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14/09/2024 alle 17:09

I santi di oggi 14 settembre:

I santi di oggi 14 settembre:

nome Esaltazione della Santa Croce- titolo Trofeo della vittoria pasquale- ricorrenza 14 settembre- La festa dell'Esaltazione della S. Croce si celebrava in memoria delle parole profetiche del Divin Maestro: « Quando sarò innalzato da terra, trarrò tutto a me » e « quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo allora conoscerete chi sono io ». Questa festa, secondo molti autori, era già fissata il 14 settembre e celebrata con gran solennità, prima ancora che l'imperatore Eraclio riportasse il Santo Legno nel luogo da dove Cosroe, quattordici anni prima, lo aveva asportato. Cosroe II, re dei Persiani, nel 614, approfittando della dissoluzione dell'impero, mosse guerra ai Romani, col futile pretesto di vendicare l'imperatore Maurizio ed i suoi figli, che Foca aveva barbaramente trucidati. La condotta però ch'egli tenne ben presto diede a conoscere che egli non bramava altro che di saziare la sua ambizione e sfogare il suo odio contro i cristiani. Depredò la Mesopotamia, occupò successivamente le città di Edessa, Cesarea, Damasco e Gerusalemme e dopo aver fatto il solito bottino, abbandonò la Città Santa al saccheggio. Tra i tesori rapiti si trovava quello della Croce del Redentore che S. Elena aveva lasciata come pegno prezioso nella basilica del S. Sepolcro. Eraclio, successore di Foca, alla vista delle gravi calamità provocate dalla guerra, propose a Cosroe la pace che venne respinta. Eraclio allora con digiuni e preghiere implorò l'aiuto di Dio e radunato l'esercito ingaggiò battaglia campale contro i Persiani che rimasero definitivamente sconfitti presso le rovine di Ninive. Cosroe fuggì ed associò al trono il figliuolo Medarse. Ciò spiacque immensamente al figlio maggiore di Cosroe, Siro, a cui per diritto di primogenitura toccava il regno. Sdegnato dell'affronto, giurò vendetta, e al passaggio del Tigri barbaramente uccise il padre ed il fratello. Eraclio, che come condizione di pace aveva posto la restituzione della Croce, tornò a Gerusalemme, ringraziando la Provvidenza della vittoria riportata. L'imperatore stesso con vesti imperiali volle portare a spalle la preziosa reliquia alla chiesa di S. Croce sul Calvario, ma una mano invisibile lo arrestò presso la porta che conduceva al colle. Preso da timore, Eraclio si volse al patriarca Zaccaria e questi gli disse: « Guarda, imperatore, che con questi ornamenti di trionfo non imiti la povertà e l'umiltà con cui Gesù Cristo portò il pesante legno nella sua passione ». L'imperatore comprese, e indossato un umile vestimento, riprese la Croce, proseguendo speditamente il cammino. Nella Chiesa, la santa reliquia fu esposta alla pubblica adorazione: la cerimonia fu accompagnata da strepitosi miracoli. Questa solennità fu poi celebrata ogni anno, premettendo alla festa quattro giorni di preparazione, e numerose turbe accorrevano a Gerusalemme in tale circostanza. Un anno vi si recò anche Maria Egiziaca, che ebbe la grazia della conversione, principio della sua santità. « Attesa l'importanza religiosa della santa città, scrive il card. Schuster, questa festa si diffuse presto nel mondo cristiano, soprattutto orientale, tanto più che delle particelle della vera Croce fin dal quarto secolo venivano trasportate da Gerusalemme in molte altre chiese di Oriente e d'Occidente; e ci si teneva a riprodurre nelle principali città le cerimonie solenni del culto gerosolimitano verso la S. Croce, il vessillo trionfale della salute cristiana ». PRATICA. Fermiamoci un istante a considerare í dolori di Gesù sulla Croce, e per amor suo abbracciamo volentieri la nostra croce. PREGHIERA. O Dio, che in questo giorno ci rallegri colla solennità dell'Esaltazione della S. Croce, fa, te ne preghiamo, che possiamo godere in cielo dei frutti di quella redenzione del cui mistero avemmo conoscenza in terra. MARTIROLOGIO ROMANO. Festa della esaltazione della Santa Croce, che, il giorno dopo la dedicazione della basilica della Risurrezione eretta sul sepolcro di Cristo, viene esaltata e onorata come trofeo della sua vittoria pasquale e segno che apparirà in cielo ad annunciare a tutti la seconda venuta del Signore.

