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01/03/2024 alle 11:17

I santi di oggi 1 marzo:

I santi di oggi 1 marzo:

nome Sant'Albino di Angers- titolo Abate e Vescovo- nascita 470 circa, Vannes, Francia- morte 10 marzo 550, Angers, Francia- ricorrenza 1 marzo- Patrono dei poveri e dei prigionieri- Vescovo, santo vissuto tra il quinto e sesto secolo. Nato da una famiglia nobile, Albino diventò monaco in località Tincillac, situata probabilmente nella diocesi di Angers, dato che nel 529 fu eletto per designazione popolare vescovo della cità. Partecipò ai concili di Orlèans del 538 e del 541, che organizzò la Chiesa di Gallia. Lottò con forza malgrado le minacce di morte, contro i matrimoni incestuosi frequenti nelle grandi famiglie. Malato e già vecchio, mandò un suo delegato al concilio di Orléans del 549. Fu sepolto nel vecchio cimitero presso la chiesa di San Pietro. Dopo il 556 le sue reliquie furono solennemente esumate dinanzi al vescovo di Parigi San Germano e trasferite in una chiesa nuova presso cui fu eretta la grande abazia che porta il suo nome. La chiesa è oggi distrutta, ma ne sopravvive ancora una torre del XII secolo e gli edifici conventuali ricostruiti nel XVII secolo, nei quali è insediata la prefettura del Maine-et-Loire. I miracoli che gli si attriubuirono (in particolare nella Vita scritta da Venanzio Fortunato, suo contemporaneo) fecero di Albino uno dei santi più popolari del Medioevo, e della Francia la sua fama si diffuse soprattutto in Germania in Inghilterra e in Polonia. Secondo una tradizione, si scontrò con il re Childeberto, che aveva imprigionato una donna di nome Etherie; impossibilitato a garantire la sua liberazione, Albino andò da lei in prigione, e il soldato che tentò di opporglisi cadde morto ai suoi piedi. Questo fatto impressionò il re che permise ad Albino di liberarla. Un'altra leggenda racconta che una volta Albino pregò fino a notte per alcuni uomini imprigionati nella Torre di Angers. All'improvviso una grande pietra crollò dal muro, permettendo loro la fuga. MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Angers nella Gallia lugdunense, ora in Francia, sant’Albino, vescovo, che biasimò con forza i costumi superbi dei potenti e con impegno promosse il III Concilio di Orléans per il rinnovamento della Chiesa.

nome San David di Menevia- titolo Vescovo- ricorrenza 1 marzo- Attributi<br /> bastone pastorale, mitria e colomba- Patrono di Galles, Aruba, Pembrokeshire, vegetariani e poeti- Davide patrono del Galles è uno dei santi britannici più popolari, ma purtroppo su di lui non si hanno dati precisi che risalgano alla sua epoca. Tutte le notizie di cui si dispone si basano su una sola biografia, quella di Rhygyfarch, figlio di Julien vescovo della diocesi di S. David, scritta attorno al 1090. Rhygyfarch sostiene di essersi basato su antiche fonti scritte, ma anche se ciò corrispondesse alla realtà, senz'altro egli ha aggiunto parti completamente inventate. Secondo la leggenda, Davide (Dewi in Galles) era figlio di Sant, re del Ceredigion, e di S. Non (Nonnita) (3 mar.), pronipote di Brychan di Brecknock. È probabile che sia nato attorno al 520. «.11 luogo dove il santo Davide è stato istruito», dice Rhygyfarch «si chiamava Vetta Rubus [in gaelico Henfynyw, Vecchia Menevia], egli cresceva pieno di grazia ed era una gioia vederlo. Fu là che il santo Davide imparò l'alfabeto, i salmi, le pericopi bibliche di tutto l'anno e l'ufficio divino e fu là che i suoi discepoli videro una colomba dal becco dorato giocare con le sue labbra e insegnargli a cantare le lodi di Dio.» Davide venne ordinato prete, dopodiché passò diversi anni studiando sotto la guida del gallese S. Paolino. fl suo biografo dice che fondò dodici monasteri in luoghi diversi, tra i quali Mcnevia e, forse, Glastonbury; egli stesso si stabilì definitivamente a Menevia, dove aveva fondato la sua abbazia più importante e dove la sua comunità viveva secondo uno stile di vita estremamente austero, mutuato da quello degli eremiti della Tebaíde. Ogni membro della comunità doveva dedicarsi a un duro lavoro manuale e non poteva parlare agli altri se non per stretta necessità. I monaci vivevano di pane, verdure e sale; bevevano solo acqua, che qualche volta mescolavano a un po' di latte — ciò valse al santo il soprannome di Aquaticus, o uomo dell'acqua, ispiratore di quei frati gallesi ai quali Gildas rimproverava di essere più interessati all'astinenza che al cristianesimo. Chi voleva entrare doveva aspettare davanti al portone per dieci giorni ed essere sottoposto a un duro trattamento prima di essere ammesso; dal venerdì sera fino all'alba della domenica si faceva una dura veglia, che non prevedeva soste se non per un'ora di riposo dopo il mattutino del sabato. Giraldo del Galles (Giraldus Cambrensis), che scrisse una parafrasi della Vita di Rhygyfarch, dice che S. Davide è stato il grande esempio della sua epoca e che continuò a governare la propria diocesi anche a età molto avanzata. Secondo Goffredo di Monmouth, egli morì nel monastero di Menevia e le sue ultime parole furono: «Siate