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10/03/2024 alle 08:46

I santi di oggi 10 marzo:

I santi di oggi 10 marzo:

nome San Macario di Gerusalemme- titolo Vescovo- nascita III secolo, Gerusalemme- morte 335 circa, Gerusalemme- ricorrenza 10 marzo- La forza della sua opposizione all'arianesimo è dimostrata dal modo in cui Ario parla di lui nella sua lettera a Eusebio di Nicomedia. Macario prese parte al Concilio di Nicea, nel corso del quale potrebbe aver avuto molto a che fare con la stesura del Credo niceno. Nella Storia del Concilio di Nicea attribuita a Gelasio di Cizico ci sono una serie di dispute tra immaginari Padri del Concilio e dei filosofi al soldo di Ario. In una di queste controversie Macario è portavoce per i vescovi che difende la discesa all'inferno. Macario appare il primo tra i vescovi di Palestina che hanno sottoscritto il Concilio di Nicea.

Secondo Teofane, Costantino, alla fine del Concilio di Nicea, chiese a Macario di cercare i siti della Resurrezione e della Passione e la Vera Croce. L'enorme quantità di pietre sopra il tempio di Venere, che al tempo di Adriano si era accumulato nel tempo sopra il Santo Sepolcro, fu demolito, e "quando la superficie originale del terreno apparve immediatamente, al contrario di ogni aspettativa, il monumento sacro della Resurrezione del nostro Salvatore fu scoperto". Nell'apprendere la notizia Costantino scrisse a Macario una lunga lettera per ordinare l'erezione di una sontuosa chiesa sul luogo: si dava avvio così alla prima costruzione cristiana della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. MARTIROLOGIO ROMANO. A Gerusalemme san Macario, Vescovo e Confessore, per consiglio del quale Costantino Magno e la beata Elena, sua madre, purificarono i luoghi santi e li abbellirono di sacre Basiliche.

nome San Simplicio- titolo 47º papa della Chiesa cattolica- nascita V secolo, Tivoli- Elezione 3 marzo 468- Fine pontificato 10 marzo 483 (15 anni e 7 giorni)- morte 10 marzo 483, Roma- ricorrenza 10 marzo- Santuario principale Basilica di San Pietro in Vaticano- Simplicio nacque in Tivoli e dopo essere stato vanto del clero di Roma, sotto il pontificato di S. Leone e S. Ilario, venne, alla morte di questi, eletto Papa. Dio suscitò questo grande Pontefice perché guidasse con mano ferma e sicura la cristianità tanto travagliata in quel tempo, sia per le eresie che la straziavano all'interno, sia per la discesa dei barbari invasori dell'impero romano, e nemici del nome cristiano. Preferendo i popoli d'Italia associarsi ai barbari piuttosto che tollerare le insopportabili angherie dei governatori romani, la penisola fu ridotta a un deserto e non riuscì quindi difficile alle orde di Odoacre impadronirsi della stessa Roma. Contro questo re ariano, invasato da furor satanico verso i Cristiani, si levò Simplicio, facendo sentire la sua voce di pastore e di padre. Ai tanti dolori che affliggevano il cuore del Pontefice per la Chiesa di Occidente, s'aggiunsero le notizie del triste stato della Chiesa d'Oriente. L'imperatore Zenone, figlio e successore di Leone I, favorendo l'Eutichianismo, aveva diviso l'impero in partiti, onde per rimediare a questo grave danno pubblicò nel 482 un famoso editto conosciuto sotto il nome di Enoticon. Questo era una specie di formulario di fede, ma siccome rigettava l'autorità del Concilio di Calcedonia, ed era steso in termini equivoci, non raggiunse lo scopo. Inoltre nuovi scompigli nacquero per l'intrusione di Pietro il Fulone nella sede di Antiochia e di Pietro Mongo in quella di Alessandria. Il Papa condannò questi vescovi eretici. Essi allora si ribellarono apertamente contro di lui e contro la Chiesa Cattolica, e si adopera.• rono in ogni maniera perchè l'Enoticon fosse osservato dal popolo. Simplicio, addolorato, fu costretto a lanciare la scomunica contro questi falsi pastori che sotto il pretesto di procurare il bene delle anime, cercavano di effettuare i loro malvagi intenti. Inoltre si adoperò in tutti i modi per conservare nell'unità della fede cattolica quelle due diocesi così straziate, ma ciò gli costò molte fatiche, essendo contrariato dall'imperatore vittima dell'eresia. Passato per così acerbo crogiuolo, Simplicio moriva l'anno 483 e il suo corpo veniva sepolto nella chiesa di S. Pietro in Roma. PRATICA. Il dolore è il crogiuolo in cui si purifica l'anima: ringraziamo quindi il Signore in tutte le nostre sofferenze e sopportiamole per amor suo. PREGHIERA. Deh! Signore, esaudisci le preghiere che ti innalziamo nella solennità del tuo beato confessore e Pontefice Simplicio, e per la sua intercessione assolvici da tutti i peccati.

