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I santi di oggi 13 novembre:
nome Sant'Antioco di Sulcis- titolo Martire- nascita 95 d.C., Mauritania- morte Sulci, 13 novembre 127 d.C.- ricorrenza 13 novembre, 13 dicembre, 15 giorni dopo Pasqua, 1 agosto- attributi palma del martirio- Santuario principale Basilica di Sant'Antioco Martire, Sant'Antioco- Patrono di Sant'Antioco, Ozieri, Atzara, Palmas Arborea, Ulassai, Diocesi di Ozieri, Diocesi di Iglesias, minatori- Una figura legata alle miniere di questa regione, ai cui lavori forzati durante le persecuzioni i romani destinarono anche molti cristiani. Tra di essi si ricorda appunto Antioco, che fu inviato in esilio nella splendida isola che porta il suo nome (oggi congiunta alla terraferma con un ponte). La tradizione vuole che fosse un medico orientale che, nella prima metà del II secolo, ai tempi dell’imperatore Adriano, percorreva la Galazia e la Cappadocia prendendosi cura non solo dei corpi ma anche delle anime di quanti incontrava. Le conversioni da lui suscitate lo portarono all’arresto e all’esilio in Sardegna. Ma, anche prigioniero, la sua testimonianza cristiana fu talmente forte da aprire alla fede il cuore del soldato Ciriaco, che avrebbe dovuto essere il suo carceriere. La notizia fece infuriare le autorità imperiali che lo condannarono a morte. Prima di morire, comunque, Antioco invocò la protezione di Dio sulla Sardegna e sul suo popolo, che ancora oggi lo venera. Fin dai tempi antichi la Sardegna fu solcata da miniere, dalle quali si estraevano metalli e minerali pregiati. Al pesante lavoro delle miniere venivano addetti schiavi o prigionieri di guerra; e durante le persecuzioni imperiali, molti cristiani furono esiliati in Sardegna e costretti ai lavori forzati. Si ricordano ancora molti Santi e diversi Papi che soffrirono nelle miniere il loro lungo martirio. L'Isola di Sant'Antioco è oggi congiunta alla terraferma con un ponte che la collega alla strada di Carbonia e di Iglesias. Ma un tempo, isolata e inospitale in mezzo alle acque, doveva servire egregiamente come luogo dì deportazione. Oggi, la zona del Sulcis, prospiciente alle due isole, è nota per l'estrazione del carbone fossile. Un tempo, vi si scavavano metalli, e l'isola dì Sant'Antioco si chiamava Plumbaria, proprio per le miniere di piombo. In questo luogo di lavoro e di deportazione sarebbe finito Sant'Antioco, il quale, secondo la tradizione, era un medico orientale, che, al tempo dell'Imperatore Adriano, cioè nella prima metà del Il secolo, percorreva la Galazia e la Cappadocia, ai confini orientali dell'Impero.
Egli non solo curava i corpi, ma vaccinava le anime col Battesimo, ed era ben noto per le innumerevoli conversioni di pagani. Quando l'Imperatore emise un Editto di persecuzione, lo zelante medico e missionario fu tra i primi ad essere arrestato. Si voleva far di lui un apostata, ma egli non piegò né alle torture né alle minacce. L'Imperatore allora lo inviò esule in Sardegna, nell'Isola Plumbaria, perché avesse tempo di pentirsi della sua ostinazione e di raffreddarsi nel suo entusiasmo di credente. Giunse nell'isola condotto da un soldato di nome Ciriaco, che doveva essere suo custode ed aguzzino. Non pare però che fosse condannato ai lavori forzati, se è vero che si stabilì in una grotta presso le coste dell'isola, trasformandola in un piccolo oratorio sotterraneo. Qui passò i suoi giorni di esilio, pregando, meditando, digiunando. Il suo esempio convertì il soldato Ciriaco, e quando la notizia di quel cristiano irriducibile giunse alle orecchie delle autorità imperiali di Cagliari, venne decisa una punizione esemplare. L'esule Antioco fu così colpito a morte, ma prima di morire egli pronunziò una accorata preghiera al Signore, invocandone la protezione sulla Sardegna e sul suo fiero popolo.