felici, fratelli e sorelle. Abbiate fede e continuate a fare quelle piccole cose che avete sentito e visto da me». La venerazione di S. Davide venne approvata da Callisto 11 nel 1120, ma egli veniva già citato dal Catalogo dei Santi d'Irlanda (Catalogus Sanctorum Hiberniae, ca. 730) e dal Martirologio Irlandese di Tallaght, che dovrebbe essere precedente all'800 e che lo ricorda 11 marzo, giorno in cui tradizionalmente si commemora la sua morte. Egli è nominato anche dal calendario di Leofrico, che venne compilato a Glastonhury attorno al 970. Calendari successivi testimoniano la diffusione del suo culto ad altre regioni del sud, anche oltre i confini del Galles; si può trovare il suo nome anche nella litania dei santi di un salterio di Salisburgo del x secolo. A partire dal Medio Evo la devozione per S. Davide era ben diffusa anche al sud e al centro dell'Inghilterra, anche se rimane estremamente popolare nel suo paese d'origine, dove nel periodo precedente la Riforma gli erano state dedicate più di cinquanta chiese. Nelle opere d'arte, S. Davide è rappresentato in piedi su un monte con una colomba sulla spalla — allusione alla leggenda secondo la quale, mentre egli parlava a un sinodo tenutosi a Brevi, una colomba bianca si sarebbe posata sulla sua spalla e contemporaneamente il terreno su cui egli era in piedi si sarebbe innalzato andando a formare un monte che permise a tutta l'assemblea di udire la sua voce. MARTIROLOGIO ROMANO. A Saint David in Galles, san Davide, vescovo, che, imitando il modello e i costumi dei Padri d’Oriente, fondò un monastero, dal quale partirono moltissimi monaci ad evangelizzare il Galles, l’Irlanda, la Cornovaglia e la Bretagna.

nome Beata Giovanna Maria Bonomo- titolo Religiosa- nome di battesimo Giovanna Maria Bonomo- nascita 15 agosto 1606, Asiago, Veneto- morte 1 marzo 1670, Bassano, Veneto- ricorrenza 1 marzo- Beatificazione 9 giugno 1783 da Papa Pio VI- Patrona di Asiago, Bassano del Grappa- Maria Bonomo nacque il 15 agosto 1606 nella città di Asiago, capitale della Reggenza dei Sette Comuni in Lombardia. I suoi genitori, Giovanni e Virginia Ceschi di Valsugana, appartenevano entrambi alla nobiltà. Quando Maria aveva quattro anni, suo padre uccise un uomo, sospettandolo amante della moglie, e solo per riguardo alla figlia non fece altrettanto con la sposa; il padre passò dunque un certo periodo in prigione, e intanto nel 1612, quando la bambina non aveva ancora sei anni, Virginia morì.<br /> Passarono tre anni e Maria venne mandata a studiare presso le clarisse di Trento dove a dodici anni scoprì la vocazione religiosa e chiese il permesso del padre per entrare in convento; Giovanni non solo lo negò immediatamente ed energicamente, ma, senza discutere, la portò via dal convento. Essa, tornata a casa, si trovò coinvolta in continue feste e distrazioni che, secondo i desideri del padre, avrebbero dovuto avvicinarla all'idea del matrimonio. Nel periodo in cui Maria era stata in convento, Giovanni si era sposato con Luisa Paurinfant. Luisa instaurò un buon rapporto con la figliastra verso la quale dimostrò grande comprensione, ma nemmeno la sua intercessione valse a convincere il marito. Nel 1617, mentre Giovanni passava davanti a una chiesa, la folla raccolta all'esterno lo spinse a entrare: in quel momento un frate cappuccino stava predicando e rimproverava pubblicamente quei genitori che impedivano ai figli di seguire la vita monastica. Il colpo andò a segno e Giovanni disse a sua figlia che se lo desiderava avrebbe potuto entrare in monastero; l'unica condizione che pose fu che la figlia non sarebbe dovuta andare fino a Trento, ma fermarsi in un monastero più vicino. Fu così che venne scelto il monastero benedettino di S. Girolamo di Bassano, conosciuto all'epoca per la regola molto severa; Maria aveva quattordici anni e mezzo. Circa un secolo dopo il Concilio di Trento la maggior parte dei monasteri erano stati riformati secondo le direttive da esso imposte ed erano pochi quelli femminili che godevano dello stesso status di quelli maschili (e quei pochi dovevano appartenere a congregazioni che avessero sia frati sia suore). I monasteri femminili che non rientravano in tale gruppo si trovavano quasi sempre sotto l'autorità del vescovo e questi poteva esercitare una fortissima influenza sulla vita interna del convento stesso; la cosa era particolarmente acuta specialmente quando avevano ampio potere il cappellano o il confessore, cioè non altri che gli incaricati del vescovo, che ben di rado erano monaci benedettini. Inoltre la carica di badessa aveva ben poco a che fare con la tradizione di S. Benedetto. Per facilitare la riforma, papa Gregorio XIII aveva stabilito che la durata della carica di badessa non potesse essere superiore ai tre anni e questo periodo si rivelò troppo breve per portare a benefici: il passaggio di carica era così frequente da diffondere endemicamente la sensazione di un continuo rivolgimento. Tali fattori ebbero un ruolo preponderante nella vita della nuova postulante. Maria ricevette l'abito di novizia e il nome di Giovanna Maria