nome Santa Maria Eugenia di Gesù- titolo Religiosa e Fondatrice- nome di battesimo Anne-Eugénie Milleret- nascita 6 agosto 1817, Metz, Francia- morte 10 marzo 1898, Parigi, Francia- ricorrenza 10 marzo- Beatificazione 9 febbraio 1975 da papa Paolo VI- Canonizzazione 3 giugno 2007 da papa Benedetto XVI- Anna Eugenia Milleret, fondatrice delle Suore dell'Assunzione, nacque nella città di Metz in Francia il 26 agosto 1817, quarta di cinque fratelli. Suo padre Giacomo, banchiere, era un ammiratore di Voltaire, mentre la madre, Eleonora Eugenia de Brou, del Lussemburgo, non era praticante ma educò comunque i figli al rispetto dell'onestà e della giustizia. Nonostante fossero abbastanza ricchi, la loro vita era caratterizzata da una certa austerità. Dai bambini ci si aspettava coraggio, generosità e controllo di sé, e veniva loro insegnato a prendersi cura dei malati e a rispettare i poveri. In seguito alla morte della sorella più giovane e di un fratello, il fratello rimasto, Luigi, divenne il compagno d'infanzia di Anna Eugenia, con cui crebbe. La bambina fece la prima comunione, come era uso, all'età di dodici anni: fu un momento di grazia e l'inizio di una devozione ininterrotta al Santo Sacramento. Nel corso dei successivi tre anni la tragedia e il dolore piegarono la famiglia: Anna Eugenia prese una febbre tifoide, che necessitò lunghi mesi di riposo nel castello di Preisch, dove la famiglia visse per sei mesi. Nel 1830 il padre andò in bancarotta e sia il castello che la casa di famiglia a Metz furono vendute. I suoi genitori, che non erano mai andati tanto d'accordo, si separarono: Luigi rimase con il padre e Anna Eugenia andò a Parigi con la madre. Fu un cambiamento enorme, ma durante i mesi in cui furono sole la loro intimità crebbe. Nel 1832 madame Milleret morì di colera e Anna Eugenia si trovò sola: aveva quindici anni. Il padre le trovò un'occupazione presso la signora Doulcet, una dama dell'alta società di Chalons. Le feste e le serate mondane a cui era tenuta a partecipare la lasciavano profondamente insoddisfatta. La sua intelligenza raffinata non trovava alcun stimolo intellettuale nella società che doveva frequentare e non trovava un senso in ciò che faceva. Non vi era nessuno con il quale condividere le sue preoccupazioni sulla realtà divina e il significato della vita e il desiderio che provava di instaurare quel rapporto con Dio che la sua prima comunione aveva presagito. Il padre decise allora di mandarla a Parigi dalla cugina, madame Foulon, una pia casalinga, ma di così limitate vedute che la ragazza si sentì ancora più esiliata. Il famoso predicatore domenicano Lacordaire aveva all'epoca iniziato una serie di omelie quaresimali nella cattedrale di Notre Dame. Anna Eugenia venne mandata ad ascoltare i sermoni per la Quaresima e decise di seguire anche la seconda serie del domenicano. Proprio l'ultimo giorno le parole del predicatore fecero centro: «Solo con la preghiera si ristabilisce la relazione con Dio F...]. Il dubbio è l'inizio della fede». Avrebbe affermato in seguito che la sua vocazione risaliva a quei sermoni in Notre Dame, che definì «un appuntamento con la grazia». Il suo desiderio immediato fu quello di consacrarsi totalmente a Dio. Lacordaire capì i bisogni della nuova penitente e la consigliò di iniziare una serie di letture, soprattutto di filosofi contemporanei: de Maist re, Bonald, Bourdaloue e altri. Discusse con lei la natura della vita religiosa, ma preferì eventuali successivi passi. Il suo bisogno immediato era la preghiera, la lettura e l'attesa. Anna Eugenia attese un anno, durante il quale l'eucarestia fu il suo principale sostegno. Poco prima della successiva Quaresima ebbe un sogno: si trovava in una chiesa strana, e ascoltava un predicatore sconosciuto. Una voce le diceva: «Ti mostrerà la via da seguire». Entrando nella chiesa di S. Eustachio per le omelie quaresimali, riconobbe la chiesa e il predicatore del sogno, l'abate Teodoro Combalot, con il quale si sarebbe instaurato un particolare rapporto: ella aveva solo venti anni all'epoca ed era una ragazza quieta, riservata e intelligente; egli era invece un oratore fiero, ardente e impetuoso. Anna Eugenia non si sentiva particolarmente attratta da lui, anche se era a lui che era stata indirizzata. Combalot aveva accarezzato per dodici anni il sogno di fondare una congregazione di suore radicalmente contemplative nello spirito e insieme dedite all'educazione di altre donne, che egli considerava le spontanee agenti di un rinnovamento cristiano della società. Anna Eugenia in fondo condivideva quest'idea, anche se si considerava uno strumento poco adatto per realizzare un tale progetto. I suoi voti vennero confermati nella Pasqua del 1837 e la ragazza parve sufficientemente salda per tale vocazione, nonostante le riserve personali e l'opposizione del padre e del fratello. Iniziò il noviziato presso le suore della Visitazione di Cote Saint-André nel sud della Francia nel 1838, scoprendo nella comunità gli aspetti attraenti della spiritualità di S. Francesco di Sales (24 gen.): un amore ardente e fraterno, l'umiltà, la gentilezza, la semplicità e il buon umore. Iniziò un programma di studi finalizzato al suo futuro incarico: scrittura, teologia tomista, teologia morale di Alfonso de' Liguori, la spiritualità di S. Agostino e di S. Teresa. Inoltre le furono impartite lezioni di latino, tedesco e inglese. Manteneva una