@SshiningSstar

6 giorni fa

Ho scritto una breve storia categorizzabile come "onirico-psicologica". Sto cercando l'immagine di copertina perfetta. Quale preferite?

Ho scritto una breve storia categorizzabile come "onirico-psicologica". Sto cercando l'immagine di copertina perfetta. Quale preferite?

Viveva in una bolla. Non una di quelle leggere, trasparenti, che danzano nell'aria prima di dissolversi con grazia. La sua era opaca e soffocante, una prigione trasparente che la teneva rinchiusa in un limbo di gesti ripetuti, tra pillole vendute e pillole ingerite. All'alba apriva gli occhi senza voglia, già stanca ancora prima di iniziare. Andava in farmacia trascinando i piedi, dietro il solito bancone d'ottone d'altri tempi, dove faceva a malapena il minimo indispensabile per non perdere quel lavoro che tanto la incupiva, ma di cui aveva bisogno. Le vendite, i sorrisi di circostanza, le chiacchiere brevi e vuote con i clienti: si sentiva distaccata da tutto e tutti. La sua mente vagava mentre le mani impacchettavano pillole, dosi di tranquillità e di calma che a lei non arrivavano mai. Ogni giorno la stessa monotonia, la stessa routine.<br /> <br /> Eppure in qualche angolo della sua mente, riusciva sempre a sognare qualcosa di diverso, qualcosa che non aveva mai avuto. Si vedeva in un mondo parallelo, dove non c'erano solo neon fusi delle insegne farmaceutiche e la solitudine di un appartamento silenzioso. Immaginava di essere amata e protetta, di avere qualcuno che la considerasse l'unica al mondo, qualcuno che l'avrebbe fatta volare tra i grattacieli della città, come Spiderman fa nei fumetti con la sua amata Mary Jane. E in queste fantasie, compariva sempre lui. Un'ombra familiare, un volto che sembrava attenderla da sempre, anche se non sapeva dire dove lo avesse visto. Non era un uomo qualunque, ma qualcuno che sembrava appartenere a un tempo sospeso tra sogno e realtà, capace di colmare il vuoto della sua solitudine.<br /> <br /> Un giorno, lui entrò. Non fece rumore quando varcò la porta, ma lei lo avvertì comunque, come se un'impronta invisibile fosse stata lasciata nell'aria. Lui si mise silenziosamente in fondo alla fila e, quando fu il suo turno, si avvicinò al bancone. Non la guardava in viso come facevano tutti. Aveva la testa china, dando l'impressione che il suo sguardo fosse troppo pesante per sollevarsi. Un riflesso sfocato si intravedeva nell'ottone lucido del bancone, i lineamenti del suo viso, illuminati dalla debole luce, erano distorti. Lui non riusciva a fare a meno di scrutarsi, come se cercasse una risposta in quella piccola immagine di sé. I suoi occhi erano vuoti, un oceano infinito con una goccia di follia. Non si riconosceva in quello specchio che sembrava acqua. E lei lo notò.<br /> <br /> Posò un piccolo flacone mezzo vuoto sul banco, quasi sbattendolo.<br /> "Non funzionano" disse, con tono insonnolito e ansante. Lei non rispose subito. La sua mente, per un attimo, scivolò in un pensiero in cui si ritrovava, come se potesse riflettere l'immagine di sé stessa nell'uomo che aveva davanti. Le parole le sfuggirono forse inopportune dalle labbra e disse "Forse... il problema non è il sonno". Non sapeva bene neanche lei cosa intendesse, ma poteva sentire quella sensazione crescere dentro di sé, come un respiro che si faceva più consapevole, più reale. Quel pensiero sembrava il primo segno di un cambiamento, una leggera brezza che portava qualcosa di nuovo. Lui non stava parlando di sonno. Le stava parlando di un sapore diverso dal solito amaro in cui era immersa la sua monotonia.<br /> <br /> "Magari sono solo i pensieri" aggiunse alla fine, come per non dire altro, per lasciare intendere qualcosa che nessuno dei due aveva chiaro.<br /> <br /> Lui alzò lo sguardo, e lei lo vide direttamente per la prima volta. Era come se fosse stato lì tutto il tempo, ma in quell'istante, si facesse leggere dentro. I suoi occhi si erano riempiti di qualcosa che non riusciva a definire. Un fuoco lento, una calma inquieta. "Forse il sonno è solo una scusa" fu la frase che scrisse il c'era una volta di questa storia.