@Vitupero
I santi di oggi 30 agosto:
nome Santi Felice e Adautto- titolo Martiri- ricorrenza 30 agosto- In una sua poesia papa Damaso ricorda Felice e Adautto come martiri cui era prestato un culto nel luogo della loro sepoltura; il Martirologio Geronimiano (e poi altri testi) ne ricordano la memoria al 30 agosto. La prima Vita, che pare databile ad epoca precarolingia (secolo VII), ma è conosciuta in varie versioni, racconta che Felice era romano e presbitero, come un fratello. Arrestato in quanto seguace di Cristo, al tempo di Diocleziano, fu condotto nel tempio di Serapide perché sacrificasse al dio; Felice soffiò sulla statua facendola cadere e lo stesso accadde con le statue di Mercurio e di Diana. La potenza manifestata gli procurò la tortura e la condanna capitale. L'ultimo episodio è sulla via Ostiense, fuori città, dove si alzava un grande albero consacrato agli dei e, nei pressi, un tempio: invitato ancora una volta a sacrificare, Felice ordinò all'albero di cadere nel tempio, rovinandolo, come infatti avvenne. Felice fu allora decapitato e mentre lo portavano poco lontano dall'Ostiense per eseguire la condanna, un cristiano si avvicinò dichiarando la propria fede: fu così decapitato assieme a Felice. Nella Vita scritta da Adone nel suo Martyrologium (sec. IX) si ricorda che l'anonimo poteva chiamarsi Adauctus, «aggiunto», «quod sancto martyri Felici auctus sit ad coronam». Una vita in versi ha scritto Marbodo di Rennes, riferendosi alla Vita più antica, ma accentuando il contrasto tra il martire cristiano e il prefetto pagano e arricchendo il repertorio mitologico del contesto. Felice fu sepolto assieme al compagno in una cripta nelle catacombe di Commodilla, presso la via Ostiense, dove sorse presto una cappella o una piccola basilica in suo onore, anche per cura di Giovanni I e di 7 Leone III. In essa sono conservati alcuni affreschi del VI sec. con le immagini dei due martiri. Leone IV donò alla moglie di Lotario, Ermengarda, una reliquia dei due martiri, che ne portò il culto a Nord delle Alpi, sino a Cracovia, dove nel palazzo reale una cappella è a loro dedicata. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma nel cimitero di Commodilla sulla via Ostiense, santi martiri Felice e Adáutto, che, per aver reso insieme testimonianza a Cristo con la medesima intemerata fede, corsero insieme vincitori verso il cielo.
nome San Fiacrio (Fiacre)- titolo Eremita- nascita 607 circa, Irlanda- morte 668 circa, Francia- ricorrenza 30 agosto- Santuario principale Cattedrale di Meaux- Patrono di ortolani, giardinieri, tassisti e ammalati di sifilide- Fiacrio (o Fiachra) non compare nei calendari irlandesi antichi, ma solo nel nuovo Martirologio Romano Venne incluso nei martirologi irlandesi nel tardo XII secolo, ed è una figura principalmente legata alle tradizioni popolari, che raccolse devoti tra i ceti più elevati nel XVII e XVIII secolo. Probabilmente nacque in biada ed emignì in Francia alla ricerca di una maggiore solitudine. Arrivò a Meaux, dove il vescovo S. Farone (28 ott.) gli offrì un alloggio in una foresta di sua proprietà a Breuil, in provincia di Brie. Una leggenda narra che Faro disse a Fiacrio che avrebbe avuto tutta la terra che fosse riuscito a rivoltare in un giorno senza usare l'aratro. Lo scaltro irlandese utilizzò la punta del suo bastone; astuzie simili sono comuni nei racconti popolari di diverse culture. Fiacrio disboscò il terreno, costruì una cella con un giardino e un oratorio in onore di Maria, ed eresse un ospizio per viaggiatori, che divenne in seguito il villaggio di Saint-Fiacre in Seine-et-Mar-ne. Accoglieva gentilmente coloro che andavano a chiedergli consiglio, così come i poveri che gli chiedevano aiuto, servendo tutti gli ospiti del ricovero. Pare che avesse poteri di guarigione miracolosi. Non permetteva alle donne di alloggiare nel suo eremitaggio: nel 1620, così si dice, una dama di Parigi, che credeva che la sua condizione sociale la esonerasse dal divieto, entrò nell'oratorio e immediatamente impazzì. Nel 1641 Anna d'Austria, regina di Francia, si recò all'oratorio di Fiacrio in pellegrinaggio a piedi, ma, per rispetto, si fermò fuori dalla porta e pregò insieme agli altri pellegrini. Ella attribuì all'intercessione miracolosa di Fiacrio la guarigione di Luigi XIII da una grave malattia, così come la nascita di Luigi XIV. Fiacrio rimase popolare all'interno della famiglia reale francese. Luigi XIV dovette sottoporsi a un intervento chirurgico, il predicatore di corte Bossuet, vescovo di Meaux, iniziò una novena particolare a S. Fiacrio. Anche S. Vincenzo de' Paoli (27 set.) ricorreva alla sua intercessione. Le reliquie di Fiacrio vennero traslate a Meaux: moltissime persone andavano a pregare sulla tomba, soprattutto ammalati di malattie a trasmissione sessuale, a motivo, a quanto si dice, del suo atteggiamento nei confronti delle donne. È ancora invocato per le guarigioni ed è anche il santo patrono dei giardinieri, dei fruttivendoli e dei tassisti di Parigi. MARTIROLOGIO ROMANO. A Breuil sempre nel territorio di Meaux, san Fiacrio, eremita, che originario dell’Irlanda, condusse vita solitaria.