Per quanto incerta possa essere la Passione di questo antico Martire, certa e antichissima è la devozione dei Sardi per Sant'Antioco, ricordato con affetto e gratitudine in tutta l'isola, e specialmente nella regione del Sulcis. L'antica diocesi di Iglesias sì onora infatti di avere come Patrono l’esiliato di Cristo, il medico e Martire venuto d'oltremare. La data di culto per la Chiesa Cattolica è il 13 dicembre mentre in diverse località della Sardegna viene festeggiato il 13 novembre. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel promontorio di Sulcis in Sardegna, sant’Antioco, martire.
nome San Niccolò I- titolo 105º papa della Chiesa cattolica- nascita 819 circa, Roma- Elezione 24 aprile 858- Insediamento 24 aprile 858- Fine pontificato 13 novembre 867 (9 anni e 203 giorni)- morte 867, Roma- ricorrenza 13 novembre- Santuario principale Basilica di San Pietro in Vaticano- Alla sua morte, il 13 novembre dell'867, dopo nove anni di pontificato, questo grande uomo fu compianto da molti e ricevette subito il titolo "Santo" e "Magno"; inoltre un contemporaneo scrisse: «Dopo il beato S. Gregorio [Magno, 590-604; 3 set.], non è stato innalzato nessun altro che sia pari per dignità pontificia». Lo stesso autore contemporaneo ci fornisce anche dettagli sulla sua personalità: «Dava ordini a re e governanti, come se fosse il signore del mondo; era disponibile, gentile e modesto, con i buoni ve-scovi e sacerdoti, con i laici devoti, ma terribile e severo con i malvagi. È giusto dire che Dio creò in lui un secondo Elia». Nato a Roma, nell'820, figlio di un importante ufficiale dell'esercito, fu invitato da papa Sergio II (844-847), nella sede pontificia, dove successivamente Leone IV (847-855; 17 lug.) e Benedetto III (855-858) fecero tesoro dei suoi notevoli doni; alla morte di Benedetto, Nicolò, che a quel tempo era solo diacono, fu eletto papa. Papa Nicolò ereditò da Leone I (440-461; 10 nov.), Gelasio I (492-496), e Gregorio Magno, una forte fede nella supremazia della sede di Roma e nel diritto della Chiesa di essere affrancata dall'ingerenza dello Stato nelle sue questioni, e dedicò tutte le sue energie al raggiungimento di queste mete, incarico certamente non semplice, data la realtà che aveva di fronte. La Chiesa occidentale viveva una fase negativa, dopo il collasso dell'impero di Carlo Magno, e la nobiltà aveva acquisito troppo potere nell'elezione e destituzione dei vescovi, spesso troppo giovani, privi d'esperienza e talvolta corrotti. La scomunica era usata arbitrariamente, come forma di punizione, e il disprezzo per il clero aveva causato anche un rifiuto nei confronti del loro ufficio. Nicolò dovette affrontare, in particolare, alcuni vescovi metropolitani, tra cui Incmaro, arcivescovo di Reims, e Giovanni, arcivescovo di Ravenna, che si comportavano in modo totalmente autonomo da Roma. In una di queste occasioni Nicolò citò un documento in cui il presunto autore, S. Isidoro di Siviglia (4 apr.), confermava l'autorità del papa sui sinodi e i metropolitani; è improbabile che Nicolò conoscesse la provenienza di questo documento, che faceva parte delle False Decretali, scritto in realtà in Francia nell'850, e quelli che lo hanno accusato di esserne a conoscenza in quel momento dimenticano che la contraffazione fu scoperta solo nel xv secolo. Nicolò fu un tenace difensore del matrimonio cristiano, ottenendo una vittoria morale nei confronti di Lotario II di Lorena (855-869), che chiese il divorzio dalla moglie, per potersi risposare; Nicolò s'infuriò non solo con lui, ma anche con i vescovi che avevano assecondato la sua decisione, sanzionando il divorzio durante il sinodo di Aachen nell'862, e riconoscendo il nuovo matrimonio in un secondo sinodo a Metz, l'anno successivo; ma quando due di loro, l'arcivescovo di Colonia e quello di Treviri, giunsero a Roma per presentargli i decreti del sinodo, mise