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I santi di oggi 17 luglio:
nome Santa Edvige- titolo Regina di Polonia- nome di battesimo Jadwiga d'Angiò- nascita 1374, Budapest, Ungheria- morte 17 luglio 1399, Cracovia, Polonia- ricorrenza 17 luglio- Beatificazione 8 agosto 1986 da papa Giovanni Paolo II- Canonizzazione 8 giugno 1997 da papa Giovanni Paolo II- Attributi corona, scettro e giglio di Francia- Patrona di regine, Polonia e Unione europea- Edvige, nata nel 1374, figlia di Ludovico d'Angiò, re d'Ungheria e Polonia, e di Elisabetta di Bosnia, aveva appena un anno quando fu promessa in sposa a Guglielmo, erede degli Asburgo al Granducato d'Austria, e più grande di lei di quattro anni. I due bambini s'incontrarono nel 1378 e si scambiarono promesse solenni per procura; poi Edvige fu mandata alla corte degli Asburgo a Vienna per ricevere una educazione consona al suo futuro ruolo di granduchessa. Ritornò subito a Buda, in ogni caso, alla morte di Caterina, la sorella maggiore, per essere nominata dal padre futura regina d'Ungheria. Il re morì inaspettatamente nel 1382, quando Edvige aveva solo otto anni, e gli ungheresi si opposero all'ascesa al trono della regina, preferendo la sorella Maria, che era già stata scelta dalla nobiltà polacca come futura sovrana. In seguito a una considerevole attività diplomatica e a molti intrighi politici, i polacchi elessero Edvige al posto di Maria, e la nuova regina raggiunse il suo nuovo regno nell'estate del 1384 per essere incoronata in quello stesso anno; non le rimaneva altro da fare che sposarsi per potersi assicurare la successione. A dispetto delle promesse, i nobili polacchi decisero che avrebbe sposato Ladislao Jagellone, granduca di Lituania e Rutenia, che non era ancora cristiano (e che promise di battezzarsi se il matrimonio avesse avuto luogo). Gli Asburgo tentarono di persuadere la giovane regina ad accettare Guglielmo in sposo, e quest'ultimo si recò a Cracovia per reclamare il suo diritto, ma Edvige rifiutò e, forse riluttante, accettò la decisione dei suoi consiglieri. Ladislao, i suoi fratelli e i nobili lituani che erano al governo furono battezzati nel febbraio 1386 nella cattedrale di Cracovia, e il matrimonio reale avvenne più tardi nello stesso mese; Edvige aveva dodici anni (età della maturità a quel tempo), e Ladislao trentasei. L'unione di Polonia, Lituania, e Rutenia garantiva al potente stato la possibilità di resistere alle mire espansionistiche della Germania e di Mosca. La corte asburgica non si rassegnò, e circolarono racconti maliziosi sul fatto che Edvige e Guglielmo avevano consumato il matrimonio in precedenza, quando le aveva fatto visita, ed era stato incoronato re. Edvige fu dichiarata adultera e bigama, e Jagellone un usurpatore, falso convertito, e rapitore di mogli. Mentre questi resoconti erano maliziosi e politicamente senza motivo, esistevano alcune prove legali contro il comportamento degli Asburgo in occasione della cerimonia ufficiale di fidanzamento che aveva avuto luogo nel 1378, e che normalmente era intesa a impedire il matrimonio con un'altra persona. Forse gli Asburgo aggiunsero che il matrimonio era stato consumato, perché la causa legale era assai compromessa dalla giovane età di Edvige all'epoca del fidanzamento. Le accuse arrecarono un grave danno alla posizione della giovane regina al di fuori della Polonia, specialmente quando furono riportate nelle cronache dei cavalieri teutonici, che avevano le loro ragioni per non apprezzare Jagellone. Si trovano persino disseminate nelle opere di Enea Silvio Piccolomini (il futuro papa Pio II) del secolo successivo, che, grazie alla sua fama dí scrittore, contribuì a rafforzarle. Le calunnie continuarono a diffondersi anche dopo una dichiarazione del papa nel 1388 che lodava la coppia reale, definendo Ladislao «un principe molto cristiano», e che si rallegrava del suo battesimo; un papa successivo, Bonifacio IX, accettò di fare da padrino al bambino che Edvige stava aspettando. Nel frattempo, Ladislao si dedicò al compito di cristianizzare la Lituania, mantenendo la promessa fatta in occasione del suo matrimonio: vi si recò nel 1386 con alcuni missionari, prendendo parte personalmente alla distruzione dei templi pagani e dei boschi sacri. Non usò la forza per costringere il popolo a ricevere il battesimo, su cui insistevano i decreti reali, e la gente fu battezzata a gruppi, dopo aver ricevuto un'istruzione insufficiente (forse nessuno dei missionari parlava il lituano). Fu istituita una diocesi nella capitale, Vilnius; Ladislao ed Edvige donarono calici, dipinti, e arredi per la nuova cattedrale e le chiese, e successivamente Edvige fondò un collegio a Praga per la formazione dei sacerdoti lituani. La regina desiderava l'unione tra i cristiani latini e quelli