nome Santa Margherita Ward- titolo Martire in Inghilterra- nome di battesimo Margaret Ward- nascita 1550 circa, Congleton, Cheshire- morte 30 agosto 1588, Londra, Inghilterra- ricorrenza 30 agosto- Beatificazione 1929 da papa Pio XI- Canonizzazione 1970 da papa Paolo VI- Margherita è una delle pochissime donne tra le martiri cattoliche delle isole britanniche a essere stata canonizzata e beatificata. Viene descritta dalle fonti come una nobile nata a Congleton, nel Cheshire. Visse a Londra, dove lavorava al servizio (forse governante o dama di compagnia) di un'altra gentildonna, la signora Whitall (o Whittle). Margherita decise di aiutare Guglielmo (alcune fonti riportano Riccardo) Watson (alias Colpepper), un eccentrico prete secolare cattolico rinchiuso nella prigione di Bridewell, e si trovò coinvolta in una storia con conseguenze strane, ridicole e fatali. Un racconto sommario illustra alcune realtà ironicamente brutali di quell'epoca, in cui Watson spesso si trova implicato, troppo spesso rimosse dalle vite dei martiri. Watson nacque a Durham nel 1558, andò a Oxford all'età di dieci anni (non come studente, come lui stesso sosteneva, ma come servitore) e all'Inns of Court all'età di quattordici. Fu due volte a Reims, all'età di sedici anni e a ventisei. Venne ordinato sacerdote e inviato nella missione inglese nel 1586. Divenne ben presto famoso per le controversie all'interno e fuori dai circoli cattolici. Venne imprigionato e torturato nel Marshalsea, denunciò il complotto del cattolico Antonio Babington per uccidere Elisabetta e liberare Maria, regina di Scozia, acconsentì a frequentare una chiesa protestante e fu rilasciato, ricevette l'assoluzione da un altro sacerdote cattolico, fu arrestato nuovamente mentre celebrava la Messa nella chiesa di Bridewell, fu incatenato in una segreta della prigione di Bridewell e lasciato quasi morire di fame, venne spostato poi in una cella più ampia, sottoposto a continui interrogatori, gli fu ordinato di frequentare ancora la chiesa protestante, fino a che si ammalò di nervi. Margherita, avendo sentito raccontare questa storia, gli faceva visita regolarmente e gli portava del cibo. Riuscì a guadagnarsi la fiducia della moglie del carceriere e fece pervenire a Watson una corda, dicendo a due barcaioli di aspettarlo al fiume tra le &e e le tac dd astriu o. Watson salì sul tetto della prigione, scese amtaccaso dia corda ma cadde su un capannone e si ruppe unbrama" e mas wilwaliw I due barcaioli lo trovarono e lo trasportarono al sicuro. Giovanni Roche, irlandese, era o il servitore di Maria che si cambiò d'abito con Watson per ingannare i carcerieri, o uno dei due barcaioli che lo fece in seguito. Fu arrestato insieme a Margherita, a cui risalirono tramite la corda, dimenticata da Watson. Margherita fu messa in catene per otto giorni, appesa per le braccia e picchiata duramente, e infine processata. Lei e Giovanni vennero accusati di aver aiutato ad evadere una persona che era non solo un prigioniero, ma anche un traditore. Rifiutarono di rivelare il nascondiglio del sacerdote; i giudici offrirono di rilasciarli se avessero chiesto il perdono della regina e avessero acconsentito a frequentare la chiesa protestante. Margherita e Giovanni dissero che non avevano fatto nulla per offendere la regina e Margherita disse ai giudici che se Elisabetta «avesse avuto un cuore di donna» e avesse visto Watson lo avrebbe liberato, e che frequentare la chiesa dello stato era contro la loro coscienza. I martiri avrebbero potuto essere condannati con l'accusa di aver compiuto un atto criminale nell'aiutare la fuga di un prigioniero, anche se avrebbero potuto contestare che le leggi alle quali loro e Watson sottostavano erano ingiuste (anche perché Watson era stato arrestato la seconda volta prima che fosse scaduto il periodo di tempo per lasciare l'Inghilterra); ma alla fine vennero condannati per aver disobbedito a un ordine (che Watson stesso aveva prima accettato e poi rifiutato) che sottintendeva, essenzialmente, un atto di prova religiosa. Vennero impiccati a Tybourn il 30 agosto 1588. Watson probabilmente venne identificato e arrestato nuovamente, fuggì e trascorse due anni a Liège, andò in Irlanda e poi fece ritorno in Inghilterra, fu capo degli Appellanti per il clero secolare (aspramente contrario ai gesuiti) tentando di trovare un accordo accettabile con il Concilio Privato e venne imprigionato tre volte ancora. Durante un periodo di detenzione scrisse la sua autobiografia, riuscì a scappare due volte ancora e ottenne la libertà alla morte di Elisabetta nel 1603. Fu ricevuto da Giacomo I e tentò di negoziare con il sovrano un nuovo giuramento di fedeltà cattolico. Le sue idee contro i gesuiti divennero un'ossessione: contrastò pubblicamente una supposta cospirazione gesuita per far salire al trono l'infante spagnola, collaborò a numerosi testi polemici e ne scrisse uno contro la Società. Cospirò in diversi complotti e prese parte con altri cattolici a un tentativo di rapire Giacomo I per obbligarlo a sostituire i ministri protestanti con ministri cattolici. A quell'epoca, probabilmente, Watson era diventato un mitomane, perché si era