nome San Crescenzio di Roma- titolo Martire- nascita fine del III secolo, Roma- morte inizi del IV secolo, Roma- ricorrenza 14 settembre- Patrono di Binetto (BA), Pacentro (AQ)- A Roma, verso la fine del terzo secolo, in una famiglia in cui il Vangelo era vita vissuta ogni giorno, anche in mezzo alle persecuzioni più feroci come quella di Diocleziano, nacque questo fanciullo dal nome augurale, auspicio di crescita non solo fisica, ma soprattutto spirituale e morale. Il linguaggio scarno dell'iscrizione c'induce a pensare che essa sia tra quelle più antiche, e potrebbe risalire alla fine del terzo o al principio del quarto secolo, quando il messaggio delle lapidi era estremamente sobrio e si limitava a citare il nome del martire e la persona che aveva curato la sepoltura. Questa avvenne nell'agro Verano, nel cimitero di S. Ciriaca, la nobile matrona romana che lì seppellì anche il corpo di S. Lorenzo Martire. Dal modo della sepoltura particolarmente curata, con iscrizione e simboli del martirio si dedurrebbe che la sua famiglia fosse distinta ed agiata. Le tombe dei poveri spesso rimanevano anonime, senza nessun segno di distinzione. Il fatto che solo lui e non la madre fosse martirizzato farebbe supporre che si trattasse di una colpa sua personale. Quale? Ogni ipotesi è buona. Certamente in quei tempi anche i fanciulli e le fanciulle erano profondamente istruiti nella fede e si nutrivano quotidianamente dell'Eucaristia. Basti pensare a S. Tarcisio, S. Pancrazio, S. Agnese a Roma, S. Agata e S. Lucia in Sicilia, S. Eulalia in Spagna. Non è da escludere l'ipotesi che S. Crescenzo, come S. Tarcisio, abbia preferito farsi uccidere, anziché profanare o far profanare l'Eucaristia, oppure si sia rifiutato di sacrificare agli idoli. Forse sarà bastato il semplice fatto di essere un cristiano per ricevere la condanna, in quanto i Cristiani erano considerati "irreligiosi in Caesares" (= empi verso gli imperatori). L'iscrizione tombale ci presenta la figura forte e tenera della madre di S. Crescenzo che, sull'esempio della Madonna che, pur nello schianto del cuore materno, stava ritta in piedi presso la croce del suo figlio, ha soltanto trepidato dinanzi al piccolo testimone di Cristo, che aveva confermato col sangue il patto del battesimo. Ha raccolto quel sangue, lo ha deposto in un'ampolla e, più che alla terra, ha affidato a Dio, eredità, corona e premio dei martiri, il corpo del suo bambino. E nel cimitero di S. Ciriaca, questo invitto soldato di Cristo ha dormito per cinque secoli, fino a quando P. Luigi Vincenzo Cassitto lo ha scoperto e, dopo l'esumazione, composizione e ricognizione del corpo da parte del chirurgo pontificio Antonio Magnani, lo ha portato al suo paese natale di Bonito.