in pratica la sua autorità, ripudiandoli e scomunicando i due arcivescovi, per aver ratificato la bigamia del re. L'imperatore Ludovico II prese le difese di Lotario, e per un breve periodo Nicolò fu costretto a rifugiarsi in San Pietro, ma alla fine Lotario dovette accettare il suo ordine e per un breve periodo si riconciliò con la moglie. Nicolò dimostrò la stessa forza, quando il re dei franchi Carlo 11 il Calvo (840-877) persuase i vescovi franchi a scomunicare sua figlia Giuditta per essersi sposata con Baldovino delle Fiandre senza il suo consenso; Nicolò intervenne, sostenendo il principio che il matrimonio deve essere contratto in libertà. Vi era agitazione anche in Oriente, dove Nicolò si preoccupò di mantenere la supremazia di Roma; il patriarca di Costantinopoli, Ignazio (23 ott.), era stato recentemente rimosso dal suo incarico, e sostituito da Fozio, un uomo di talento, ma che non era sacerdote, questione che sollevò alcuni problemi per tutto il pontificato di Nicolò. Il papa mandò dei rappresentanti a Costantinopoli, rifiutandosi di riconoscere Fozio e appellandosi all'imperatore Michele III, ma dato che i suoi rappresentanti parlarono in favore di Fozio, preferì ascoltare i seguaci di Ignazio, e scomunicò Fozio, giustificando la sua azione nei confronti dell'imperatore in nome della supremazia di Roma. Nel frattempo, Boris, il sovrano della Bulgaria, appena battezzato, scrisse a Nicolò, sottoponendogli un certo numero di questioni, a cui Nicolò rispose scrivendo un'opera che fu poi considerata «un capolavoro di saggezza pastorale, nonché uno dei migliori documenti della storia del papato». Nicolò mandò inoltre alcuni vescovi in missione, per richiesta del re, e fu perciò comprensibilmente deluso quando Boris scelse di sottomettere il suo popolo al patriarcato di Costantinopoli invece che alla Chiesa romana, scelta forse determinata dal fatto che Nicolò lo aveva rimproverato di aver usato la forza per convertire i pagani che vivevano nei suoi domini, suggerendo in generale al popolo bulgaro di essere meno superstizioso, meno feroce in guerra, e di ridurre l'uso della tortura. Un altro motivo della decisione forse fu che gran parte della Bulgaria sarebbe rientrata in ogni caso sotto la giurisdizione di Costantinopoli; Fozio, infastidito dall'interferenza di Nicolò, riunì un sinodo per scomunicarlo e destituirlo, e anche se Nicolò morì prima che la notizia giungesse a Roma, l'intera questione indubbiamente accelerò lo scisma tra Oriente e Occidente. Nicolò credeva fermamente che tutti sono uguali davanti alla legge di Dio e per tutto il suo breve pontificato denunciò senza timore l'ingiustizia e la cattiveria di cui era testimone; fu un giudice forte e onesto a cui i popoli sia dentro che fuori dall'Europa si rivolgevano per ottenere consigli, ma nonostante avesse a cuore tutta la cristianità, s'interessò in modo molto personale dei suoi diocesani. Tenne, per esempio un registro, di tutti i poveri e i disabili di Roma, e si preoccupò che ricevessero il cibo a domicilio, mentre quelli che potevano camminare si recavano presso la sede. Alla fine la malattia ebbe il sopravvento su di lui: ammise in una lettera che soffriva a tal punto da non essere capace neanche «di rispondere in modo giusto alle domande, e di non poter nemmeno dettare le risposte a causa della sofferenza ». Morì il 13 novembre 867 a Roma; il Liher Pontificalis afferma che era «paziente e moderato, umile e casto, con un bel viso e un corpo gracile [...]». Era amico delle vedove e degli orfani, e modello di virtù per tutti». Ironicamente, mentre giaceva morto, uno dei suoi ufficiali rubò il denaro che aveva risparmiato per i poveri. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma presso san Pietro, san Nicola I, papa, che si impegnò con vigore apostolico a rafforzare l’autorità del Romano Pontefice in tutta la Chiesa di Dio.