ortodossi nel suo regno; ammirava la bellezza del culto bizantino e chiamò alcuni monaci di rito slavo da Praga, per contribuire congiungimento dei due culti. Ladislao fondò un monastero di benedettini slavi fuori Cracovia, Edvige rivolse la sua attenzione anche alla liturgia della cattedrale di Cracovia: desiderava che diventasse un centro di culto permanente, in cambio della grazia che Dio le aveva concesso, perciò fondò un collegio di salmisti, un gruppo di sedici sacerdoti che si alternavano nel cantare i salmi nella cattedrale ventiquattro ore il giorno, interrompendo il canto solo nel caso di una funzione. Durante il suo regno dovette affrontare un certo numero di rivolte e un'invasione della Lituania da parte dei cavalieri teutonici. Le questioni politiche erano complicate, ma Edvige cercò sempre di trovare una soluzione pacifica e riuscì persino a sconfiggere i potenti cavalieri con un'attenta negoziazione e il compromesso. All'inizio del 1399 si ritirò dalla vita pubblica, poiché aspettava una bambina, che nacque prematuramente in giugno, e che morì dopo tre settimane. La stessa Edvige spirò dopo quattro giorni, il 17 luglio, e fu sepolta nella cattedrale di Wawel; nel suo testamento chiedeva che tutte le sue proprietà personali fossero vendute e il ricavato donato come contributo per il restauro dell'università di Cracovia. Il culto si estese rapidamente, e fu tenuto un resoconto dei miracoli avvenuti per sua intercessione, in un registro speciale. Era solitamente chiamata "benedetta", e la causa della sua canonizzazione fu iniziata nel 1426. Nei secoli successivi, quando la Polonia fu smembrata, divenne l'ideale del nazionalismo polacco: «Questa vita, così breve, ma interamente dedita a una grande causa, caratterizza, come nel caso di Giovanna d'Arco nella storia francese e occidentale, la svolta più decisiva nel destino della Polonia e dell'Europa orientale» (Halecki). Edvige non è stata beatificata fino al 1986, e papa Giovanni Paolo II l'ha canonizzata a Cracovia nel 1997. MARTIROLOGIO ROMANO. A Cracovia in Polonia, santa Edvige, regina, che, nata in Ungheria, ricevette il regno di Polonia e, sposatasi con il granduca lituano Iaghellone, che prese al battesimo il nome di Ladislao, seminò insieme al marito la fede cattolica in Lituania.
nome Sant'Alessio- titolo Mendicante- nascita IV Secolo, Roma- morte 14 luglio 412, Roma- ricorrenza 17 luglio- Santuario principale Monastero della Grande Lavra Peloponneso- Attributi bastone, stuoia, scala, croce, foglietto o lettera- Patrono di moribondi, mendicanti, campanari e portieri- Sant'Alessio fu figliuolo d'un nobilissimo uomo di Roma, il quale aveva nome Eufemiano, ed era il maggiore che visse nella corte dello Imperatore; Eufemiano uomo di tanta di tanta ricchezza e di tanta magnificenza, che continuamente aveva a suo servizio tremila donzelli, i quali vestivano di vestimenta di seta e cintole d'oro. Ed era costui tanto misericordioso al contrario dei poveri, che ogni dì nella sua abitazione aveva tre mense di poveri pellegrini, d'orfani e di vedove. Alessio era nato quando Eufemiano e sua moglie, Egle, erano già vecchi; era cresciuto virtuosamente e, giunto in età adatta, aveva rifiutato per moglie una nobile e ricca fanciulla. La vigilia delle nozze, però, si legge ancora, « si tolse dalle sue stanze e partì andando occultamente al mare ». Giunse per mare a Edessa, in Asia Minore, dove si fece povero volontario. « Ciò che aveva portato con se lo diede ai poveri e vestendosi di umili panni, si stava cogli altri poveri sotto il portico della chiesa della Vergine Maria a ricevere la limosina; e della limosina che riceveva, quella che era a lui di necessità, prendeva per sé, e il resto lo dava ai poveri bisognosi ». Il padre lo fece ricercare invano, dai suoi tremila servitori, alcuni dei quali giunsero anche a Edessa, lo videro, ma non lo riconobbero. Pianto ormai per morto, Alessio restò a Edessa per diciotto anni; poi riprese il mare e tornò a Roma. Per andare fino in fondo sulla via dell'umiliazione, si presentò alla casa paterna, fingendosi un povero pellegrino. Fu accolto con la consueta generosità, e ospitato in un sottoscala del palazzo. Vi restò, ignoto a tutti, altri diciassette anni. Sentendosi prossimo alla morte, versò su un foglio la propria confessione e aspettò, steso sotto la scala, il momento del trapasso. Quel giorno nella città, si udì una voce dal cielo dire: « Cercate l'uomo di Dio, che preghi per la città di Roma! ». « Cercate nel monte Aventino, in casa di Eufemiano ». Eufemiamo cercò, e con lui cercò l'Imperatore, detto Arcadio Onorio, e con loro cercò il Papa, Innocenzo. Non trovarono nessuno, finché si ricordarono del pellegrino nel sottoscala. Era morto, « e la sua faccia risplendeva a modo d'un angiolo. Dal foglio di