corrispondenza regolare con l'abate Combalot e di tanto in tanto riceveva sue visite. In una di queste conobbe l'abate d'Alzon, che più tardi sarebbe diventato suo intimo amico e consigliere. Pur essendo entusiasta e favorevole al progetto, d'Alzon era abbastanza acuto per capire che l'impulsivo e autoritario Combalot sarebbe stato più d'ostacolo che d'aiuto. Questi, tuttavia, si era già messo all'opera per trovare membri per la nuova fondazione, ottenendo buoni risultati. Le prime due suore dell'Assunzione, Anna Eugenia e Anastasia Bevier, iniziarono la loro vita comunitaria il 30 aprile 1839; ben presto furono raggiunte da altre quattro sorelle, tra le quali la mistica irlandese Caterina O'Neill, che avrebbe avuto l'incarico di maestra delle novizie per quarant'anni. Esse vivevano in condizioni di grande povertà materiale, aggravate dalla poca consuetudine che avevano con le faccende domestiche e dalla necessità di spostarsi continuamente alla ricerca di una nuova sede. Tuttavia, vi era uno spirito risoluto e un'atmosfera di rispetto e fiducia reciproci, semplicità e amicizia, dovute soprattutto all'attenzione di Anna Eugenia per l'opera della grazia negli altri. All'inizio tutto sarebbe proceduto molto dolcemente se non fosse stato per l'eccentrico Combalot, le cui direttive contraddittorie trasformarono l'obbedienza in un'impresa di ginnastica spirituale. La prima cerimonia di vestizione ebbe luogo nell'agosto 1840 e nel 1841 Anna Eugenia, ora suor Maria Eugenia, venne eletta madre superiora dalle altre suore del gruppo. Il nuovo istituto stava diventando famoso e stava conquistandosi appoggi tra gli intellettuali cattolici socialmente impegnati di Parigi, che condividevano i suoi intenti: Chateaubriand, Antonio Federico Ozanam (che sarebbe stato beatificato nel 1997, 8 set.), i fratelli Boré, Gian Giuseppe Poujoulat e molti altri. Questi contatti e l'interesse manifesto del gruppo in questioni sociali colpì la coscienza dell'arcivescovo di Parigi. Un problema immediato che doveva essere risolto era quello di Combalot: ora che il bisogno di fissare la costituzione delle suore dell'Assunzione si stava facendo sentire, Combalot si era messo al lavoro e aveva redatto un'introduzione di trenta pagine, dove non citava mai suor Maria Eugenia, le altre suore e neppure l'arcivescovo. Quest'introduzione trattava di tutto ciò che li aveva ispirati ma risentiva troppo della personalità e del modo di pensare alquanto retorico del presbitero. L'arcivescovo decise di intervenire e nominò l'abate Gros (futuro vescovo) al posto di Combalot, che però non accettò la decisione e affrontò il gruppo dicendo che dovevano scegliere tra lui e Maria Eugenia. Egli avrebbe portato il gruppo in Bretagna e ricominciato là la fondazione. Le suore erano troppo legate tra loro per schierarsi al suo fianco, seppur riconoscenti per quanto gli dovevano, non erano pronte a seguirlo. Egli partì per Roma solo. Anche se la coesione del gruppo era manifesta, il suo cammino non era così chiaro all'arcivescovo, che criticò la loro decisione di usare per la preghiera l'Ufficio Divino dei sacerdoti invece che il più comune piccolo ufficio di Maria. Riteneva che unire studi religiosi e secolari sarebbe stato troppo pesante, che donne consacrate non avrebbero dovuto avere contatti così frequenti con il mondo e nemmeno farsi coinvolgere dai problemi sociali e che le giovani che vivevano in convento avrebbero dovuto avere la protezione delle grate. Inoltre la povertà era così estrema che le postulanti desistevano prima che l'opera di educazione fosse iniziata. Il vescovo Gros propose di scioglierle dai voti ma il gruppo mostrò ancora una volta il suo ardore: ciò di cui la società contemporanea aveva bisogno era esattamente un'opera di educazione e, se avessero iniziato, le sorelle avrebbero dovuto essere ben attrezzate: più di ogni altra cosa avrebbero avuto bisogno di una solida base di preghiera. TI vescovo fu d'accordo: un anno dopo nella scuola vi erano già otto ragazze e suor Maria Eugenia, all'età di venticinque anni, scrisse i primi statuti. Il noviziato venne aperto formalmente nel 1842, ma furono sollevate nuove obiezioni riguardo l'orientamento troppo contemplativo, questa volta da un superiore ecclesiastico. Maria Eugenia reagì aspramente: «Più vado avanti, meno provo simpatia per preti e pii laici [...]. I loro ragionamenti sono meschini e ristretti. Devo forse modificare il nostro modo di vita così da togliere ciò che scandalizza le loro menti limitate?». L'anno 1844 vide la professione dei primi cinque membri dell'istituto. Nel 1850 iniziò l'opera di espansione, che sarebbe continuata durante tutta la vita della fondatrice. Scuole e conventi nacquero in Inghilterra, in tutta la Francia, Spagna, Italia e Filippine, nel Centro e Sud America. Nacquero anche altri rami delle suore dell'Assunzione. Le sorelle mandate nella prima vera fondazione in Sud Africa, fondazione che non ebbe seguito, rimasero sul posto e fondarono le Suore Missionarie dell'Assunzione. L'abate d'Alzon fondò gli Agostiniani dell'Assunzione nel 1845 (uno dei loro membri avrebbe poi fondato le Piccole Sorelle dell'Assunzione), mentre nel 1855 fu iniziato il Terz'ordine dell'Assunzione a Nimes. Più tardi l'abate d'Alzon stabilì gli Oranti dell'Assunzione in un'occasione in cui Maria Eugenia non poteva adempiere alla richiesta di mandare le sue religiose nei Balcani. Nel 1858 