nome Sant'Agostina Pietrantoni- titolo Religiosa e Martire- nome di battesimo Livia Pietrantoni- nascita 27 marzo 1864, Pozzaglia Sabina- morte 13 novembre 1894, Roma- ricorrenza 13 novembre- Beatificazione 12 novembre 1972 da papa Paolo VI- Canonizzazione 18 aprile 1999 da papa Giovanni Paolo II- Patrona di infermieri- Livia Pietrantoni nacque in una povera famiglia di contadini a Pozzaglia Sabina, vicino a Rieti, il 27 marzo 1864; a ventidue anni entrò nelle Sorelle della Carità di S. Giovanna Antiela Thouret, a Roma, prendendo il velo il 3 agosto 1887, con il nome di Agostina. Nei due anni successivi svolse varie mansioni all'ospedale Santo Spirito della città, poi, nell'estate del 1893, cominciò ad assistere pazienti affetti da tubercolosi e, al momento della professione dei voti, nel settembre del 1893, aveva già contratto quella malattia, a quel tempo incurabile; soffrì molto, non solo fisicamente, ma anche spiritualmente, dato che sopportò pazientemente anche il risentimento dei pazienti nei suoi confronti, esacerbato dal clima anticlericale che in quell'epoca dilagava in Italia. Uno di questi pazienti, Giuseppe Romanelli, più violento degli altri, alla fine fu cacciato dall'ospedale per il comportamento aggressivo; questi si convinse, senza alcun motivo, che Agostina fosse responsabile della sua espulsione e progettò di vendicarsi.<br /> Alla fine, il 13 novembre 1894, entrò nell'ospedale dalla porta principale incustodita, e si nascose nel vano di un corridoio attendendo l'arrivo di Agostina, poi la pugnalò ferocemente sette volte; anche se la giovane riuscì a chiedere aiuto, i soccorsi giunsero troppo tardi per evitarle la morte, che sopraggiunse mentre rassicurava la superiora di non preoccuparsi per lei, perché moriva felice. Il popolo di Roma la considerò un'eroina, non solo per le circostanze violente della sua morte, ma per la carità, la sincerità, l'apertura e il fervente spirito di preghiera, che la caratterizzarono. Le spoglie sono rimaste a Campo Verano fino al 15 marzo 1941, allorché sono state trasferite nella chiesa della casa madre della congregazione. È stata beatificata da papa Paolo IV (1963-1978) il 12 novembre del 1972 e canonizzata da Giovanni Paolo II il 18 aprile 1999. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, santa Agostina (Livia) Pietrantoni, vergine della Congregazione delle Suore della Carità, che si dedicò nell’ospedale di Santo Spirito con cristiana misericordia alla cura degli infermi e morì accoltellata da un malato preso da furore omicida.
nome San Brizio di Tours- titolo Vescovo- nascita IV secolo, Turenne, Francia- morte V secolo, Tours, Francia- ricorrenza 13 novembre- Santuario principale Tours- Attributi mitra e bastone pastorale- Patrono di Calimera e giudici- Le informazioni che abbiamo su S. Brizio (o Britius) derivano dalla Vita di S. Martino di Tours (11 nov.), scritta da Sulpicio Severo, oltre che dalle tradizioni popolari, in relazione a S. Gregorio di Tours (17 nov.). Personalità difficile e volubile, nativo di Turenne, Brizio crebbe nel monastero di Marmoutier, sotto la guida di Martino, dove causò così tanti problemi, che l'abate continuò a tenerlo nella congregazione solo perché cacciandolo avrebbe rinunciato a questa difficile prova inviatagli dal Signore: «Se Cristo ha tollerato Giuda, sicuramente io posso sopportare Brizio». Esiste una storia che racconta che, mentre era diacono, Brizio diffuse la notizia che Martino era pazzo, e quando quest'ultimo gli chiese di giustificarsi, il giovane negò di averlo mai detto; a quel punto Martino disse di avere sentito personalmente le calunnie, aggiungendo: «Ho pregato per te, sarai vescovo di Tours», e Brizio se ne andò mormorando di aver sempre pensato che il vescovo era pazzo. Sulpicio Severo ci racconta poi che Brizio credeva di essere un modello da seguire dato che era cresciuto a Marmoutier, al contrario di Martino che, come rimarcava Brizio con presunzione, era vissuto in un accampamento militare, era superstizioso ed era impazzito in vecchiaia. Improvvisamente, ad ogni