carta che egli stringeva sul petto, venne conosciuta la verità, e cioè che il pellegrino sconosciuto a tutti era proprio Sant'Alessio, scomparso alla vigilia delle nozze e vissuto di elemosine nella casa del proprio padre ». MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma sant'Aléssio Confessore, figlio del Senatore Eufemiàno. Egli, nella prima notte delle nozze, partito di casa lasciando intatta la sposa, e, dopo lunga peregrinazione, tornato a Roma, con nuova arte deludendo il mondo, rimase incognito per diciassette anni nella casa patema, alloggiatovi come povero; ma dopo la morte, riconosciuto per una voce che si udì nelle chiese di Roma e per un suo scritto, al tempo del Papa Innocènzo primo, fu con sommo onore trasferito alla chiesa di san Bonifacio, dove rifulse per molti.<br /> miracoli.
nome Santa Marina- titolo Monaca- nascita 715, Bitinia- morte 750, Libano- ricorrenza 18 giugno e 17 luglio- Secondo il Martirologio Romano,Santa Marina si festeggia il 18 giugno, e il 17 luglio si celebra la traslazione delle sue reliquie da Costantinopoli a Venezia, avvenuta nel 1231. Nella chiesa infatti si raccoglievano le gesta dei santi che poi venivano trascritte perché fossero di esempio a tutti i cristiani e venivano lette durante la messa. L'altare di questa santa è meta di pellegrini provenienti da tutto il mondo, in particolare dalle località dell'Italia centro meridionale, dove è ancora venerata. Marina nacque a Qalamoun nel Nord del Libano. Suo padre Eugenio era un pio uomo. Sua madre morì quando Marina era molto piccola. Fatto che indusse il padre a rinunciare al mondo per ritirarsi nel Monastero di Qannoubine nella Valle Santa, accompagnato dalla figlia, che vestì da maschio, introdotta ai monaci col nome di Marino. La giovane si dedicò alla pratica delle virtù monastiche con massima spiritualità e precisione. Un giorno, mandato in missione in una città vicina, dovette trascorrere la notte a casa di un amico dei monaci che sia chiamava Paphnotius, la cui figlia era incappata in adulterio e rimasta incinta. Quando il padre scoprì il fatto s'infuriò e la figlia attribuì la colpa al monaco. L'uomo andò subito al Monastero dal Superiore che chiamò Marino e lo sgridò, ma questi non disse nulla per discolparsi. Il suo silenzio fu interpretato come un'ammissione di colpa e Marino fu condannato a svestire l'abito. Quando la figlia partorì, il nonno portò il bambino al Monastero e lo affidò a Marino che lo allevò con ciò che i monaci usavano dargli, latte di capra e avanzi. Marino sopportò la vergogna senza nessun lamento per quattro anni, poi il Superiore mosso a compassione lo riammise al Monastero sotto severissime condizioni. Marino perseverò nella sua opera ascetica fino alla morte quando i segni del suo volto brillavano di luce divina. Grande lo stupore dei monaci quando, nel preparare il corpo per la sepoltura, scoprirono che Marino era una donna. Il Superiore e i monaci s'inginocchiarono davanti al corpo immacolato, chiedendo perdono a Dio e all'anima della santa divina. Un'imperatrice di nome Marina, molto devota della Santa, per meglio assicurare dalla profanazione il suo sacro corpo, ordinò che venisse collocato nei sobborghi della Città imperiale (Costantinopoli). Da qui il s. corpo fu traslato in Romania presso un monastero da cui, successivamente, nel 1228, il mercante veneziano Giovanni Bora lo avrebbe acquistato e portato a Venezia dove volle impreziosire di quel sacro deposito la sua Parrocchia, che al nome di S. Liberale aggiunse quello di S. Marina. La Santa mostrò presto quanto fosse efficace il suo patrocinio presso Dio. Il suo culto fu in ogni tempo grande presso i Veneziani, ma si accrebbe e prese una forma civile, mentre prima era di carattere esclusivamente ecclesiastico, nel 17 luglio dell'anno 1509. Allora, nelle gravi angustie della guerra di Cambrai, le armi della Serenissima Repubblica, messe sotto il Patrocinio di questa inclita Vergine, poterono riconquistare la città di Padova, le cui chiavi in seguito vennero conservate nella chiesa della Santa. In tale circostanza la gloriosa Vergine fu dichiarata Patrona Minus principalis di Venezia. Il Senato, considerando che questo felice avvenimento era una grazia dovuta alla protezione di S. Marina, decretò che il 17 luglio di ogni anno fosse il giorno festivo e che il Doge, con lo stesso Senato, dovesse recarsi con gran pompa alla chiesa della Santa, per omaggiarla del suo patrocinio. Dopo il 1810, per le vicende dei tempi, la bella chiesa dedicata a S. Liberale e a S. Marina fu distrutta; il corpo della cara Santa fu trasportato nella chiesa di S. Maria Formosa, dove tuttora si può venerare, deposto in una sontuosa cappella. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Alessàndria la passione di santa Marina Vergine.