suor Maria Eugenia fu eletta superiora generale a vita. La congregazione si era affermata e stava fiorendo. Il suo compito da quel momento in poi fu di supervisionare la sua espansione e guidare i suoi membri verso la santità. Mancava un solo passo per poter ancorare il suo lavoro all'interno della struttura giuridica della Chiesa. Nel 1866 fece richiesta a Roma dell'approvazione dell'istituto e la mossa non trovò approvazione dei membri gallicani della Chiesa di Francia. Il superiore ecclesiastico dell'istituto, padre Véron, ostacolò il processo nascondendo materiale necessario per il dossier e procedendo a mettere in cattiva luce la posizione di Maria Eugenia. Arrivò perfino a progettare l'espulsione della congregazione da Parigi. Il superiore generale diede le dimissioni, ma la situazione si capovolse quando padre Véron morì. L'approvazione venne concessa l'anno seguente. Questo passo fu molto importante per la fondatrice, la cui visione della Chiesa ispirava gli scopi dell'istituto: «È stato un amore ardente per la Chiesa e per la nostra società, così lontana da Dio, che ha dato vita a questo lavoro. La lontananza dalla fede dei tre quarti della popolazione rende necessaria una grande opera di educazione». Per lei non vi era Cristo senza la Chiesa: questa era il suo corpo e la fonte della vita, che trascende gli accadimenti storici e la comprensione contemporanea della realtà. La congregazione delle suore dell'Assunzione racchiude un alto ideale di educazione cristiana. Non prevede altro che la venuta del regno di Cristo in ogni individuo, insegnante e studente. Maria Eugenia vedeva le persone nel suo complesso. La preghiera non sarebbe mai stata sufficiente per portare il regno di Cristo, tutti i poteri della mente e del cuore dovevano essere coltivati e utilizzati nello sforzo di condurre ogni cosa alle sue dipendenze. Solo un essere umano pienamente vivo e impegnato è in grado di compiere l'atto di totale dedizione a Cristo. Uno spirito di libertà, la ricerca intellettuale, la consapevolezza sociale, il sostegno e il rispetto dell'altro sono i particolari frutti allettanti nati dalla direzione della Congregazione dell'Assunzione da parte della sua fondatrice. Maria Eugenia Milleret morì il 10 marzo 1898 e fu beatificata da papa Paolo VI il 9 febbraio 1975. Oggi la congregazione conta 1500 membri, divisi in 207 comunità in 31 diversi paesi. È, stata canonizzata da Benedetto XVI il 3 giugno 2007. MARTIROLOGIO ROMANO. A Parigi in Francia, Santa Maria Eugenia Milleret de Brou, vergine, fondatrice della Congregazione delle Suore dell’Assunzione per l’educazione cristiana delle giovani.

nome San Giovanni Ogilvie- titolo Martire- nome di battesimo John Ogilvie- nascita 1580, Drum, Scozia- morte 10 marzo 1615, Glasgow, Scozia- ricorrenza 10 marzo- Beatificazione<br /> 22 dicembre 1928 da papa Pio XI- Canonizzazione 17 ottobre 1976 da papa Paolo VI- Giovanni Ogilvie nacque a Drum, vicino alla città di Keith in Scozia, nel 1580. Il padre, Walter Ogilvic barone di Drumna-Keith, possedeva vaste proprietà nello Banffshire ed era il capo del ramo più giovane della famiglia. La madre era Agnese Elphinstone, originaria di una famiglia tradizionalmente fedele alla Chiesa cattolica; lo zio Giorgio aderì alla Compagnia di Gesù poco dopo la sua nascita, mentre Guglielmo, l'altro zio, morì all'epoca del suo noviziato nella stessa Compagnia. Agnese morì nel 1582, quando Giovanni aveva solo due anni, e il padre si risposò con Maria Douglas Lochleven, la figlia di lady Douglas di Lochleven, carceriera dielb regina Maria. Come molte famiglie a quell'epoca, gli Ogilvie erano divisi tra cattolici e presbiteriani. Walter aderì alla Riforma ed educò il figlio nella fede calvinista. Nel 1592, all'età di tredici anni, Giovanni fu mandato dal padre in Europa per completare la sua formazione: visitò l'Italia, la Francia e la Germania e vi trovò le stesse tensioni religiose che aveva lasciato in patria, con la differenza che, almeno in Francia, le opinioni differenti erano discusse in pubblico tra persone di pari cultura. L'ambiente intellettuale aperto fece sì che il giovane potesse affrontare approfonditamente il problema discutendone con intellettuali e persone colte. Secondo un discorso a luí attribuito in una versione scozzese del suo processo, ebbe rapporti con studiosi italiani, francesi e tedeschi. Dopo un periodo iniziale di confusione, si concentrò in modo particolare su questioni che riguardavano la diffusione universale, in spazio e tempo, della Chiesa cattolica, la sua unità di fede, la santità, i miracoli che confermavano le sue affermazioni, i suoi teologi e, soprattutto, i suoi martiri. Nel corso del 1596 Giovanni frequentò il collegio scozzese di Lovanio e chiese di essere accettato nella Chiesa cattolica: venne istruito nella dottrina cristiana dal gesuita Cornelio, il famoso scrittore, rimanendo a Lovanio per due anni fino a che, a causa di una crisi finanziaria, il collegio non dovette chiudere. Nel 1598 trascorse sei mesi nel monastero benedettino di S. Giacomo a Regensburg, che poi lasciò nello stesso anno per entrare nel collegio gesuita a Olmiitz. Nel novembre 1599 iniziò il suo noviziato nella Compagnia a Briinn, in Boemia, rimanendo in Austria fino al 1610, secondo l'abituale corso degli studi e del noviziato presso i gesuiti. Fu ordinato prete a Parigi nel 1610. Oltre il Canale della Manica, nello stesso