modo, Brizio cambiò completamente atteggiamento e chiese a Martino il suo perdono, sempre facile da ottenere. Leggendo tra le righe del racconto di Sulpicio, inevitabilmente favorevole a Martino, sembra che Brizio rappresentasse una minoranza, forse interna al monastero, ma sicuramente di Tours, che considerava Martino un estraneo e trovava difficile avere rapporti con lui. Martino morì nel 397 e Brizio gli successe; il suo lungo episcopato fu tormentato da molti attentati intesi a rimuoverlo dalla sua posizione (talvolta giustificabili, altre volte no, ma sempre fallimentari). Nel 430 ca., i suoi nemici lo accusarono di avere una relazione sessuale con una donna della città e sembra che sia riuscito a discolparsi (secondo S. Gregorio di Tours, con uno stupefacente miracolo), ma il popolo lo cacciò dalla sua sede, spingendolo a recarsi a Roma per rivendicare la sua innocenza. Questo episodio gli lasciò delle profonde ferite e, dopo sette anni di esilio a Roma, alla fine il papa lo riabilitò. Alla morte di Armenzio, che aveva amministrato la diocesi temporaneamente, Brizio fece ritorno a Tours e per i sette anni successivi, servi il popolo con un vero zelo apostolico, che fu interpretato come ammenda per gli errori del passato; alla sua morte nel 444 fu immediatamente venerato come santo. Nel giro di venticinque anni la sua festa era celebrata a Tours e il culto si estese rapidamente in Inghilterra e in Italia, in particolare, a causa del suo stretto rapporto con S. Martino; divenne particolarmente famoso in Inghilterra e comparve fino al 1100 in tutti i calendari, oltre che in quello di Sarum. Oggi, S. Brizio è conosciuto per il massacro del giorno di S. Brizio avvenuto il 13 novembre 1002, quando il re inglese, Etelredo lo Sconsigliato, ordinò il massacro di tutti i danesi che vivevano in Inghilterra, causando l'invasione guidata da Sven, re di Danimarca. MARTIROLOGIO ROMANO. A Tours nella Gallia lugdunense, ora in Francia, san Brizio, vescovo, che, discepolo di san Martino, succedette al maestro e per quarantasette anni fece più volte fronte a varie avversità.
nome San Florido di Città di Castello- titolo Vescovo- nascita 520 circa, Città di Castello- morte 599 circa, Pieve de' Saddi- ricorrenza 13 novembre- Santuario principale Basilica cattedrale di Città di Castello- Attributi abiti vescovili con mitra, pastorale e piviale, mentre tiene in mano il modellino di Città di Castello- Patrono di Città di Castello e diocesi di Città di Castello- Florenzio nacque a Città di Castello, i suoi genitori morirono quando era ancora giovane, studiò lettere e teologia. Intorno al 542 il vescovo lo nominò diacono. Qualche tempo dopo, insieme ai suoi compagni Sant'Amanzio de Tiferno e Donnino, fuggirono a Perugia, perché Città di Castello era assediata dalle truppe di Totila. Qui il vescovo Sant'Ercolano, dopo averlo conosciuto e apprezzato i suoi doni, lo ordinò sacerdote. Nel 544 a Pantalla, un paese vicino a Todi, curò un demoniaco con le sue preghiere, questo fu il suo primo miracolo. Dopo sette anni di assedio di Perugia, la città moriva di fame, il vescovo Sant'Ercolano fu assassinato e dopo qualche tempo si intravide un raggio di pace. Florenzio tornò a Città di Castello che la trovò distrutta. Insieme ai sopravvissuti costruì una fortezza sulle rovine della città. Furono ricostruite case e chiese; la città iniziò una nuova vita. Nel frattempo il vescovo morì e papa Pelagio, su richiesta dei cittadini, nominò Florenzio vescovo di Città di Castello, di cui testimoniò la santità e la dottrina papa san Gregorio Magno; San Amanzio di Tiferno era il suo sacerdote, noto per la sua carità verso i malati. Florenzio era un uomo dedito alla predicazione della Parola di Dio. Amministrò con giustizia e carità. Morì a Pieve de Saddi e fu assistito da tre vescovi. MARTIROLOGIO ROMANO. A Città di Castello in Umbria, commemorazione dei santi Fiorenzo, vescovo, del quale il papa san Gregorio Magno attesta la retta dottrina e santità di vita, e Amanzio, suo sacerdote, pieno di carità per gli ammalati e di ogni virtù.