nome Santa Marcellina- titolo Vergine- nascita 330 circa, Treviri- morte 400 circa, Milano- ricorrenza 17 luglio- Marcellina, sorella maggiore di S. Ambrogio (7 dic.), nacque probabilmente a Treviri nel 330 circa, dove il padre era prefetto del luogo. Si recò a Roma con la sua famiglia e nel 353 si consacrò a Dio davanti a Papa Liberio in S. Pietro nel giorno dell'Epifania del Signore, che nella sua omelia per la circostanza la esortò ad amare solo Nostro Signore Gesù Cristo, a vivere in perpetuo raccoglimento e penitenza, e a comportarsi sempre in chiesa con il massimo rispetto e timore. S. Ambrogio riferisce quest'omelia, apportando delle aggiunte nelle parti in cui il papa non era stato abbastanza eloquente, dedicando a Marcellina la propria opera sul valore altissimo della verginità. Mentre Ambrogio era vescovo di Milano, Marcellina soleva fargli visita e consigliarlo su questioni spirituali, continuando a occuparsi di lui come quando il fratello era bambino e poi adolescente. Ambrogio le scrisse tre lettere, in cui le esponeva i problemi che stava affrontando, che ci sono state tramandate. La vita stessa di Marcellina fu caratterizzata da grande austerità, e verso la fine S. Ambrogio la spinse a moderare il digiuno e le penitenze; non viveva in una comunità, ma in una casa privata a Roma con una sola compagna, e morì pochi anni dopo la morte del fratello vescovo, avvenuta nel 397. Una Vita antica afferma che Marcellina cessò di vivere mentre S. Simpliciano (15 ago.) era vescovo di Milano, dal 397 al 401. In un'omelia per il funerale di S. Satiro (17 sett.), il fratello minore, Ambrogio accennò a Marcellina, come a « una sorella devota, degna di venerazione per la sua innocenza, e altrettanto devota per la sua rettitudine, e non di meno per la sua gentilezza verso gli altri » Fu sepolta nella basilica di S. Ambrogio a Milano, accanto al fratello; nel 1812 le sue reliquie furono traslate in una cappella costruita in suo onore, nella stessa basilica, grazie alle offerte dei fedeli. MARTIROLOGIO ROMANO. A Milano, santa Marcellina, vergine, sorella del vescovo sant’Ambrogio, che ricevette a Roma nella basilica di San Pietro il velo della consacrazione da papa Liberio nel giorno dell’Epifania del Signore.