<br /> <br /> Ogni giorno, lui tornava. All'inizio usava la scusa delle pillole per parlarle, sempre un po' di più. Si fermava più a lungo del previsto, e lei cominciò ad aspettarlo, senza neanche accorgersene. Quando non lo vedeva, la sua mente lo evocava, la sua voce, la sua presenza, e il tempo passava più leggero. Le giornate di lei venivano scandite dall'apparizione della sua figura alla porta della farmacia. Si parlavano di tutto e di niente, come se fosse la cosa più naturale del mondo, eppure non conoscevano neanche i loro nomi. La semplice possibilità di una connessione le alleggeriva le ore, e le alleggeriva anche a lui, almeno credeva.<br /> <br /> Un pomeriggio, lui non disse niente, non che gli altri giorni parlasse tanto. La prese semplicemente per mano e sorrise. Lei lo seguì con nessun pensiero in testa, e quando la portò fin davanti al suo studio, sentiva le sue gambe leggere. Si sentiva come un canarino che spicca il volo per la prima volta e che veniva trasportato dal vento. Quando entrarono nello studio, le pareti erano ricoperte di opere incompiute, pennelli abbandonati sul pavimento di legno scricchiolante, tubi di vernice sparsi in ogni angolo. La luce fioca entrava dalle finestre alte e stava per scomparire, ma tutto intorno a loro sembrava sospeso. L'aria profumava di olio di lino mista a vernice fresca, mentre la parete di fronte a loro era illuminata da una lampada che proiettava ombre scure e allungate.<br /> <br /> Lui fece un gesto con la mano, un invito a guardare: "Vieni a vedere cosa sto dipingendo".<br /> <br /> Lei lo seguì e appena fu accanto alla tela, lui fece cadere il grande telo bianco che la copriva, mentre guardava il viso incredulo di lei per carpire il suo pensiero. Sulla tela c'era una figura, i tratti quasi sfumati, ma riconoscibili. C'era Mary Jane, ma non come nei fumetti. Questa non aveva il volto perfetto dei famosi disegni venduti in tutto il mondo, ma il volto di lei. Lei che stava guardando quella tela, con gli occhi pieni di curiosità, stupore e vaga tristezza. Era lei, ma in una versione che sembrava più viva, più vera. La pittura aveva catturato qualcosa che lei non si era mai accorta di possedere.<br /> <br /> "Mi hai dipinta così" disse, sfiorando delicatamente il bordo della tela. Lui si avvicinò, sfiorandole la pelle della mano con la punta delle dita, lasciando dietro di sé una scia di tempera rossa ciliegia. "Perché sei così" rispose, "stai aspettando il tuo eroe".<br /> <br /> Le sue parole aleggiarono nella stanza come un dolce profumo. Si voltò e non si rese conto di quando la loro bocca si incontrò. Un bacio che la sorprese, che la travolse e stravolse. Come le ciliegie, una tira l'altra, da cosa nasce cosa, e si trovarono a fare l'amore sul pavimento avvolti nel telo di cotone caduto per terra, tra capolavori incompleti illuminati dalla tenue luce che ancora filtrava dalla finestra a quell'ora. I loro corpi si mescolavano in un'armonia inaudita, mentre l'odore della vernice e dell'olio di lino si intrecciava con il loro caldo respiro. Era come una scena dipinta da un maestro, una perfezione che sembrava avesse preso vita da una tela, una pennellata per ogni bacio e per ogni ansimo. L'unico suono che accompagnava il loro fuoco era lo scricchiolio delle travi di legno sulle quali erano sdraiati.<br /> <br /> La fiamma che si accese quella sera continuò ad ardere per settimane, alimentandosi a ogni carezza. Lui andava a trovarla a lavoro ogni giorno. Lei ogni sera chiudeva il negozio, sempre leggermente in anticipo e, accennando un sorriso, camminava verso il suo studio come se stesse attraversando il portale verso un altro mondo. Le loro anime si parlavano, senza neanche bisogno di parole. Accanto a lui, ogni parte di sé si apriva, si rivelava, aveva trovato il suo posto felice. Ogni sera in quel suo studio illuminavano il cielo di stelle e scintille. Facevano l'amore ogni volta come fosse l'ultima volta, fino a godere della reciproca presenza più di quanto piacesse ai loro corpi terreni.