nome Santi Antonino, Niceforo, Zebina, Germano e Manatha- titolo Martiri- ricorrenza 13 novembre- Martiri a Cesarea de Palestina, durante il governo di Galerio Maximino. Antonino era il più anziano del gruppo e si opponevano al sacrificio degli idoli davanti al Prefetto Firmiliano, come atto di empietà e per questo furono decapitati. Manata, era una fanciulla che è stata esposta e camminò nuda per tutta Cesarea, mentre la frustavano, finché non fu condannata ad essere bruciata viva. MARTIROLOGIO ROMANO. A Cesarea in Palestina, passione dei santi martiri Antonino, Niceforo, Zebina, Germano e Mánatas, vergine. Costei, dopo aver patito la fustigazione, fu poi messa al rogo sotto l’imperatore Galerio Massimino; gli altri, invece, furono decapitati per avere accusato di empietà con coraggio e schiettezza il governatore Firmiliano, perché immolava agli dèi.
nome Sant'Eugenio II di Toledo- titolo Vescovo- nascita Spagna- morte 657, Toledo, Spagna- ricorrenza 13 novembre- C'è una certa confusione nell'elenco dei vescovi di Toledo, in cui compaiono due vescovi con lo stesso nome, che si successero l'un l'altro in quella sede; ad ogni modo, l'esistenza del primo Eugenio, astronomo e matematico, è messa in discussione. Il suo "successore", S. Eugenio, era un goto di Spagna, che diventò monaco a Saragozza; per evitare di essere eletto arcivescovo di Toledo, si nascose in un cimitero, ma alla fine fu costretto ad accettare la consacrazione. Poeta (esistono ancora alcune opere, in prosa e in versi) e probabilmente musicista di talento, cercò di migliorare lo scarso livello dei canti liturgici; amministrò la sua sede con grande saggezza, impressionando profondamente tutti quelli che lo conoscevano, e alla sua morte, nel 657, fu sostituito dal nipote, S. Ildefonso (23 gen.). Non si deve confondere questo Eugenio con quello menzionato da Alban Butler al 15 novembre, che fu probabilmente un martire, ma non ha relazione con la Spagna; oppure con un altro Eugenio menzionato nel Martirologio Romano, al 17 novembre, discepolo di S. Ambrogio (7 clic.). MARTIROLOGIO ROMANO. A Toledo in Spagna, sant’Eugenio, vescovo, che si adoperò per rinnovare la sacra liturgia.
nome Santa Maxellendis- titolo Vergine e martire- nascita 650 circa, Caudry, Francia- morte 670 circa, Cateau-Cambresis, Francia- ricorrenza 13 novembre- Dopo la sua morte, nacque un culto per le reliquie di S. Maxellendis, ancora commemorata nella diocesi di Cambrai, che ne custolisce la maggior parte; secondo un racconto che risale al x secolo, dai dettagli poco attendibili, era figlia di genitori nobili, Umolino e Ameltrude che vivevano a Caudry, vicino a Cambrai. Giunta in età da marito, ebbe molti pretendenti, ma i genitori scelsero Arduino di Solesmes; quando disse al padre che non desiderava sposarsi, questi rispose che era possibile servire Dio anche come moglie e madre, come avevano fatto effettivamente molte sante. La figlia gli chiese tempo per pensarci, ma dopo aver sognato (come molti altri santi del primo e tardo Medio Evo) un angelo che approvava la sua decisione, informò il padre di essere sicura di voler diventare monaca; i suoi genitori tuttavia si dimostrarono altrettanto decisi e iniziarono i preparativi per il matrimonio, e per evitarlo fu costretta a rifugiarsi con la sua balia a Cateau-Cambresis. Arduino e i suoi amici scoprirono il suo nascondiglio, vi fecero irruzione e la rapirono, ma la giovane riuscì a liberarsi c stava scappando quando Arduino, furioso, la colpì con la spada, uccidendola sul colpo; contemporaneamente Arduino diventò cieco. Maxellendis fu sepolta in una chiesa vicina, ma dal momento che le furono attribuiti così tanti miracoli, nel 673 Vindiciano, vescovo di Cambrai, trasferì le sue reliquie nella chiesa di S. Vaast a Caudry. Arduino, che chiese di poter partecipare alla processione, cadde in ginocchio all'arrivo della bara, pentendosi del suo crimine e chiedendo perdono a Dio: in quel momento recuperò la vista. Prima del loro trasferimento a Caudry, le reliquie erano state già traslate altre volte.<br /> MARTIROLOGIO ROMANO. Nel territorio di Cambrai in Francia, santa Massellenda, vergine e martire, che, come si tramanda, avendo scelto Cristo come sposo, si rifiutò di seguire l’uomo a cui era stata promessa dai suoi genitori e morì, così, da lui trafitta con la spada.