anno, l'anglicano Giacomo V1 principe di Scozia era divenuto re Giacomo I d'Inghilterra, e aveva insediato la Chiesa episcopale in Scozia, approvando l'investitura dei vescovi scozzesi. Per attenuare le paure dei presbiteriani, che temevano un ritorno al cattolicesimo, il governo scozzese intensificò le persecuzioni contro i cattolici. Gli ultimi due gesuiti che ancora operavano in Scozia furono obbligati ad andarsene nel 1611. Giovanni Ogilvie desiderava prendere parte alla missione in Scozia, ma Aquaviva, il generale dell'ordine, conscio dei pericoli che questa comportava, non voleva esporsi a rischi inutili. Fu un momento imbarazzante per entrambi quando Ogilvie, avendo erroneamente capito di essere stato destinato da tempo alla missione, iniziò a prepararsi e fu obbligato a interrompersi quando Aquaviva in maniera esplicita lo informò del suo parere contrario. Giovanni accettò la decisione, ma continuò a fare presente la sua richiesta. Non dovette aspettare a lungo: nel 1613 Aquaviva diede il suo consenso e Ogilvie partì, arrivando in Scozia nel novembre 1613, per svolgere un ministero che sarebbe durato solo nove mesi. Si recò subito al nord, nella sua regione d'origine, í1 Banffshire, sperando di riaccendere la fede nella classe nobiliare: molte famiglie si erano infatti adeguate alla nuova religione. Fu ricevuto dal marchese di Humtly, un cripto cattolico, nel suo castello di Strathbogic, e da qui Giovanni riuscì a esercitare il ministero per i cattolici del distretto. Sei settimane dopo si preparò a partire: trascorse un breve periodo a Edimburgo, nella casa di un convertito molto fervente di nome Guglielmo Sinclair, e poi andò a Londra per una missione di cui non conosciamo i particolari. Essa però dovette sembrargli così importante da giustificare un ritorno in Francia per consultare i suoi superiori che, però, non si mostrarono disponibili a portare avanti il progetto. Ritornato in Scozia nell'aprile 1614 insieme al gesuita Moffat e a un prete secolare di nome Campbell, si recò a Edimburgo. Durante una visita a Refrewshire riuscì a convertire alcuni della piccola nobiltà. A luglio era a Glasgow, per celebrare la Messa per la comunità locale, e in agosto fece ritorno ancora a Edimburgo. Vi erano tre case sicure dove poteva celebrare la Messa, e iniziò a gettare le basi per una congregazione. Ogilvie visitava i cattolici in prigione e riuscì a penetrare perfino nelle segrete del castello, dove Giovanni Macdonald attendeva la sua esecuzione. Guglielmo Sinclair, che ospitava Ogilvie a Edimburgo, suo ammiratore e amico, avrebbe pagato duramente la sua generosità con l'esilio e il sequestro dei beni. Nonostante ciò, rimase il suo più fedele ammiratore e fu un testimone chiave nel processo della sua beatificazione. All'epoca lui e la sua famiglia, specialmente i figli, Ruggero e Roberta. a:mono il gesuita nel suo lavoro, a cui si dedicava incessantemente, conservando però uno spirito sempre allegro, pronto allo scherzo o a raccontare una storiella divertente. Durante quello stesso mese di agosto Ogilvie fu mandato a Glasgow per incontrare i cattolici della città e celebrare la Messa in MI centro fondato da Marion Walker, un'eroica cattolica. Estese il suo ministero anche alle famiglie fuori Glasgow, che tornò a visitarle in settembre. Dopo un breve soggiorno a Edimburgo tornò a Glasgow il 3 ottobre, preoccupato di accogliere tre convertiti che lo attendevano: tra questi vi era un certo Adamo Boyd, uomo malvagio pronto a tutto per soldi. Egli aveva ordito un piano insieme all'arcivescovo di Glasgow, e riuscì a fissare un appuntamento col gesuita il 4 ottobre nella piazza del mercato. Ogilvie arrivò con un po' di anticipo e si imbatté nel cattolico Giacomo Stewart, e mentre i due stavano conversando Boyd diede il segnale a uno dci servitori del vescovo di arrestare il prete sospetto. Stewart tentò di proteggere Ogilvie, provocando una lite. Subito si radunò una gran folla di persone che portò il prete, nonostante le sue proteste, alla casa del sindaco, dove lo aspettava l'arcivescovo di Glasgow, Giovanni Spottiswoode. Come quest'ultimo varcò la soglia della stanza, Giovanni si alzò in piedi ma fu subito colpito in faccia da un pugno sferrato dal prelato che gli gridò: «Sei accusato di celebrare le tue messe in una città riformata!». Ogilvie apparteneva a una delle famiglie più importanti del paese, e mostrò tutta la sua fierezza rispondendo con voce che mal celava il suo sdegno: «Ti comporti come un macellaio, e non come un vescovo!». Altre volte la sua dignità sarebbe stata offesa, ma sempre durante il processo e le torture mantenne un contegno nobile, sopportando gli insulti e non dando ascolto alle menzogne. Il suo coraggio, l'intelligenza acuta, la rapidità nel rispondere alle false affermazioni dei suoi accusatori e a volte anche nel contestare all'arcivescovo gli argomenti speciosi, ma soprattutto la sua arguzia e il suo "humor” gli guadagnarono le simpatie della popolazione. Ogilvie aveva compreso l'importanza psicologica dello scherzare con i carcerieri: se avessero riso con lui, non avrebbero poi potuto essergli completamente ostili. Certo con questo non avrebbe ottenuto la libertà o una mitigazione delle torture, ma avrebbe creato a proprio vantaggio un senso almeno di familiarità e di umanità. Dopo lo scambio con l'arcivescovo, i servitori e i sottoposti lo malmenarono perché ritennero che avesse risposto