nel giorno del suo quindicesimo compleanno e dopo appena dodici mesi, nel 1622, col voto unanime della sua comunità venne accolta la sua richiesta di professione. Aveva sedici anni, età minima consentita dal Concilio di Tremo: i suoi parenti e amici riempirono la chiesa per la funzione che si celebrò nel giorno della natività della Vergine Maria (8 set.). Con grande sgomento dell'assemblea, la novizia si interruppe bruscamente mentre leggeva la regola; avrebbe poi raccontato di essere entrata in estasi e di aver ricevuto l'apparizione di Nostro Signore, in compagnia di Maria, di S. Benedetto e di molti altri santi e angeli. A tutto ciò seguirono una fase di grande consolazione spirituale e una, nel 1623, di bruciante aridità; all'inizio del 1631 iniziò a rivivere la passione di Cristo, spesso entrando in estasi dal giovedì fino al venerdì o anche al sabato. Si dice che sei anni dopo abbia ricevuto le stimmate e la grazia del matrimonio mistico. Fin quando le fu possibile, mantenne segrete le sue estasi, ma siccome queste si fecero sempre più frequenti e improvvise, tutti vennero a conoscenza del suo segreto e inevitabilmente Maria divenne causa di divisione sia all'interno che fuori della comunità. Molti la consideravano vittima di un inganno del diavolo, altri pensavano addirittura che fosse posseduta dal demonio e per di più la badessa venne coinvolta dall'inquisizione. La giovane suora pregò perché i doni straordinari le fossero tolti e le estasi controllabili, finché le sue preghiere vennero esaudite: i segni delle stimmate rimasero, ma le ferite si rimarginarono e le estasi del venerdì si confinarono nelle ore notturne. Poté così riprendere il suo posto nel coro e tornare all'anonimato. Spesso veniva chiamata in parlatorio per incontrare quelle persone che avevano bisogno delle sue preghiere e dei suoi consigli. Alvise Salviano, suo confessore e sua guida spirituale, fu inizialmente scettico nei confronti di Giovanna Maria, ma poi le chiese di scrivere un rapporto di tutte le sue esperienze spirituali; il manoscritto venne sottoposto allo studio di altri teologi che lo approvarono. Alvise, una volta convintosi dell'autenticità della vita mistica della sua discepola, divenne suo amico devoto, sua guida e padre. Per circa dieci anni Giovanna Maria fu perseguitata dalla paura: paura della dannazione, di diavoli deridenti, di pensieri cattivi, aridità e oscurità. Incapace di mangiare e di dormire si ammalò, ma infine si sentì accompagnata dall'intercessione di S. Gaetano (7 ago.), fondatore dei teatini. Quando poco tempo dopo Alvise morì, Giovanna Maria recuperò il proprio manoscritto e lo bruciò. Ricevuto l'incarico di superiora delle novizie, carica che includeva la cura pastorale non solo delle novizie, ma anche delle fanciulle, la giovane suora portò alla vita religiosa più persone di quante il convento stesso potesse accogliere. Si legò particolarmente a Caterina Miozzi, che aveva aiutato in un periodo di crisi di fede e di cui, una volta che questa fu entrata nel monastero, divenne confidente. Caterina, avendo avuto accesso ad alcuni scritti autobiografici della santa, è la principale fonte di informazioni sulla vita spirituale di Giovanna Maria. Dagli appunti rimastici di Caterina si evince il dono della sua superiora di saper vedere nell'anima del prossimo e la capacità di sfruttare quella dote per esercitare un discernimento sicuro. Grazie a Caterina appare inoltre evidente che l'argomento principale dell'insegnamento di Giovanna era la virtù dell'umiltà, dote che essa considerava condizione determinante per la santità. Giovanna Maria, ormai molto conosciuta, assediata da visitatori e da lettere, cominciò a desiderare di rimanere sola, al punto che chiese al suo confessore di potersi trasferire presso i cappuccini. Il suo destino fu in realtà una solitudine più sofferta che cominciò quando, coloro che all'interno della comunità le erano ostili, inizialmente quattro suore, si rafforzarono fino ad arrivare a sollecitare il sostegno del clero, del vescovo e del suo vicario generale. Nel 1643 il vicario arrivò presso il convento di Bassano per una visita pastorale e per presiedere all'elezione della badessa. Venne eletta Giovanna Maria, ma il monsignore annullò la votazione sostenendo che essa non fosse eleggibile da un punto di vista canonico perché troppo giovane. Le sue consorelle riuscirono almeno a farla nominare assistente della badessa, ma a quel punto il vicario cominciò a legarle le mani. Le proibì qualsiasi corrispondenza a eccezione di quella con il padre, solo raramente le permise di recarsi in parlatorio per vedere i parenti e le concesse di aiutare la badessa per la corrispondenza a patto che dichiarasse ogni volta che stava scrivendo a nome della badessa e che non aggiungesse mai un posi scriptum personale. In quell'occasione venne anche nominato il nuovo confessore, Domenico de Veglia; uomo retto, esemplare, ma presuntuoso e, forse involontariamente, crudele. Egli si immedesimò moltissimo nell'ostilità che il vicario generale aveva nei confronti della veggente: rifiutava di