nome Beate Teresa di Sant'Agostino e compagne Carmelitane di Compiegne- titolo Vergini e martiri- ricorrenza 17 luglio- Le prime vittime della Rivoluzione francese a essere beatificate (nel 1906) furono un gruppo di carmelitane provenienti da Compiègne e un laico, Mulot de la Ménardière, che le aveva aiutate. Le monache avevano lasciato il loro convento e vivevano in case private, indossavano abiti secolari, ma fecero del loro meglio per continuare il loro stile di vita carmelitano. Furono arrestate nel giugno del 1794, con l'accusa di continuare a condurre la loro vita religiosa e di complottare contro la repubblica; Mulot de la Ménardière fu arrestato allo stesso tempo e accusato di averle aiutate nei loro crimini. Furono imprigionate nel convento della Visitazione a Compiègne, trasformato in carcere, insieme alle monache benedettine di Cambrai, dove rinnegarono il giuramento di alleanza alla repubblica, pronunciato nel 1790; trasferite a Parigi, furono processate e condannate a morte per essere diventate «nemiche del popolo, per aver cospirato contro il suo governo sovrano». Sedici monache e Mulot de la Ménardière affrontarono la ghigliottina il 17 luglio 1794; altre tre monache della congregazione furono risparmiate per infermità o morte precoce. Il gruppo comprendeva dieci monache, una novizia, tre sorelle laiche, e due esterne: Maria Maddalena Claudina Lidoine (Teresa di S. Agostino, priora, di quarantuno anni); Maria Anna Francesca Brideau (suora S. Luigi, sotto priora, quarantadue anni); Maria Anna Piedcourt (Anna Maria di Gesù Crocifisso, settantotto anni); Anna Maria Maddalena Thouret (Carlotta della Resurrezione, settantotto anni); Maria Claudia Cipriana Brard (Eufrasia dell'Immacolata Concezione, cinquantotto anni); Maria Francesca de Croissy (Enrichetta di Gesù, quarantanove anni); Maria Anna Hanisset (Teresa del Cuore di Maria, cinquantadue anni); Maria Gabriella Trézel (Teresa di S. Ignazio, cinquantuno anni); Rosa Cristiana de Neuville (Giulia Luisa di Gesù, cinquantadue anni); Marie Annette Pelras (Maria Enrichetta della Provvidenza, trentaquattro anni); Angelica Roussel (Maria dello Spirito Santo, cinquantuno anni); Maria Dufour (suor S. Marta, cinquantadue anni); Elisabetta Giulietta Vérolot (suor S. Francesco Saverio, trent'anni); la novizia Maria Genoveffa Meunier (Costanza, ventinove anni); e due esterne, le sorelle Caterina e Teresa Soiron, cinquantadue e quarantasei anni. MARTIROLOGIO ROMANO. A Parigi in Francia, beate Teresa di Sant’Agostino (Marta Maddalena Claudina) Lidoine e quindici compagne vergini del Carmelo di Compiègne e martiri, che durante la rivoluzione francese furono condannate a morte per avere fedelmente osservato la disciplina monastica e, giunte sul patibolo, rinnovarono le promesse di fede battesimale e i voti religiosi.
nome Santi Martiri Scillitani- titolo Religiosi- ricorrenza 17 luglio- Questi martiri, talvolta conosciuti come i Martiri Scillitani, furono perseguitati durante l'ultimo anno della persecuzione iniziata dall'imperatore Marco Aurelio, anche se la loro morte avvenne durante il primo anno del regno del suo successore Commodo. Nel gruppo c'erano dodici cristiani, sette uomini e cinque donne, provenienti da Scillium, in qualche luogo dell'attuale Tunisia. Al loro arresto, furono portati a Cartagine per essere interrogati dal proconsole, che offri loro il perdono se avessero adorato gli dèi romani e creduto nello spirito divino dell'imperatore. Sperato replicò: «Io non conosco il potere secolare, ma sono suddito di quel Dio che nessun uomo ha mai visto, né può vedere con i suoi occhi. Non ho mai commesso furti, ma ogni volta che concludo un affare pago sempre il tributo, perché obbedisco al mio sovrano e imperatore dei rc di tutti i secoli». Il proconsole gli chiese se avessero bisogno di tempo per pensare alla questione, ma Sperato parlò per gli altri, affermando: «In una questione tanto chiaramente giusta, la decisione è già presa». Ribadirono la loro lealtà a Cesare, ma il loro dovere sovrastante di ubbidire e servire Dio. Nel proclamare la sentenza, il proconsole affermò che erano condannati per «aver dichiarato di vivere secondo la religione cristiana, pur essendo stata data loro la facoltà di ritornare alle tradizioni romane, ostinatamente rifiutata». Questi i nomi dei martiri che furono decapitati fuori della città: Sperato, Aquilino, Cittino, Donata, Felice, Generosa, Gennara, Letanzio, Nartzalo, Seconda, Vestia e Veturio. Il fatto che non fossero torturati e giustiziati con la decapitazione, può significare che si trattava di cittadini romani. I loro Acta sono considerati autentici, primo documento latino datato della Chiesa occidentale e il primo a menzionare l'esistenza di una Bibbia in latino. MARTIROLOGIO ROMANO. A Cartagine, nell’odierna Tunisia, anniversario della morte dei santi martiri Scillitani, Sperato, Nartzale, Cittino, Veturio, Felice, Aquilino, Letanzio, Gennara, Generosa, Vestia, Donata e Seconda, che per ordine del proconsole Saturnino furono, dopo una prima confessione della fede in Cristo, gettati in carcere; condotti in ceppi il giorno seguente, confessarono con fermezza di essere cristiani e, al rifiuto di onorare l’imperatore come dio, furono condannati a morte: messisi tutti in ginocchio sul luogo dell’esecuzione, furono decapitati con una spada mentre rendevano grazie a Dio.