autonominato lord cancelliere del nuovo governo. Padre Garnet, il superiore gesuita, e padre Blackwell, l'arciprete, rivelarono il complotto al governo: Watson venne arrestato un'altra volta e rinchiuso nella Torre di Londra per impedire ogni tentativo (li fuga. Al suo processo ebbe alcuni splendidi scambi di battute con re Giacomo, ugualmente eccentrico. Fu messo a morte prima della fine dell'anno, dopo aver chiesto il perdono dei gesuiti. È difficile stabilire se il comportamento di Watson fosse la risposta a un mondo anormale di una persona malata di mente o quella di un uomo coraggiosamente anticonformista a un mondo in cui Watson spesso si trovava implicato. È difficile anche sapere quello che Margherita pensasse di lui o lui di lei: le sue azioni e i pesanti commenti su Elisabetta fanno pensare che, per un certo verso, potevano essere veramente spiriti affini. Margherita venne beatificata nel 1929 e canonizzata da papa Paolo VI nel 1970. MARTIROLOGIO ROMANO. A Londra in Inghilterra, santa Margherita Ward, martire, che, sposata, fu condannata a morte sotto la regina Elisabetta I per avere aiutato un sacerdote e accolse con animo lieto il martirio dell’impiccagione a Tyburn. Nello stesso luogo, subirono insieme a lei il martirio i beati Riccardo Leigh, sacerdote, e i laici Edoardo Shelley e Riccardo Martin, inglesi, Giovanni Roche, irlandese, e Riccardo Lloyd, gallese, il primo perché sacerdote, gli altri per avere dato ospitalità a dei sacerdoti.
nome Beato Alfredo Ildefonso Schuster- titolo Cardinale di Santa Romana Chiesa, arcivescovo di Milano- nascita 18 gennaio 1880, Roma- Ordinato presbitero 19 marzo 1904 dal cardinale Pietro Respighi- Nominato abate ordinario 6 aprile 1918 da papa Benedetto XV- Nominato arcivescovo 26 giugno 1929 da papa Pio XI- Consacrato arcivescovo 21 luglio 1929 da papa Pio XI- Creato cardinale 15 luglio 1929 da papa Pio XI- morte 30 agosto 1954, Venegono Inferiore, Varese- ricorrenza 30 agosto- Incarichi ricoperti Abate ordinario di San Paolo fuori le Mura (1918-1929), Rettore del Pontificio istituto orientale (1919-1922), Arcivescovo metropolita di Milano (1929-1954), Cardinale presbitero dei Santi Silvestro e Martino ai Monti (1929-1954)- Beatificazione 12 maggio 1996 da papa Giovanni Paolo II- Attributi Bastone pastorale- Il cardinale Schuster fu arcivescovo di Milano, l'arcidiocesi più grande d'Italia, durante il regime fascista, la seconda guerra mondiale e i difficili anni del dopoguerra, quando per un certo periodo fu il governatore effettivo della città. Ciò lo portò a essere implicato nell'arena politica, sollevando perplessità riguardo la sua beatificazione, che tuttavia si basa sulle sue qualità personali più che sull'attività pubblica e sul riconoscimento del suo servizio alla Chiesa. Nacque a Roma il 18 gennaio 1880 e fu battezzato Lodovico Alfredo Luigi, ma tutti lo chiamavano Alfredo. Era d'origini modeste, il padre Giovanni produceva le uniformi per la Guardia Papale Svizzera. Entrò nel noviziato benedettino nel novembre 1898, prendendo il nome religioso di Ildefonso. Fu ordinato sacerdote dal cardinale Respighi nella basilica di S. Giovanni in Laterano il 19 marzo 1904. Le lettere degli anni successivi contengono la testimonianza dei suoi studi in campo storico (lavorò alla storia dell'abbazia di Farfa durante le vacanze), liturgico, archeologico e artistico, così come della ricerca della santità. Fu maestro dei novizi dal 1908 al 1916. La reputazione di uomo saggio e devoto aumentò, e nel 1910 gli fu offerto il primo di una numerosa serie di posti di insegnante: la cattedra di liturgia alla Scuola Superiore di Musica Sacra. La sua passione per la materia lo rese guida del movimento liturgico in Italia e autore dell'imponente Liber Sacramentorum: il primo volume apparve nel 1919 e venne ristampato diciannove volte e tradotto in otto lingue. Dal 1913 insegnò storia della Chiesa alla facoltà benedettina di S. Anselmo; nel 1914 fu nominato assistente liturgico della Congregazione per la Liturgia; nel 1917 aggiunse ai suoi numerosi incarichi quello di insegnante di liturgia all'Istituto Pontificio Orientale, aperto da papa Benedetto XIV. All'interno dell'ordine fu segretario del capitolo generale della Congregazione Cassinese tenuto nel 1915, poi procuratore generale della Congregazione; nel dicembre 1915 fu eletto priore di S. Paolo e quando l'abate del convento morì nel 1918, Ildefonso fu eletto suo successore all'unanimità. Come abate aprì il monastero durante i fine settimana a gruppi di studenti e per ritiri spirituali. Un gruppo che lo frequentava regolarmente era quello guidato da Giovanni Battista Montini. Papa Benedetto XV lo teneva in grande considerazione, così come papa Pio IX che, nel 1920, lo nominò presidente della Commissione papale dell'Arte Sacra e lo inviò come visitatore apostolico in tutta Italia. Nel 1926 fu incaricato della supervisione dei seminari nella provincia ecclesiastica di Milano. L'allora arcivescovo di Milano, cardinal Eugenio Tosi, morì nel gennaio 1929 e i voti indicarono Schuster come suo successore. Fu consacrato nella Cappella Sistina a luglio e, eletto immediatamente cardinale, venne presentato a