nome Santi Arcadio, Pascasio, Probo, Eutichiano e Paulillo- titolo Martiri- ricorrenza 13 novembre- Non esiste una passio di questo gruppo di martiri, eccetto un racconto scritto da S. Prospero di Aquitania (25 giu.), inserito nelle sue Cronache; secondo il Martirologio Romano, si chiamavano Arcadio, Pascasio, Probo ed Eutichiano, e subirono il martirio «in Africa» (presumibilmente nell'attuale Tunisia), nel corso della «persecuzione dei Vandali»: essi rifiutarono di accettare la dottrina di Ario, che negava la divinità di Cristo e furono «prima proscritti dal re ariano, Genserico (842-877), poi esiliati e trattati con crudeltà atroce, infine uccisi in vari modi». Il Martirologio aggiunge che anche Paolillo; il giovane fratello di Pascasio ed Eutichiano, rifiutò «di negare la sua fede cattolica» perciò fu «bastonato e condannato alla schiavitù più infima», e sembra sia morto poco dopo. Il vescovo Antonino Onorato di Costantino, che gli mandò delle lettere mentre era in prigione, definisce Arcadio "l'alfiere della fede", e da una sua lettera si apprende che era sposato con famiglia. MARTIROLOGIO ROMANO. In Africa, commemorazione dei santi martiri spagnoli Arcadio, Pascasio, Probo ed Eutichiano, che, non tollerando in nessun modo di asservirsi all’eresia ariana, furono dapprima defraudati dei loro beni dal re dei Vandali Genserico, poi mandati in esilio e sottoposti ad atroci torture e, infine, trucidati con diversi generi di martirio. Rifulse nella circostanza anche la fermezza del piccolo Paolillo, fratello di Pascasio ed Eutichiano, che per la sua tenace determinazione nel mantenersi nella fede cattolica fu a lungo percosso a colpi di bastone e poi condannato alla più vile schiavitù.
nome Sant'Abbone di Fleury- titolo Abate- nascita 945 circa, Orléans, Francia- morte 1004 circa, Guascogna, Francia- ricorrenza 13 novembre- I dettagli sulla vita di S. Abbone di Fleury sono stati riferiti da un suo contemporaneo, lo storico benedettino Aimoino (960-1010). Nato a Orléans tra il 945 e il 950, fu uno degli studiosi più eminenti del suo tempo, e da bambino studiò grammatica, dialettica e aritmetica nell'abbazia benedettina di Fleury-sur-Loire, dove diventò insegnante mentre era ancora molto giovane. Successivamente studiò astronomia a Parigi e a Reims, e musica a Orléans, prima di far ritorno a Fleury, dove diventò monaco. Nel 985, il vescovo di Worcester, S. Osvaldo (28 feb.), che era stato benedettino a Fleury, gli propose di diventare direttore della scuola della nuova abbazia di Ramsey (nell'attuale Cambridgeshire), dove trascorse solo due anni, tuttavia sufficienti a incoraggiare i monaci allo studio, e più in generale, ad aderire al movimento di riforma monastica. Al suo ritorno a Fleury nel 987, Abbone continuò gli studi, in particolare filosofia, matematica e astronomia, tuttavia questa pace non durò molto, dato che nel 988, alla morte dell'abate, divenne suo successore. L'elezione fu contestata, con ripercussioni che oltrepassarono i confini del monastero, ma alla fine la situazione si risolse, grazie all'intervento di Gerberto di Aurillac, che successivamente diventò papa Silvestro II (999-1003). Abbone svolse con grande energia il suo ruolo di abate, occupandosi senza sosta delle necessità del momento; entrò in conflitto con il re sulla questione dei diritti dei vescovi e con il vescovo di Orléans sui diritti dei monasteri, e fu uno dei primi a tentare di affrancare i monasteri dal controllo episcopale. Svolse un ruolo molto importante nei sinodi cui partecipò, discutendo con il papa la questione del secondo matrimonio illegale del re francese Roberto II (996-1031) con la