ascoltarla se parlava di se stessa, la trattava con disprezzo in pubblico e in privato, le negava il permesso di fare qualsiasi penitenza e la cacciava fuori dal confessionale. Giovanna Maria mantenne tuttavia un atteggiamento molto rispettoso nei confronti del confessore e scrisse al padre di non provare risentimento e di ritenersi privilegiata per la propria sofferenza: «La più grande pena per me sarebbe quella di non avere nessuna pena». La comunione le era ormai concessa solo due volte all'anno e così, sempre rivolgendosi al padre, scrisse: «Vivo come se stessi morendo, ma sono felice. Rassegnarmi alla volontà divina mi dona pace; lascio che tutto scorra sopra di me come l'acqua scorre verso il mare». Giovanni Bonomo, che grazie all'influenza della figlia si era convertito a Dio, era ormai diventato uno dei suoi confidenti più fidati, ma fu costretto per sette anni a interrompere i contatti epistolari con la suora, che in quel periodo aveva ricevuto il divieto assoluto di scrivere e ricevere lettere. Nel 1652 si dovette votare una nuova badessa: venne eletta ancora una volta Giovanna Maria e questa volta il vicario generale non poté avanzare alcuna obiezione; fu invece la neoeletta che, sentendosi incapace di sostenere il peso dell'incarico, spinse per il rifiuto e solo dopo molte ore di preghiera iniziò ad accettare il fatto come volontà di Dio. Il modo con cui condusse l'abbazia fu la perfetta dimostrazione che non c'era incompatibilità tra l'unione mistica a Dio più elevata e l'amministrazione pratica. Giovanna Maria si dimostrò una grande badessa, riformatrice e perfettamente in linea con lo spirito del Concilio di Trento. Il modo che preferiva nel rapportarsi con la comunità era quello di comprendere e avere compassione, ma ciò che valeva di più era il suo esempio: fu ferma nell'insistere sull'osservanza monastica, nell'incoraggiare le consorelle nella preghiera, scacciò la mondanità penetrata nel monastero, ma mantenne sempre un atteggiamento gentile e pietoso nei confronti di qualsiasi necessità. La grande generosità che dimostrava verso i poveri spinse una suora che si occupava dell'amministrazione ad accusarla di sperperare i beni del monastero e tale voce giunse fino alle orecchie del vescovo; egli chiese di vedere i registri ma da essi risultò chiara l'infamia: il convento e la chiesa erano stati restaurati, tutti i debiti saldati, le monache ben accudite e vi erano ancora fondi a disposizione. La sua carica di badessa giunse a scadenza nel 1655 e siccome non poteva essere rieletta immediatamente, venne nominata priora. Il vicario generale tenne segreti i risultati della votazione e portò le urne elettorali al vescovo aspettandosi, a torto, che le annullasse. Nel 1660 venne nominato un nuovo vescovo, ma le cose non cambiarono di molto perché anch'egli era assai scettico nei confronti dei mistici. Nel 1661 si recò a S. Girolamo per assistere all'elezione della badessa. La maggioranza dei voti fu ancora una volta a favore della badessa uscente, così il vescovo ordinò un nuovo scrutinio, che però non cambiò il risultato. Egli allora dichiarò nullo il voto; Giovanna Maria, per risolvere la situazione di stallo, ritirò la propria candidatura per aprire la strada a un'altra suora e tornò alla propria vita di isolamento: si riteneva ancora soggetta ai divieti della curia in materia di visite e corrispondenza visto che questi non erano ancora stati rimossi ufficialmente. Una badessa comprensiva riuscì a convincere la curia a eliminare il divieto di frequentare il parlatorio e così la santa poté ricominciare la sua opera di apostolato. Nel 1664 ci furono nuove elezioni, ma questa volta non vi furono interferenze e il desiderio della maggioranza di scegliere Giovanna Maria venne rispettato. Sarebbe stato il suo secondo e ultimo mandato, quello sotto il quale S. Girolamo divenne casa di preghiere ferventi e modello di ortodossia. L'inno della badessa alle virtù della fede era il frutto di una dura lotta contro tutti gli ostacoli immaginabili: «Senza fede tutto è vano, la fede è il rimedio a ogni male e tentazione, con la fede possiamo superare ogni difficoltà e senza fede niente può riuscire». La sua fede venne messa ancora a dura prova quando la curia diocesana diede l'incarico dí amministratrice a una delle suore che ancora le erano nemiche, Teresa Fava, per tenere sotto controllo la generosità della badessa. In quel periodo, però, in Lombardia vi fu una grande carestia e tutte le ricchezze furono prosciugate dalla guerra contro i turchi. Molti poveri si recavano al monastero in cerca di cibo e non venivano mai respinti dalla superiora: in un'occasione essa, per preparare loro del minestrone, fece anche utilizzare le ultime verdure rimaste in casa; la cosa suscitò l'ira della celleraria ma il giorno successivo arrivò al convento un carro pieno di verdure regalate. Benché il fratello di Teresa Fava fosse stato ferito in guerra e la badessa avesse fatto di tutto per aiutarlo, nulla sembrava addolcire la posizione della consorella. Nel 1667 venne incaricato un nuovo confessore, Giovanni Battista