nome Sant'Alberto di Gerusalemme- titolo Vescovo e martire- nome di battesimo Alberto Avogadro- nascita 1149, Castel Gualtieri, Parma- Ordinato presbitero in data sconosciuta- Nominato vescovo dopo il 20 gennaio 1184 da papa Lucio III- Consacrato vescovo in data sconosciuta- Elevato patriarca 17 febbraio 1205 da papa Innocenzo III- morte 14 settembre 1214, San Giovanni d'Acri, Palestina- ricorrenza 14 settembre- Incarichi ricoperti Vescovo di Bobbio (1184-1185), Vescovo di Vercelli (1185-1205), Patriarca di Gerusalemme (1205-1214)- Il 15 luglio 1099, dopo un assedio durato cinque settimane, i crociati, guidati da Goffredo di Buglione, invasero e conquistarono Gerusalemme. Tra i passi da compiere per consolidare la loro presenza, era necessario sostituire i beneficiari greci delle sedi principali con vescovi occidentali. Nel corso del secolo successivo, il patriarcato latino di Gerusalemme fu occupato da uomini dal carattere equivoco come la posizione in cui si trovavano. Alla morte del patriarca Michele nel 1203, i Canonici regolari del Santo Sepolcro erano assai insoddisfatti di questa situazione, e con l'appoggio del re di Gerusalemme, Amalrico II di Lusignano (1197-1205), chiesero al papa di mandare qualcuno, dalla provata abilità e santità, che fosse conosciuto anche in Palestina. Con riluttanza a separarsene, il papa scelse Alberto, che al tempo era vescovo di Vercelli. Alberto proveniva da una distinta famiglia di Parma, e si sa poco dei primi anni di vita, eccetto che nacque a Castel Gualtieri, nella metà del secolo. Dopo aver terminato (brillantemente) gli studi in teologia e diritto, diventò canonico nell'abbazia della S. Croce a Mortara, vicino a Pavia. Nel 1184, all'età di circa trentacinque anni, fu eletto vescovo di Bobbio, ma non ebbe il tempo di stabilirsi perché trasferito quasi subito a Vercelli. Per più di quindici anni, oltre a compiere i suoi doveri di vescovo, fu un inestimabile mediatore e diplomatico nella sfera più ampia della politica papale: fu scelto come intermediario tra papa Clemente III (1187-1191) e Federico Barbarossa (1152-1190) nel processo di riconciliazione tra Chiesa e Impero, iniziato durante il regno del predecessore di Clemente, Gregorio III. Successivamente come legato di papa Innocenzo III (1198-1216), mediò la pace tra Parma e Piacenza, nel 1199. Innocenzo non voleva lasciarlo andare, ma lodò la scelta saggia, così nel 1205 Alberto partì, come patriarca di Gerusalemme e nunzio apostolico in Palestina. In questo periodo si era già conclusa la terza crociata, e il sultano, il Saladino, aveva riconquistato molte zone della Palestina, inclusa Gerusalemme. La corte del re franco si era spostata ad Akko (S. Giovanni d'Acri), come era avvenuto anche per la sede del patriarca latino. Dalla sua sede di Akko, Alberto cominciò a guadagnarsi la fiducia dei musulmani, oltre che dei cristiani (cosa che i suoi predecessori non erano riusciti a fare). Nei successivi nove anni, mise in pratica il suo talento per la diplomazia e la riconciliazione, tentando di mantenere la pace tra i governanti franchi e i loro segnaci all'interno delle differenti fazioni occidentali, e tra gli indigeni musulmani del paese e i loro invasori cristiani.<br /> Alberto è ricordato principalmente, in ogni caso, per qualcosa di completamente diverso: tra il 1205 e il 1210, S. Brocardo (2 set.), priore degli eremiti che vivevano su Monte Carmelo, gli chiese di redigere una regola che disciplinasse il loro stile di vita. Alberto accettò, e il risultato fu un documento composto di sedici capitoli, concisi e chiari, che prevedevano, tra le altre norme, la completa obbedienza al superiore nominato, celle separate per ogni eremita, un oratorio in comune, lavoro manuale per tutti, lunghi digiuni e totale astinenza dalla carne, il silenzio dal vespro fino a dopo l'ora Terza, e la preghiera costante. Questa regola, che fece conquistare ad Alberto il primato di legislatore, se non di fondatore dell'ordine carmelitano, fu confermata da Onorio III (1216 27) e successivamente modificato da Innocenzo IV (1243-1254). Nel 1213 Innocenzo III chiese ad Alberto di prepararsi a partecipare al IV concilio Lateranense, che avrebbe dovuto iniziare nel novembre 1215, e in vista del quale Alberto trascorse i successivi dodici mesi facendo il possibile per portare avanti i tentativi del papa di riconquistare Gerusalemme, ma non poté farlo al concilio. Stava partecipando a una processione ad Akko, durante la festa dell'Esaltazione della S. Croce (14 set.), quando un uomo che aveva licenziato poco tempo prima dall'incarico di direttore dell'ospedale Santo Spirito della città, si fece largo tra la folla e lo pugnalò a morte. La festa di Alberto avvenne introdotta dai carmelitani nel 1411 (per ironia, non fu celebrata dal proprio ordine, i Canonici Regolari del Laterano, per molto tempo). MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Akko in Palestina, sant’Alberto, vescovo, che, trasferito dalla Chiesa di Vercelli a quella di Gerusalemme, scrisse una regola per gli eremiti del monte Carmelo e, mentre celebrava la festa della Santa Croce, fu trafitto con la spada da un uomo malvagio da lui rimproverato.