cugina Berthe. Le lettere di Abbone evidenziano il fatto che era molto richiesto come mediatore di pace nelle congregazioni monastiche che avevano dei problemi; fu proprio durante una di queste missioni che morì di morte violenta, motivo per cui fu poi venerato come martire. Durante il soggiorno nel monastero di La Réole in Guascogna, scoppiò una furiosa lite tra alcuni dei suoi seguaci e la servitù Ilei monastero, e nel tentativo di riportare la calma, fu pugnalato; pur riuscendo a raggiungere la propria cella barcollando, poco dopo morì tra le braccia di uno dei suoi monaci. Nonostante tutte le attività e le drammatiche circostanze della sua morte, Abbone è famoso per le sue opere (tra cui, la prima Vita di S. Edmondo, re e martire (20 nov.), basata sulle testimonianze di alcuni alfieri del re, e dedicata a S. Dunstan (19 mag.); e l'Apologeticus, nel quale sostiene la causa dei diritti dei singoli individui e dei gruppi contro quelli delle autorità governanti). Nel periodo in cui fu abate a Fleury, i monaci copiarono e studiarono le Categorie e gli Analitici di Aristotele. MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di La Réole nella Guascogna in Francia, transito di sant’Abbone, abate di Fleury, uomo mirabilmente versato nella Sacra Scrittura e nelle lettere, che, difensore della disciplina monastica e coraggioso promotore di pace, morì trafitto da una lancia.
nome Beato Varmondo Arborio di Ivrea- titolo Vescovo- nascita 930 circa, Arborio, Vercelli- morte 1011 circa, Ivrea, Torino- ricorrenza 13 novembre- Varmondo nacque da una nobile famiglia vercellese di Arborio; studiò a Pavia, dove pare si sia laureato in giurisprudenza. Ma per volontà dell'imperatore Ottone I fu eletto vescovo di Ivrea, intorno al 983 o 84. La sua presenza fu documentata nel sinodo di Milano del 969, convocato per riorganizzare le diocesi del Piemonte meridionale devastate dalle incursioni e dagli attacchi dei Saraceni. Fu un uomo di grande fede, pietà e umiltà, che difese la libertà della Chiesa dalle insidie dei potenti tra cui il marchese Arduino, che, sostenuto da secolari feudatari, cercò di portare avanti il suo progetto politico di un'Italia unita, fuori dalla Chiesa e dall'Impero. Contro di lui il santo vescovo lanciò una scomunica, successivamente confermata dal Papa, per rivendicare la piena e legittima libertà della Chiesa.<br /> Promosse la vita monastica e promosse la scuola episcopale. Ricostruì l'antica cattedrale di Santa Maria, dove ripose le reliquie del presunto martire comico San Tegolo, rinvenute nei pressi della città. San Varmondo concesse importanti privilegi anche alla fondazione del monastero di Fruttuaria, governato come primo abate da Guillermo de Volpino, comprendendo l'importanza che questa istituzione poteva avere nell'ambito del suo territorio diocesano. La sua intensa attività fu interrotta solo dalla morte, avvenuta in un anno tra il 1010 e il 1014. Un cenotafio da lui preparato fu posto sulla sua tomba, mentre il popolo cominciò subito a venerarne la memoria di santo, nonostante il La conferma del suo culto non arrivò fino al 1857, sotto il pontificato di Pio IX. La sua commemorazione, celebrata il 9 agosto, è attualmente fissata per il 13 novembre, giorno in cui la Chiesa di Ivrea ricorda tutti i suoi santi pastori. Le sue reliquie sono conservate nella cattedrale della città. MARTIROLOGIO ROMANO. A Ivrea in Piemonte, commemorazione del beato Varmondo, vescovo, che fu insigne per la sua viva fede, la pietà e l’umiltà, rivendicò la libertà della Chiesa dalle insidie dei potenti, costruì la cattedrale e promosse la vita monastica e istituì una scuola episcopale.