nome Sante Giusta e Rufina- titolo Martiri di Siviglia- ricorrenza 17 luglio- In base a una tradizione amica, Giusta e Rufina erano due cristiane che vissero a Siviglia, in Spagna nella seconda metà del III secolo, guadagnandosi da vivere vendendo vasellame di terracotta. Un giorno, una processione in onore degli dèi pagani passò sotto casa loro, e al loro rifiuto di donare i vasi necessari alla cerimonia, la folla irata distrusse tutti gli strumenti della loro professione; le due donne ricambiarono l'offesa abbattendo le statue pagane, furono arrestate e torturate affinché rinnegassero la loro fede cristiana. Perseverarono nel loro rifiuto di venerare gli dèi pagani: Giusta fu condannata alla ruota, Rufina strangolata o decapitata; i loro corpi furono poi arsi sul rogo. L'anno della loro morte sembra il 287, ma non vi sono prove a sostegno. Esisteva un culto diffuso delle due martiri in Spagna, e furono proclamate patronc di Siviglia e di altre città; i loro nomi compaiono nei martirologi primitivi, anche se il Martirologio Geronimiano non menziona Rufina, e in alcuni elenchi Giusta è invece un uomo, Giusto. Un resoconto del loro martirio contenuto in un manoscritto del X secolo può risalire al V secolo, e il suo stile sobrio e l'esatta descrizione dei riti pagani, oltre ad altri dettagli storici, indicherebbero che si basava su una forte tradizione orale o scritta. MARTIROLOGIO ROMANO. A Siviglia nell’Andalusia in Spagna, sante Giusta e Rufina, vergini, che, arrestate dal governatore Diogeniano e sottoposte a crudeli supplizi, patirono il carcere, l’inedia e altre torture: Giusta morì in prigione, mentre a Rufina, per aver confessato la sua fede nel Signore, fu spezzato il collo.
nome San Leone IV- titolo 103º papa della Chiesa cattolica- nascita Roma- Creato cardinale nel 844 da papa Sergio II- Elezione 27 gennaio 847- Insediamento 10 aprile 847- Fine pontificato 17 luglio 855, (8 anni e 171 giorni)- morte 855 circa, Roma- ricorrenza 17 luglio- Beatificazione<br /> 6 novembre 1675 da papa Clemente X- Canonizzazione Piazza San Pietro, 22 aprile 1723 da papa Innocenzo XIII- Santuario principale Basilica di San Pietro in Vaticano- Leone, romano di nascita, ma probabilmente di discendenza longobarda, studiò nel monastero benedettino di S. Martino, vicino a S. Pietro, diventando monaco; il suo primo incarico ufficiale fu il ministero di suddiacono nella curia di Gregorio IV (827-844). Il successore di Gregorio, Sergio II (844-847), lo nominò cardinale prete dei SS. Quattro Coronati (la chiesa dei Quattro Coroati; 8 nov.). Alla morte di Sergio, Leone fu eletto papa all'unanimità, senza attendere il consenso imperiale, forse perché la minaccia delle incursioni saracene che incombeva su Roma rendeva tassativa la presenza di una guida potente in città. Leone si preoccupò di rinforzare le mura e le difese per prevenire che si ripetesse ciò che era accaduto l'anno precedente, quando i saraceni avevano risalito il Tevere in barca e avevano saccheggiato la città, profanando le tombe dei SS. Pietro e Paolo. Con l'aiuto finanziario dell'imperatore, Lotario I, fece costruire nuove mura attorno a S. Pietro e al colle del Vaticano, creando la cosiddetta "città leonina", di cui si possono ancora vedere le mura e le torri massicce, «una dimostrazione della forza indipendente del papato, così come un trionfo dal punto di vista organizzativo» (Duffy). Organizzò le flotte di Amalfi, Gaeta e Napoli, sconfiggendo i saraceni in una decisiva battaglia navale al largo di Ostia, nell'849; nell'854, cominciò la ricostruzione della città di Centumcellae in un luogo più sicuro, chiamando la nuova città Leopoli (l'attuale Civitavecchia), e infine, come parte di questo piano di difesa, presidiò Porto con rifugiati corsi. Leone fu acclamato come salvatore della città, e il rispetto personale di cui godette contribuì a ripristinare l'autorità del papato. Nelle questioni ecclesiastiche, Leone fu giusto, decisivo e. tenace: denunciò Incmaro, arcivescovo di Reims, e Giovanni, arcivescovo di Ravenna (entrambi potenti prelati), e scomunicò Anastasio, cardinale di S. Marcello, nonostante fosse appoggiato dall'imperatore. Sostenne i vescovi bretoni contro il duca di Bretagna, e rifiutò le richieste dell'imperatore di nominare Incmaro come vicario apostolico e di dare al vescovo d'Autun il pallium. Annullò i decreti del sinodo di Soissons (853) e ordinò che fosse riconvocato, questa volta alla presenza di nunzi apostolici. I suoi rapporti con gli imperatori occidentali furono caratterizzati