nome Santa Notburga di Eben- titolo Domestica- nascita 1264 circa, Rattenberg, Austria- morte 14 settembre 1313, Eben, Austria- ricorrenza 14 settembre- Santuario principale<br /> Chiesa di Eben- Attributi falce- Patrona di domestiche, contadini e loro figlie- Non è stato tramandato nessun documento su Notburga, e gli studiosi non sono d'accordo nemmeno sul periodo in cui visse (alcuni la collocano al X sec.). Il testo più antico della sua leggenda, è scritto su una tavola di legno databile, per le sue particolarità linguistiche, all'incirca al 1250, usato per decorare la sua tomba, che andò perduto nel 1862, ma che fortunatamente era stato copiato, e che la colloca nel XIII secolo, oltre a contenere dettagli su vari miracoli che si possono trovare nelle Vite di altri santi che dovrebbero essere esaminati con cautela. Secondo la leggenda, Notburga nacque in una famiglia contadina a Rattenberg nel Tirolo austriaco, a nord est di Innsbruck, nel 1264 circa. All'età di diciotto anni entrò a servizio del conte Enrico di Rattenberg e della moglie, Ottilia, che la fece lavorare nelle cucine. Dato che avanzava sempre una gran quantità di cibo, si racconta che Notburga lo distribuisse ai poveri che si radunavano a una delle porte di servizio, e che mangiasse meno per poterne dare loro di più. Fin quando la madre di Enrico fu in vita, nessuno interferì con ciò che Notburga stava facendo, ma alla sua morte, Ottilia ordinò che tutti gli avanzi fossero dati ai maiali. Per un breve periodo, Notburga obbedì, dando ai poveri quello che avanzava dalla sua razione di cibo e di bevande, ma trascorse poco tempo e ricominciò a dar loro anche gli avanzi della tavola, e quando Ottilia la scoprì, Notburga fu immediatamente licenziata. L'impiego successivo di Notburga fu presso un fattore a Eben. Stava lavorando nei campi, di sabato, quando si suppone avvenisse l'episodio che l'ha resa più famosa: suonò la campana del vespro, a indicare che la domenica era iniziata, Notburga smise di lavorare e si preparò per andare in chiesa, ma quando il padrone le disse di continuare a lavorare, rifiutò, affermando che i buoni cristiani non mietono il raccolto di domenica con íl bel tempo. Quando egli obiettò che il tempo sarebbe potuto cambiare, ella disse: «Lasciamo che sia questo a decidere» e gettò il suo falcetto in aria, che si dispose come il primo quarto di luna di settembre, segno di bel tempo. Nel frattempo il conte Enrico, che si era risposato, aveva bisogno di qualcuno che si occupasse della casa, e, convinto che i suoi numerosi problemi fossero dovuti alla meschinità della sua prima moglie e alla sua decisione di licenziare Notburga, la richiamò, questa volta come governante. Durante questo periodo felice, certamente non si dimenticò dei poveri, e tra le altre volontà espresse a Enrico sul letto di morte gli chiese di fare altrettanto, oltre a disporre che il suo corpo fosse caricato su un carretto e seppellito nel punto in cui si fosse fermata la coppia di buoi, che alla fine fu all'esterno della cappella di S. Ruperto a Eben, dove dunque fu sepolta. Esistono numerose testimonianze successive che la cappella di S. Ruperto diventò meta di pellegrinaggio nel Medio Evo. Il culto locale di S. Notburga, patrona dei contadini e dei domestici, fu approvato da papa Pio IX (1846-1878) nel 1862.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. Nel villaggio di Eben nel Tirolo, santa Notburga, vergine, che, casalinga, servì Cristo nei poveri, lasciando ai contadini un modello di santità.