re Vittorio Emanuele III per il giuramento di fedeltà allo stato (fu il primo vescovo italiano a farlo, secondo gli accordi del nuovo Concordato, firmato quello stesso anno). Prese servizio a settembre, ponendo fine a trent'anni di vita monastica. Si trovò a capo della più ampia diocesi d'Italia, composta da cinque province, con tre milioni di abitanti serviti da quasi duemila sacerdoti, in un'epoca nella quale il Concordato prometteva una nuova era di cooperazione tra Chiesa e Stato. Lo Stato italiano stava assistendo all'irresistibile ascesa del fascismo sotto Benito Mussolini, il duce, ma Milano vantava una tradizione politica di operai di sinistra: solo il quindici per cento dci lavoratori era a favore del fascismo, e solo l'otto per cento del clero era apertamente simpatizzante. I fedeli accolsero Schuster con grande entusiasmo, anche se la stampa fascista smise ben presto di riferire sulle sue attività. Iniziò una serie di lettere pastorali: le prime trattarono i temi dei seminari, del giornalismo cattolico e della liturgia. Seguendo le orme di S. Ambrogio (7 dic.), di S. Carlo Borromeo (4 nov.) e del B. Andrea Ferrari (2 feb.), Ildefonso si impegnò in una rigorosa serie di visite pastorali. Con novecento parrocchie, a ognuna delle quali dedicava un giorno non festivo, la visita completa durò da un minimo di tre a un massimo di sei anni; stava compiendo il quinto giro quando fu colto dalla morte. Visitò le parrocchie cittadine in inverno e quelle fuori città nelle altre stagioni, raggiungendo a piedi o su un asino quelle di montagna e percorrendo a volte in tre giorni cinquanta miglia a piedi. Il suo messaggio era rigoroso: condannava il cinema, le letture profane, il teatro e la danza, come aveva fatto il S. Curato d'Ars. Non temeva di denunciare il "peccato" come la sola ragione per il declino dell'osservanza religiosa e per le sofferenze della gente. Sostenne strutture come l'Azione cattolica, nonostante l'opposizione dello stato. In nome della purezza liturgica enfatizzò il ruolo centrale dell'eucarestia e insistette sul fatto che il clero non doveva solo predicare la parola di Dio ma viverla in ogni suo aspetto, destituendo coloro che riteneva non si attenessero a questa regola. Nonostante l'attività pastorale incessante trovò tempo per scrivere la storia della diocesi di S. Ambrogio. Fu impegnatissimo nel preparare due grandi ricorrenze: il quarto centenario di S. Carlo Borromeo e il sedicesimo di S. Ambrogio. Diede anche vita a due riviste mensili, di cui una dedicata agli studi sui santi. Prese il Codice di Diritto canonico del 1918 come strumento di base per la riforma nell'arcidiocesi: ristabilì i sinodi diocesani iniziati da S. Carlo Borromeo, interrotti dal 1914. Abituato a vivere secondo una regola monastica, tentò di applicarne i principi alla sua vasta diocesi: al primo sinodo, stabilì quattro "pilastri" principali sui quali la diocesi avrebbe dovuto appoggiare: l'Ufficio divino, S. Tommaso d'Aquino, il Codice di Diritto canonico e la Bibbia come fondamento ultimo. Il suo secondo sinodo, tenuto nel 1935, si concentrò sulla liturgia; il terzo, nel 1941, riaffermò i princìpi del primo; il quarto, nel 1946, poiché aveva terminato il terzo giro di visite pastorali, fu dedicato all'eucarestia (a Milano si tenne un Congresso Eucaristico trionfale). Il quinto e ultimo sinodo, nel 1953, fu il suo testamento finale per l'arcidiocesi, incentrato sullo spirito pastorale che doveva fare conoscere la legislazione al popolo: «Meno leggi e più osservanza». I sinodi erano accompagnati da lettere pastorali al clero con la frequenza di una al mese dal 1930 al 1940. Trovò il tempo per rinnovare la liturgia "propria" di Milano, il rito ambrosiano, e per riformare l'arte nelle chiese. Riassunse gli scopi di tutte le sue riforme in un "memoriale", che inviò a tutti i parroci nel 1939, il decimo anniversario del suo episcopato. Come la maggioranza dei cattolici italiani, considerò il Concordato del 1929 come un atto per «ridare l'Italia a Dio e Dio all'Italia» (Pio XI). Il suo passato monastico lo portava a considerare sacre tutte le autorità legittime. Le sue relazioni con il regime variarono molto nel corso degli anni: gli anni dal 1929 al 1938 possono essere visti come un periodo di accettazione generale, dal 1938 al 1943 come un processo di presa di distanza, seguiti da una ferma opposizione in seguito alle conseguenze della guerra. Nei primi anni della salita al potere di Mussolini oscillava tra azioni di sostegno e attività contrarie: per esempio rifiutò di celebrare la Messa per un raduno di "camicie nere" e di officiare all'apertura della nuova stazione ferroviaria di Milano, un trionfo fascista, nel 1931. Compì l'atto più deprecabile della sua carriera nell'ottobre 1935, quando diede il suo entusiastico appoggio all'invasione dell'Abissinia, che superficialmente considerava una crociata per riportare il Vangelo in un paese che lo aveva conosciuto molti anni prima e che poi lo aveva abbandonato. Descrisse la guerra come «una missione nazionale e cattolica per il bene». Un anno dopo approvò l'intervento italiano nella guerra civile spagnola, che considerava causata dai