da un equilibrio sottile: cercò la loro approvazione delle nomine episcopali, incoronò e consacrò il figlio di Lotario, Lodovico II, a Roma nel 850, ma, come mostrano gli esempi già presentati, negò loro di interferire nella politica ecclesiastica o nelle nomine episcopali. Ordinò la condanna a morte di tre messi imperiali che avevano ucciso un nunzio apostolico, a dispetto della tensione che, di conseguenza, si creò nei rapporti con Lotario. Nei confronti della Chiesa e dell'imperatore orientale fu ugualmente inflessibile: si oppose quando il patriarca depose un vescovo siciliano senza averlo consultato e richiamò entrambi i prelati a Roma per sistemare la questione. L'elenco dei benefici di Leone per le chiese occupa ventotto pagine del Libar Pontsficalis: fu tenace nel ripristinare la disciplina nella Chiesa e nell'assicurarsi che la liturgia fosse celebrata in luoghi adatti. Nell'849 replicò a lungo a un elenco di domande su questioni disciplinari sottoposte al suo giudizio dai vescovi inglesi; dopo quattro anni, ricordò a un vescovo nordafricano di mantenere la tradizionale disciplina penitenziale. Convocò un concilio a S. Pietro nell'853, per sostenere i canoni riformatori del suo predecessore Eugenio II, su questioni come l'istruzione clericale, l'osservanza della domenica, la simonia, e il matrimonio. Le sue riforme liturgiche concernevano principalmente la giusta osservanza di ciò che egli definì, in una lettera a un abate che viveva in errore: «il dolce canto di S. Gregorio [in uso tra] tutti coloro che si servivano della lingua latina per pagare il loro tributo al Re dei cieli». Istituì anche l'osservanza di un'ottava per la festa dell'Assunzione della Beata Vergine Maria. Importante organizzatore e fermo credente nella giurisdizione universale del suo ufficio, Leone fu anche santo, irreprensibile, esente dal minimo sospetto di scandalo o corruzione, e la sua integrità personale favorì la rinascita del prestigio del papato tramite la sua guida secolare ed ecclesiastica. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma presso san Pietro, san Leone IV, papa, difensore dell’Urbe e sostenitore del primato di Pietro.
nome San Chenelmo- titolo Martire in Inghilterra- nascita Inghilterra- morte IX secolo, Inghilterra- ricorrenza 17 luglio- Santuario principale Winchcombe- Vari calendari e libri liturgici, dal 975 circa, includono il nome di S. Chenelmo al 17 luglio, in quanto martire. Guglielmo di Malmesbury, scrittore vissuto nella prima metà del mi secolo, afferma che fu S. Dunstan (19 mag.; t 988) che stabili di venerarlo come martire. Non vi è dubbio che sia realmente esistito: era il figlio di Chenulfo (o Coenwulf), re della Mercia dal 796 all'821, e sua sorella era Quendrida, che a un certo punto diventò badessa di Minster nel Kent. Nel 798, papa S. Leone III (12 giu.) confermò il possesso di Glastonbury da parte di Chenelmo, perciò il suo nome si trova sui documenti dall'803 all'811, con il titolo di princeps (principe) o dux (generale, o capo). Poiché è improbabile che fungesse da testimone di una dichiarazione prima dei sedici anni, forse nell'811 ne aveva ventiquattro circa. Non si sa nient'altro di lui, tranne che morì nell'812, o forse nell'821, e che fu seppellito a Winchcombe, un importante centro della Mercia e luogo di sepoltura reale. E possibile che sia morto in battaglia, quando era ancora relativamente giovane; il padre, che probabilmente morì dopo di lui, fu anche lui sepolto a Winchcombe. Chenelmo, in base alla leggenda, aveva solo sette anni quando successe al padre sul trono reale, e dopo aver governato per alcuni mesi soltanto, fu ucciso dal suo tutore per istigazione della sorella gelosa, successivamente punita con la perdita degli occhi mente praticava una stregoneria, che consisteva nel leggere il salterio al contrario. Questa storia compare per la prima volta nella cronaca dell'xi secolo di Fiorenzo di Worchester; si trattava di un racconto semplice che attrasse i nostri antenati e che, espresso con dettagli stupefacenti, fece sì che Chenelmo fosse estesamente venerato in Inghilterra durante il Medio Evo. Come riferì Guglielmo di Malmesbury, «il corpo del piccolo santo è solennemente venerato, e in nessun altro luogo in Inghilterra è venerato da un numero maggiore di partecipanti a una festività» (citato in Basset). Versioni successive della leggenda raccontano che il corpo del ragazzo fu segretamente sepolto dagli assassini, ma poi ritrovato grazie a una lettera lasciata cadere da una colomba sull'altare