nome San Gabriele Taurino Dufresse- titolo Martire- nome di battesimo Jean-Gabriel-Taurin Dufresse- nascita 8 dicembre 1750, Lezoux, Francia- Ordinato presbitero 17 settembre 1774- Nominato vescovo 24 luglio 1798 da papa Pio VI- Consacrato vescovo 25 luglio 1800 dal vescovo Jean-Didier de Saint Martin, M.E.P.- morte 14 settembre 1815, Chengdu, Cina- ricorrenza 14 settembre- Beatificazione 27 maggio 1900 da papa Leone XIII- Canonizzazione 1º ottobre 2000 da papa Giovanni Paolo II- Attributi Palma del martirio, bastone pastorale, mitra- Incarichi ricoperti Vescovo titolare di Tabraca (1798-1815), Vicario apostolico coadiutore del Sichuan (1798-1801), Vicario apostolico del Sichuan (1801-1851)- Uno dei più instancabili missionari francesi in Cina durante il XVIII e XIX secolo, Gabriele nacque a Lezoux, a oriente di Clermont-Ferrand, l'8 dicembre 1750, studiò per il sacerdozio al seminario di Saint-Sulpice a Parigi, e quando era ancora diacono entrò nella società delle Missioni Estere di Parigi, dove fu ordinato nel dicembre 1774. Quasi esattamente un anno dopo, il 4 dicembre 1775, s'imbarcò per la Cina, e al suo arrivo diventò responsabile della zona settentrionale del distretto di Su-Tchucn, dove trovò alcuni cristiani dispersi, che avevano bisogno del suo ministero, Cattività iniziò bene, per i successivi Otto anni circa non si risparmiò, e i suoi sforzi ottennero dei risultati, ma nel 1784 ebbe inizio un'ondata di persecuzioni e una spia denunciò Gabriele ai mandarini. La prima volta che fu arrestato e imprigionato riuscì a scappare e fu accolto da una famiglia cristiana, che rischiò di essere punita per aver ospitato un sacerdote, così quando l'assistente del vicario apostolico fu arrestato l'anno seguente, Gabriele disse ai sacerdoti della sua zona di arrendersi come lui. Per i primi sei mesi fu tenuto prigioniero ín condizioni relativamente decenti, poi i lazzaristi di Pechino pregarono le autorità di rilasciarlo, assieme ad altri missionari francesi, e di conseguenza furono tutti liberati a condizione che risiedessero a Pechino o a Macao. Gabriele scelse Macao, credendo di poter facilmente ritornare alla sua missione, che riuscì a raggiungere il 14 luglio 1789, assumendosi la responsabilità del distretto di Tchon-King. Si mise subito a lavorare nuovamente, costruendo una chiesa, visitando i suoi parrocchiani dispersi, e amministrando i sacramenti (nel 1790 battezzò centoquaranta adulti, cinquecentotrentadue bambini e trecentodieci catecumeni, e negli anni seguenti il numero aumentò). Nel 1793 fu nominato provicario apostolico e nel 1800 coadiutore del vescovo. A dispetto delle costanti difficoltà e della portata del suo lavoro, nel 1803 Gabriele trovò tempo di partecipare a un sinodo diocesano, che pubblicò una serie di costituzioni che la Congregazione De Propaganda Fide a Roma raccomandò a tutti i missionari come norme di comportamento. Le cose apparentemente procedevano bene, ma nel 1805 la persecuzione si riaccese, e da allora fino al 1814, quando fu di nuovo denunciato ai mandarini, Gabriele fu costretto a spostarsi costantemente da un posto all'altro, riuscendo a continuare quell'esistenza da nomade per altri sei mesi, fino al 18 marzo 1815, giorno in cui alla fine fu arrestato, portato a TchenTu e condannato a morte. Dopo aver sopportato la prigione per quattro mesi, fu decapitato il 14 settembre. È stato beatificato il 27 maggio 1900. MARTIROLOGIO ROMANO. Nella città di Chengdu nella provincia di Sichuan in Cina, san Gabriele Taurino Dufresse, vescovo e martire, che pose termine con il martirio della decapitazione a un operoso ministero, a cui aveva atteso per quarant’anni.