bolscevichi, che rappresentavano la continuazione della minaccia alla Spagna cattolica iniziata secolo dagli arabi. Tuttavia, non può essere considerato un pieno sostenitore del fascismo: a un incontro con Mussolini nel 1936, ad esempio, chiese al duce di usare la sua influenza su Hitler per convincerlo a cambiare i suoi programmi politici, richiesta alla quale Mussolini rispose promettendo di fare il possibile, ma senza grandi speranze. Nel 1939 difese le sue relazioni con il regime come un tentativo di cristianizzare il fascismo, chiedendo: «Se la Chiesa in Italia non riesce a fare questo [...] che cosa potrà fare?». Alla fine fu costretto ad ammettere che era una utopia irrealizzabile. Nel 1938 gli ebrei iniziarono a fuggire dalla Germania, e un gran numero arrivò a Milano chiedendo di venire battezzati come misura di sicurezza. Schuster li persuase che non era opportuno ricevere il battesimo senza esserne convinti e trovò loro rifugio in edifici parrocchiali e in case religiose_ Nell'autunno inviò una missiva ai suoi sacerdoti (per prudenza non pubblicata fino al 1951) nella quale attaccava senza mezze misure la dottrina del razzismo come «una minaccia internazionale, tale e quale il comunismo». Pio XI si dichiarò apertamente d'accordo con lui. Schuster dichiarò l'entrata in guerra dell'Italia come un «tradimento nei confronti della Francia» e si rifiutò di benedire i soldati che partivano per il fronte. Quando la dittatura fascista cadde nel luglio 1943, la accusò di aver tradito l'Italia e, nei momenti di confusione che seguirono, si impegnò a dare aiuto materiale alla gente. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, diede il suo appoggio alla decisione iniziale di nonbelligeranza dell'Italia, imponendo ai suoi fedeli un regime di austerità. Quando l'Italia entrò in guerra sospese le visite pastorali per trascorrere più tempo possibile a Milano con la sua gente, e si fece un punto d'onore di visitare i feriti che arrivavano in città. Considerava la guerra, le privazioni e le sofferenze come qualcosa di purificante, come un giudizio divino sull'immoralità delle città. Dal punto di vista pratico, aprì un "guardaroba" per i poveri e le vittime dei bombardamenti nell'arcivescovado. Quando i tedeschi occuparono l'Italia, condannò l'invasione come «il più grande tradimento della storia». Schuster era fuori Milano per una visita pastorale quando Mussolini fu deposto, e fu avvisato di tornare in città velocemente per evitare una rivolta popolare. Trovò folle che strappavano manifesti fascisti dai muri e che distruggevano le statue del duce. I bombardamenti su Milano si intensificarono, culminando in quello della notte del 13 agosto 1944, compiuto da oltre quattrocentottanta bombardieri angloamericani. Il cardinale scrisse una lettera pastorale in cui supplicava Dio e gli Alleati di non ridurre alla disperazione completa la già fortemente provata popolazione. Sapeva che l'Alto Comando tedesco aveva intenzione di ritirarsi dall'Italia attraverso la Lombardia, lasciando terra bruciata dietro di sé e usando Milano come ultima postazione. Milano si trovò quindi tra la Repubblica di Salò di Mussolini, le forze di occupazione tedesche e gli Alleati che avanzavano: Schuster si impegnò a salvare quello che restava della seconda capitale religiosa e culturale italiana. Intraprese una corrispondenza con gli Alleati tramite il colonnello Dulles in Svizzera e si appellò personalmente a Mussoini perché si arrendesse. Il 25 aprile 1945 Mussolini e i suoi ministri arrivarono alla residenza dell'arcivescovo per un incontro, organizzato da Schuster, con i rappresentanti dei partigiani italiani. Schuster implorò Mussolini di consegnare i documenti e di prepararsi all'ergastolo come prigioniero politico. Ma quando questi scoprì che gli stavano chiedendo di firmare un documento che era stato concordato in anticipo con i tedeschi, dichiarò di essere stato tradito, perse la calma e se ne andò dalla riunione. Quella sera fuggendo, travestito da soldato tedesco, sul lago di Como, fu smascherato dai partigiani e giustiziato. Quattro anni dopo Schuster confermò pubblicamente di essere stato al centro degli intensi negoziati allo scopo di risparmiare ulteriori distruzioni. Finita la guerra Schuster iniziò a insistere sulla necessità di una ricostruzione spirituale e materiale, rimproverando alle nazioni che erano state coinvolte nella guerra di non aver ascoltato la voce della Chiesa. Organizzò e sostenne opere di assistenza per i reduci dal fronte, trasformando quello che rimaneva della residenza arcivescovile in un magazzino di cibo e vestiti. Dovette affrontare l'accusa di sostegno ai fascisti mossagli da molte persone, e la relativa ostilità del nuovo governo civile: la sua risposta fu che la Chiesa non poteva schierarsi politicamente ma doveva salvare tutti, «specialmente i più grandi peccatori». Sottolineò l'importanza della missione temporale della Chiesa in favore dei poveri e accusò il comunismo di materialismo, totalitarismo e ateismo, invitando i cattolici a non votarlo. Questa posizione sarebbe stata sostenuta da una dichiarazione del Santo Uffizio del 1949. La sua opinione era che