<br /> <br /> Una sera d'autunno, tornò nel suo studio come ogni altra sera d'autunno, ormai la sentiva casa sua più del suo buio appartamento. Il vento che la portò lì era più freddo del solito. Gli alberi del viale si erano già spogliati dei caldi colori tipici autunnali. Si riparò dietro l'angolo e notò la porta socchiusa prima anche di bussare. Il brivido che sentì correre lungo la schiena, attribuito al vento gelido, la fece entrare. Chiudendosi la porta alle spalle, trovò solo caos. Tutte le tele erano state squarciate, i pennelli rotti, barattoli di pittura finiti e svariati flaconi delle pillole che lei gli aveva venduto vuoti sul pavimento. Lui era seduto lì, di spalle, tra i resti del suo lavoro, con le mani strette tra i capelli.<br /> <br /> "Cos'è successo?" domandò preoccupata. Sapeva che la risposta non le sarebbe piaciuta. Lui sollevò lo sguardo e il nero delle sue pupille dilatate disse tutto ciò che c'era da dire. Nonostante ciò aggiunse un semplice quanto doloroso "Mi hai ingannato", con voce spezzata. <br /> <br /> In quell'esatto istante le si aprì la verità davanti agli occhi. La verità, che prima si rifiutava di vedere, la travolse come un treno in corsa. Lui non era mai stato reale, lei stessa si era ingannata. La sua mente malata aveva creato quella versione della storia, quell'illusione così reale, per sottrarsi dalla monotonia della vita. Ogni parola, ogni carezza, ogni sorriso era stato solo un delirio. Per un momento, le si fermò il cuore, perse un battito, ma sembravano cento. Il mondo intorno a lei si frantumò, ogni finestra di quello studio immaginario esplose scagliando mille schegge che la trafissero senza pietà. Le tele, l'odore pungente della vernice, ogni colore perse il suo pigmento, e con esso il ricordo di quella passione, di quella promessa di amore.<br /> <br /> Chiuse gli occhi per proteggersi e si ritrovò di nuovo nella sua solita farmacia, dietro il solito bancone d'ottone, con i suoi odiati scaffali troppo alti pieni di flaconi e pillole tutte uguali. Davanti a lei un anziano signore le chiese "Si sente bene signorina?".<br /> <br /> Lei tornò con i piedi per terra, annuì leggermente e sorrise per cortesia come ormai le veniva spontaneo fare. Si voltò verso uno degli scaffali, prese le pillole per l'uomo e gliele porse. Lui la ringraziò e sorrise, accentuando inevitabilmente i solchi delle rughe sul suo volto e le allungò i pochi spicci che aveva nel portamonete. Se ne andò con un solo cenno con la testa, senza dire altro. Lei, sistemando le monetine bronzee nel registratore di cassa, vide una piccola macchia di pittura su una di queste. Alzò lo sguardo di scatto in cerca disperata dell'uomo che gliele aveva date ma era già svanito, come non fosse mai stato lì. Quando tornò a osservare le monete, era sparita anche la macchiolina. Le controllò tutte, davanti e dietro, quella macchia di colore non era più lì.<br /> <br /> Era sola, di nuovo. Non riusciva più a distinguere cosa fosse stato reale e cosa no. Si convinse che la mente le aveva solo giocato un brutto scherzo, un sogno ad occhi aperti, o forse un incubo, dal quale si era finalmente svegliata. Eppure, l'odore della vernice sembrava ancora fluttuare nell'aria.

+3 punti
12 commenti

@Moffettaaaa

7 giorni fa

Ok leggo e tra 20 minuti ti dico

0 punti

@IlgiovaneispettoreMorse

7 giorni fa

3

0 punti

@Moffettaaaa

7 giorni fa

Ok allora, tralasciando il fatto che è davvero bello il racconto. In verità nessuna delle immagini mi sembra rappresentare la monotonia e l'importanza che hanno avuto le pillole in questa storia. Quella che mi sembra che si avvicini di più al Mood della storia mi sembra la 8. L'uomo di spalle rappresenta meglio il mistero che si ha nella sua figura

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