nome San Pietro II di Tarantasia- titolo Vescovo- nascita 1102, Saint-Maurice-de-l’Exil, Delfinato, Francia- Consacrato arcivescovo 1140- morte 14 settembre 1174, Bellevaux, Francia- ricorrenza 14 settembre- Incarichi ricoperti Arcivescovo metropolita di Tarantasia (1140-1174)- Canonizzazione 10 maggio 1191- Una certa confusione sorge dall'esistenza di due beati e un santo che furono conosciuti, in vari momenti, come Pietro di Tarantasia: c'è il Pietro, nato nel 1240 circa vicino Tarantasia, che nel 1276 diventò papa (il primo domenicano a essere eletto a quella carica) con il nome di Innocenzo V, e che morì successivamente in quell'anno, dopo un pontificato di cinque mesi; c'è poi il Pietro monaco di Citeaux, che divenne arcivescovo di Tarantasia e morì nel 1140. Il Pietro di Tarantasia commemorato in questo giorno nacque nel 1102 circa, a St-Maurice-de-l'Exil, nella diocesi di Vienne. Esistono due fonti principali d'informazioni: una Vita contemporanea scritta da Goffredo, abate di Hautecombe, commissionata da papa Lucio III (1181-1185), e pubblicata non più tardi del 1185; e il De nugis curialum di Gualtiero Map, che è particolarmente utile giacché ne illustra la personalità. Era uno dei sei figli (cinque maschi e una femmina) di genitori devoti, particolarmente ospitali con i monaci viandanti che passavano davanti alla loro casa. Fu per merito di quest'ospitalità che Pietro conobbe i cistercensi di Citeaux e quelli dell'abbazia di recente fondata a Bonnevaux. All'età di ventun anni, seguì suo fratello maggiore, Lamberto, a Bonnevaux (dove furono successivamente raggiunti dal padre e dal figlio minore, mentre la madre e la sorella diventarono monache cistercensi a Saint-Paul-d'Izeaux). Bonnevaux possedeva già due case figlie quando, per richiesta dell'arcivescovo di Tarantasia (il secondo Pietro menzionato), fu fondata l'abbazia di Tamié, in Savoia, nel 1132. Il Pietro commemorato oggi ne fu nominato abate, incarico che svolse per i successivi otto anni, diventando noto per la santità e l'assistenza pratica che offriva a coloro che ne avevano bisogno. In questo periodo, con l'aiuto di Amedeo III di Savoia, costruì un ostello e un ospedale per i pellegrini. Nel 1140, l'arcivescovo di Tarantasia (la regione montuosa attorno a Maitiers nell'attuale dipartimento della Savoia) morì e fu sostituito dal cappellano di Amedeo III, Isdraél, che però si dimostrò così inadatto per quell'incarico che il papa fu costretto a destituirlo. Pietro, a cui fu chiesto di prenderne il posto, all'inizio rifiutò, ma alla fine, su insistenza di S. Bernardo (20 ago.) e di altri abati cistercensi, decise di accettare la nomina, e per i successivi quindici anni s'impegnò alacremente per proporre e consolidare un programma di riforma nell'arcidiocesi. Per questioni di priorità, nominò un nuovo capitolo cattedrale (canonici agostiniani, con cui visse in comunione pur continuando, come il suo predecessore e omonimo cistercense, a indossare la tonaca e a seguire la regola dell'ordine). Dopo aver assegnato sacerdoti devoti ed esemplari alle parrocchie, li sostenne facendo loro visita frequentemente, inoltre incoraggiò l'istituzione di scuole e ospedali. Divenne anche noto come intermediario e diversi papi, incluso il B. Eugenio 111 (1145-1153; 8 lug.) e Adriano IV (1154-1159) sfruttarono le sue capacità, come anche la corte di Savoia. Si diceva che fossero avvenuti