Freschi, che non si dimostrò più accomodante dei predecessori: quando a esempio la badessa decise di far erigere un muro di recinzione per assicurare maggior riservatezza alla vita monastica, il prete, che considerava tale decisione di propria pertinenza, lo fece abbattere immediatamente. Egli utilizzava il confessionale per insultarla e maltrattarla e tutte le suore in attesa potevano sentire le urla di rabbia dcl sacerdote. Giovanna Maria non si scompose e, quando ci furono le nuove elezioni, ricevette un'altra volta il posto di priora. Nel 1670 si ammalò gravemente e l'1 marzo di quell'anno morì; Teresa Fava, l'ultima delle sue nemiche ad ammettere di aver sbagliato giudizio, cominciò a pregare ogni giorno per avere il perdono della santa. Giovanna Maria è stata beatificata il 9 giugno 1783 e quando nel 1810 venne distrutto il monastero, le sue reliquie sono state trasportate in una chiesa parrocchiale di Bassano. MARTIROLOGIO ROMANO. A Bassano in Veneto, beata Giovanna Maria Bonomo, badessa dell’Ordine di san Benedetto, che, ricca di doni mistici, fu partecipe nel corpo e nell’anima dei dolori della Passione del Signore.

nome San Felice III- titolo 48º papa della Chiesa cattolica- nascita V secolo, Roma- Elezione 13 marzo 483- Fine pontificato 1º marzo 492 (8 anni e 354 giorni)- morte 492, Roma- ricorrenza 1 marzo- Santuario principale Basilica di San Paolo fuori le mura- Papa S. Felice viene chiamato nel Martirologio Romano Felice III, visto che si tratta dell'amministratore Felice che governò la Chiesa durante l'esilio di papa Libero, chiamato Felice II. Fu un antenato di S. Gregorio Magno (3 set.) che parlò di lui quando apparve alla zia morente, S. Tarsilla (24 dic.), per chiamarla in cielo. Succedette a papa Simplicio nel 473 in un periodo in cui l'Oriente era in subbuglio in seguito al concilio di Calcedonia: nel suo complesso il concilio non era stato accettato dall'Oriente monofisita ma anche i vescovi cattolici mantenevano riserve per la presunta condanna di S. Cirillo d'Alessandria (27 giu.). La divisione che seguì spinse gli imperatori a intervenire per sistemare la questione, ora usando la forza, ora costringendo i vescovi a firmare documenti imperiali o di una delle due parti. Acacio, patriarca di Costantinopoli, che sembrò in un primo momento il vero e proprio bastione della fedeltà a Calcedonia, inviò addirittura un legato, Talaia, a corte per assicurarsi che al monofisita Pietro il Balbuziente non venisse assegnata la sede di Alessandria. La corte acconsentì a patto che Talaia non venisse coinvolto personalmente nella disputa. Quando però il patriarca cattolico di Alessandria morì, venne detto proprio Talaia, il quale accettò la nomina e venne di conseguenza disconosciuto dall'imperatore. Scappò quindi a Roma dove trovò papa Simplicio sul letto di morte. Nel frattempo Acacio aveva cambiato linea d'azione e stava cercando un compromesso con i monofisiti servendosi di un documento, l'Ilenoticon, che egli stesso aveva composto ma che aveva divulgato servendosi del nome dell'imperatore Zenone. Il documento era rivolto ai vescovi e con esso l'imperatore rassicurava a proposito della propria ortodossia e invocava fedeltà ai concili di Nicea, Costantinopoli ed Efeso, condannava Eutiche, come aveva fatto il concilio di Calcedonia, accettava le dodici tesi di Cirillo contro Nestorio, ma deliberatamente non menzionava assolutamente il concilio di Calcedonia. Ciò equivaleva a un rifiuto del concilio stesso e del Torno di Leone che era considerato la condanna ufficiale dell'eretico Eutiche. A Roma Talaia accusò formalmente Acacio e Felice III rispose inviando un'ambasciata a Costantinopoli e pretendendo che Acacio desse conto delle accuse. I legati romani, però, vennero arrestati e i loro documenti confiscati; essi, anzi, passarono dalla parte del patriarca: non solo firmando l'Henoticon, ma anche partecipando alla liturgia presieduta da Acacio dando così l'impressione che il patriarca avesse ottenuto l'approvazione di Roma. Un sinodo di settanta vescovi processò e condannò i legati al loro ritorno, censurando esplicitamente anche Acacio e tutti i suoi sostenitori. Lo scisma che ne risultò durò per trentacinque difficili anni ed ebbe fine solo grazie all'ascesa al trono dell'imperatore Giustino. Non si sa nulla della vita personale di S. Felice III, ma è chiaro che si formò a immagine del suo predecessore: S. Leone Magno (10 nov.). Perspicace, energico e pratico fu fermo e risoluto nella difesa delle decisioni conciliari contro le strumentalizzazioni di imperatori e patriarchi; se Calcedonia rimane una pietra miliare nella storia della cristianità, molto lo si deve a Felice III che non si piegò a un accantonamento di quelle decisioni nemmeno a costo di provocare uno scisma con l'Oriente. In Occidente Felice aiutò la Chiesa d'Africa dopo le lunghe persecuzioni dei vandali ariani. Morì nel 492 dopo un pontificato di quasi nove anni. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma presso San Paolo sulla via Ostiense, san Felice III, papa, che fu antenato del papa san Gregorio Magno.