male ma fu salvato da lord Fleming, che era riuscito a essere presente. Dopo averlo perquisito gli trovarono un breviario, un reliquiario d'argento, un sigillo fatto a anello, alcuni medicinali e una carta che elencava zone religiose controverse. Il giorno seguente ispezionarono la sua camera, ma non trovarono nulla, poiché un cattolico aveva nascosto l'altare portatile e i paramenti sacri ma, a una seconda ispezione, l'uomo consegnò gli oggetti compromettenti: il necessario per la Messa, una lista di nomi, forse di cattolici ma più probabilmente un messaggio in codice, un elenco dei paramenti e di altri oggetti sacri lasciati dal suo predecessore in diverse case sicure e una dispensa papale per i cattolici convertiti che possedevano proprietà della Chiesa. Il processo durò cinque mesi. Lo scopo non era solo quello di incolpare Giovanni: gli accusatori, infatti, per discolparsi dalla possibile critica di perseguitare qualcuno solo per la sua fede religiosa, dovettero imbastire un'accusa per tradimento; inoltre era fondamentale raccogliere cattolici apostati e, in caso non se ne fossero trovati, torturare i prigionieri per ottenere i nomi di coloro che avevano dato asilo a Giovanni e avevano assistito alle sue celebrazioni. Il giorno seguente all'arresto iniziarono le inchieste, condotte da giudici e dignitari: la maggioranza degli interrogati possedeva beni della Chiesa e aveva interesse nel porre i cattolici al bando. Il tribunale era presieduto da Spottiswoode, che oltre a essere arcivescovo di Glasgow era anche il consigliere privato del re. ll processo si trasformò in un confronto teologico tra l'arcivescovo e il gesuita, e perciò fuori dalla comprensione del resto della corte. La prima domanda che gli fu posta aveva lo scopo di metterlo fin dall'inizio sotto accusa: «Hai celebrato messe nei possedimenti del re?» Giovanni sapeva che un'ammissione avrebbe comportato l'immediata condanna per tradimento e perciò rispose: «Se questo fatto può essere considerato un crimine, deve essere provato dalle parole dei testimoni e non dell'accusatore». La corte promise di mostrare i testimoni, che erano ancora sotto interrogatorio. Sapendo che alcuni di loro avrebbero potuto incriminarlo, il gesuita rispose: «Allora molto bene: da un lato il mio diniego non invaliderebbe questa prova e dall'altro non intendo rafforzarla con un'ammissione, finché non mi parrà conveniente». Alla domanda riguardante le messe, Ogilvie si rifiutò di rispondere: «Furti, assassini, strozzinaggio, questi sono argomenti per il tribunale del re, non i sacramenti della religione». «Perché sei venuto in Scozia?»- «Per estirpare l'eresia.»- «Chi ti ha dato il permesso, dal momento che né il re né il vescovo l'hanno fatto?»- «Essi sono tutti fedeli al loro re e nulla più, e non possono avere potere in queste cose. Il gregge di Cristo è stato affidato a Pietro Da lì viene la mia giurisdizione.»- «È tradimento affermare che il papa ha potere spirituale nei domini del re.»- «È fede affermarlo.»- «Sei disposto a firmare questa dichiarazione?»- «Certo, anche col sangue.»- Ogilvie aveva già accuse sufficienti per essere condannato come traditore, come sanciva la legge scozzese, ma Spottiswoode era determinato a fare pressione per strappare a Giovanni quante più dichiarazioni di colpevolezza possibili.<br /> «Il papa può deporre un re eretico?»<br /> Rispose: «Non sono tenuto a esprimere un'opinione se non a una persona che ha l'autorità di giudicare una controversia religiosa, cioè al papa o a un suo delegato». Soddisfatto di quella affermazione che implicava la supremazia del papa sul re per le questioni religiose, Spottiswoode attaccò il gesuita sul suo punto debole: che cosa ne pensava della Congiura delle polveri? Rispose che detestava gli assassini dei re e non lo approvava. «Ma i gesuiti e i papisti insegnano queste cose.» In risposta Ogilvie citò il concilio di Costanza facendo riferimento alla vicina rivolta presbiteriana del 17 settembre. Se i cattolici potevano essere accusati di tradimento, che cosa dire di quei ministri presbiteriani che avevano legittimato il regicidio? «A Edimburgo ci sono ancora duemila persone che quel giorno hanno abbracciato le armi.» Ogilvie non aveva mangiato nulla dal giorno prima, aveva trascorso la notte in cella, aveva sopportato le percosse e un interrogatorio estenuante: iniziò a tremare convulsamente per la febbre che saliva. Questo primo interrogatorio fu interrotto, e fu fatto scendere vicino al fuoco. Uno dei sottoposti lo insultò violentemente e gli augurò che fosse gettato nel fuoco; Ogilvie rispose: «Mi farebbe molto piacere, sono congelato» e continuò a scherzare fino a che tutti furono costretti a ridere. Ritornato in cella, fu lasciato in pace per due giorni, ma poi lo presero e gli legarono i piedi a una pesante barra di ferro, costringendolo a rimanere sdraiato sulla schiena o seduto perché troppo debole per trascinarla in giro. Il buio e il puzzo della cella potevano solo peggiorare il suo sconforto nell'apprendere che coloro che avevano partecipato alle sue celebrazioni erano stati condannati a morte cd era stato detto loro che egli li aveva traditi. Per due mesi sopportò questa condizione di angoscia mentale, fino a che in un freddo giorno di dicembre fu fatto uscire e condotto a Edimburgo per un secondo interrogatorio. I parenti dei condannati vendicarono il loro dolore e il loro odio tirandogli neve e fango mentre lasciava Glasgow. Lo scopo di questo secondo processo era quello di ottenere dal prigioniero i nomi dei compagni cattolici. Fu interrogato sui suoi movimenti ma rifiutò di dare alcuna informazione: «Non sono tenuto a rispondere; dalle mie parole voi trarreste le vostre conclusioni per la dannazione della mia anima, l'offesa di Dio e la rovina dei miei vicini [...]