarono tempi migliori. A loro si unì Samuele Marzorati, proveniente dall'India, e tentarono di nuovo di entrare in Etiopia nel 1711, e questa volta non ebbero problemi.<br /> Il re, un cristiano copto, chiese loro di non discutere questioni liturgiche e di non chiamarsi "romani". I nostri frati vivevano della professione che avevano imparato: si prendevano cura dei malati e imparavano le lingue locali. Tuttavia, la popolazione nativa diffuse pettegolezzi contro i missionari che rovinarono gradualmente la convivenza. Il Re Giusto, per evitare mali maggiori, inviò i francescani in un'altra provincia, il Tigre. La situazione politica cambiò, il monarca fu detronizzato e i missionari furono quindi localizzati e trasferiti a Gondar per essere processati. Al processo, accusati di eresia contro la Chiesa copta d'Etiopia, dichiararono apertamente di essere cristiani e di essere stati inviati dal Sommo Pontefice per insegnare loro la vera fede cristiana. Contro le credenze dei copti monofisiti, proclamarono, tra le altre cose, che Cristo ha due nature, divina e umana, e non solo una. Affermarono inoltre che secondo la fede professata dalla Chiesa cattolica nell'Eucaristia vi era la presenza reale di Cristo. Affermarono poi che la circoncisione non era necessaria. Nelle loro numerose discussioni, i monaci copti non riuscirono a convincere i francescani a rinunciare alla loro fede e ad abbracciare le credenze della Chiesa copta. La notizia del martirio giunse subito in Europa attraverso rapporti scritti che inviarono testimoni oculari degli eventi. Tuttavia, il processo di beatificazione è stato notevolmente ritardato a causa di varie circostanze. Sono stati beatificati da Giovanni Paolo II il 20 novembre 1988. MARTIROLOGIO ROMANO. Presso Gondar in Etiopia, beati Liberato Weiss, Samuele Marzorati e Michele Pio Fasoli da Zerbo, sacerdoti dell’Ordine dei Frati Minori e martiri, che morirono lapidati per la fede cattolica.

nome San Vinvaleo- titolo Abate di Landevennec- nascita 460 circa- morte 3 marzo 532, Landévennec- ricorrenza 3 marzo- La biografia di S. Vinvaleo (Guénolé, Winnol, o Onolaus) non fu messa per iscritto prima del ix secolo; ha assunto così un aspetto leggendario che è reso evidente dalla stravaganza dei miracoli che vengono attribuiti al santo e di cui è largamente arricchita, ma probabilmente contiene alcuni elementi veritieri. Vinvaleo fu affidato al monaco irlandese Budoc, nell'isola di Laurea e, dopo aver terminato la formazione, divenne eremita nell'isola di Tibidy, al largo della costa, per poi trasferirsi assieme ad altri frati su un'isola alla foce del fiume Aulne. Il luogo era però molto esposto alle intemperie e così, dopo tre anni, tornarono sulla terraferma dove, in una valle riparata sul lato opposto del porto di Brest, fondarono il monastero di Landévennec, dove continuarono la tradizione monastica di impronta celtica insegnata da Budoc. In quel convento Vinvaleo fu a capo di un gran numero di monaci per molti anni. Quando sentì che si avvicinava l'ora della morte chiamò i suoi fratelli a sé e diede loro istruzioni affinché eleggessero un successore che fosse: «Dolce come il miele e amaro come l'assenzio. Non cercate la pace qui, in modo che possiate godere la pace e la tranquillità in paradiso». Morì davanti all'altare dopo la celebrazione della Messa, mentre si trovava con tutti i monaci. La sua popolarità è testimoniata dai tanti luoghi a lui dedicati in tutta la Bretagna e dalle tante versioni del suo nome, che compare in due o tre calendari inglesi del Medio Evo, anche se il suo culto è rimasto circoscritto all'area di influenza celtica. Ci sono chiese dedicate a lui in Cornovaglia, a Gunwalloe e Landewednack, mentre alcune delle sue reliquie sembra che si trovino a Exeter, Glastonbury, Abingdon e Waltham. A Norwich c'era una chiesa a lui dedicata, che è andata distrutta; la strada dove sorgeva ha però mantenuto il nome del santo. I normanni distrussero il monastero nel 914. Una parte delle reliquie venne portata a Mont Blandin nell'area di Gand, da dove potrebbe aver trovato la strada per l'Inghilterra, mentre un'altra parte venne condotta nella zona dei castelli della Loira e poi traslata nell'abbazia di Saint-Sauve a Montreuil-sur-Mer, che però venne distrutta durante la Rivoluzione francese. S. Vinvaleo viene rappresentato nelle opere d'arte al fianco di un'oca: esiste, infatti, una leggenda secondo la quale, mentre sua sorella stava cercando di catturare un'oca, questa si sarebbe ribellata strappandole un occhio. Chiamato ad assistere la sorella, Vinvaleo ordinò all'oca di sputare l'occhio, cosa che l'animale fece immediatamente; egli allora ripose l'occhio al suo posto e la sorella riacquistò la vista. Il monaco viene anche dipinto con una campanella, con la quale si narra che chiamasse i pesci. MARTIROLOGIO ROMANO. Nella Cornovaglia in Inghilterra, san Vinvaléo, primo abate di Landévennec, che si tramanda sia stato discepolo di san Budoc nell’isola di Lavret e abbia dato lustro alla vita monastica.

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