dei miracoli per sua intercessione, mentre stava decidendo su una disputa a favore di Adriano IV, che gli fecero guadagnare quella fama di santità che lo spaventava. Sperando di recuperare la solitudine perduta, lasciò l'arcidiocesi in segreto, durante il 1155, e si recò in Svizzera, dove entrò nell'abbazia cistercense di Lucelle, nella diocesi di Basilea, come fratello laico. Quando fu scoperto un anno dopo, e costretto a tornare nella sua arcidiocesi, si dedicò al suo lavoro con la tipica devozione: trasformò il palazzo arcivescovile in un ricovero per poveri, con cui condivideva i pasti, e fondò vari istituti di carità per soddisfare le loro necessità, tra cui il più noto è il Pane di Maggio, che si dice abbia continuato a svolgere la sua attività fino al periodo della Rivoluzione: a sue spese, minestra e pane furono distribuiti a chiunque ne avesse bisogno, e si recasse alla porta del palazzo dell'arcivescovo durante il periodo immediatamente precedente al raccolto. Sempre preoccupato del benessere dei pellegrini e viandanti, ricostruì e ingrandì anche l'ospizio al passo del Piccolo S. Bernardo. Nel 1159, Pietro fu coinvolto nel fosco mondo della politica papale e imperiale. Adriano IV, che aveva commesso l'errore di alienarsi il supporto di Federico I Barbarossa quando si era incoronato da solo imperatore il 18 giugno 1155, morì li settembre. La sua morte fu seguita da un'elezione discussa; una maggioranza degli elettori votò per Orlando Bandinelli, che divenne papa con il nome di Alessandro III (1159-1181), ma un gruppo di elettori a favore dell'imperatore votò per il cardinale Ottaviano di Monticelli, che elessero con il nome di Vittore IV, dando così origine a uno scisma che durò diciotto anni. Strenuo difensore dell'unità della Chiesa, Pietro fu uno dei pochi vescovi che riuscirono a contrapporsi effettivamente all'imperatore e all'antipapa. Viaggiò senza sosta per tutta la Tarantasia, oltre che per la Borgogna, l'Alsazia, e la Lorena, predicando l'unione e la lealtà ad Alessandro III. Diverse volte durante gli anni seguenti tentò di persuadere Federico a essere meno intransigente, facendo direttamente appello al lato migliore del suo carattere. Ogni tentativo, tuttavia, fu inutile, benché avesse ricevuto l'appoggio di vari abati cistercensi, tra cui Lamberto di Citeaux e Aelredo di Rievaulx (12 gen.). Nel 1173, per richiesta del papa, Pietro si trovava a Limoges alla corte del re inglese, Enrico II (1154-1189), per contribuire alla rappacificazione di quest'ultimo e Luigi VII di Francia (1137-1179). Tn questo compito, fu assistito da Gualtiero Map, allora al servizio di Enrico, che lo descrisse come «un uomo allegro, e dall'aspetto felice in ogni circostanza, pulito, modesto, umile, dai modi sempre perfetti, come pensiamo io e molti altri». Map aggiunse che «vide un miracolo operato dalle mani del Signore e udito da molti [...] un uomo di una tale virtù e distinto da così tanti prodigi da poter essere proclamato alla pari degli antichi padri venerati dalla Chiesa, attraverso i quali il Signore [...] ha guarito i malati e scacciato gli spiriti maligni, né ha mai tentato di fare ciò che non ha fatto». Il Mercoledì delle Ceneri del 1174, Pietro si trovava nell'abbazia cistercense di Montmorency, dove benedisse le ceneri e celebrò la Messa per il re d'Inghilterra ed il suo seguito. Non era tornato da molto in Tarantasia, quando il papa