. Nel tradire i miei amici offenderei Dio e porterei alla rovina la mia anima. Inoltre, questo non mi aiuterebbe ma mi indebolirebbe». Per piegare la volontà del gesuita fu deciso un metodo che non avrebbe lasciato tracce di maltrattamenti o mutilazioni: gli sarebbe stato impedito di dormire fino a che non si fosse deciso a parlare. Quattro sottoposti dell'arcivescovo vennero istruiti: il perio do durò dal 12 al 21 dicembre, otto giorni e nove notti. All'inizio per tenerlo sveglio usavano lance e aste ma, quando queste non sortirono più alcun effetto, veniva sollevato e lasciato cadere a terra, così che lo shock e il dolore lo riportavano di colpo alla realtà. Vi era un flusso continuo di ministri e ufficiali, che lo minacciavano di altre torture, gli promettevano premi se avesse accettato, gli domandavano i nomi che volevano sapere. Quando non riuscirono più a tenerlo sveglio, iniziarono a tirarlo avanti e indietro per i piedi e smisero solo quando un dottore affermò che sarebbe morto in poche ore. Guglielmo Sinclair, che seguì gli avvenimenti da vicino e più tardi riferì delle torture, disse: «Dai guardiani ai dottori che stettero con lui durante la veglia forzata agli altri che assistettero alla sua morte, ho udito che si meravigliarono di come sopportò fino alla fine quelle grandi sofferenze con uno spirito incredibilmente coraggioso e inflessibile». Gli furono accordati un giorno c una notte di riposo prima di sottoporlo a un altro interrogatorio. Emaciato e molto confuso, ma certo della prossimità della fine, Giovanni Ogilvie non ebbe tempo per i dettagli. Quando gli fecero notare che era stato trattato con clemenza nell'essere stato privato del sonno piuttosto che venire torturato con lo "stivale spagnolo", egli replicò:«Se mi aveste sottoposto allo "stivale" avrei ancora potuto essere stato trasportato in chiesa o in una sala di conferenze e guadagnarmi la mia ricompensa [...] ma in questo modo la veglia ha solo distrutto e ucciso la mia intelligenza. Quale peggior tortura, salvo la morte, mi avreste potuto infliggere, dal momento che nella mia chiamata ho bisogno di saggezza e lucidità e non delle gambe per servire Cristo e la Chiesa?» «Se non ti atterrai al volere del re, accadrà il peggio.» «[...] Non cambierò né aggiungerò nulla a ciò che ho detto. Quello che state per farmi, fatelo in fretta, a Dio piacendo. Non chiedo pietà. Solo una cosa domando: che facciate in fretta.» Lo riportarono in cella, ma non lo lasciarono in pace. Un delegato dello sceriffo andò a rimproverarlo per la sua testardaggine, aggiungendo: «Se fossi io il re, ti immergerei nella cera bollente». «Non ho dubbi sul fatto che se Dio ti avesse voluto fare diventare re, ti avrebbe dato un'intelligenza migliore.» Brindò alla sua salute e continuò a prenderlo in giro, tanto che anche Spottiswoode dovette ridere. L'uomo non gli serbò rancore ma, tornato a Glasgow il giorno seguente, invitò il prete a fare visita alla sua casa e ai suoi giardini. La vigilia di Natale del 1614 Ogilvie fece ritorno nella prigione dell'arcivescovo, dove vi erano condizioni relativamente più favorevoli. Spottiswoode lo trattava con più umanità, sperando con la gentilezza di spingerlo a collaborare: «Non possiamo decidere nulla del tuo destino fino a che non troviamo le tue lettere e le tue cose. É pazzesco che tu non riveli nulla e che così tante persone stiano lavorando al tuo caso senza ottenere nulla». «A dire il vero, spero che tu non abbia trovato nemmeno l'ombra della mia esistenza», fu la spiritosa osservazione del gesuita. Fu durante quel periodo relativamente tranquillo che Ogilvie scrisse la sua Relatio Incarcerationis per i fratelli gesuiti, consegnandola una pagina alla volta. Contemporaneamente re Giacomo stava redigendo la sua opera, un interrogatorio allo scopo di incastrare il gesuita, che non avrebbe potuto scampare il patibolo se avesse continuato a appoggiare la dottrina cristiana. Pose domande puramente ipotetiche, senza riferimenti al crimine di Ogilvie di aver celebrato la Messa o di aver fatto opera di conversione: il papa ha potere nelle questioni spirituali e temporali? Può egli scomunicare e deporre un sovrano che non appartiene alla sua Chiesa? E' omicidio uccidere, dopo il dovuto processo, un sovrano scomunicato e deposto? Le domande furono sottoposte al prigioniero il 18 gennaio. Era chiaro che veniva giudicato non tanto ciò che Ogilvie aveva fatto, bensì quello che pensava. Mantenendosi fedele alla sua linea, rifiutò di negare la giurisdizione spirituale o la supremazia del papa, ma non diede risposta a questioni controverse che non riteneva fossero di competenza del tribunale. Per correttezza aggiunse che condannava il patto di alleanza e supremazia e chiese che l'affermazione fosse registrata dal segretario della corte e firmata da egli stesso. Il destino di Ogilvie era segnato. Il suo secondino, sospettato di nutrire troppo attaccamento, fu cambiato; perfino la moglie dell'arcivescovo, che si pensava fosse stata conquistata dal fascino del gesuita, fu