di San Pietro a Roma, tradotta in seguito da alcuni pellegrini inglesi che poi scoprirono la tomba. Fu trovato un coltello insanguinato accanto al corpo, e una fonte d'acqua curativa sgorgò dal luogo della sepoltura, una volta rimosso il corpo. L'innocenza di Chenelmo da ragazzo, e l'ingiustizia della sua morte, furono sufficienti per venerarlo come martire. Si dice che la cappella di S. Chenelmo a Clent, vicino a Stourbridge, sia il luogo dell'assassinio, e gli archi chiusi nel lato orientale della chiesa indicano il punto in cui i pellegrini solevano radunarsi presso la fonte sacra. Alcuni scavi a Winchcombe, eseguiti nei primi anni del XIX secolo, hanno portato alla luce due sepolcri di pietra, uno contenente le ossa di un adulto, l'altro quelle di un bambino e un coltello. Le ossa si sbriciolarono, ma le bare furono conservate nella chiesa parrocchiale e si può presumere con una certa sicurezza che siano quelle di Chenulfo e Chenelmo (Anderson). Alcuni studi recenti hanno suggerito che la cripta della chiesa di S. Pancrazio che sorgeva precedentemente a Winchcombe può essere stata il mausoleo originale della coppia reale, prima che i loro resti fossero spostati nella chiesa dell'abbazia vicina. Il culto sembra essere stato in declino a partire dal xiii secolo; nel complesso, si può accettare l'affermazione che «la leggenda di Chenelmo è un buon esempio di come uno scrittore, con un'immaginazione vivace e qualche dato storico confuso, abbia creato un racconto completamente fittizio su un principe che certamente è esistito, ma di cui ufficialmente non si sa nulla» (O.D.S.).<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Winchelcumbe nella Mercia in Inghilterra, san Chenelmo, che, principe di Mercia, è ritenuto martire.
nome Sant'Ennodio di Pavia- titolo Vescovo- nome di battesimo Magno Felice Ennodio- nascita 473 circa, Arles, Francia- morte 17 luglio 521, Pavia- ricorrenza 17 luglio- Incarichi ricoperti Vescovo di Pavia dal 514 alla morte- Magno Felice Ennodio, nato ad Arles nel 473 circa, e cresciuto a Pavia (o forse a Milano), si sposò, ma poi decise di entrare nella Chiesa, perciò fu ordinato diacono, mentre la moglie, giovane e ricca, diventò monaca. Insegnò retorica a Milano per un certo periodo, prima di diventare vescovo di Pavia nel 514. Era già stato coinvolto nella controversia contro l'antipapa Lorenzo, scrivendo una difesa di papa S. Simmaco (498-514; 1.9 lug.), e fu un fermo sostenitore dei diritti del papato, criticando per iscritto coloro che avevano sfidato il sinodo del papa del 502. Sostenne che per sua natura l'ufficio papale era esente da qualsiasi controllo da parte dell'autorità temporale: «Dio ha certamente stabilito che gli uomini risolvessero le questioni terrene, ma si è riservato il diritto di giudicare il pontefice della sede suprema». Insieme a Dioscoro di Alessandria, Ennodio ebbe un ruolo cruciale nel risolvere le amare dispute successive al sinodo, che durarono fino al 506, persuadendo re Teodorico a confermare le risoluzioni del sinodo in favore di Simmaco. Papa S. Ormisda (514-523; 6 ago.) mandò Ennodio in due missioni presso il patriarca di Costantinopoli per tentare di riconciliare le due Chiese, ma senza ottenere risultati. Come vescovo di Pavia divenne famoso per la sua opera di conversione dei peccatori, di aiuto ai poveri, e per la costruzione e decorazione di chiese. Oggi, a ogni modo, è principalmente ricordato come scrittore: la sua produzione letteraria fu ricca e includeva un resoconto delle sue esperienze religiose (il suo cosiddetto Eucharisticon, o Ringraziamento), un lungo discorso in lode di re Teodorico, la Vita di S. Antonio di Lérins (28 dic.) e di S. Epifanio da Pavia (21 gen.), diversi discorsi su vari argomenti, alcuni inni (inclusi due per l'accensione del cero pasquale), e molte poesie, lettere, epigrammi ed epitaffi. Lo stile è spesso ridondante e faticoso, a volte incomprensibile, ma le sue opere sono particolarmente preziose per la luce marginale che gettano sugli eventi e sulla cultura del suo tempo, e «il suo lavoro riflette un tentativo di combinare una cultura fondamentalmente pagana con la professione del credo cristiano» (O.D.C.C.). Mori nel 521, e il suo epitaffio è conservato nella chiesa di S. Michele a Pavia. Le fonti primitive di solito non lo definiscono "santo", anche se è citato nel Martirologio Romano alla data odierna. MARTIROLOGIO ROMANO. A Pavia, sant’Ennodio, vescovo, che nei suoi inni esaltò la memoria e le chiese dei santi e fu generoso dispensatore di beni.