nome San Leone Luca di Corleone- titolo Abate- nascita 815 circa, Corleone, Sicilia- morte 900 circa, Calabria- ricorrenza 1 marzo- Attributi<br /> mitra, pastorale- Patrono di Corleone, Vibo Valentia, invocato come protettore dalle catastrofi naturali- San Leone Luca, noto anche come Leoluca, nacque a Corleone in Sicilia da Leone e Teofiste, contadini e pastori. Quando era ancora giovane, rimase orfano dei suoi genitori, abbandonò il lavoro dei campi ed entrò come novizio nel monastero di San Felipe di Agira, dove ricevette la prima tonsura di un vecchio monaco, e il consiglio di emigrare in Calabria a causa delle violente incursioni dei Saraceni in Sicilia. Quando arrivò in Calabria, trovò una donna pia, alla quale manifestò le tribolazioni della sua anima, e le chiese consiglio. Ed fu proprio questa donna a portarlo ad abbracciare la vita cenobitica. Ad Agira ricevette la prima tonsura e il consiglio di abbracciare la quiete contemplativa in Calabria, non ancora devastata dalle incursioni dei Saraceni, una volta lì ricevette il consiglio di abbracciare la vita comunitaria. Dopo aver compiuto il pellegrinaggio a Roma si stabilì in Calabria, nel monastero di Monte Mula, e divenne discepolo dell'egumeno Cristoforo, che gli diede l'abito monastico e il nome di Luca. Insieme fondarono un monastero basiliano nel territorio del Monte Mercurio, e un altro in quello di Vena, e in quest'ultimo rimasero fino alla morte. Fu designato egumeno del monastero di Vena dallo stesso Cristoforo morente, e lì svolse un'attività taumaturgica molto ampia (guarì un lebbroso, paralizzò e demonizzò). Quando stava per morire, nominò Teodoro ed Eutimio, suoi discepoli, suoi successori. Dal monastero di Vena, dove morì, fu subito trasferito a Monteleone, in Calabria, dove fu eretta in suo onore la chiesa madre. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Avena tra i pendii del monte Mercurio in Calabria, san Leone Luca, abate di Monte Mula, che rifulse nella vita eremitica come in quella cenobitica seguendo le regole dei monaci orientali.

nome Beato Cristoforo da Milano- titolo Domenicano- nascita 1410, Milano- morte 1484, Taggia- ricorrenza 1 marzo- Beatificazione 1875 da papa Pio IX- Cristoforo, chiamato l'apostolo della Liguria per la grande opera di evangelizzazione in quella regione, entrò a far parte dell'ordine domenicano a Milano all'inizio del xv secolo e già poco dopo l'ordinazione era famoso come predicatore; i suoi biografi raccontano che i suoi discorsi, che portavano a numerose conversioni ovunque egli predicasse, fossero sempre basati sulla Bibbia, su S. Tommaso e sui Padri della Chiesa e che egli si trovasse in contrasto con quei predicatori che si proponevano di essere popolari e moderni. Era un viaggiatore instancabile e mai domo, nemmeno nelle situazioni più difficili, nel predicare il vangelo. Gli abitanti di Taggia, paese vicino a Sanremo dove B. Cristoforo ebbe particolarmente successo, eressero per lui una chiesa e un monastero di cui diventò priore. Si racconta che un giorno, mentre stava osservando gli abitanti di Castellano che danzavano, abbia esclamato: «Adesso vi state divertendo e ballate, ma presto arriveranno i problemi e la vostra gioia si trasformerà in dolore». Qualche anno dopo la peste colpi, il paese portandosi via la maggior parte della popolazione. Egli predisse anche la distruzione di Triora da parte dei francesi e avvisò gli abitanti di Taggia che anche loro un giorno avrebbero dovuto fuggire, non a persecuzioni, ma a causa del fiume che sarebbe uscito dal suo corso distruggendo i loro possedimenti: tutto ciò accadde veramente. Si ammalò gravemente mentre predicava nel periodo di Quaresima, si fece portare a Taggia, dove morì. Il suo culto fu approvato nel 1875. MARTIROLOGIO ROMANO. A Taggia in Liguria, commemorazione del beato Cristoforo da Milano, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, dedito al culto divino e alla sacra dottrina.