allontanata da Edimburgo. Il popolo, informato dalle chiacchiere del carceriere che lo aveva torturato, iniziò ad ammirarlo; la fama del suo coraggio morale e fisico si diffuse in tutta la Scozia e più lontano ancora. Gli furono messe catene più pesanti e furono fermate in maniera sicura. L'ultima lettera di Ogilvie al generale della Compagnia dice semplicemente: «Sono sottoposto a punizioni terribili e ad amari tormenti. Nel tuo amore paterno prega per me che possa morire con coraggio generoso per Gesù che ha trionfato su tutto per noi». Il re fissò la data del processo, a cui sarebbe seguita l'esecuzione se egli non avesse rinnegato le sue affermazioni. La notte prima del processo un nobile cattolico tentò di persuadere Ogilvie a scappare, ma egli non accettò. L'ultimo processo non portò nulla di nuovo, salvo che ora l'accusa era basata sulle risposte che Ogilvie aveva dato alle domande del re. La giuria lo giudicò colpevole di tradimento, e il verdetto fu emesso: il prigioniero era condannato all'impiccagione e allo squartamento. Fu condotto al patibolo il pomeriggio stesso del 28 febbraio (secondo l'opinione antica) o del 10 marzo (secondo nuovi studi) del 1615; fino all'ultimo momento gli furono offerte ricche ricompense se avesse negato la supremazia del papa. L'enorme folla, composta sia da cattolici che da presbiteriani, non approvava la condanna di un uomo così coraggioso: il sentimento di simpatia era così forte che il corpo di Ogilvie non venne fatto a pezzi, ma fu seppellito fuori della città. Pare che più tardi sia stato riesumato dai fedeli cattolici. Giovanni Ogilvie fu beatificato nel dicembre 1929 e canonizzato da Paolo VI nel 1976. MARTIROLOGIO ROMANO. A Glasgow in Scozia, san Giovanni Olgivie, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire: trascorsi molti anni nello studio della sacra teologia esule per i regni di Europa, ordinato sacerdote, tornò di nascosto in patria, dove con somma diligenza si dedicò alla cura pastorale dei suoi concittadini, finché, messo in prigione sotto il re Giacomo VI e condannato a morte, ricevette sul patibolo la gloriosa palma del martirio.

nome Sant'Attala- titolo Abate di Bobbio- nascita VI secolo, Borgogna- morte 10 marzo 627, Bobbio, Piacenza- ricorrenza 10 marzo- Santuario principale Abbazia di San Colombano- Attala era un borgognone di origini nobili, affidato ad Aredio, vescovo di Gap, perché ne curasse l'educazione. Desiderando una vita più rigida di quella condotta nella casa del vescovo, egli fuggì in segreto e si ritirò nel monastero di Lérins, dove rimase per un po' di tempo. Tuttavia anche il monastero non lo soddisfece, e decise di recarsi a Luxeuil, il monastero fondato da S. Colombano (23 nov.). Là trovò l'austerità a cui anelava e, in più, la stima e la direzione del grande santo irlandese. Quando Colombano venne bandito dalla Francia per aver rinfacciato i vizi di re Teodorico di Austrasia, decise di recarsi in Lombardia e portò con sé dei compagni irlandesi tra i quali Attala. Si fermarono a Bobbio, un paesino isolato dell'Appennino, su un terreno donato loro dal re longobardo Agilulfo. All'epoca Colombano aveva già settant'anni e, dal momento che visse solo un anno dopo la fondazione del monastero di Bobbio, la maggior parte del merito deve essere attribuita ad Attala, che fu abate dopo di lui dal 615.<br /> Tuttavia, una volta venuta meno l'autorità del santo, vi furono obiezioni all'austerità della vita della comunità. Ma Attala non si lasciò persuadere ad attenuare la rigidità delle regole, continuando a dedicarsi totalmente alla preghiera per i suoi fratelli monaci. Lasciò andare gli insoddisfatti e quando alcuni di questi fecero ritorno, li accolse con affetto di padre benevolente. Secondo Giona da Susa, il suo agiografo, Attala era «un uomo benevoluto da tutti, di grande fervore, carità per i poveri e i pellegrini. Sapeva tenere testa all'orgoglioso, ma era umile con i più umili, non si lasciava zittire in conversazioni con le persone intelligenti ma con i semplici sapeva parlare dei segreti di Dio. Saggio quando si imbatteva in problemi spinosi, fermo se contestato dagli eretici, era forte nelle avversità, disciplinato nei periodi favorevoli, sempre temperato e discreto. Mostrava amore e rispetto verso i suoi subalterni, saggezza con i suoi discepoli. In sua presenza nessuno poteva essere smodatamente triste o felice». Come Colombano, Attala combatté contro l'arianesimo, diffuso nei distretti vicino a Milano. Quando si ammalò gravemente chiese di venire disteso fuori dalla cella, vicino alla quale stava una croce che sempre egli toccava nell'entrare e nell'uscire, e di essere lasciato solo. Un monaco rimase poco lontano. Il morente pregò con fervore per la grazia di Dio e, così disse l'altro monaco, ebbe una visione del paradiso che durò per diverse ore. Riportato nella sua cella morì il giorno seguente. Attala fu seppellito a Bobbio di fianco a S. Colombano. Più tardi il corpo di S. Bertolfo (19 ago.) fu messo nella stessa tomba e i tre santi vennero venerati insieme. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Bobbio in Emilia, sant’Attala, abate, che, cultore di vita cenobitica, si ritirò dapprima nel monastero di Lérins e poi in quello di Luxeuil, nel quale succedette a san Colombano, distinguendosi in particolare per lo zelo e la virtù del discernimento.

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