la ricostruzione della società italiana dovesse coincidere con la restaurazione di un tessuto sociale cristiano, ma, nello stesso tempo, egli era abbastanza acuto da saper distinguere l'ideologia comunista dalle azioni pratiche volte al miglioramento delle condizioni dei poveri, per le quali espresse la sua approvazione. Quando nel 1946 si svolse il referendum per decidere se l'Italia dovesse rimanere una monarchia o diventare una repubblica, egli non si espresse, dicendo che era una questione puramente politica nella quale la Chiesa non aveva preferenze e che avrebbe appoggiato fedelmente qualsiasi autorità legittima fosse emersa dalla decisione del popolo. Il suo quarto giro di visite pastorali, che risultò più lungo degli altri a causa della guerra, terminò nel tardo 1946, ed egli ne iniziò prontamente un altro, durante il quale disse ai suoi sacerdoti che la nuova situazione di diffuso allontanamento dalla pratica cristiana imponeva loro di mostrare un eroismo apostolico. Organizzò un imponente congresso eucaristico a Monza per il settembre 1945, a cui, per svariati motivi, partecipò solo la metà dei fedeli dell'arcidiocesi. Questo fu seguito a Milano da un intenso ciclo di missioni per «arginare l'ondata tinticristiana». Organizzò anche un congresso mariano nel 1947. La sua incessante attività continuò: missioni alle parrocchie, incoraggiamento all'Azione cattolica, un congresso liturgico diocesano. Il suo spirito eminentemente pratico lo portò a istituire un fondo per la costruzione di case «semplici, ma accoglienti e solide» per gli immigrati che arrivavano dall'Italia del sud in cerca di lavoro. Si accertò che fossero disponibili dei fondi per costuire una nuova chiesa in ogni blocco abitativo. Alla fine degli anni '50 del XX secolo, Schuster iniziò a sentire il peso dell'età, e divenne meno intraprendente. Fu però ancora in grado di dare voce a una esigenza operativa: «oggi non è auspicabile l'abbandono del mondo secolare da parte della Chiesa, anzi, non è possibile. C'è bisogno di andare incontro alle masse per cristianizzarle nuovamente». Suggerì anche la necessità di un concilio per dare inizio all'opera pastorale. Tuttavia l'azione pratica che proponeva appariva troppo tradizionale: la formazione del clero, l'Azione cattolica, l'opposizione al comunismo e ai suoi simpatizzanti. I suoi ultimi anni furono sempre più difficili: sentiva di non riuscire più a comprendere il mondo, la Chiesa e «quello che il Signore voleva da lui». Capiva che era necessario un cambiamento, anche nell'arcidiocesi. Le opere di carità dell'arcidiocesi si ampliarono ulteriormente, estendendosi oltre i suoi confini, così come la sua reputazione. La Chiesa tributò grandi onori a Schuster, ma, nello stesso tempo, il Vaticano ordinò un'ispezione generale dei seminari maggiori, per il sospetto che l'insegnamento non fosse sufficientemente ortodosso. Sebbene i suoi seminari superarono brillantemente il controllo, l'episodio lo ferì profondamente. Dal 1954 la salute iniziò a peggiorare velocemente e morì il pomeriggio del 30 agosto dello stesso anno. Le sue ultime parole furono per i seminaristi: «Volete qualcosa per cui ricordarmi? Tutto quello che posso lasciarvi è un'esortazione alla santità». La notizia della sua morte si diffuse rapidamente, migliaia di persone si recarono al seminario, portando montagne di fiori. La maggior parte erano persone povere che portavano semplici fiori di campo. Il corpo fu portato a Milano due giorni più tardi, il funerale paralizzò la città intera, con folle di gente in lacrime ai lati della strada. I primi passi per l'apertura della causa di beatificazione furono intrapresi, dalla diocesi e dai benedettini, quasi immediatamente. L'anno seguente un episodio curioso minacciò di mandare a monte tutto: le Folies Bergères erano in tournée in Italia, e l'arcivescovo Minimi di Napoli, informato della natura dello spettacolo, telefonò all'Osservatore Romano per protestare contro la rappresentazione e il suo prossimo trasferimento a Roma. Alcuni ricordarono che era stata rappresentata a Milano due anni prima, prima della morte di Schuster, senza che egli avesse sollevato alcuna protesta. Questa dimostrazione di lassismo non fu favorevole alla sua causa: il fatto fu riferito a papa Pio XII, la cui reazione fu di chiedere se joséphinc Baker partecipasse ancora allo spettacolo. La risposta fu affermativa, ed egli raccontò di averla ricevuta anni prima in udienza privata e di essere rimasto incantato dalla sua presenza. Lo spettacolo fu rappresentato a Roma con alcune modifiche minori, e questo ostacolo alla causa di Schuster venne rimosso. Nel 1977 l'allora Promotore Generale della Fede richiese un più profondo esame "storico-critico" dei suoi rapporti con il fascismo c nel 1983 la causa fu interrotta per questo motivo. Il 12 maggio 1996 è stato infine beatificato da papa Giovanni Paolo II. MARTIROLOGIO ROMANO. A Venegono vicino a Varese, transito del beato Alfredo Ildefonso Schuster, vescovo, che, da abate di San Paolo di Roma elevato alla sede di Milano, uomo di mirabile sapienza e dottrina, svolse con grande sollecitudine l’ufficio di pastore per il bene del suo popolo.