nome San Suitberto di Kaiserswerth- titolo Vescovo- nascita 647 circa, Dusseldorf, Germania- morte 1 marzo 713, Dusseldorf, Germania- ricorrenza 1 marzo- Patrono della Germania- Suitberto faceva parte di un gruppo di dodici missionari che, sotto la guida di S. Villibrordo (7 nov.), decisero nel 690 di evangelizzare le tribù germaniche della Frisia — l'attuale Olanda. Di nascita proveniva dalla Northumbria, ma si era trasferito in Irlanda come molti inglesi dei suoi tempi alla ricerca di una vita più fervente dal punto di vista monastico. Era giunto là sotto l'influenza di S. Egberto (24 apr.), un altro inglese che sognava di raggiungere il continente per convertire i sassoni come precedentemente aveva già fatto, raccogliendo discreti successi, S. Vilfredo (12 ott.). Egberto, dunque, raccolse un gruppo di missionari e allestì una nave per la partenza, ma venne fermato da un fatto che egli interpretò come segno divino; inviò così al proprio posto Uigberto che però dopo due anni fece ritorno, dopo aver constatato che la regione era stata completamente riportata al paganesimo dal capo Radbod e che non riusciva a portare avanti la missione. Imperterrito, Egberto organizzò una seconda spedizione che sembrava poter avere molte più possibilità di successo, visto che nel frattempo Pipino II aveva scacciato Radbod da buona parte della Frisia. I missionari, tra cui Suitberto, sbarcarono presso la foce del Reno e, secondo Alcuino, si fecero strada fino alla zona di Utrecht. Suitberto lavorò soprattutto nella zona meridionale dell'Olanda, nella parte settentrionale del Brabante e nelle province di Gelderland e Kleve. Nel frattempo Villibrordo era partito alla volta di Roma per ottenere l'approvazione del papa per l'apertura della nuova campagna di evangelizzazione. Il gruppo dei missionari che si era lasciato dietro, vedendo che gli sforzi di Suitberto avevano avuto successo, lo scelsero perché venisse consacrato vescovo, riconoscendolo «uomo esteriormente modesto e sobrio, e interiormente umile di spirito». Suitberto tornò in Inghilterra per la consacrazione; Teodoro di Canterbury era morto e il suo successore, Bertwald, era fuori dalla regione per la propria ordinazione episcopale. Fu dunque Vilfredo, che allora si trovava in esilio in Mercia, a consacrare il suo compagno e connazionale dando così il primo vescovo alla regione in cui egli stesso aveva iniziato l'opera di evangelizzazione. Suitberto, dopo aver fatto ritorno in Frisia, decise di continuare l'opera di evangelizzazione addentrandosi ulteriormente nel paese. Diede quindi una struttura alle chiese che aveva fondato e le affidò alle mani dei suoi compagni. Si mosse seguendo la riva destra del Reno e convertì un buon numero di Brutteri della Vestfalia meridionale, ottenendo un successo che durò fino all'arrivo dei Sassoni; questi, invadendo e occupando tutta la zona, dispersero la nascente comunità cristiana e Suitberto, vedendo il suo lavoro vanificato, si ritirò in territorio franco per abbandonare l'opera pastorale diretta e prepararsi a morire. Pipino, su richiesta della moglie Plectrude, gli donò un'isola sul Reno dove egli poté costruire un monastero che fu fiorente per diversi anni. La città di Kaiserswerth (dieci chilometri a nord di Diisseldorf) è cresciuta attorno al monastero ed è ormai attaccata alla terraferma da quando un canale artificiale ha alterato il corso del Reno. Suitberto morì nella sua abbazia attorno al 713 e da allora è sempre stato molto venerato in Olanda e in tutte le zone dove era stato portato dalla predicazione. Il movimento al quale aveva preso parte S. Suitberto fu il preludio a un secolo di influenza inglese sul continente, che contribuì alla formazione o alla riforma delle relazioni tra le Chiese franco-germaniche e la sede romana, relazioni che avrebbero avuto nei secoli a venire tremende ripercussioni spirituali, amministrative e politiche. L'attività data dall'emigrazione di monaci ed ecclesiastici verso il continente è considerata il contributo più importante, insieme all'opera di Carlo Magno, per la diffusione dell'istruzione all'interno dell'Impero. S. Suitberto assieme a S. Pietro è patrono di Kaiscrswerth, città in cui sono ancora conservate e venerate le sue reliquie (che furono ritrovate nel 1626); gli sono stati attribuiti molti miracoli ed egli è spesso invocato da chi soffre di cuore. Talvolta viene chiamato S. Suitberto il Vecchio per distinguerlo da S. Suitberto il Giovane, che fu vescovo di Werden. MARTIROLOGIO ROMANO. Sull’isola di Kaiserswerth sul Reno in Sassonia, in Germania, san Suitberto, vescovo, che, dapprima monaco nella Northumbria, in Inghilterra, divenuto poi compagno di san Villibrordo e ordinato vescovo da san Vilfredo, annunciò il Vangelo ai Bátavi, ai Frisoni e ad altri popoli della Germania e morì piamente in un cenobio da lui fondato in età già avanzata.