gli chiese di recarsi all'abbazia di Bellevaux nella Franca Contea per sistemare le questioni d'attrito che erano sorte ira i monaci. Durante il viaggio si ammalò di febbre e, sebbene riuscisse a raggiungere il monastero, morì il 14 settembre, e fu inumato nella chiesa del monastero a Bellevaux, davanti all'altare della Vergine. Nei successivi dicci anni, Goffredo di Auxerre, poi abate di Hautecombe, che aveva avuto frequenti contatti con Pietro, scrisse una Vita, con la speranza della canonizzazione, che avvenne in realtà non meno di venti anni dopo, il 10 maggio 1191, per merito di papa Celestino 111 (1191-1198). Le reliquie più importanti sono conservate dall'abbazia di Tamié e S. Giorgio di Vesoul. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Beauvale nel territorio di Besançon in Francia, transito di san Pietro, che, da abate cistercense passò a reggere con ardente zelo la sede di Moûtiers, alla quale era stato elevato, promuovendo con fervore la concordia tra le popolazioni.

nome San Materno di Colonia- titolo Vescovo- nascita Colonia, Germania- morte IV secolo, Treviri, Germania- ricorrenza 14 settembre- La leggenda stravagante in relazione a S. Materno fu inventata nel a secolo a Treviri da un monaco chiamato Everardo, come parte di un tentativo di individuare le origini apostoliche delle sedi di Colonia e Treviri, che entrambe sostenevano di aver avuto rapporti con S. Pietro (29 giu.) La questione, che in ogni caso è piena di difficoltà, è ulteriormente complicata dal fatto che Colonia cita due vescovi di nome Materno, uno del I e l'altro del IV secolo, e vescovi con quel nome appaiono negli elenchi di Treviri e Liegi. Secondo la storia apocrifa, che tenta di identificare tutti loro con una sola persona, Materno era il figlio risuscitato della vedova di Nain (Le 7, 11-17) e uno dei settantadue discepoli. Con S. Eucario e S. Valerio, fu inviato da S. Pietro a predicare il cristianesimo presso i Galli. Quando il gruppo raggiunse Ehl, in Alsazia, Materno morì, i suoi compagni fecero ritorno a Roma, dove S. Pietro diede loro il suo bastone, ordinando di posarlo sul corpo dell'uomo morto. Materno perciò risuscitò una seconda volta, e visse per portare il Vangelo ai «popoli di Tongres, Colonia, Treviri e in altre zone vicine». La stessa storia si racconta a proposito di altri missionari in Gallia, ed è, ovviamente, senza valore. Gli eventi, in quanto tali, sembrano attestare che Materno fu il primo vescovo di Colonia di cui si hanno notizie certe, e forse il fondatore della diocesi, e che fu uno dei tre vescovi (oltre a Reticio di Autun e Marino di Arles) chiamati a Roma nel 313 dall'imperatore Costantino il Grande (306-337), in qualità di mediatori nella disputa tra Ceciliano, vescovo ortodosso di Cartagine, e Donato, il vescovo dello scisma e i suoi seguaci. Quando il sinodo si pronunciò contro i donatisti il 2 ottobre, questi chiesero una nuova udienza, perciò l'imperatore ordinò di convocare un altro sinodo per sistemare la questione, che fu tenuto ad Arles nel 315, e Materno fu tra coloro che ratificarono i decreti. Sembra che sia morto, forse prima del 343, a Treviri. Esistono pochissime testimonianze di un culto a Colonia. MARTIROLOGIO ROMANO. A Colonia, in Germania, san Materno, vescovo, che condusse alla fede in Cristo gli abitanti di Tongeren, Colonia e Treviri.

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