nome San Pammachio di Roma- titolo Insigne uomo di fede- nascita 340 circa, Roma- morte 410, Roma- ricorrenza 30 agosto- Santuario principale Basilica dei Santi Giovanni e Paolo al Celio- Attributi toga- Pammachio era un cittadino romano, membro della casa dei Furii, un senatore di grande cultura. Vi è chi sostiene che fosse un sacerdote, ma non vi sono prove chiare che lo testimoniano. Era amico di S. Girolamo (30 set.), con cui aveva studiato da giovane e con il quale era sempre rimasto in contatto. Nel 385 sposò Paolina, la secondogenita di S. Paola (26 gen.), un'altra grande amica di Girolamo. Pammachio fu probabilmente tra coloro che denunciarono Giovinianoa papa S. Siricio (26 nov.). Gioviniano sosteneva diverse eresie, tra cui l'idea che tutte le colpe e le loro pene sono uguali. Pammachio sicuramente inviò delle copie degli scritti di Gioviniano a Girolamo, che li confutò in un lungo trattato. Pammachio scrisse a Girolamo per dirgli che trovava il suo linguaggio troppo forte, ed eccessivo l'elogio della verginità e il disprezzo del matrimonio. Girolamo gli rispose con due lettere, ringraziandolo per le osservazioni ma difendendo le sue posizioni. Gioviniano fu condannato in un sinodo a Roma e da S. Ambrogio (7 dic.) a Milano. Non si sentì più parlare di lui eccetto per uno scritto di Girolamo dove viene detto che aveva «vomitato più che esalato l'anima tra fagiani e porci». La moglie di Pammachio morì nel 397, Girolamo e S. Paolino di Nola (22 giu.) inviarono lettere di condoglianze. Pammachio dedicò il resto della sua vita allo studio e alle opere di carità per ciechi, storpi e poveri. Insieme a S. Fabiola (27 dic.) costruì un grande ospizio per pellegrini a Porto, per accogliere in particolare i poveri e i malati che arrivavano a Roma. Questo, conosciuto come lo xenodochium, fu la prima istituzione di questo tipo, lodata molto anche da Girolamo. Pammachio e Fabiola trascorsero molto tempo prendendosi cura dei loro ospiti. Pammachio era molto infastidito dalla disputa tra Girolamo e Rufino. Aiutò il primo nella stesura degli scritti per la discussione, ma non riuscì a mitigare il linguaggio dell'amico, che continuava a trovare eccessivo. Scrisse alla gente del suo ceto sociale in Numidia esortandoli ad abbandonare lo scisma donatista e ritornare all'ortodossia, ricevendo una lettera di ringraziamento da S. Agostino (28 ago.) da lppona nel 401. Pammachio aveva una cappella nella sua casa sul colle Celio. Sul luogo del titulus Pammachii sorge oggi la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, sotto la quale sono stati trovati i resti della casa del santo. Morì nel 410, all'epoca in cui Alarico e i goti occuparono Roma. MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, commemorazione di san Pammachio senatore, uomo insigne per lo zelo nella fede e per la generosità verso i poveri, alla cui pietà verso Dio si deve la costruzione della basilica recante il suo titolo sul colle Celio.