nome San Leone di Bayonne- titolo Vescovo e martire- nascita 856 circa, Carentan, Francia- morte 890 circa, Francia- ricorrenza 1 marzo- Attributi Pastorale, Palma del martirio, spada- Patrono di Bayonne, diocesi di Bayonne, naviganti- Da Caretan, la sua città natale, dedicò la sua vita alle missioni. Già vescovo, lasciò due vicari nella sua diocesi di Rouen, con il permesso di papa Stefano V, si dedicò alla predicazione al sud, raggiungendo la Bassa Navarra attaccata dalle devastazioni dei musulmani. Era un sacerdote, o forse un vescovo "regionale", cioè senza sede, destinato all'evangelizzazione di un territorio. La tradizione vuole che sia stato accompagnato dai suoi fratelli Gervasio ed Eleuterio a predicare il Vangelo a Bayonne e nel territorio di Labourd, abitato dai baschi. I baschi, sfollati dalla loro patria, si erano stabiliti nelle montagne di Biscaglia e nei deserti del territorio laburista. La luce della fede era arrivata in queste terre nei primi secoli del cristianesimo, ma le devastazioni delle invasioni l'avevano quasi totalmente oscurata. Leon, dopo un pellegrinaggio a Roma e commissionato dal Papa, arrivò con i suoi fratelli a Bayonne intorno all'anno 900. Non è certo che sia diventato vescovo di questa città, ma almeno sappiamo che fece conoscere Gesù Cristo e fondò una chiesa dedicata alla Madonna. Il suo impegno apostolico fiorì nella terra di Labourd, nelle Lande e oltre Bordeaux, in Biscaglia e in Navarra. Le persone, specialmente quelle di Bayonne, gli attribuivano dei prodigi. Fu martirizzato da alcuni pirati normanni o saraceni, che ostacolò con la sua predicazione, con lui morì suo fratello Gervasio. Tutta questa storia è una leggenda. Le sue reliquie sono conservate nella cattedrale di Bayonne ed è onorato come patrono della diocesi. MARTIROLOGIO ROMANO. Nella Guascogna, in Francia, san Leone, vescovo e martire.

nome San Rudesindo- titolo Vescovo- nascita 26 novembre 907, Santo Tirso, Portogallo- morte 1 marzo 977, Cellanova, Spagna- ricorrenza 1 marzo- Canonizzazione da papa Celestino III nel 1195- Nacque a Santo Tirso nel Portogallo, era il figlio del conte Don Gutierre Méndez e Ilduara. Si formò presso la scuola episcopale di San Martino di Mondoñedo, dove era vescovo suo zio Sabarino. Durante la sua infanzia trascorse spesso la sua vita alla corte del re Ordoño II. Si pensa che sia entrato nel monastero di Caveiro. Era un uomo prudente, giudizioso, fermo, gentile e attivo. Forse era già priore, quando fu elevato, a 18 anni, vescovo di Dumio e poi di San Martin de Mondoñedo, quando morì suo zio. Lavorò duramente per abolire la schiavitù, nonché per correggere i vizi di sacerdoti, religiosi e laici. Aveva un grande amore per i poveri ed era un uomo che partecipò a molte missioni di pace tra le varie discordie avvenute. A volte si ritirava al monastero di Caaveiro. Fondò nel 942 l'Abbazia benedettina di San Salvador de Celanova, non lontano da Orense, dove gli uomini potevano "rimanere giorno e notte nelle battaglie del Signore". Come lanterne "purissime nelle quali tu, Signore, ti diverti a dimorare, santificale come coloro che hanno lasciato il mondo per seguirti". Si dimise dalla sua sede e si ritirò nel monastero di Celanova, su mandato dell'abate Franquila. Lì lavorò e servì come l'ultimo dei monaci. Il suo emblema era una croce dalle cui braccia pendevano un compasso e uno specchio. La croce, spiegava Rudesindo, è la bussola della nostra vita e lo specchio della visione delle nostre anime. Occasionalmente, su richiesta del re Ordoño III, nel 955, ricopriva la carica di governatore della provincia, precedentemente governata da suo padre. Quelli erano i tempi difficili delle invasioni dei Normanni via mare e dei Mori per costa, ma prese il comando e riuscì a respingere tutte le aggressioni. Una volta pacificata la provincia, tornò di nuovo al suo monastero dove fu eletto abate dai monaci. Ancora una volta lo portarono fuori di lì per incaricarlo, come amministratore della diocesi di San Giacomo, poiché il vescovo Sisnando era stato deposto e imprigionato per i suoi eccessi. Durante questo periodo, tra le altre attività, partecipò a un consiglio a León con San Pietro de Mezonzo. Sisnando riuscì a tornare e Rudesindo si ritirò felicemente nel suo monastero. Gli ultimi anni li trascorse come abate di Celanova. Il suo testamento era una preghiera: "Salvatore degli uomini, distruggendo tutto ciò che lega la mia anima alla vita presente, dammi il coraggio di seguire le tue orme con spirito generoso e sconfitta assidua". Fu canonizzato nel 1195 o 96 da Celestino III. Patrono della diocesi di Mondoñedo. MARTIROLOGIO ROMANO. A Cellanova nella Galizia in Spagna, san Rudesindo, dapprima vescovo di Mondoñedo, che si adoperò per promuovere e rinnovare la vita monastica in quella provincia e, una volta deposto l’ufficio episcopale, prese l’abito monastico nel monastero di Cellanova, che poi resse come abate.

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