@JemFinch
Ho perso la testa, ho perso la testa, ho perso la test- no, l’ho ritrovata apparentemente.
Ho una quantità infinita di libri da comprare, domani mi arrivano l’idiota e i fratelli Karamazov più padri e figli di Turgenev. Grazie a mia cugina ora ho diversi libri di Gogol’ quindi una volta preso Anna Karenina della letteratura russa mi mancano praticamente solo Bulgàkov e alcune cose di Čechov, oh e Puškin, e Pasternak e Blok e probabilmente Majakovskij vabbè, fondamentalmente ho una libreria da riempire. Poi mi sono accorto di avere sì diversi autori di poesia ma pochi libri, sono fermo da due mesi alle ceneri di Gramsci, aux Fleurs du mal, alla Cvetaeva.
Siccome sono fermo a pagina 17-18 del romanzo ho deciso di guardare in faccia la realtà e renderlo un racconto,
sicuramente non sarà un racconto breve perché le 17 pagine già esistenti non sono in alcun modo risolutive quanto piuttosto introduttive. Don Julio Cortázar era un uomo saggio, lo è stato in vita e coerentemente ha deciso di esserlo anche nella morte, finendo nel 1984.
Nella prefazione ai racconti di Luís (Sepúlveda) si legge: “Nella lotta che s’instaura fra un lettore e un testo appassionante, il romanzo vince sempre ai punti, ma il racconto deve vincere per Knock out.” Don Julio di racconti che vincono per Knock out ne sapeva qualcosa, mi è ancora impresso e probabilmente lo sarà per sempre l’immagine della battaglia tra sole e luna, e la meravigliosa conclusione, il tutto in una pagina di libro. Dunque è evidente che scrivere un racconto è ben diverso dallo scrivere un romanzo, il racconto deve essere perfetto in ogni suo particolare, colpire ad ogni minima possibilità, finire nel più breve e sconvolgente dei modi, l’idea di rendere tre settimane di lavoro su una cosa un’altra cosa completamente diversa mi spaventa, ma non posso fare altrimenti, al contrario rischierei di non continuarlo affatto, inoltre manca una storia è evidente, non ha la stoffa del romanzo quindi tanto meglio.
Oltre ad iscrivermi al FGC domani intendo divellere i decadenti dal divano, Rimbaud Verlaine e Baudelaire si sono presi n’abbiocco oramai.
Nonostante mi fossi preso una pausa in attesa di risposte dagli editori in questi giorni ho scritto qualche verso perché ne sentivo un’assoluta necessità, non trovo più il mio amico gatto, è come scomparso dalla mia vita.
Tulipano rosso
È in queste strade che vige
il silenzio, nelle contrade gli inverni
senza freddo
Perché riposo oggi solitario,
vorrei fiorire rosso
svegliarmi tulipano.
In mezzo ad alberi ed erbacce
apparire, poi quando colto essere
Per dimostrare lacrime,
infine per morire.
La Tenerezza
Si accumulano sulle mie mani stanche i giorni
E sulle gote lacrime scorrono lungo
crinali di pelle bionda.
Come le multe accalcate sulle pile d’ingresso, che impolverano
il pianerottolo e sviscerano
i respiri; Dalla carta dimenticate.
E quando l’occhio vede la strada
nuda d’estate s’appaga per un istante,
E quando i sassi delle spiaggette nere m’incrinano le scarpe, so di non avere più risposte.
Vorrei restituire la forza della tenerezza di uno strofinio leggero,
e cedere alle tentazioni di orizzonti morbidi,
per credere nelle solitudini dei gatti
e celebrare il loro essere ciechi.
Mi manca da morire quel gatto,
ve lo dico con una certa calma solo apparente, dettata dalla scrittura,
ma io ho il terrore di non rivederlo più,
come se quel saluto d’amore puro che mi prese tanto alla sprovvista dieci giorni fa fosse un addio, tremo come quei gozzi legati tra di loro solo da una corda, che torni od io non tornerò più.