nome Beato Giovanni Giovenale Ancina- titolo Vescovo e compositore- nome di battesimo Giovanni Giovenale Ancina- nascita 1 ottobre 1545, Fossano, Cuneo- Nominato vescovo 16 agosto 1602 da papa Clemente VIII- Consacrato vescovo 1º settembre 1602 dal cardinale Camillo Borghese (poi papa)- morte 30 agosto 1604, Saluzzo, Cuneo- ricorrenza 30 agosto- Incarichi ricoperti Vescovo di Saluzzo (1602-1604)- Beatificazione 9 febbraio 1889 da papa Leone XIII'Attributi Bastone pastorale- Giovanni Giovenale Ancina nacque a Fossano, in Piemonte, il 19 ottobre 1.545, il primogenito di Durando Ancina, originario di una nobile famiglia spagnola, e di Lucia, sua moglie. Gli fu dato il nome Giovenale in onore di S. Giovenale di Narni (7 ago.), patrono di Fossano. Sebbene fosse molto devoto non aveva intenzione di prendere i voti o di diventare un religioso. All'età di quattordici anni, il padre lo mandò all'università di Montpellier per studiare medicina. Giovenale continuò i suoi studi a Mondovì e, dopo la morte del padre, all'università di Padova. Era uno studcnte brillante: all'età di soli ventiquattro anni ottenne un dottorato in filosofia e medicina a Torino e fu DOIIIIiMIO per la cattedra di medicina in quella città nel 1569. Curava i poveri gratuitimait. imea ~era mai parte a divertimenti o giochi ~dai ma ama ~ho íii gioco degli scacchi e scriveva versi in italiano e in latino, soprattutto su argomenti statali. Declamò pubblicamente un'ode per la morte di papa S. Pio V (30 apr.) nel 1572. Compose versi e inni per tutta la vita, e scrisse due epigrammi su S. Tommaso Moro (22 giu.). Mentre assisteva alla Messa solenne di Requiem a Savigliano, fu sopraffatto dal messaggio del Dies Irae e decise che Dio gli chiedeva qualcosa di più di una vita onesta. Iniziò a dedicare pii tempo alla preghiera e alla meditazione e abbandonò la cattedra di Torino quando il conte Federico Madrucci, ambasciatore del duca di Savoia per la Santa Sede, gli chiese di diventare suo medico personale. Giovenale arrivò a Roma nel 1575 e andò ad abitare vicino alla chiesa Ara Coeli, che era prossima alla prigione, all'ospedale, ai quartieri più poveri e al carcere minorile. Si dedicò seriamente alo studio della teologia e ricevette gli ordini minori. Si affidò alla direzione di S. Filippo Neri (26 mag.), il quale gli consigliò di accettare un beneficio in Piemonte, che però abbandonò quasi immediatamente. Un avvocato importante di Torino era appena divenuto un certosino e anche Giovenale e il fratello, Giovanni Matteo, desideravano fare lo stesso, mentre S. Filippo Neri gli consigliava di entrare nella sua recente congregazione dell'Oratorio. Alla fine i due fratelli vi entrarono l'1 ottobre 1578. Dopo quattro anni all'oratorio Giovenale venne ordinato sacerdote. Nel 1586 fu mandato all'Oratorio di Napoli, dove divenne famoso per i suoi sermoni. Operò alcune conversioni sensazionali, tra cui quella di Giovannella Sanchia, una cantante conosciuta come "la sirena" (non solo, a quanto pareva, a causa della sua voce), che fece voto di cantare in futuro solo canti religiosi. Giovenale amava la musica ed era estremamente pignolo riguardo la cura del canto all'oratorio. Scrisse dei testi religiosi per le canzoni popolari di successo, e pubblicò un libro di inni con le note, chiamato il Tempio dell'armonia. Quando un oratoriano, padre Boria, divenne cappellano dell'ospedale per gli incurabili, a lungo dimenticato, Giovenale si impegnò ad aiutarlo e diede vita a una confraternita di donne napoletane che prestava servizio nell'ospedale. Era noto per le elemosine, e aveva un accordo con un barbiere a cui mandava i poveri che avevano bisogno di un taglio ai capelli o di essere rasati. «Mettilo sul conto di padre Giovenale!» gli diceva. Nel 1595 circa, dopo dieci anni trascorsi a Napoli, Giovenale iniziò a pensare all'idea della vita contemplativa, quando l'Oratorio di Roma lo invitò a sostituire Baronio, che era diventato cardinale. Un anno più tardi rimasero vacanti tre sedi episcopali e Giovenale fuggì e si nascose, temendo di venire nominato per una di quelle. Trascorse cinque mesi vagabondando fino a che gli fu ordinato di tornare a Roma. Nel 1602 il duca di Savoia chiese a papa Clemente VIII di nominarlo vescovo di due sedi vacanti: il papa ordinò a Giovenale di accettare e lo consacrò vescovo a Saluzzo. Quando andò per prendere possesso delle sedi scoprì che era stato coinvolto in una controversia tra il duca e la Chiesa e, per evitare di offendere uno dei due, si ritirò a Fossano, dove scrisse una lettera pastorale per la sua diocesi e si dedicò alle opere buone locali. Dopo quattro mesi il problema riguardo i diritti della Chiesa venne risolto ed egli poté fare ritorno nella sua diocesi. Verso la fine del 1603 iniziò una visita pastorale. Era tornato a Saluzzo da alcune settimane quando udì che un frate nella città aveva una relazione sentimentale con una suora; Giovenale li avvertì che se avessero continuato sarebbe stato costretto a intervenire fermamente. La festa di S. Bernardo andò a celebrare la Messa e a cenare con i conventuali francescani, nel giorno della dedicazione della chiesa. Il frate colse l'occasione per avvelenare íl vino del vescovo. Giovenale iniziò a stare male prima dei vespri, e prima dell'alba del 31 agosto era morto. La causa della sua beatificazione fu introdotta a Roma nel 1624, ma solo nel 1869, quando si riunì il concilio Vaticano I, venne accolta. MARTIROLOGIO ROMANO. A Saluzzo in Piemonte, beato Giovanni Giovenale Ancina, vescovo, che, un tempo medico, fu tra i primi a entrare nell’Oratorio di san Filippo Neri.